Tra figure, segni e parole: Achille Perilli, Gastone Novelli e il Gruppo 63

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Abstract: ITA | ENG

Protagonisti della Nuova Figurazione in Italia, Achille Perilli e Gastone Novelli intrecciano stretti rapporti di collaborazione con gli scrittori del Gruppo 63, in particolare, con Elio Pagliarani, Alfredo Giuliani e Giorgio Manganelli, cui sono legati da una profonda amicizia e da una forte consonanza di intenti culturali. In questo contributo vengono rintracciate le affinità esistenti al livello delle poetiche tra i cinque autori a partire da alcune significative testimonianze della loro collaborazione, come la fondazione della rivista Grammatica, alcune pubblicazioni collettive, le “illustrazioni” ai testi letterari degli amici scrittori da parte di Perilli e Novelli e i testi critici o di poesia dedicati da Giuliani, Pagliarani e Manganelli alle opere dei due artisti. Dall’analisi delle opere emergono i particolari criteri che definiscono le modalità di interrelazione tra arte figurativa e letteratura stabilite dagli autori, assieme ad alcuni aspetti inediti sul rapporto tra le tendenze nate in reazione all’Informale e la letteratura della Neoavanguardia.

Achille Perilli and Gastone Novelli, protagonists of the so called ‘New Figuration’ in Italy, weave close collaborative relationships with the writers of Group 63, in particular, with Elio Pagliarani, Alfredo Giuliani and Giorgio Manganelli, to whom they are linked by a deep friendship and a strong consonance of cultural intent. In this article, the affinities at the level of poetics among the five authors are traced starting from some significant proves of their collaboration, such as the foundation of the review Grammatica, some collective publications, the “illustrations” to the literary texts of the writers friends by Perilli and Novelli and the critical or poetry texts dedicated by Giuliani, Pagliarani and Manganelli to the works of the two artists. The particular criteria that define the modalities of interrelation between figurative art and literature established by the authors emerges from the analysis of the works, together with some new aspects of the relationship between the tendencies born in reaction to the Informel and the literature of the Neo-vanguard.

 

Sintomo e riflesso di una traumatica condizione storica, l’Informale, denunciando l’esaurimento delle forme della rappresentazione, si fa interprete di un momento di crisi dell’intero sistema artistico, che investirà anche la letteratura italiana, in tutta evidenza, con l’avvento delle poetiche elaborate dai Novissimi. Una marcata corrispondenza rispetto all’Informale sembra infatti connotare la poesia ‘novissima’ nel suo programma di decostruzione delle forme tradizionali del verso.[1] Tuttavia, al momento dell’edizione della nota antologia del ’61, con l’intervento di Sanguineti ‘Poesia Informale?’ accolto al suo interno, viene invero prospettata una strategia di superamento delle questioni poste dall’Informale, collocando i Novissimi in una posizione postuma rispetto ad esso e assimilandone la poetica alle pratiche pittoriche ricadute sotto il nome di Nuova Figurazione. Se nel suo intervento Sanguineti indica la strada per una riprogettazione della forma poetica e la necessità di un recupero della capacità, in sostanza, di ‘dire qualcosa’, a partire tuttavia dall’informe[2] – una fuoriuscita dalla ‘palude’ dell’Informale, ma con le ‘mani sporche di fango’ – similmente, la Nuova Figurazione si pone come il tentativo di rinnovare la facoltà comunicativa del segno pittorico dopo le derive dell’Informale, rielaborandone la lezione e mantenendosi a distanza da qualunque ritorno al mimetismo.

In diverse occasioni la critica ha già approfondito la posizione di Sanguineti rispetto all’Informale e alla Nuova Figurazione, focalizzandosi sui rapporti dell’autore con il gruppo dei Nucleari e con Enrico Baj in particolare;[3] rimangono tuttavia meno indagate le collaborazioni, assieme alle relazioni a livello delle poetiche, istauratesi tra gli artisti della Nuova Figurazione italiana e altri membri del nascituro Gruppo 63, che pure appaiono consistenti a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta.

Si dovrà considerare in proposito la partecipazione, oltre che di Sanguineti, anche di Porta e Balestrini alla rivista Il gesto, fondata da Baj, e la presenza di Porta, Balestrini e Pagliarani sulle pagine di Azimuth, diretta da Piero Manzoni e Enrico Castellani. Una delle prime attestazioni della congiunzione tra i Novissimi e la Nuova Figurazione è poi costituita dalla sottoscrizione da parte di Balestrini, Porta e Sanguineti del ‘Manifesto di Napoli’, con il quale nel ‘58 viene stabilita l’unione tra il gruppo milanese dell’Arte Nucleare e il napoletano Gruppo 58, a testimonianza di una ricerca comune che si pone in un’ottica interdisciplinare.

Sarà con la pubblicazione del numero monografico del Verri dedicato alle tendenze del ‘dopo Informale’ nel 1963 che verrà in un certo senso sancita, come ha sottolineato Andrea Cortellessa, la corrispondenza tra le poetiche della Neoavanguardia e le nuove sperimentazioni pittoriche.[4] Nell’ottica di una ricostruzione della rete dei rapporti e degli scambi tra l’ambito pittorico e quello letterario, si dovrà inoltre considerare la partecipazione significativa di alcuni protagonisti della Nuova Figurazione alle attività del Gruppo 63 già dal primo convegno, al quale prendono parte, tra gli altri, Achille Perilli e Gastone Novelli.[5]

Gastone Novelli, copertina prima antologia del Gruppo 63

Il percorso di ricerca intrapreso da Perilli e Novelli in direzione di una riscoperta del segno, in opposizione all’Informale, prende corpo sulle pagine della rivista L’esperienza moderna, fondata dai due pittori a Roma nel 1957. La rivista si fa di fatto espressione della Nuova Figurazione nata nell’ambiente romano,[6] di cui Cesare Vivaldi offre, sin dal primo numero, una definizione critica, parlando di una vera e propria ‘scuola romana’ in cui si verifica il «recupero dell’immagine, in un’arte di dimensione umana eminentemente “comunicativa”», che mira a restituire «un’immagine della realtà, un giudizio sul mondo […] per contribuire, ognuno a proprio modo, a cambiarlo».[7]

