Valori d’uso di Sade: erotismo, primitivismo e utopia rivoluzionaria tra Man Ray, William Seabrook e i surrealisti nel 1930

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Nel 1930 Man Ray e Lee Miller collaborarono con lo scrittore William Seabrook e la compagna Marjorie Worthington a una serie di ritratti fotografici o tableaux vivants incentrati su fantasie di sadomasochismo. Queste serie ci guidano in visualizzazioni in cui il perimetro morale dell’umano sembrava collassare. Il corpus è anche espressione di fantasie razziali di primitivismo e négrophilie (un’appropriazione simbolica della cultura nera come mezzo di rinvigorimento spirituale) dilagante nella Parigi degli anni Venti. L’assunzione di fantasie primitiviste e di perversione sessuale collaborarono a denigrare la cultura borghese, razionalista e moralizzata, e sopprimere «la dualità […] tra corpo e anima, materia e spirito», come scrisse Michel Leiris. L’esplorazione di forme di sessualità ‘perversa’ ha intersecato l’investitura politica del marchese de Sade, celebrato dai surrealisti nelle loro diatribe anticapitaliste. Bataille fece di Sade il paradigma dell’eterologia, in un discorso di violenta critica culturale che vagheggiava il potere emancipatorio e ‘sacro’ dell’impulso negativo sadiano. Il Divino Marchese, visto ora come modello di libertà individuale e sessualità perversa, ora come totem ideologico, è il perno intorno a cui le pratiche artistiche di Man Ray, le esperienze personali di Seabrook e le elaborazioni teoriche di Paul Eluard e Bataille hanno ruotato o sono state discusse nel 1930.

In 1930 Man Ray and Lee Miller cooperated with writers William Seabrook and Marjorie Worthington on a series of photographic portraits or tableaux vivants focusing on fantasies of sadomasochism. These series guide us in visualizations where the moral perimeter of the human seemed to collapse. The corpus is also an expression of racial fantasies of primitivism and negrophilia (a symbolic appropriation of black culture as a means of spiritual invigoration) rampant in 1920s Paris. The assumption of primitive fantasies and sexual perversion collaborated in denigrating bourgeois, rationalist and moralized culture, and in suppressing the «duality [...] between body and soul, matter and spirit», as Michel Leiris put it. The exploration of forms of ‘perverse’ sexuality intersected the political investiture of the Marquis de Sade, celebrated by surrealists in their anti-capitalist tirades. In particular, Bataille made Sade the paradigm of heterology, a discourse of violent cultural criticism that foresaw the emancipatory and ‘sacred’ power of the sadistic impulse. The Divine Marquis, seen either as a paragon of individual freedom and perverse sexuality, or as an ideological totem, was the pivot around which Man Ray’s artistic practices, Seabrook’s personal experiences, and the theoretical elaborations of Paul Eluard’s and Bataille’s revolved or were discussed in 1930.

 

 

Durante alcune visite a Parigi nel 1929 e nel 1930, insieme alla compagna Marjorie Worthington, lasciando la residenza abituale a Tolone o fermandosi da e per New York, lo scrittore William Seabrook coinvolse Man Ray e Lee Miller nella produzione di tre serie di fotografie incentrate su fantasie sadomasochiste e feticismo. Seabrook era allora noto per i racconti dei suoi viaggi in Medio Oriente (Adventures in Arabia,1927) e Haiti (The Magic Island, 1929), che servivano a lettori avidi di evasioni esotiche un menù ricco di rituali esoterici o ancestrali e dettagli etnografici su società feudali o tribali. Le fotografie vennero conosciute solo dopo essere state acquisite dal Musée National d’Art Moderne di Parigi nel 1994. Man Ray non le pubblicò durante la sua vita, e rimasero la documentazione di fantasie private. Antony Penrose, il figlio di Lee Miller, tende a liquidarle come un lavoro su committenza di Seabrook, che andò subito nella collezione privata dello scrittore, e non veramente ascrivibile al catalogo di Man Ray.[1]

Man Ray, tuttavia, fu più che un iconografo per Seabrook. La partecipazione di Worthington e Miller al lavoro collettivo suggerisce una consonanza personale tra le due coppie americane. Nello stesso periodo, Man Ray stava esplorando, anche insieme a Lee Miller – attraverso fotografie private o pubblicate nelle riviste – forme di sessualità alternative (‘perverse’) al sesso biologico normativamente eterosessuale. Queste includono gesti di amore lesbico, fantasie sadiche, allusioni blasfeme alla sessualità anale (Monument à D.A.F de Sade, 1933), fino a una serie esplicitamente pornografica per la raccolta di poesie 1929, di Benjamin Péret e Louis Aragon. L’espressione di sé attraverso ogni forma di perversione erotica (inclusi feticismo, sadomasochismo, ‘bestialità’, ‘l’erotomania’ del marchese de Sade) furono al centro delle sedute di autocoscienza dei surrealisti (soprattutto maschi) tenute tra 1928 e 1932, ad alcune delle quali partecipò lo stesso Man Ray.[2] Inoltre, se le fotografie fatte per Seabrook visualizzano soprattutto gli interessi sadomasochistici dello scrittore, esse si riconnettono a motivi di bondage e sottomissione autonomamente sviluppati da Man Ray nel proprio lavoro. D’altro canto, l’iconografia esplicitamente o più cripticamente sadica nell’opera di Man Ray di questo periodo, anche specificamente nel rapporto con Lee Miller, è stata oggetto di analisi alla luce di episodi di impulsi sadici emergenti negli scritti autobiografici del fotografo.[3]

L’apertura di interesse per le perversioni dall’eros normativo, condotta a più ampio spettro dai surrealisti, contrastava i discorsi dell’intellighenzia conservatrice e delle istruzioni pubbliche che tendevano a politiche di sostengo alla famiglia tradizionale e alla natalità, e che vedevano con ansia la svirilizzazione del maschio francese e la mascolinizzazione della donna (la garçonne). Tale interesse va anche visto alla luce della coeva celebrazione della figura intellettuale del marchese Donatien-Alphonse-François de Sade. Ritengo che proprio l’ammirazione filosofica di Man Ray per Sade sia la chiave d’accesso alla collaborazione con Seabrook, nella quale Man Ray probabilmente vedeva la possibilità di un’espressione estetica moderna dell’etica sadiana. Seabrook nei suoi scritti non ha esplicitato un interesse rilevante per il libertino, e si limitò a diagnosticare il sadismo come tratto della propria psicologia erotica. Ma nel contesto surrealista, Sade come emblema di affermazione di sé nel godimento sessuale e il Sade come paradigma politico, antiborghese e anticristiano, erano spesso confusi.

