T. Spignoli, M. Corsi, F. Fastelli, M.C. Papini, La poesia in immagine/L’immagine in poesia

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L’industria ha dato dunque il colpo di grazia all’avanguardia imbalsamandola poi ad uso e consumo della massa. Con l’aria che spira non mi sembra affatto azzardato affermare che descrivere la situazione dell’arte d’oggi è descrivere la situazione dell’arte “dopo l’avanguardia”. La prospettiva che si apre dinanzi all’artista è dunque quella del superamento dell’avanguardia, superamento che si preannuncia nel segno della razionalità e della comunicazione.

Lamberto Pignotti, intervento al convegno Arte e Comunicazione (Firenze, 24 maggio 1963)

 

 

Nel 2013, cinquant’anni dopo la fondazione del Gruppo 70 – avvenuta allo storico incontro fiorentino Arte e comunicazione, nel maggio del 1963 –, un convegno, un’esposizione e poi un volume hanno ripercorso quell’esperienza all’interno del panorama di allora, nell’ambito di una più ampia ricerca sulle interrelazioni tra parola e immagine nel secondo Novecento italiano e fino al 2012 (www.verbapicta.it). Articolato in cinque sezioni, oltre a quella introduttiva, La poesia in immagine / L’immagine in poesia, curato da Teresa Spignoli, Marco Corsi, Federico Fastelli e Maria Carla Papini (Pasian di Prato [Udine], Campanotto, 2014), reca in copertina un’immagine che ben rappresenta la propensione multimediale e interdisciplinare del Gruppo in questione: si tratta di uno scatto dall’happening Poesia e no 3, messo in scena nel 1965 dai poeti Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini e Lucia Marcucci, assieme agli artisti Antonio Bueno ed Emilio Isgrò, fra i principali protagonisti di quella breve ma intensa stagione creativa, le cui valenze ed eredità solo negli ultimi anni si è cominciato a vagliare in modo più sistematico.

È un volume denso per la ricchezza di notizie – non di rado riprese e approfondite secondo diverse prospettive da un capitolo all’altro (anche per questo sarebbero stati utili un indice dei nomi e una bibliografia riassuntiva; la più completa e aggiornata resta quella in calce al volume del 2011 di Pignotti e Stefanelli Scrittura verbovisiva e sinestetica) – e di riproduzioni di opere e documenti, oltre che interessante per le prospettive storico-critiche esposte in modo perlopiù chiaro. Uno dei pregi del libro è proprio quello di contestualizzare i fenomeni di cui si propone una prima interpretazione.