Sebbene dal punto di vista delle soluzioni adottate la pittura della cosiddetta ‘scuola romana’ differisca, talvolta sensibilmente, dalla ‘linea’ dei Nucleari, a partire dalle parole di Vivaldi è tuttavia possibile individuare un aspetto che sembra accomunare l’intera area, per quanto composita, della Nuova Figurazione italiana e che costituisce, come messo di recente in luce da Federico Fastelli, l’elemento di congiunzione primario tra la sperimentazione in campo pittorico e quelle letterarie dei Novissimi, vale a dire la riscoperta di una progettualità nell’operazione artistica, una riscoperta della ‘forma’, che procede con il rinnovamento della figurazione in pittura e, in maniera analoga, con la proposta di una ‘nuova nominazione’ in poesia, scaturita da un forte istanza etica e, conseguentemente, da una precisa intenzionalità ideologica.[8]

Tale istanza, si dovrà sottolineare, si accompagna alla ricerca di un rinnovamento della strategia comunicativa nei confronti del fruitore[9] che maturerà proprio attraverso la condivisione delle problematiche dettate dalla comunicazione estetica tra i differenti ambiti artistici e la realizzazione fattuale di sperimentazioni interdisciplinari che vedono la cooperazione tra scrittori e pittori.

Uno dei migliori esempi, in questo senso, è offerto dal sodalizio artistico tra Perilli, Novelli, Giuliani, Pagliarani e Manganelli, sviluppatosi a partire dal periodo di gestazione dei Novissimi, alla fine degli anni Cinquanta, quando Perilli stringe un forte rapporto d’amicizia con Giuliani, entrando in seguito in contatto con gli altri scrittori.[10]

Ricorda in merito Perilli:

Ancora ho nella memoria pomeriggi e serate dedicate al nascere e al costituirsi dei “novissimi” con discussioni e polemiche e contrapposizioni. Per la prima volta si realizzava quel coincidere, che da sempre sentivo necessario, dove il ragionare non si limitava al proprio e ristretto codice linguistico, ma si allargava ad una sorta di ricognizione […] verso quanto ci veniva dello sperimentare, in un accumularsi di esperienze e di curiosità.[11]

I presupposti dell’incontro con gli scrittori della Neoavanguardia sembrano già risiedere nella riflessione condotta su L’esperienza moderna, il cui programma verte sulla necessità di trovare una base operativa comune tra le arti, oltre che di avviare un processo di rinnovamento della cultura italiana guardando al panorama artistico internazionale, in maniera del tutto simile rispetto a quanto proposto, di lì a breve, dal Gruppo 63.[12] È tuttavia dopo la chiusura della rivista che le iniziative di Perilli e Novelli sembrano porsi in direzione di un più marcato avvicinamento tra pittura e letteratura, di pari passo con l’infittirsi dei rapporti personali con i Novissimi; Perilli ricorda anzi che il suo vero sodalizio con la poesia ha inizio proprio a partire dalla conoscenza di Giuliani e della ‘ciurma’ del Gruppo 63.[13]

Tra le tappe significative che testimoniano del percorso di ricerca comune si può menzionare una piccola plaquette, curata da Novelli e edita nel 1962 da Scheiwiller, intitolata Antologia del possibile, in cui sono compresi disegni di Novelli, immagini dello spettacolo musicale Collage ’61 realizzato da Perilli, ma anche poesie di Pagliarani e Sanguineti e poesie-collage di Giuliani e Balestrini, presentati, insieme ad alte opere, con la volontà di mostrare i nuovi orizzonti di ricerca già in atto nell’ambiente avanguardistico internazionale e in una prospettiva interdisciplinare. Il 1963 vede poi l’uscita di un volumetto estremamente significativo, il libro illustrato Che cosa si può dire, che si compone di due litografie di Novelli e Perilli giustapposte a due Lettere in versi di Giuliani e Pagliarani.[14] Se il libretto, ultima pubblicazione dalle edizioni de L’esperienza moderna,[15] segna la fine del percorso avviato con l’eponima rivista, esso rappresenta al contempo la premessa alle future collaborazioni con i poeti del Gruppo 63, stabilendo al suo interno il principio ‘guida’ della pratica interdisciplinare sviluppata in seguito dagli autori, in base al quale, come si dirà, testo e immagini istaurano tra loro un rapporto di tipo dialogico.

L’anno successivo, dopo il primo convegno del Gruppo 63, dal contatto sempre più stretto con gli autori della Neoavanguardia, dalle discussioni e, come racconta Perilli, «attraverso una serie di ammiccamenti, complicità, interessi, vizi, godimenti e sconfinamenti»,[16] nasce Grammatica. Rivista a carattere fortemente interdisciplinare, ideata e diretta da Giuliani, Manganelli, Perilli e Novelli, con la partecipazione iniziale di Pagliarani e Balestrini, Grammatica vedrà l’uscita irregolare di soli 5 numeri fino al 1976.[17] I numeri di Grammatica testimoniano di anni prolifici dal punto di vista delle collaborazioni interdisciplinari, presentando numerosi esempi di opere realizzate dagli animatori della rivista e dai loro sodali, esposti quasi a ventaglio nell’eterogeneità dei generi e dei campi artistici interessati.

Nel clima da ‘battaglia culturale’ istaurato dal Gruppo 63 contro le dominanti artistico-letterarie del periodo, si pone in primo luogo il problema dell’individuazione di un programma redazionale che precisi gli elementi comuni della ricerca interdisciplinare in essa promossa, ma che serva anche a ‘posizionare sul fronte’ la proposta avanzata dalla redazione.