Sade era anche riscoperto dalla critica culturale surrealista in una chiave evidentemente politica, come dimostrano gli scritti di Paul Eluard, uno dei surrealisti più vicini a Man Ray, e di Georges Bataille, sécretaire général della rivista Documents. L’opera di Seabrook entrò nel 1929-30 nel radar di Documents attraverso Michel Leiris, l’allora segretario di redazione, che interpretò il lavoro etnografico di Seabrook come un alleato nella violenta critica antiborghese che la rivista stava conducendo contro il moralismo della civilisation occidentale. Seabrook diventò per un breve periodo una piccola celebrità tra i surrealisti, che ne rimasero affascinanti «perché Willie calzava così bene nella loro visione stranamente distorta della vita», come ricordò Worthington nella sua autobiografia.[4]

Le fotografie elaborate da Man Ray con o per Seabrook lascerebbero inferire l’animalizzazione o ‘schiavizzazione’ di una partner (le partecipanti sono sempre donne) simbolicamente declassata allo status di animale col collare, o prigioniera, oppure di oggetto feticistico (attraverso costrizioni fisiche che inducono sensazioni extracorporee, o la cancellazione dell’individualità tramite l’uso di maschere). Le fantasie di Seabrook erano inflesse dai copioni di genere tipici del suo milieu e della sua generazione. Tuttavia esse risultavano in azioni performative nel gioco di ruoli che costituisce l’intersoggettività sadomasochistica; non implicavano una stabile animalizzatone o reificazione ontologica. Lo scrittore viveva tali performance come forme di ‘illuminazione’ umana (propria e della sue partner consensuali) e di liberazione dalla mentalità borghese. Infatti Seabrook visse le esperienze di eccitazione psichica ed erotica elicitate dalle pratiche sadomasochistiche come progetti di trascendenza e di accesso a forme di Sacro.

Nel complesso, considero il suddetto corpus di immagini, insieme al coevo endorsement intellettuale di Sade – quindi il sadomasochismo visualizzato, e il sadismo celebrato ideologicamente – un territorio discorsivo in cui il perimetro morale e ontologico dell’umano sembra crollare. Le immagini e il discorso ideologico sono stati elaborati e ricevuti all’interno di un ambiente di intellettuali o artisti bianchi, bohémien diventati cosmopoliti, impegnati in relazioni sentimentali aperte, le cui esplorazioni nell’erotismo personale erano parzialmente inflesse dai discorsi colonialisti dell’orientalismo, del primitivismo e della négrophilie, dilaganti a New York e Parigi degli anni ’20, spesso colorati da pregiudizi razziali allora inconsapevoli. Tali discorsi concettualizzavano il mondo arabo o l’africanità come l’antitesi del razionalismo moderno, un territorio simbolico dal quale saccheggiare motivi iconografici o pratiche rituali attraverso cui nutrire idee semplicistiche di rinvigorimento umano e spirituale e di reversione dalla civiltà occidentale considerata inaridita dalla logica di profitto capitalista e dal perbenismo borghese.[5]

Non sfuggirà, tuttavia, che nonostante le intenzioni progressiste, le vicende che mi accingo a descrivere contengono coloriture misogine e razziste, in ultima analisi destinate ad un sogno di sovranità maschile e bianca, di borghesi che fustigavano la loro stessa borghesia. Nella loro appropriazione di rituali ancestrali, nella fantasia di immedesimazione nella logica simbolica dei non bianchi, nella categorizzazione dei non bianchi come paradigmi di umanità istintiva e primordiale, portatrice di un «sangue più forte», come scrisse Leiris,[6] in cui affondare le radici rinsecchite dell’Occidente, essi perpetravano una forma di immiserimento simbolico degli altri, ai fini di un progetto di autoaffermazione personale intensamente solipsistico, oppure di un progetto tanto utopico quanto ideologicamente violento. Scavando nell’ambiente intellettuale che ha aggregato Man Ray, Seabrook e i surrealisti di Documents, spero di districare questo insieme di investimenti simbolici ‘disumani’, pratiche e trasgressioni di tabù, che in ultima analisi assecondavano fantasmi psichici personali, oppure nutrivano discutibili apologie della violenza e della sauvagerie.

 

1. Primitivismo, negrofilia, animalità antiborghese

Nel libro d’esordio, Adventures in Arabia (1927) Seabrook aveva riferito aneddoti personali, informazioni storiche e descrizioni etnografiche tratte dai suoi soggiorni nel 1925 presso varie tribù, dal Libano al Kurdistan iracheno, tra cui – per ciò che ci riguarda qui – un capitolo sulle iniziazioni mistiche di una setta di Dervisci Rifa’i in Siria tramite pratiche di autolesionismo o estenuanti trazioni dei corpi tenuti sospesi da terra dai polsi. Nel 1929 The Magic Island (pubblicato a New York a gennaio), nel quale Seabrook descrisse la partecipazione a rituali voodoo estatici e sanguinosi ad Haiti, e riferì leggende di zombie e sacrifici umani, catapultò lo scrittore alla fama. A partire dal settembre 1929, egli era a Parigi, pronto a intraprendere un viaggio attraverso l’Africa Occidentale Francese, dalla Costa d’Avorio a Timbuctu, sulla traccia delle radici storiche del voduismo, determinato a socializzare con comunità tribali, e persino a commettere antropofagia (il racconto è Jungle Ways, pubblicato nell’aprile 1931). I libri di Seabrook si distinguevano da molta narrativa esotista coeva perché egli, spinto da imparziale curiosità intellettuale, era ritenuto in grado di spogliarsi del suo ruolo di outsider bianco e adottare le abitudini dei suoi ospiti. Pertanto, lo scrittore riferì di essere stato accolto come un uomo bianco diventato nativo tra i Beduini, o haitiano, o come Mogo-Dieman (‘L’uomo-nero-che-ha-una-faccia bianca’) in Africa. Allo stesso tempo, mentre arricchiva il suo bagaglio di conoscenze etnografiche su rituali e norme sociali ritenuti primitivi o alieni alle proprie convinzioni personali (inclusa la poligamia maschile, la schiavitù, la subordinazione delle donne nei paesi arabi, o – al contrario – la loro libertà sessuale presso i Dogon), Seabrook ampliò il suo relativismo culturale, e contemporaneamente trasse spunti per i propri impulsi sado-feticistici. Sinceramente desideroso di immedesimarsi nell’ordine simbolico dell’altro non bianco, ma pur sempre avvalendosi di un distacco illuminista di esploratore in territori coloniali, i soggiorni in terre esotiche restarono, in ultima analisi, per Seabrook viaggi regressivi in tempi pre-moderni ma anche nella propria psiche, configurandosi come territori di colonizzazione mentale per le proprie gratificazioni erotiche. A Parigi o a New York, le serie fotografiche e i ‘gioielli’ commissionati a Man Ray – discussi nelle prossime pagine – divennero occasioni per visualizzare tali sue fantasie, in collaborazione con partner più o meno consenzienti.