Il capitolo che apre il volume, concettualmente il più rilevante, si compone di cinque saggi. Il primo, di Marcello Carlino (L’avanguardia che venne dal caldo: l’utopia dell’intermedialità), inquadra i presupposti teorici del movimento delineandone i rapporti da un lato con le avanguardie storiche, più intensi, specie col surrealismo, dall’altro con le più ‘fredde’ neoavanguardie, con le quali ebbe in comune la razionalità progettuale (specialmente con il Gruppo ’63 i contatti e gli scambi, soprattutto all’inizio, furono frequenti). Mossi da un’utopia di «conversione della comunicazione», come dimostra il vivo confronto con critici e semiologi del calibro di Barilli, Dorfles, Eco – presenti anche al primo incontro fiorentino –, questi artisti operarono una chiara scelta esoletteraria, di ‘uscita’ dall’ambito letterario, e intermediale, motivata dalla coscienza del venir «dopo» avvertita da Pignotti. Nel contributo Il presente-futuro del Gruppo 70 Stefania Stefanelli si sofferma sulla cornice storico-culturale, e in particolare sulla sfida posta in quegli anni dalla pervasività delle immagini diffuse dai mass media e irrimediabilmente compromesse col potere. L’interesse primario di questi artisti per la comunicazione col pubblico li condusse a perseguire un rinnovamento radicale attraverso forme e codici nuovi. Pignotti, Miccini e gli altri passarono così dalle iniziali sperimentazioni ‘monolinguistiche’ alla poesia verbovisiva (come nel diffuso ‘collage largo’) e a quella lineare ma polemicamente ‘tecnologica’ che, fondendosi poi con la pittura ‘tecnologica’ di Luciano Ori e Bueno, estrapolava e risignificava sintagmi propri del linguaggio pubblicitario, giornalistico e televisivo della nuova Italia delle industrie e dei consumi (Arte e tecnologia è il titolo del secondo convegno, del 1964). Con l’ampliarsi delle tecniche, dei media e delle «appropriazioni» (dalla fotografia ai fumetti ai rebus) e con lo sviluppo di poetiche personali sempre più diversificate, il gruppo giunse poi a innovazioni ‘multilinguistiche’ tese alla creazione di un’autonoma ‘interlingua’ più aderente alla realtà contemporanea. In essa, i codici verbale, visivo, sonoro e gestuale si mescolavano e fondevano, come nello spettacolo Poesie e no e negli altri lavori, ad esempio Preistoria contemporanea, esposti alla fine del ’65 alla mostra-spettacolo Luna-Park. Il saggio di Teresa Spignoli, Poetica e retorica della poesia visiva, dimostra come Pignotti intendesse rifondare dal suo interno il macrogenere poetico servendosi della teoria classica dei generi. Rielaborando in modo originale il pensiero di Max Bense e Giulio Preti, e ricorrendo perlopiù a modalità parodiche, Pignotti – che già nel ’62 parla di ‘poesia tecnologica’, una formula che, come quella di ‘poesia visiva’, ben rappresenta questa volontà di scardinamento costruttivo della tradizione – preleva e assembla materiali di provenienza extraletteraria con finalità estetiche. L’analisi di Spignoli si estende quindi al genere narrativo e ad altri autori (Miccini, Ori e Isgrò), prendendo in considerazione anche l’evoluzione dell’oggetto-libro e il suo passaggio dalla pagina al quadro. Gli ultimi due contributi allargano la prospettiva geografico-culturale per considerare il dibattito fra diversi centri letterari ed editoriali e il costituirsi di differenti linee di sperimentazione. Sul rapporto artistico tra Roma e Firenze nei primi anni Sessanta, ricostruito anche attraverso le lettere inedite scambiate da Vivaldi, Pignotti e Miccini, è incentrato il contributo di Barbara Cinelli dal titolo Cesare Vivaldi e il Gruppo 70: tra quadri e poesie. Un’alternativa alle modalità verbovisive fiorentine è fornita dalle opere di Vivaldi e di alcuni esponenti del Gruppo 63 (Giuliani, Sanguineti e Balestrini), accomunate da suggestioni raccolte nelle gallerie romane e provenienti dalla Pop Art, da Schifano, Festa e Rotella. Il «duplice esercizio» di Luciano Caruso. Post-scrittura e meta-citazione di Giorgio Zanchetti approfondisce invece l’attività di Caruso tra Napoli, Genova, Milano e Firenze lungo i due decenni. La teorizzazione e pratica di Caruso dell’arte verbovisiva come ‘post-scrittura’ si pongono in chiara antitesi all’operazione del Gruppo 70.

Nella seconda parte del volume, Testimonianze, sono alcuni dei protagonisti di quell’esperienza a gettare uno sguardo all’indietro, con testi scritti per l’occasione o già editi e con riproduzioni di opere più o meno recenti: oltre a Pignotti (che presenta anche una lettera di Caruso a lui indirizzata nel ’76), Marcucci, Isgrò e Roberto Malquori, figurano Stelio Maria Martini, Luigi Tola e Rodolfo Vitone.

Sulla Poesia visiva a Firenze è incentrata la terza sezione, curata da Federico Fastelli e idealmente collegata ai saggi della prima parte, in quanto vi si ricostruisce l’attività del gruppo nelle sue tappe e iniziative fondamentali attraverso una cospicua selezione di materiali: lettere, fotografie, inviti, manifesti, nonché copertine dei cataloghi delle Edizioni 70, di antologie e riviste, multipli e libri d’artista. Queste pagine restituiscono un’idea della ricchezza degli archivi toscani, integrando e mettendo utilmente a sistema pubblicazioni precedenti relative ad aspetti specifici.

I Testi inclusi nella quarta parte del libro, curata da Marco Corsi, oltre a rendere disponibile la trascrizione del copione di Poesia e no 3, consente di immergersi nel dibattito di Arte e Comunicazione riproponendo – per la prima volta in volume – i passi salienti degli interventi pronunciati al convegno. Oltre a Dorfles, Eco, Barilli, fra gli autori vi sono Vivaldi, Anceschi, Aldo Rossi.

La sezione conclusiva, con la sintetica descrizione di 12 tra archivi e fondazioni, musei e biblioteche contenenti documenti e volumi significativi per lo studio delle sperimentazioni verbovisive – dall’archivio Miccini alla fondazione Bonotto, dal MART di Rovereto alla Sezione stampe e libri d’artista della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze –, offre un primo repertorio dei numerosi fondi, in buona parte ancora da indagare, interessati dalle testimonianze di un fenomeno ampio e complesso, esteso ben oltre il fiorentino Gruppo 70 e coinvolto in scambi serrati con altri movimenti d’avanguardia, anche fuori dai confini nazionali. Le informazioni fornite direttamente dagli eredi, dai responsabili delle collezioni e in qualche caso dagli stessi artisti (come per Maurizio Spatola), sono dunque preziose per il prosieguo delle ricerche, a partire dagli importanti esiti raccolti in questo volume, in direzione di una «adeguata sistemazione storico-critica».