All’intento risponde l’editoriale del primo numero, ‘La carne è l’uomo che crede al rapido consumo’, costituito dalla trascrizione di un dialogo tra Balestrini, Giuliani, Manganelli, Pagliarani, Perilli e Novelli in cui, intenzionalmente, le voci degli autori non vengono identificate, per sottolineare la volontà di portare avanti una ricerca collettiva, preservando tuttavia le differenze individuali e il carattere aperto e dialettico della ricerca in fieri.

Viene assunta come premessa al discorso l’arbitrarietà del linguaggio rispetto alla ‘realtà’ che, liberando l’operazione artistica dall’obbligo della ‘rappresentazione’, ne accentua il carattere creativo, e dunque progettuale, rispetto al reale. Si legge infatti: «noi possiamo parlare del linguaggio come di ciò in cui l’universo stesso diventa non direi pensabile […] direi: abitabile».[18]

Il dialogo dei redattori verte poi sulla rivendicazione dell’autonomia artistica in opposizione al concetto di utilità sociale cui l’arte è tradizionalmente piegata, entrando appieno nella critica dell’ideologia e del linguaggio come ideologia – tema fondante delle poetiche della Neoavanguardia – e affrontando il problema etico del rapporto con la società contemporanea, vale a dire con i lettori. Piegata a un qualche scopo ‘sociale’, l’arte risponde a un’utilità ideologica che, per i redattori, può assumere la doppia accezione, da un lato, dell’impegno politico da parte dell’autore, espresso al livello dei contenuti, del messaggio dell’opera – questione contro cui i Novissimi polemizzano dal loro esordio[19] –, dall’altro, quella di fondo speculare, della connivenza rispetto al sistema neocapitalistico.

Si legge infatti:

dobbiamo riconoscere la nostra inutilità sociale, la nostra schizofrenia rispetto al compatto (impatto) utilità-produttività […] Il primo gesto dell’artista è quello di considerare l’universo come una grammatica arbitraria, che è per l’appunto il gesto che non possono fare gli ideologi di qualunque collocazione. / Grammatica è un universo ben preciso di cui si tiene discorso in un determinato linguaggio ma non v’è alcun dubbio che esso sia un centro stabile al di fuori dello scorrere dei linguaggi. / Tu cosa dici? / Starei attento: questa veduta è possibile soltanto dopo una chiara scelta politica. Esiste anche un linguaggio capitalistico […] Tu fai un’operazione linguistica, non fai un’operazione sociale e storica. E tu rifiuti il linguaggio capitalistico, non perché è capitalistico, ma in quanto è inabitabile […] il problema è quello del consumo. […] Noi operiamo in una società che ci chiede cose da consumare e subito. Questo è il punto. Io credo che noi non operiamo per quello che si chiama il rapido consumo. […] Noi siamo per un libro un quadro che si mette da parte e si continua a leggere. Questa è la nostra scommessa. L’avanguardia come resistenza: ecco il punto.[20]

La propugnata estraneità dell’opera rispetto alle regole consumistiche dettate dal sistema economico corrisponde, evidentemente, all’aspirazione utopistica delle avanguardie a sottrarsi al processo di mercificazione dell’opera – il momento eroico-patetico dell’avanguardia, per dirla con Sanguineti[21] – da cui deriva la necessità di stabilire uno scarto profondo rispetto alla norma, realizzato a partire dal gesto, del tutto arbitrario, operato dall’artista sul linguaggio.

Di fatti, imponendo le ‘proprie’ regole, una propria ‘grammatica’ al di fuori del sistema convenzionale, l’opera si pone come in un ‘universo’ a sé stante, così come ribadisce Novelli sullo stesso numero della rivista, in quello che è uno dei suoi più noti interventi, ‘Pittura procedente da segni’.[22] L’opera sembra cioè collocarsi in una situazione astorica, al limite antisociale,[23] che tuttavia risulta funzionale alla progettazione di un diverso ‘ordine’ del reale. A questa idea dell’operazione estetica si associa l’immagine, ricorrente nell’editoriale, dei ‘lettori inesistenti’, notoriamente cara a Manganelli, ma utilizzata anche da Novelli,[24] che indica una cerchia di pubblico ben più allargata rispetto a quella esistente al momento in cui l’opera viene licenziata, proiettando la fruizione dell’opera in un futuro auspicato.

Nella dialettica tra le istanze dell’autonomia e quelle dell’eteronomia artistica, di cui la Neoavanguardia si alimenta, l’universo linguistico progettato dall’artista, pur nella sua distanza dalla ‘realtà’, rappresenta dunque il campo della disputa con essa, poiché diventa il campo della contestazione dei significati precostituiti e, con essi, di una data visione delle cose prescritta dalla grammatica del dominio.

L’opposizione al processo di mercificazione dell’arte si gioca infatti, in primo luogo, contro il processo di mercificazione dei linguaggi operato dal sistema neocapitalistico, che già Giuliani denuncia nelle pagine di introduzione ai Novissimi.[25] Quello di Grammatica si pone di conseguenza come un programma di resistenza al consumo dei segni, possibile solo attraverso la riaffermazione dell’autonomia del segno artistico rispetto al linguaggio dominante che incorpora e sostituisce la realtà alienata in un sistema rappresentazionale – spettacolare, dirà Debord – veicolando il sistema ideologico del ‘potere’ in maniera occulta e coinvolgendo tutti linguaggi e i codici in un processo di degradazione.

Come spiega Giuliani, «La poetica del segno, che accomuna le ricerche e i diversi esiti degli scrittori delle neo-avanguardie, è infatti l’elaborazione fatalmente logica di una cultura dei segni oramai dominante, sofisticata e appassionata Nuova Retorica, ipnotica come un gioco di scatole cinesi»,[26] evidentemente finalizzata alla perpetuazione di un determinato sistema economico e sociale. Le cose sono quindi «sempre più scritte […] e appaiono recuperabili solo se scollate dal mondo – da le mur du langage – e trasparite nella loro pellicola verbale»,[27] ovvero, solo se lo iato tra le parole e le cose, e più in generale tra le cose e il segno che le rappresenta, rimane manifesto, a indicare i processi di manipolazione del linguaggio.