Man Ray notò che la stessa curiosità che aveva spinto Seabrook nell’altro geografico e temporale dei Drusi e dei Dervisci in Siria, o dei Gueré e Habbe in Africa, portava lo scrittore ad esplorare la propria ossessione per i rapporti sadomasochistici con le donne. Seabrook fece poco per nasconderlo. Una notte, verosimilmente nel 1929, chiese a Man Ray e Lee Miller di vegliare su una lavoratrice sessuale che lo scrittore teneva incatenata come un cane alla ringhiera del suo appartamento in un hotel di Montparnasse, mentre lui e Worthington cenavano fuori.[7] Worthington riferì che dopo essere tornati a Parigi da un’altra ‘missione etnografica’ a Timbuctu nel febbraio 1932 (in preparazione del libro The White Monk of Timbuctoo, uscito nel 1934) lo scrittore organizzò una festa nella loro suite d’albergo, dove mostrò ai propri incuranti ospiti – selezionati tra i membri del museo del Trocadero, tra cui Michel Leiris – una prostituta di Montparnasse incatenata dai polsi al balcone sopra (come i Dervisci), nuda dalla vita in su ma indossante una gonna di pelle che Seabrook aveva portato dall’Africa.[8]

Anche se nella propria autobiografia Man Ray professò una certa distanza dalla perversione di Seabrook, motivi di controllo sadomasochistico sui corpi femminili, o su sostituti feticistici, costellano la sua opera, trovando un iconico esempio nella celebre Venus Restaurée (1936), calco in gesso di una Venere classica mutila e serrata da un bondage. Seabrook trovò quindi in Man Ray un artista simpatetico e prima di imbarcarsi per la Costa d’Avorio alla fine del 1929 gli commissionò un alto collare d’argento per Marjorie Worthington, che seguiva la linea del collo fino al mento costringendola a tenere la testa alta e ostacolando il suo movimento. Scrivendo da Timbuctu il 1° gennaio 1930, Seabrook assicurò a Man Ray che il colletto «ha fatto furore [in italiano nel testo originale] a N.Y. Faremo altra roba [stuff] la prossima estate».[9] Worthington indossava l’ornamento costrittivo, a casa e in alcune occasioni sociali, per dedizione a Seabrook che «aveva un certo piacere nel guardarla a tavola mangiare e bere con difficoltà».[10] Nel dicembre 1941, Man Ray scrisse a Worthington:

 

Alcuni conoscenti l’altro giorno hanno riportato una leggenda su di me che mi ero precipitato a Tolone dopo un telegramma di Willie per filmare le sue azioni in un castello abbandonato [Seabrook aveva acquistato il castello d’Evenos mezzo diroccato, n.d.a.] con tutte le deduzioni che ne derivavano, e potei solo rispondere che avrei voluto che fosse vero! Anche la storia: che ho progettato alcuni gioielli speciali per te, è conosciuta [...]. Una donna continua a mostrarmi la sua collezione orientale, chiedendo suggerimenti per trasformarla. Forse potrei fare qualcosa se ti avessi [...] per ispirarmi.[11]

 

Il tono complice e un po’ flirtante suggerisce che Man Ray progettò il collare con una certa simpatia per Worthington e affinità con le azioni di Seabrook. Non è documentata la reazione di Worthington al dubbio umorismo di Man Ray, anche se sappiamo che lei acconsentì a indossare l’ornamento più per compiacere il compagno che per una propria gratificazione (nell’autobiografia, Worthington ha dichiarato di non avere empatia per «tutta la faccenda di catene e maschere di cuoio, e il resto delle fantasie che erano così importanti per lui»).[12]

In effetti, Man Ray fece altre ‘cose’, anche se rimane incerto se fornì ulteriori oggetti al collare (Seabrook menzionò un braccialetto che Worthington indossava nel 1934, quando quest’ultima gli fece visita nell’ospedale psichiatrico dove lo scrittore stava curando il suo alcolismo).[13] Solo un collare è documentato nei sette ritratti che Man Ray ha eseguito di Worthington, ora al Centre Pompidou. Le placche verticali dell’ornamento si armonizzano con la sua figura snella e l’aspetto primitivistico e corazzato si scontra con l’abbigliamento morbido e la sobria femminilità di Worthington.

Man Ray, Marjorie Muir Worthington, 1930 ca, negativo alla gelatina d’argento su vetro (immagine ottenuta per inversione tonale), cm 9 x 6, Musée National d’Art Moderne, Parigi. © Man Ray Trust / AdagpMan Ray, Lee Miller, William Seabrook, ca 1929-32, negativo alla gelatina d’argento su supporto flessibile nitrato (immagine ottenuta per inversione tonale), 9 x 6 cm, Musée National d’Art Moderne, Parigi. © Man Ray Trust / Adagp

Nello stesso periodo, Lee Miller e Seabrook mimarono atteggiamenti sadomasochistici per un’altra serie fotografica di Man Ray. In tre immagini, Miller siede dietro una scrivania e un massiccio collare in metallo lucido (progettato da Man Ray?) appare come un insolito complemento alla camicetta poco appariscente. In altri tre scatti, Seabrook tiene con ammirazione una ciocca dei capelli di Miller o l’afferra per il collare. In questo ensemble esteticamente più studiato, Man Ray impostò le luci per creare doppie ombre o un effetto di retroilluminazione, che si irradia da dietro la testa di Miller, come per accentuare il suo magnetismo feticistico. Ex modella professionista e fotografa in prima persona, Miller era consapevole del potere dell’esaltazione visiva del suo corpo. Ebbe una relazione non monogama con Man Ray, sostenendo il principio del libero amore, rivelando così l’ipocrisia di tale dottrina bohemien, soprattutto costruita dal punto di vista maschile (con grande disappunto del geloso Man Ray).[14] Accanto a Seabrook, Miller non si è polarizzata nel cliché della preda, e in una foto guarda direttamente nell’obiettivo, mostrando i denti in un sorriso simile a un ringhio, che suggerisce la sua determinazione a concedersi all’interazione, in un gioco di ruoli possibilmente ribaltabili, piuttosto che limitarsi al ruolo di partner sottomessa. 