Le parole – i segni – andranno di conseguenza spogliate delle accumulazioni e deformazioni semantiche acquisite e situate in uno stadio anteriore rispetto al significato e alle sue stratificazioni, ovvero, sul punto di partenza della significazione da cui sarà poi possibile ripensare il processo stesso della simbolizzazione, denunciando così la consunzione dei significati e, con essi, delle forme tradizionali del fare artistico. Scrive infatti Giuliani che «più i segni sono esili e improbabili e più si situano nell’ingranaggio del sospetto».[28] Meno statizzato sarà il segno con il suo significato, in sostanza, più si potrà riprogettarlo, permettendo così di assecondare quella tensione ineliminabile verso la costruzione di una forma, che è, spiega ancora Giuliani, «un’attitudine che non possiamo rimuovere» e che ci obbliga a «un’inchiesta sommaria e interminabile»[29] sulla realtà.

È esattamente su tale questione che si determina la differenza rispetto alla poetica dell’Informale, diventata sinonimo di un atteggiamento di rinuncia davanti al ‘mare indifferenziato delle cose’, di resa rispetto alle possibilità di approccio al reale e, dunque, di rinuncia a una qualunque progettualità della forma.

In linea con la proposta di Giuliani e contro le derive dell’Informale, la Nuova Figurazione di Perilli e Novelli si basa sul tentativo di rigenerare la facoltà del segno pittorico di approcciarsi al reale e di indagarlo, «di ritrovare la capacità di investire tutta la realtà dell’esistente nella traccia più elementare, nell’impronta più semplice di un segno» riducendo, sulla scorta di Klee e Kandinskij, la realtà naturale «ad un puro valore di segno […] un’immagine calligrafica del reale».[30]

Partendo da premesse analoghe, Novelli insiste nei suoi scritti sulla scelta di utilizzare segni che contengano il minino grado di significazione, organizzati sulla tela secondo una struttura arbitraria che darà origine a una sorta di «linguaggio magico»[31] apportatore di nuovi significati.

In questo senso la riflessione dei due artisti investe i processi rappresentazionali nel loro complesso, prendendo in considerazione sia il segno linguistico che quello pittorico. Per entrambi i problemi pittura sono sempre stati «problemi di linguaggio»,[32] come detto da Manganelli in merito a Perilli, attraverso una riflessione che investe in primo luogo il segno, gli elementi minimi che compongono il sistema ‘linguistico’, ma anche la struttura interna dell’opera artistica, la composizione e il sistema ‘grammaticale’ di relazioni che regola l’articolazione dei segni nello spazio del ‘foglio’, determinando una data interpretazione del reale.

Tra gli anni Cinquanta e Sessanta, Perilli traccia infatti sulle tele dei segni pittorici che alludono a un sistema espressivo primordiale e sembrano mirare alla creazione di un nuovo linguaggio ideogrammatico, componendo figure polimorfe e esili – cellule elementari della figurazione – inserite in riquadri e caselle che vengono poi organizzati in sequenza, suggerendo un verso di lettura allo stesso modo delle stripe dei fumetti[33] e col preciso intento di destrutturare la sequenzialità lineare del fumetto – genere di consumo tra i primi – a favore di un ‘rallentamento’ della lettura e della destabilizzazione della struttura narrativa, così come avviene in certo romanzo sperimentale cui lo stesso Perilli fa riferimento.[34]

Novelli adopera invece la scrittura vera e propria, parole o lettere, ‘smontando’ i sistemi articolatori del linguaggio verbale secondo quella sorta di ‘programma’ da lui inserito nel noto dipinto del ’61 Il re delle parole, dove si legge che occorre «smuovere le parole così sicure di se stesse e ridurle al silenzio». L’artista ricompone le lettere secondo le regole della catalogazione e del gioco combinatorio, tracciando come delle griglie sullo spazio pittorico che decostruiscono i processi di formazione del significato e minano i processi logici che stanno alla base del ‘discorso’, mettendo in crisi la rigida categorizzazione che connota il sistema dominante.[35] Anche Novelli, inoltre, attento alle questioni inerenti alla fruizione, stabilisce sullo spazio dell’opera percorsi di lettura che alludono a una sorta di narratività destrutturata, come si vede ad esempio ne Il vero gioco dell’oca, del 1965, ispirato all’opera ‘anti-narrativa’ di Manganelli, Hilarotragoedia.[36]

Come già notato da Pia Vivarelli, tali strategie di strutturazione dello spazio pittorico, la frantumazione dei segni e il loro montaggio arbitrario, con l’eliminazione dei nessi logico-sintattici, rappresentano, in sostanza, un «equivalente figurativo»[37] dello schizomorfismo adottato dai Novissimi.

In particolare, tali operazioni trovano un immediato corrispettivo nella poetica di Giuliani, che segnala in prima persona la profonda affinità con i due pittori nelle poesie loro dedicate e inserite in cataloghi e volantini delle mostre dei due amici.

In una poesia inclusa nel catalogo della mostra tenuta da Perilli alla Tartaruga nel 1965, Giuliani definisce le figure dell’amico

lenzuola di farfalle, limbi di ninfe graffiti, amori / che volano, vascelli arrembati drogati di larve, emblemi / opachi dell’impaginazione che racconta di scheletrini ermafroditi / soffiati con anima di papavero, di vermi con la tunica, addomi / signiferi di vele, drammi filatelici, smottamenti di miniature / in scroti filanti, astronavi della cenestesia.[38]

L’esegesi di Giuliani mette così in rilievo la fusione tra elementi naturali e artificiali, recuperati dal serbatoio di una memoria quasi ancestrale o primitiva, ma mescidati alle ‘rovine’ di un mondo contemporaneo[39] stabilendo così, come sottolineato più tardi da Manganelli, un punto di raccordo tra il lavoro dello scrittore e quello del pittore proprio sulla base del lavoro condotto ‘sulle’ macerie di una catastrofe già avvenuta, ed anzi nella produzione stessa delle macerie, come distruzione di uno ‘spazio’ «inteso come luogo omogeneo, intellettualmente “repressivo”».[40]