Man Ray, Lee Miller au collier, 1930 ca, stampa su carta alla gelatina d’argento, 8,5 x 5,5 cm, Musée National d’Art Moderne, Paris. © Man Ray Trust / Adagp; credit photographique © Georges Meguerditchian – Centre Pompidou

Nella primavera del 1930, molto probabilmente, mentre stava scrivendo Jungle Ways, Seabrook chiese a Man Ray di fissare su lastre fotografiche le proprie fantasie sadomasochiste (la serie reca il titolo esplicativo Les fantaisies de M. Seabrook). All’interno di un appartamento arredato, la stessa giovane donna appare soggetta a varie forme di tortura; le sue braccia sono tirate da un cavo dietro la schiena, e issate al punto che la persona è costretta a chinarsi e stare in punta di piedi. In altre immagini, la donna giace sul pavimento; le caviglie, le cosce, la vita, i polsi sono avvinti da cinghie di pelle attaccate a un collare con grandi borchie metalliche. Due dominatrici la affliggono. Una è a petto nudo ma indossa indumenti in pelle nera: maschera per gli occhi, bandana, gonna, guanti alti ai bicipiti e stivali al ginocchio, e colpisce la ‘prigioniera’ con una canna; in una diversa foto, la dominatrice tira i capelli dell’altra e le inserisce la mano guantata nella bocca; in un terzo scatto, le stringe il capezzolo con una pinza. Nelle vedute più ampie del set, la prigioniera è sul pavimento: le gambe e le braccia aperte da corde; la prima dominatrice tormenta un capezzolo, mentre un’altra, che indossa un abito da pirata o zingara, stimola con un cacciavite la vulva o il seno. Man Ray ha usato effetti di luce drammatici (una lampada sul pavimento proietta ombre imponenti delle modelle sulle pareti), e questa serie manca dell’atmosfera neutra di altre fotografie in studio. La prospettiva, guardando in basso sulla vittima, come in un angolo soggettivo che imita lo sguardo dominante, mostra un teatro d’azione disordinato che spiega la dinamica performativa della sessione, che si è avvalsa di accessori appartenenti alla cultura del potere, quotidiana o letteraria: manette, cinghie e fibbie, strumenti di ferramenta e vestiti, appaiono sparsi o accatastati in un angolo.

Man Ray, Mise en scène fétichiste pour William Seabrook, ca 1930, negativo alla gelatina d’argento su supporto flessibile nitrato (immagine ottenuta per inversione tonale), 11 x 8 cm, Musée National d’Art Moderne, Parigi. © Man Ray Trust / AdagpMan Ray, Mise en scène fétichiste pour William Seabrook, ca 1930, negativo alla gelatina d’argento su supporto flessibile nitrato (immagine ottenuta per inversione tonale), 8 x 11 cm, Musée National d’Art Moderne, Parigi. © Man Ray Trust / Adagp

La messinscena fotografica di Man Ray e Seabrook – chiaramente più tableaux vivants che foto documentarie – condensava varie fonti culturali ed esperienze personali tratte dal serpeggiare di Seabrook nel mondo e nella propria mente. Il copione della prigioniera ha rianimato, e reso eroticamente più espliciti, i balli in costume organizzati da artisti nel Greenwich Village di New York negli anni ’20, nei quali fantasie esotiche ed erotiche venivano velate sotto il pretesto di riferimenti letterari o storico-artistici. Sappiamo dalla sua autobiografia dal carattere confessionale, No Hiding Place, che Seabrook – travestito da corsaro barbaresco – aveva portato a una di quelle feste la prima partner di lunga data nelle sue interazioni sadomasochistiche consensuali: Deborah Luris (una benestante donna conosciuta nel Village intorno al 1922 e frequentata probabilmente fino al 1931) vestita da schiava, con le mani incatenate e agganciate da un guinzaglio all’ampia cintura d’argento intorno alla vita.[15] D’altra parte, le immagini di Man Ray si inseriscono nella scena parigina sotterranea dei ‘bordelli di flagellazione’ per clienti in cerca di gratificazione sadomasochistica, sex-shop, maisons di lingerie feticistica, fotografi amatoriali e professionisti specializzati in una varietà di soggetti – da ‘artistici’ a pornografici – con una inclinazione per le situazioni sadomasochiste.[16] Parigi era una città meno censoria degli Stati Uniti e «qui si potevano comprare i libri più scandalosamente pornografici proprio per strada». Seabrook era un cliente abituale delle librerie del Palais-Royal «che si rivolgevano esclusivamente a strane forme di erotismo», e Worthington definì collettivamente la serie di donne a pagamento di cui Seabrook si avvalse come «Lizzie in Chains», dal personaggio in uno dei libri.[17]

Ricapitolando fin qui, gli accessori feticistici e i collari canini/schiavistici abbinati ad abiti borghesi e le azioni messe in scena in un appartamento moderno insinuano nel mondo metropolitano parigino incongrui motivi di animalizzazione e primitivismo. Essi non si limitano a citazioni a livello iconografico e gusto decorativo; sono anche chiavi di accesso a tanto sincere quanto fallaci fantasie di regresso atavistico ‘africano’ e di dissoluzione del cogito razionalista in una forma di sfrenatezza ‘mistica’, perseguite con intellettualistica determinazione antiborghese. Tali atteggiamenti trovano voce in un articolo di Michel Leiris pubblicato da Documents nel 1930, stimolato dall’entusiasmo di un’intervista con Seabrook e dalla visione di un perturbante set di fotografie fornite dallo stesso scrittore americano, documentanti altre simili sessioni di costrizione sadomasochiste di una donna incappucciata (probabilmente Deborah Luris), che indossa tra l’altro uno dei collari di pelle già visti nella serie di foto già discusse sopra.

William Seabrook, Masque de cuir conçue par W. Seabook, da Michel Leiris, ‘Le “Caput mortuum”, ou la femme de l’alchimiste’, Documents, vol. 2, 8, 1930, p. 21William Seabrook, Masque de cuir et collier, ca 1929, da Michel Leiris, ‘Le “Caput mortuum”, ou la femme de l’alchimiste’, Documents, vol. 2, 8, 1930, p. 24