Lo stesso anno, un altro testo poetico di Giuliani accompagna alcune opere di Novelli in esposizione presso la galleria Il Segno di Roma; la poesia, intitolata Le radici dei segni, accolta inizialmente nella brochure della mostra, verrà significativamente inserita da Giuliani in posizione d’apertura all’interno della raccolta Chi l’avrebbe detto, che racchiude la produzione dell’autore fino ai primi anni Settanta, a mo’ di dichiarazione poetica. Lo stesso Giuliani racconta che il testo si costituisce come «un vero dialogo, franco e insieme sotterraneo, con Gastone e con me stesso, sopra un argomento che ci comprendeva più di quanto noi, con tutta la nostra passione e lucidità, potessimo comprenderlo».[41]

Nella poesia si legge:

bisognava inventare questa rappresentazione dei segni che la vita lascia / sugli alberi e sui monumenti, è un meccano di elementi naturali […] smuovere le parole così sicure di sé stesse intersecando linee / da lettere seguendo le vibrazioni verso colori esattamente semplici e / ridurle a S EN XG NiO 123 o tirando le verticali PUPU PUS TU DADA LILLI / POP che ne risulta quale gioco di prova per radici pittografiche.[42]

Non è difficile ritrovare in questa descrizione ecfrastica dell’opera dell’amico il riferimento a quanto sostenuto dall’autore sulla necessità di scollare le parole dal muro del linguaggio, per poi però tirare linee e verticali, ovvero, costruire relazioni tra i segni, organizzati in una struttura che restituisca all’opera la possibilità di un significato.

A. Giuliani, brochure della mostra di Novelli alla galleria Il segno, 1965

Attraverso la ‘formula’, data dalla sequenza delle maiuscole, Giuliani spiega per l'appunto la tecnica compositiva di Novelli, basata sul gioco combinatorio dei significanti e sul riutilizzo dei frammenti, linguistici e figurativi, che vengono recuperati dalla memoria, collettiva e personale insieme, «testimoni fossili della storia»,[43] scrive Novelli.

Si tratta di un lavoro, dunque, che, come quello di Perilli, si compie a partire dalle macerie di una civiltà, attraverso un procedimento mnestico, che, tuttavia, come spiega Luigi Ballerini implica una nozione di memoria intesa «in senso materialistico di sguardo ancipite che nega autonomia alla restaurazione dei fatti (e all’accellerazione dei modi storicamente esauriti del loro proporsi) per coinvolgerne invece i reperti in inedite giunture plerematiche e cenematiche (progettazione di un nuovo non identificabile con il rinnovato)».[44]

G. Manganelli, brochure della mostra di Novelli alla galleria Il segno, 1965

Si dovrà allora notare come il lavoro di Giuliani proceda similmente per montaggi, collage di brandelli di conversazione, frammenti di discorsi ordinari e prelievi dai brusii mediatici, fino al libero gioco dei fonemi e alle invenzioni lessicali – che si rende particolarmente evidente in testi come Invetticoglia o Piperitmo[45] in cui l’autore lascia che «i segni parlino con assoluto empirismo»,[46] che valgano intanto per quello che sono, prima dell’avvento del significato, che sarà invece la struttura schizomorfa a istituire.[47]

Anche Manganelli accompagna le opere dell’amico Novelli con una presentazione, accolta nella stessa brochure della stessa mostra, nella quale, tra le opere esposte compaiono 23 disegni destinati a ‘illustrare’ Hilarotragoedia e datati 1964.[48]

In questo testo Manganelli sembra affidare una sorta di ruolo complementare alla pittura dell’amico rispetto alla sua scrittura; scrive infatti che Hilarotragoedia era come

un bedaeker che intendeva, con ragionevole modestia, additare e in parte chiosare alcune bellezze dell’Ade. Tuttavia mancava qualcosa, e me ne crucciavo: mancavano i colorati, sensuali cartelloni, i lusinghieri segnacoli che rendono tattile e odorabile e masticabile il luogo cui ci invitano. […] Eccoli: i tuoi cartelli sospingono il turista perplesso sulla propria destinazione verso una ragione che veramente più di ogni altra l’attende. È un invito sapiente di rari suoni essenziali, ben custoditi da cauti spazi bianchi.

Così come la scrittura di Manganelli, il tratto di Novelli disegna sul foglio un mondo, un ‘universo’ fatto di segni, in uno spazio totalmente autonomo dal reale.

Rispetto al testo letterario, il disegno, scrive Francesco Bartoli, «dipana il tessuto vischioso della ragnatela manganelliana, la disidrata per così dire»;[49] la sensazione del ‘tutto pieno’ restituita della scrittura ipertrofica di Manganelli si rarefà infatti per via degli ampi spazi bianchi su cui si delineano tratti che paiono disposti a stabilire infinite possibilità semantiche.[50] Per tale ragione, spiega Filippo Milani, Manganelli trova nei disegni dell’amico una sorta di completamento rispetto alla propria opera, poiché «Come nei quadri di Novelli, anche nello spazio letterario di Manganelli il soggetto attraversa la labirintica iper-significanza dell’indistinto, disorientato dall’intrecciarsi caotico di segni ed emblemi che affiorano dall’informe e scompaiono alle soglie della forma».[51]

Gli spazi bianchi rappresentano dunque, in un certo senso, il corrispettivo speculare dell’infinita proliferazione della scrittura manganelliana e si comprende come il rapporto di ‘completamento’ cui allude Manganelli, non rimandi a una funzione ‘illustrativa’ delle immagini-cartelli, bensì a un rapporto di più profonda affinità tra i principi di poetica.