In ‘Caput mortuum’ Leiris riconobbe Seabrook come un fratello ‘negrophile’, scettico nei confronti della civiltà occidentale, e desideroso di raggiungere «l’abolizione, con qualsiasi mezzo (misticismo, follia, avventura, poesia, erotismo...) di quella dualità insopportabile, stabilita [...] dalla nostra attuale moralità, tra corpo e anima, materia e spirito».[18] Leiris trasse spunto dalle foto di Deborah Luris coperta dalla calotta di pelle che lasciava solo una fessura per la bocca, per commentare sul bisogno dell’uomo di cancellare volti e identità per raggiungere l’altro totemico. Da lì, elaborò il concetto che esista una connessione tra feticismo erotico e religioso, entrambi basati sulla sostituzione sineddotica di oggetti al posto dell’essere umano. Leiris ammise che nei rapporti sessuali feticistici la partner (femminile), privata dell’intelligenza, non è più una creatura di Dio ed è svilita a una meccanica erotica semplice e universale. Sotto la maschera di pelle, l’amore viene così declassato a «un processo naturale e bestiale [...], lo sguardo – quella quintessenza dell’espressione umana – è per una volta accecato [...], la bocca ridotta al ruolo animale di una ferita». Eppure, tutti questi effetti depersonalizzanti causati dalla maschera scatenano la potenza essenziale dell’erotismo: «una via d’uscita da se stessi, per rompere i legami impostivi dalla moralità, dall’intelligenza e dai costumi, un modo per scongiurare le forze malvagie e sfidare Dio».[19] La cancellazione del volto umano in «una sorta di cosa in sé – oscura, allettante e misteriosa – un residuo supremo» coglie, continuava Leiris, un paradosso. Si tratta di un caput mortuum: la fase transitoria, nella terminologia alchemica.[20] Questo annientamento dell’umanità è anche un atto trasformativo e di sovranità del maschio – alimentato dall’erotismo della controparte femminile, vista come figura allo stesso tempo potente, demoniaca e tentatrice, come una sfinge o una sirena – contro la norma metafisica (borghese e cristiana) ‘veramente’ disumanizzante. Il misogino articolo di Leiris, che replicava topoi simbolisti di donne perversamente minacciose ed eccitanti, faceva eco al tema della glorificazione della ‘bestialità’ umana sottostante la Civiltà occidentale, un motivo familiare ai lettori di Documents (la civiltà, sosteneva Leiris, è solo una «pellicola verdastra» di pratiche morali e costumi educati, che nasconde «la nostra orribile primitività»).[21]

Mentre le fotografie accesero le elucubrazioni di Leiris sul nesso tra eros e misticismo, il loro valore documentario fu rivelato solo dieci anni più tardi, dopo che Seabrook aveva attraversato ulteriori esperienze sadiche e fasi di alcolismo. In Witchcraft (1941) – il libro che riassume l’interesse dello scrittore per i fenomeni di magia e parapsicologia – Seabrook ammise che fin dal 1926 lui e Deborh Luris (nel libro ha lo pseudonimo Justine, forse tratto dalla fanciulla vittimizzata dai libertini di un romanzo di Sade) avevano unito alla gratificazione erotica e psichica, raggiunte attraverso pratiche di sadomasochismo, ‘esperimenti’ pseudoscientifici nei quali Luris si sottoponeva a livelli allucinatori di esaurimento fisico o privazione sensoriale. Le maschere di pelle viste nelle fotografie su Documents erano state inventate da Seabrook e Luris a New York, nel tentativo di ottenere l’ottundimento dei sensi e favorire esperienze extrasensoriali. Adattando la tecnica osservata presso i Dervisci in Siria, Luris, sotto la sorveglianza dello scrittore, si appendeva per i polsi al punto da rimanere in punta di piedi, o addirittura appesa, per diverse ore, fino a raggiungere il melboos (lo stato mistico) in cui l’io soggettivo si distaccava «dall’involucro sensoriale del corpo oggettivo»,[22] e la coscienza navigava in presunte piacevoli visioni mentali e persino stati di preveggenza. Alcune fotografie di primo piano di Justine attribuite a Man Ray (o forse a Jacques-André Boiffard) furono forse realizzate in occasione di una visita di Luris a Parigi nel 1930. La messa a fuoco sulle braccia guantate, ammanettate e issate, la testa nascosta sotto un passamontagna, e il collare lucido (già usato da Lee Miller), fa sbalzare la figura rispetto al fondo sfocato, come un inquietante essere umano trasformato in un manichino. Sebbene non sia certo se Man Ray abbia assistito a una delle sessioni di Seabrook o meno, l’immagine deve essere stata stimolante: potrebbe avere fatto riferimento ad essa in opere successive che ugualmente giocano con la de-umanizzazione associata a simili pratiche, in particolare Domesticated Virgin (1960) e Undomesticated Virgin (1964): piccoli manichini attaccati a catene in scatole di legno.

Man Ray (attribuito), Gloved figure, 1930 ca, stampa alla gelatina d’argento, 22,7 × 18,7 cm, J. Paul Getty Museum, © Man Ray Trust ARS-ADAGP

Le pratiche sadomasochiste di Seabrook, le fotografie, il collare disegnato da Man Ray ci portano in campi esperienziali dove gli opposti si incontrano e le categorie si confondono: costrizione fisica ed esaltazione psichica, dolore e trascendenza («una sorta di beatitudine in cui il corpo e l’anima sono entrambi esaltati», come Seabrook ha descritto i rituali Rifa’i),[23] animalizzazione ed emancipazione umana, pseudo-tribalismo e modernismo. Essi riflettono l’incessante oscillare di Seabrook attraverso i continenti e l’io, il nero e il bianco, l’Occidente e l’Oriente, l’osservazione razionale e l’iniziazione ‘selvaggia’. Ma se i moderni capi feticistici e gli oggetti etnici originali erano intercambiabili nel parco-giochi mentale di Seabrook, nel 1930 a Parigi, accanto a Man Ray, anche Leiris e altri surrealisti coltivarono un simile modernismo-primitivismo che legittimò godimento e misticismo, trasgressione morale e persino azione rivoluzionaria, e ambì a sovvertire nozioni di umanismo e disumanità, ponendo il marchese de Sade come un faro filosofico. Ritengo che Sade possa essere considerato come la cerniera che collega i pannelli di un polittico formato da Man Ray, Seabrook e i surrealisti Paul Eluard e Georges Bataille.

 

2. Il valore d’uso di Sade

Nel 1930 Justine (1791), Aline et Valcour (1795) e La Philosophie dans le boudoir (1795) erano stati ristampati più volte. Nel 1909 Guillaume Apollinaire aveva dedicato a Sade suoi lavori accademici e portato alla luce scritti e documenti inediti.[24] Dal 1925 Maurice Heine, amico e vicino di casa di Man Ray, iniziò una serie di edizioni, o ristampe, delle opere di Sade, tra cui Le 120 Giornate di Sodoma (1931-35). Man Ray aveva familiarità con Sade da quando la sua prima moglie, Adon Lacroix, intorno al 1914 gli aveva fatto conoscere l’antologia di testi sadiani di Apollinaire, insieme ad altri autori della poesia decadente o dell’avanguardia francese.[25]

Al tempo della collaborazione con Seabrook, Man Ray pubblicò su Le Surréalisme au service de la Révolution due fotomontaggi in tributo al Divino Marchese. Il primo, Hommage à D.A.F. de Sade (2, ottobre 1930), mostrava la testa decapitata e bendata di una donna sotto una campana di vetro, posta su un mobile (Lee Miller reinterpretò lo stesso motivo in una propria fotografia lo stesso anno: Head (Tanja Ramn) in Bell Jar). Il secondo tributo, il già citato Monument à D.A.F. de Sade (5, maggio 1933), è una fotografia dei glutei di una modella, incorniciata all’interno di una croce cristiana rovesciata. L’iconografia sadiana culminò nel 1938 nell’ambizioso Ritratto immaginario di D.A.F. de Sade, un dipinto per il quale Man Ray si impegnò nella ricerca sulle fonti primarie, descrizioni del libertino da parte dei contemporanei, documenti di polizia e visite ai castelli in cui il marchese aveva vissuto. Il profilo dell’anziano Sade, costruito in blocchi di pietra, sorge contro la Bastiglia in fiamme sotto un cielo ardente e coglie l’eroica statura dell’uomo che «ha trascorso ventisette anni della sua vita in carcere per le sue convinzioni».[26]

Molti surrealisti, inclusi Robert Desnos e Paul Eluard (due stretti sodali di Man Ray), avevano fatto di Sade un emblema della liberazione spirituale ed economica. Essi concettualizzarono la violenza e la crudeltà sadiana come forze redentrici e catalizzatrici del rinnovamento umano e sociale, capaci di smascherare la vera depravazione dei costrutti sociali repressivi e la schiavitù occulta del lavoro capitalista e dell’alta finanza. In varie versioni dello stesso discorso, per oltre un decennio (l’ultima volta riformulato come ‘La poésie surréaliste’, una conferenza tenuta nel giugno 1936 alla International Surrealist Exhibition di Londra, che Man Ray ascoltò dal pubblico)[27] Eluard osannò il malheur (infelicità, dolore) come uno stimolo creativo sovversivo, in quanto sbriglia l’immaginazione contro la morale borghese ottundente e l’ordine capitalista. Il paradosso dell’umanità nella disumanità (un dualismo inerente anche al sadomasochismo) fu la chiave delle ruminazioni ideologicamente problematiche di Eluard, che fallì però nello spiegare la conciliabilità di tali opposti in modo eticamente accettabile. Eluard elaborò un paradossale discorso sui nessi tra violenza e odio/amore, e delirio (délir) e consapevolezza di sé. «Le porte dell’amore e dell’odio sono aperte e aprono il passaggio alla violenza. Disumana, essa metterà l’uomo in piedi [...]. L’uomo uscirà dai suoi rifugi [...] inebriato dalla forza del proprio delirio. Allora, non sarà un estraneo, né per se stesso, né per gli altri. Il surrealismo [...] lavora per portare alla luce la profonda coscienza dell’uomo [... e] per ridurre le differenze esistenti».[28] Quella di Eluard non era tanto un’esaltazione romantica del delirio, quanto il riconoscimento che il piacere e l’inconscio possono essere esperienze di eguaglianza interpersonale, e così dispiegò una riscrittura umanistica dell’eredità di Sade sul terreno politico. Mentre la moralità cristiana genera frustrazione e infelicità (perché ingabbia la natura umana, idealizzando l’amore), Sade, umiliando i modelli della virtù, ha affrancato la jouissance e l’immaginazione. Esaltando la violenza e il delirio contro il conformismo e il moralismo, il libertino – sosteneva Eluard – «desiderava dare all’uomo civilizzato tutta la forza dei suoi istinti primitivi».[29]

Il delirante Sade di Eluard – il flagellatore della civiltà e l’incitatore dell’istinto primitivo – aveva un parallelo nella missione di Leiris e Bataille di scrostare l’impiallacciatura civilizzata del borghese. Nel loro progetto di primitivizzazione, i due intellettuali arruolarono anche l’opera di Seabrook. Fin da novembre 1929 (appena The Magic Island apparve in francese) Leiris aveva salutato entusiasticamente lo scrittore americano come «il primo uomo di razza bianca iniziato ai misteri del Voodoo [...] disgustato dal distinguere tra [...] misticismo ed erotismo. Ciò che vede soprattutto è l’intenso desiderio che ogni uomo debba rompere i suoi limiti, anche se ciò significa confondersi con animali, piante, minerali».[30] Leiris reiterò simili discorsi su stati di trance erotica conducenti a trascendere la demarcazione umana rispetto all’animale o all’inanimato, in una sorta di alterità totemica, nel successivo articolo ‘Caput mortuum’, già analizzato, entrando in risonanza col pensiero di Bataille su Sade.

In ‘La valeur d’usage de D.A.F. de Sade’ (1930) Bataille sostenne che i gruppi sociali si strutturano attraverso impulsi opposti di ‘assimilazione’ nell’ordine simbolico o di ‘escrezione’ da esso. Sade incarnava, per Bataille, il paradigma dell’‘eterologia’, la scienza che concerne l’‘escrementale’: ciò che resiste, al di là di ogni possibile recupero dialettico, a qualsiasi omogeneizzazione e integrazione nelle norme intellettuali, morali e socio-economiche. In opposizione allo status quo (lo sfruttamento di classe nell’economia) normalizzato dai discorsi della morale pubblica, l’eterologia ammette che la «ragion d’essere» umana richiede comportamenti rivoluzionari, antisociali e anti-economici di distruzione gratuita, di rapacità sessuale, di libertà amorale e dissolutezza. Violenza, torture, escrementi, algolagnia, trance estatiche, ogni forma di eccesso, pur totalmente indicibili e ‘alterità’ rispetto alle norme sociali, erano salutati come fattori di emancipazione in questa problematica «lettera aperta ai compagni» per molti aspetti oggi insopportabile. Dopo una fase rivoluzionaria guidata da sadici impulsi di godimento e dolore, Bataille immaginava una riorganizzazione proletaria mondiale in cui l’edificio economico socialista avrebbe contemperato anche l’istituzionalizzazione dell’economia di dissoluzione orgiastica. In questo quadro, Bataille incluse anche l’emancipazione dei neri dal colonialismo e dalla superstizione, ma riservando loro l’ambito dell’«eterologia pratica», ossia le «formazioni che hanno come scopo l’estasi e la frenesia». Vagheggiando un’utopia rivoluzionaria basata sulla «collusione d’una teoria scientifica europea e della pratica nera», Bataille ricapitolava, quindi, stereotipi primitivisti di stampo coloniale, a beneficio della soggettività bianca.[31]