Nel momento in cui disegno e testo letterario vengono messi a confronto, infatti, non si può che verificare come il disegno si costituisca come libera interpretazione dell’inferno manganelliano e mostri piena indipendenza rispetto al testo. L’artista stesso conferma, del resto, proprio in merito a Hilarotragoedia, che il suo «rapporto con certi testi letterari è un rapporto di intervento. Quindi non di rappresentazione di un testo in quanto affine a me, ma di utilizzazione».[52]

Questo tipo di rapporto caratterizza in maggior misura gli altri casi di ‘presunta illustrazione’ effettuata dai due pittori rispetto ai testi degli amici scrittori e stabilisce, non solo un particolare tipo di interrelazione tra le arti, ma anche un modello fruitivo alternativo rispetto alla prassi mediatica della corrispondenza mimetica tra immagine e testo, ‘obbligando’ il fruitore a operare un processo ermeneutico autonomo nell’osservare l’affiancamento incongruo tra immagine e testo; attribuirà cioè egli stesso un senso all’operazione artistica anzi ché affidarsi al messaggio univoco dell’autore, partendo proprio dalla dissonanza tra parole a figura, secondo principi che risalgono alla teoria brechtiana dello straniamento.[53]

A questo proposito valga come esempio anche una poesia di Pagliarani dedicata all’amico Perilli, Come alla luna l’alone, accolta nel primo numero di Grammatica e in seguito in Lezione di fisica, ma già comparsa nel 1960 nel catalogo di una mostra a La tartaruga.[54] Nel testo l’autore porta avanti una riflessione sulla resistenza politica e sulle modalità in cui può esprimersi l’impegno dell’intellettuale, rivolgendosi direttamente all’amico pittore e facendo riferimento agli interrogativi ideologici che li accomunano. Il testo di Pagliarani è seguito dall’indicazione «poesia disegnata, da Achille Perilli»[55] e dalla riproduzione di una serie di litografie, in cui sono riconoscibili le figure che caratterizzano la produzione dell’artista, incasellate in sequenza, quasi a suggerire una sorta di ‘narrazione’. Nello spazio tra una casella e l’altra, Perilli inserisce alcuni versi del testo di Pagliarani come fossero delle didascalie alle immagini, tuttavia, la relazione con il contenuto del testo è del tutto straniante, giacché le figure di Perilli non presentano alcun carattere didascalico-illustrativo rispetto alla poesia ed anzi proiettano il testo in un percorso di senso ulteriore e distinto.

E. Pagliarani, A. Perilli, Come alla luna l’alone, particolare, Grammatica 1964

Le immagini di Perilli si comportano in sostanza come una risposta – cui chiama la stessa poesia di Pagliarani, nella forma della lettera in versi – data dall’artista all’amico scrittore, la risposta di un’altra ‘voce’, ovvero di un’arte diversa, che si esprime con i propri mezzi specifici e che si pone in senso dialettico rispetto alla poesia.

Tale meccanismo diventa particolarmente evidente in un’altra opera ‘di dialogo’ apparsa nel 1967 sul secondo numero di Grammatica, l’illustrazione effettuata da Novelli della poesia per il teatro L’acqua alle piante di Giuliani, dialogo a due voci costruito con una tecnica collagistica che annulla il senso logico delle battute e in cui non è presente alcuno sviluppo narrativo. Novelli interpreta in questo caso il testo trasponendolo non solo in un altro codice, quello visivo, ma anche in un altro genere, quello del fumetto; all’interno di stripe ordinate in sequenza, presenta due figure antropomorfe, dei personaggi che compiono azioni diverse da quelle previste nelle didascalie di Giuliani – del resto assenti nella versione del testo pubblicata in Grammatica – costruendo una ‘storia’ alternativa pur rispettando le battute del testo, inserite nei tradizionali ‘ballon’.

Riprendendo, allo stesso modo di Perilli, l’impostazione sequenziale delle stripe, Novelli crea quindi un effetto dissonante rispetto al testo, ma anche rispetto al fumetto, considerato nei suoi elementi caratteristici, sabotandone la norma relativa alla corrispondenza didascalica tra testo e immagine, ovvero utilizzando sistemi comunicativi e elementi figurativi della cultura pop, rovesciati nei principi che li sorreggono.

A. Giuliani, G. Novelli, L’acqua alle piante, particolare, Grammatica 1967

Ripercorrendo le ‘tracce’ del connubio tra letteratura e pittura lasciate sulle pagine di Grammatica, si potrebbe dunque concludere che, se l’obiettivo con cui nasce la rivista è quello di promuovere opere che resistano al ‘rapido consumo’, tale obiettivo sembra via via perseguibile grazie a una rinnovata modalità di interazione tra codici, secondo quell’autonomia reciproca che si è cercato di definire, nata anni prima con la volontà di superare la crisi dei sistemi rappresentazionali emersa con l’Informale e arrivata a ‘scontrarsi’ con la loro successiva corruzione per effetto di quel ‘mercato della carne’ cui l’operazione estetica appare fatalmente piegata nella contemporaneità.

 


1 La questione emerge già con l’uscita di Laborintus (E. Sanguineti, Laborintus [1956], con commento di E. Risso, Lecce, Manni, 2006), rilevata in primo luogo da alcuni critici d’arte come Cesare Vivaldi e Roberto Sanesi.

2 Cfr. E. Sanguineti, ‘Poesia informale?’, in A. Giuliani (a cura di), I Novissimi. Poesie per gli anni Sessanta [1961], Torino, Einaudi, 2003, p. 204.

3 Cfr. almeno A. Cortellessa, Le buone macchie di melma. Sanguineti dall’Informale alla Nuova Figurazione –e oltre, in M. Berisso, E. Risso (a cura di), Per Edoardo Sanguineti: lavori in corso, Firenze, Franco Cesati, 2012, pp. 329-347; F. Fastelli, Dalla Prefigurazione alla Nuova Figurazione (1951-1963): Sanguineti, i Novissimi, le arti visive, in T. Spignoli (a cura di) Verba picta. Interrelazione tra testo e immagine nel patrimonio artistico e letterario della seconda metà del Novecento, Pisa, ETS, 2017, pp. 211-234.