Seabrook, che aveva descritto il proprio battesimo voodoo, il bere sangue di animali sacrificali, partecipazioni a danze e musiche rituali inducenti trance, il desiderio di varcare la soglia dell’esperienza mistica, anticipò la connessione che Bataille fece tra ogni forma di eccesso e trasgressione di tabù (sussunti nel paradigma Sade) e il Sacro (nella sua ambivalenza etimologica di santo e proibito). Bataille fece ricorso alla distinzione sacro-profano contro la cultura europea moderna e positivista, disumanizzata dall’eliminazione del contatto quotidiano con l’interdetto sovra/sub-umano. Il tempo sacro – Bataille spiegò – è storicamente esistito quando i tabù venivano trasgrediti e si fomentavano espressioni di estasi, in stati limite, di ‘sovranità’, o esperienze interiori in cui si ottiene la perdita di sé – controbilanciate dal tempo profano della razionalità e dell’utilitarismo.[32] Pratiche sacre impostate sull’eccesso e la dissipazione (come i sanguinolenti sacrifici umani degli aztechi, o i potlatch dei nativi americani della costa nord-occidentale) presentavano analogie strutturali con l’esorbitante negatività distruttiva incarnata da Sade; i «crimini continui commessi in pieno giorno per la mera soddisfazione di incubi divinizzati, fantasmi terrificanti, pasti cannibalici dei sacerdoti [...] flusso di sangue evocano [...] le accecanti dissolutezze descritte dall’illustre marchese de Sade», scrisse Bataille nel 1928.[33] Seabrook aveva sperimentato in prima persona trasgressioni del soggetto centrato nel cogito, attraverso sessioni sadomasochistiche o l’immersione in rituali animistici, entrambe percepite come vie per innalzare l’anima umana. Nel 1927, partecipando alle cerimonie del culto Lagba ad Haiti, Seabrook sentì che la partecipazione a sacrifici animali e a preghiere di posseduti agitava la propria anima. Il battesimo voodoo equivaleva a recuperare il fondamento emotivo della vita e il nucleo dionisiaco dell’umanità che storicamente aveva alimentato i saturnali greco-romani e ancora sopravviveva nelle danze frenetiche a ritmo di sassofoni di neri nei locali notturni urbani (un topos del discorso primitivista di allora). Seabrook aveva equiparato anche l’umano e l’animale su un substrato inter-specie, raggiungibile attraverso rituali religiosi: la «capra sacrificale [...] dai grandi occhi blu terrorizzati, quasi umani [...]. Quella capra era diventata qualcosa di inevitabilmente personale per me. Avevo concepito un interesse affettuoso per lei».[34] Lo scrittore credeva che tali cerimonie «rispondessero a un profondo bisogno dell’anima umana universale [...]. I codici di etica razionale e amore fraterno umano sono utili ma non toccano questa cosa profonda. Che la religione abbia i suoi sacrifici sanguinosi, sì, anche i sacrifici umani, se così le nostre anime possono essere tenute vive!». E queste ultime parole hanno una chiara nota batailliana. Nel far crollare le demarcazioni tra il mondo umano, animale e spirituale – in Arabia, Haiti, Africa, o nelle sedute sadomasochistiche con Deborah Luris a New York – Seabrook tentò di «spalancare la porta» (una metafora frequente nei suoi scritti) verso l’alterità che pertiene all’ordine del sacro.[35]

Seabrook dimostrò di non considerare nulla abietto; nella sua illimitata sete di ‘appropriazione’ intellettuale ha sondato fantasie psico-erotiche in sessioni che oggi definiremmo BDSM (bondage, dominazione, sado-masochismo), fasi autodistruttive di alcolismo, e persino l’antropofagia (assaggiando carne umana clandestinamente ricevuta dall’obitorio di Parigi), perseguendo la propria solipsistica affermazione soggettiva. Seabrook non era uno dei «codardi che temevano i loro gioiosi eccessi», per citare Bataille; la sua vita è costellata da esempi di ‘eterologia empirica’, per così dire, passando «da una speculazione basata su fatti astratti a una pratica [...] che raggiunge immediatamente l’eterogeneità concreta, per arrivare a trance estatiche».[36]

 

3. Epilogo

Le tenui articolazioni che per un periodo tra il 1929-30 tennero insieme in un polittico discorsivo vari investimenti simbolici – personali o collettivistici – in forme di sessualità ‘perversa’, utopie politiche, radicalismo antiborghese, cliché raziali, sotto il manto accomunante di Sade, si dissolsero presto. Dal punto di vista politico, né Seabrook (un repubblicano), né Man Ray (un anarchico politicamente disimpegnato) potevano facilmente simpatizzare con l’idea di rivoluzione violenta, proletaria, e ampiamente irrealizzabile di Bataille. Dopo il punto di tangenza nel 1930, le strade si separarono.

Seabrook e Man Ray rimasero fondamentalmente degli individualisti. Seabrook continuò le pratiche sadomasochiste per gratificazione personale e per interessi parascientifici rispetto alla potenzialità della mente. Nel 1942, nella sua autobiografia, si considerò un rinnegato sociale, in un gruppo con i «Napoleone, le Giovanna d’Arco, le Sante Teresa, gli Alessandro, i Blake, i Cristo, i Tolstoj, Dostoevskij [... ma anche] tutti gli anonimi delinquenti della coca, sadici, masochisti, omosessuali, ninfomani e lesbiche», tutti dissidenti destinati alle «fogne, alla gloria, alla morte e talvolta all’immortalità», cioè il finale aperto riservato ai non conformisti.[37]

Man Ray, Autoportrait nu avec un buste en plâtre, 1930 ca, negativo alla gelatina di bromuro d’argento su supporto flessibile nitrato (immagine ottenuta per inversione tonale), cm 8,5 x 11,5, Musée National d’Art Moderne, Parigi © Man Ray Trust / Adagp

In Man Ray fantasie di sessualità perversa, a volte blasfeme, rimasero soprattutto suggestioni iconografiche. L’artista si spinse fino ad autoritrarsi nudo mentre simulava un rapporto sessuale con uno dei suoi inanimati ‘oggetti d’affezione’ (1930): un busto classico simile a quello usato nella Venus Restaurée. L’interesse di Man Ray per Sade continuò tutta la vita come una fantasia soprattutto filosofica e libertaria. Egli predicava «con la sua [...] voce rauca e ovattata» su Sade, come «“la più grande mente del XVIII secolo; l’uomo che, più di ogni altro, creò la Rivoluzione Francese; il primo genio che propose la bellezza del male”», riferisce il pittore George Biddle, che visitò il fotografo a Hollywood nel 1940.[38] «Soprattutto lui [Man Ray] era un libertario [...] qualcosa di diverso dai cosiddetti liberali. Il suo ‘eroe’ [...] era il marchese de Sade», ci informa Henry Miller, riconoscendo «l’apparente identificazione di Man Ray con il vero spirito di Sade. Una libertà totale e assoluta: questi erano gli elementi su cui Man Ray insistette e con eloquenza nel descrivere la filosofia della vita di Sade. Libertà totale!».[39]

Bataille continuò l’esaltazione di Sade sotto la forma di una critica al capitalismo, elaborando le teorie dell’economia sacrificale, della dissipazione, vagheggiando di restaurare un tempo sacro di trasgressione dei tabù e dissoluzione delle soggettività individuali. Bataille proseguì in tale rotta negli anni del Collège de Sociologie, ne La parte maledetta (1949) e ne L’Erotismo (1957), dove affermò che l’erotismo religioso, fisico ed emotivo sono esperienze estreme in cui i confini dell’io individuale collassano e danno adito alla fusione comunitaria della sacralità.