4 Cfr. A. Cortellessa, Le buone macchie di melma, p. 337.

5 A tal proposito si può ricordare che la copertina della prima antologia del Gruppo viene disegnata da Novelli e che il primo spettacolo teatrale del Gruppo, avvenuto in occasione del primo convegno, vede le scenografie e gli effetti visivi di Perilli. Cfr. A. Giuliani, Il teatro d’azione di Ken Dewey, in N. Balestrini, A. Giuliani, Gruppo 63. La nuova letteratura, Milano, Feltrinelli, 1964, pp. 426-431.

6 Sul primo numero della rivista compaiono l’intervento-manifesto di Perilli, ‘Per una Nuova Figurazione’, e, ad ogni fascicolo, una rubrica intitolata ‘Documenti per una Nuova Figurazione’, in cui sono presenti contributi di vari autori. Cesare Vivaldi – anche lui in seguito partecipe dei lavori del Gruppo 63 –, sancisce sulle pagine del terzo fascicolo l’esistenza di una nuova ‘scuola romana’ inscritta sotto il segno della Nuova Figurazione, che comprende i nomi di Perilli, Novelli, Cy Twombly, Toti Scialoja e di altri artisti gravitanti attorno alla galleria La Tartaruga di Roma. Cfr. C. Vivaldi, ‘Nuova Figurazione nella giovane arte italiana’, L’esperienza moderna, I, n. 3-4, 1957, pp. 20-24.

7 C. Vivaldi, ‘Ancora della Nuova Figurazione’, L’esperienza moderna, II, n. 5, 1959, pp. 17-18. I contorni della nuova tendenza si precisano nel 1960, con la mostra intitolata Crack, cui partecipano Perilli, Novelli e Vivaldi, accompagnata da una sorta di manifesto dell’anti-Informale, che ne sancisce il definitivo superamento. Cfr. G. Marotta, F. Mauri, C. Vivaldi (a cura di), Crack. Documenti d’arte moderna., Milano, I. Krachmalnicoff, 1960, e A. Tiddia, ‘Gastone Novelli: un’arte nomade’, in P. Bonani, M. Rinaldi, A. Tiddia (a cura di), Gastone Novelli. Catalogo generale. Pittura e scultura, Milano, Silvana, 2011, p. 30.

8 F. Fastelli, ‘Dalla Prefigurazione alla Nuova Figurazione (1951-1963): Sanguineti, i Novissimi, le arti visive’, pp. 216-217.

9 In sintonia con la sperimentazione portata avanti nello stesso periodo in ambito musicale dalla musica postweberniana, l’operazione seguirà in sostanza i ‘dettami’ espressi da Umberto Eco in Opera aperta (U. Eco, Opera aperta [1962], Milano, Bompiani, 2016) trovando in ambito teatrale il terreno congeniale di realizzazione. In questo senso si devono ricordare le sperimentazioni teatrali, in particolare, di Perilli, ma anche di Novelli e degli autori del Gruppo 63 nel corso degli anni Sessanta e Settanta.

10 Cfr. A. Perilli, ‘Il mio sodalizio con i poeti’, in G. Appella (a cura di), Forma 1 e il libro d’arte 1947-1994, Roma, Edizioni della cometa, 1994, p. 101. Una tappa importante del sodalizio artistico tra i due pittori e gli scrittori è poi rappresentata, ad esempio, dalla realizzazione da parte di Novelli dei bozzetti di scena per l’opera teatrale di Giuliani e Pagliarani Pelle d’asino comparsi sul Verri nel ’61, opera in seguito rappresentata con elementi scenici dello stesso Novelli (cfr. A. Giuliani, E. Pagliarani, ‘Pelle d’asino’, Il Verri, n. 11, novembre 1963, in E. Pagliarani, Tutto il teatro, a cura di G. Rizzo, Venezia, Marsilio, 2013, pp. 85-100). L’incontro tra Novelli e Manganelli, foriero di una profonda amicizia, avviene invece nel 1962 (cfr. F. Milani, ‘Giorgio Manganelli: grammatica dell’informale’, Poetiche, I, 2016, p. 258). Si dovranno anche ricordare l’amicizia, molto stretta, gli scambi e le collaborazioni tra Perilli e Balestrini.

11 A. Perilli, ‘Il mio sodalizio con i poeti’, p. 101.

12 Vi compaiono infatti approfondimenti sulla Nuova musica e alcune poesie di Angelo Maria Ripellino, amico e collaboratore di Perilli sin dai tempi della rivista Forma 1, fondata dall’artista nel 1947.

13 Cfr. A. Perilli, ‘Il mio sodalizio con i poeti’, p. 101.

14 Si tratta delle poesie Oggetti e argomenti per una disperazione di Pagliarani e Altrimenti non si spiega di Giuliani precedentemente pubblicate sul n. 4, 1962 del Verri, ora rispettivamente in E. Pagliarani, Tutte le poesie, a cura di A. Cortellessa, Milano, Garzanti, 2006 e A. Giuliani, Chi l’avrebbe detto, Torino, Einaudi, 1973.

15 Casa editrice nata in continuità con l’eponima rivista. Alla pubblicazione del volumetto seguono una mostra e un dibattito tra i 4 autori e Manganelli, svoltosi il 28 gennaio alla Libreria Einaudi di Roma. Cfr. P. Vivarelli (a cura di), Gastone Novelli, 1925-1968, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 10 giugno-25 settembre 1988, Mondadori, Milano 1988, p. 143.

16A. Perilli, ‘Il mio sodalizio con i poeti’, p. 101.

17 Il secondo e il quarto numero della rivista sono specificamente dedicati al teatro: il n. 2 del 1967 accoglie alcune delle prove teatrali più significative del Gruppo 63; il n. 4 del 1972 è dedicato a Kombinat Joey, opera teatrale collettiva ideata da Perilli. L’ultimo numero di Grammatica, nel ’76, raccoglie gli scritti di Gastone Novelli dopo la sua morte.