1 Antony Penrose all’autore, e-mail, 1° febbraio 2021.

2 Per l’opera di Man Ray sulla ‘perversione’ in ambito surrealista e rispetto al dibattito francese sull’etica familiare e il genere cfr. A. Lyford, Surrealist Masculinities: Gender Anxiety and the Aesthetics of Post-World War I Reconstruction in France, Berkeley, University of California Press, 2007, pp. 115-164. Per le entretiens dei surrealisti sulla sessualità cfr. J. Pierre (a cura di), Ricerche sulla sessualità. Gennaio 1928-agosto 1932, Milano, ES, 1991.

3 J. Mileaf, ‘Between You and Me: Man Ray’s Object to be Destroyed’, Art Journal, vol. 63, 1, primavera 2004, pp. 4-23.

4 M. Worthington, The Strange World of Willie Seabrook [1966], San Francisco, Spurl, 2017, p. 185. Tutte le citazioni dirette presentate in questo articolo sono traduzioni dell’autore.

5 Per un inquadramento, cfr. il fondamentale P. Archer-Straw, Negrophilia. Avant-Garde Paris and Black Culture in the 1930s, London, Thames & Hudson, 2000.

6 M. Leiris, ‘Civilisation’, Documents, 4, 1929, p. 222.

7 Cfr. W. Seabrook, Witchcraft: Its Power in the World To-day, London, Harrap, 1941, p. 218; M. Ray, Self Portrait, Boston, Little, Brown and Co, 1963, p. 194.

8 M. Worthington, The Strange World of Willie Seabrook, pp. 143-144.

9 William Seabrook a Man Ray, 1° gennaio 1930, citato in J. Mileaf, ‘Between You and Me’, p. 18.

10 M. Ray, Self Portait, p. 193.

11 Man Ray a Marjorie Seabrook, 24 dicembre 1941, in Marjorie Worthington papers, Coll 152, Special Collections & University Archives, University of Oregon Libraries, box 3, folder 2.

12 M. Worthington, The Strange World of Willie Seabrook, p. 180.

13 W. Seabrook, Asylum, New York, Harcourt, Brace, 1935, p. 205.

14 Cfr. A. Penrose, The Lives of Lee Miller, London, Thames & Hudson, 1985, p. 23.

15 Cfr. W. Seabrook, No Hiding Place, Philadelphia, Lippincott, 1942, p. 200.

16 Cfr. A. Dupouy, Capitale du plaisir: Paris entre deux guerres, Paris, La Manifacture des Livres, 2019, pp. 100-111.

17 M. Worthington, The Strange World of Willie Seabrook, p. 180.

18 M. Leiris, ‘Le “Caput mortuum” ou la femme de l’alchimiste’, Documents, vol. 2, 8, 1930, p. 22.

19 Ivi, p. 25.

20 Ivi, p. 26.

21 M. Leiris, ‘Civilisation’, p. 221.

22 Cfr. W. Seabrook, Adventures in Arabia: Among the Bedouins, Druses, Whirling Dervishes & Yezidee Devil Worshipers, New York, Harcourt, Brace, 1927, pp. 274-276 (sul melboos); W. Seabrook, Witchcraft, p. 206.

23 W. Seabrook, Adventures in Arabia, p. 283.

24 D.A.F. de Sade, L’œuvre du Marquis de Sade, a cura di G. Apollinaire, Paris, Bibliothèque des curieux, 1909.

25 Cfr. N. Baldwin, Man Ray, London, Hamish Hamilton, 1989, pp. 37, 212.

26 Man Ray ad Arturo Schwarz, non datato, in A. Schwarz, Man Ray. Il rigore dell’immaginazione, Milano, Feltrinelli, 1977, p. 196.

27 Cfr. P. Eluard, ‘D.A.F. de Sade, écrivain fantastique et révolutionnaire’, in La Révolution surréaliste, II, 8, 1° dicembre 1926, pp. 8-9, poi ripreso nel 1930 come difesa del film di Luis Bruñuel L’Age d’or. Per la storia filologica del testo: P. Eluard, Œuvres complètes, I, Paris, Gallimard, 1968, tomo I, pp. 513-521, 1484-1497 (note).

28 P. Eluard, ‘L’évidence poétique’ [24 giugno, 1936], in Id., Œuvres complètes, p. 519; cfr. anche P. Eluard, ‘L’Age d’or’, tomo II, p. 1006.

29 P. Eluard, ‘L’évidence poétique’, p. 517.

30 M. Leiris, ‘L’Ile magique’, in Documents, vol. 1, 6, novembre 1929, p. 334.

31 G. Bataille, ‘La valeur d’usage de D.A.F. de Sade’ [1930], in Id, Œuvres complètes: 2 Écrits posthumes 1922-1940, Paris, Gallimard, 1970, p. 69. Sull’influenza di Seabrook nel lavoro di Bataille, cfr. S. Zieger, ‘The Case of William Seabrook: Documents, Haiti, and the Working Dead’, Modernism/modernity, vol. 19, 4, novembre 2012, pp. 737-754 [accessed 30.03.2021].

32 L. Tythacott, Surrealism and the Exotic, London, Routledge, 2003, pp. 221-222.

33 G. Bataille, ‘Amérique disparue’, Cahiers de la République des Lettres, des Sciences et des Arts [1928], citato in L. Tythacott, Surrealism and the Exotic, p. 222.

34 W. Seabrook, The Magic Island [1929], Mineola (NY), Dover, 2016, pp. 61 e (per la successiva citazione) 62.

35 W. Seabrook, Adventures in Arabia, p. 283.

36 G. Bataille, ‘La valeur d’usage de D.A.F. de Sade’, pp. 68, 65.

37 W. Seabrook, No Hiding Place, pp. 398-399.

38 G. Biddle, Diario, 1933-1942, 14 dicembre 1940, p. 114, in Archives of American Art, George Biddle’s Papers <https://www.aaa.si.edu/collections/items/detail/diary-transcript-14231> [accessed 30.03.2021].

39 H. Miller, ‘Ricordo di Man Ray a Hollywood’, in A. Schwarz, Man Ray, pp. 346-347.