18 N. Balestrini, A. Giuliani, G. Manganelli, E. Pagliarani, A. Perilli, G. Novelli, ‘La carne è l’uomo che non crede al rapido consumo’, Grammatica, I, n.1, 1964, p. 1; il testo è ora accolto, in parte, in N. Balestrini, A. Giuliani (a cura di), Gruppo 63. L’antologia, Milano, Bompiani, 2013, con il titolo ‘La carne è l’uomo che non crede al rapido consumo. Dialogo d’epoca’.

19 Cfr. A. Giuliani, ‘Introduzione’, in I Novissimi.

20 N. Balestrini, A. Giuliani, G. Manganelli, E. Pagliarani, A. Perilli, G. Novelli, ‘La carne è l’uomo che non crede al rapido consumo’, pp. 6-7.

21 Cfr. E. Sanguineti, Ideologia e linguaggio, a cura di E. Risso, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 56.

22 G. Novelli, ‘Pittura procedente da segni’, Grammatica, n. 5, 1976, pp. 34-35.

23 Cfr. ‘La carne è l’uomo che non crede al rapido consumo’, p. 5.

24 G. Novelli, ‘La parola avanguardia’, Grammatica, IV, n. 5, 1976, p. 89; cfr. G. Novelli, ‘Il linguaggio e la sua funzione’, Ivi, p. 45. Tutti gli scritti di Novelli sono stati recentemente ripubblicati in G. Novelli, Scritti 1943-1968, a cura di P. Bonani, Roma, Nero Editions, 2019.

25 A. Giuliani, ‘Prefazione 1965’, in I Novissimi, p. 4.

26 A. Giuliani, ‘L’avventura dentro ai segni’, in Id. le droghe di Marsiglia, Milano, Adelphi, 1977, p. 21.

27 Ivi, p. 21.

28 Ivi, p. 20.

29 Ivi, p. 21.

30 A. Perilli, ‘Nuova Figurazione per la pittura’, L’esperienza moderna, I, n. 1, 1957, pp. 19-21.

31 G. Novelli, ‘Il linguaggio e la sua funzione’, p. 45.

32 G. Manganelli, ‘La logica assurda’, Achille Perilli. Continuum 1947-1982, Milano, Electa, 1982, p. 14.

33 Cfr. P. Vivarelli, ‘La metodologia dell’irrazionale di Achille Perilli’, in P. Vivarelli (a cura di), Achille Perilli. Opere dal 1947 a oggi, Milano, Mondadori, 1988, p. 12.

34 A. Perilli, ‘Le ragioni narrative della pittura’, Il Verri, n. 10, ottobre 1963, pp. 137-140.

35 Cfr. F. Milani, ‘Giorgio Manganelli: grammatica dell’informale’, p. 252.

36 G. Manganelli, Hilarotragoedia [1964], Milano, Adelphi, 2011.

37 P. Vivarelli, ‘Gli universi linguistici di Gastone Novelli’, in P. Vivarelli (a cura di), Gastone Novelli, 1925-1968, p. 24.

38 A. Giuliani, Ball-paradox, in Id. Chi ‘avrebbe detto, pp. 120-121.

39 Cfr. A. Perilli, ‘Documenti per una Nuova Figurazione’, L’esperienza moderna, I, n. 1, 1957, p. 30.

40 G. Manganelli, ‘La logica assurda’, p. 14.

41 A. Giuliani, ‘Scrivere la pittura disegnare il linguaggio’, in P. Vivarelli (a cura di), Gastone Novelli, p. 21.

42 Il testo viene scritto inizialmente per una mostra alla galleria Arco d’Alibert, cfr. Ivi, p. 21.

43 G. Novelli, ‘Pittura procedente da segni’, p. 34.

44 L. Ballerini, ‘Verificare per ex: l’ermetica scrittura di Gastone Novelli, in Z. Birolli (a cura di), Gastone Novelli, Milano, Feltrinelli, 1976, p. 33.

45 Cfr. A. Giuliani, Chi l’avrebbe detto, pp. 125-126.

46 A. Giuliani, ‘L’avventura dentro i segni’, p. 23.

47 A. Giuliani, ‘Prefazione 2003’, in I Novissimi, p. VIII.

48 G. Novelli, Histoire de l'oeil; Hilarotragoedia; Il viaggio in Grecia; Quaderno di intenzioni, Milano, Baldini & Castoldi, 1999; i disegni sono inoltre contenuti in A. De Pirro, ‘Giorgio Manganelli e Gastone Novelli. Parole alle immagini e immagini alle parole’, Nuova tèchne, n. 4, dicembre 2012, consultabile online all’indirizzo <http://www.nuovatechne.it/NoveMangaHilaro.html>[accessed 1 August 2019] ; si vedano poi anche P. Gervasi, ‘Il disegno della scrittura: i libri di Gastone Novelli’, Arabeschi, n. 1, gennaio-giugno 2013, all’indirizzo <http://www.arabeschi.it/il-disegno-della-scrittura-gastone-novelli/> [accessed 1 August 2019] e M. Bricchi, Manganelli e la menzogna. Notizie su Hilarotragoedia con testi inediti, Novara, Interlinea, 2002, pp. 85-87.

49 F. Bartoli, ‘Il vuoto e lo sguardo’, in Z. Birolli (a cura di), Gastone Novelli, p. 43.

50 Cfr. F. Milani, ‘Giorgio Manganelli: grammatica dell’informale’, p. 262.

51 Ivi, p. 269.

52 G. Novelli, ‘Novelli intervistato da Enrico Crispolti’, Grammatica, IV, n. 5, 1976, p. 37.

53 Si rimanda a F. Curi, La poesia italiana d’avanguardia. Modi e tecniche, Napoli, Liguori, 2001, p. 63, sulla ‘funzione Brecht’ nei testi della Neoavanguardia.

54 E. Pagliarani, ‘Come alla luna l’alone’, Grammatica, I, n. 1, 1964, pp. 19-20, ora in Id. Tutte le poesie, pp. 184-188.

55 Grammatica, I, n. 1, 1964, p. 21.