«… ti avverto che fo tutto da me»:[1] con questa orgogliosa puntualizzazione, e con la consueta autocritica agli esiti delle proprie prove fotografiche, il 24 giugno 1897 Giovanni Verga invia un gruppo di fotografie a Cesare Pascarella, dal quale due mesi prima aveva ricevuto in dono un modernissimo apparecchio a pellicola, che il negativo adoperato consente di individuare in una Kodak Pocket mod. 96.[2]
Altri passaggi dell’epistolario verghiano, specie in concomitanza con l’acquisizione di nuove apparecchiature e il conseguente intensificarsi del suo impegno nella fotografia, fanno esplicito riferimento a stampe eseguite personalmente, come, ad esempio, cinque anni prima, sul finire dell’estate successiva all’acquisto della Express-Murer a lastre 9x12, nella lettera a Paolina Greppi cui allega le foto scattate a Loverciano.[3] E tuttavia ciò che noi conosciamo dell’attività fotografica di Verga è la stampa moderna di 423 negativi, lastre vitree e pellicole di diversi formati e pertanto afferenti a diverse apparecchiature di ripresa, che Giovanni Garra Agosta, il collezionista che le ha acquisite dall’erede, dopo varie pubblicazioni parziali, ha raccolto in un catalogo complessivo. Suddiviso in quattro sezioni tematiche che prescindono dall’ordine cronologico e trascurano nella classificazione imprescindibili evidenze tecniche e documentarie, esso tuttavia rimane unico e fondamentale punto di riferimento per qualunque indagine sulle foto verghiane.[4] Attendibili e precise quando si avvalgono delle accurate notazioni autografe sugli involucri delle singole lastre, o quando fanno riferimento a contesti e persone note all’erede detentore, datazioni, dislocazioni, identificazioni e persino attribuzioni proposte in questo catalogo risultano in larga parte problematiche, specie in riferimento alle riprese su pellicola eseguite fuori dalla Sicilia.
Nell’intento di fornire un contributo all’avvio della costituzione di un’edizione critica delle foto verghiane, affrontiamo in questa sede la prima fase delle sue riprese su pellicola che, come vedremo, coinvolge il problema della stampa delle foto che, in maniera determinante, costituisce l’effettiva opera finita ed espressione compiuta delle scelte del fotografo.
1. Negativi e stampe
Da riferimenti epistolari e documentari sappiamo che Verga, specie negli anni giovanili, in parte affida ad altri la stampa delle sue foto, soprattutto di quelle nelle quali il montaggio più o meno approssimato di un fondale dietro ai soggetti ripresi implica una stampa tramite ingranditore e schermature che selezioni quanto la distanza minima di messa a fuoco dell’ottica e dell’apparecchiatura adoperate – o piuttosto, riteniamo, in molti casi una sua precisa scelta – non gli consente di inquadrare selettivamente.
A parte quanto è noto in tal senso dalle richieste e dai commenti frequenti nello scambio epistolare con Capuana, alla cui attrezzatura sovente egli si affida,[5] e cui fa riferimento la critica per rigettare, pressoché unanimemente, l’ipotesi che lo scrittore stampasse in alcun modo direttamente le proprie foto, va rilevato che dall’analisi della frammentaria ma accuratissima contabilità verghiana parallelamente emergono i suoi rapporti con prestigiosi laboratori professionali come la «nota delle fotografie a Fumagalli», pagata per ben 37,70 lire il 6 ottobre 1891 all’amico fotografo milanese[6]. Ma di queste stampe, desunte dalle lastre vitree con la sua supervisione, pare non sia sopravvissuto alcun esemplare, lasciandoci il dubbio, nella lettura delle sue riprese, se i diversi ‘tagli’ scelti da chi ha variamente riprodotto i negativi verghiani riflettano fedelmente l’intento dell’autore.
Talora – e se ne leggono vari esempi tra le foto di ambito familiare e domestico fino al 1896 (VF 4-49 passim e 110-116) – l’incongruenza fra il fondale, con la correlata messa in opera, in successive varianti, di molteplici ‘arredi’, e il punto di ripresa scelto sembra quasi insinuare una volontà di rispondere da un lato all’istanza del ‘ritratto in posa’ dei soggetti ripresi, destinatari di una copia a stampa da ingranditore ‘pulita’ e ‘professionale’, e dall’altro, a quella, ben diversa, del fotografo che, in questi casi, sembra piuttosto interessato ad includere nello scatto, e soprattutto nelle sequenze, una dimensione diacronica e spaziale, data dal ‘set’ e dalla sua articolazione e preparazione. Esiti, questi, sorprendentemente assimilabili a quelli di fotografi contemporanei che, costretti dal mestiere ad una stampa ‘pulita’, hanno infranto, come la Leibovitz nelle sue ultime foto, con una nuova ‘poetica’ questi inderogabili canoni, lasciando progressivamente a vista, in una sorta di autorappresentazione che contamina generi diversi, il contesto e la ‘storia’ della ripresa fotografica: i margini slabbrati e macchiati del fondale, gli oggetti sparsi nel set, un frammento di esterno.[7]
Non è un caso che questa convenzione non si riproponga nella coeva ritrattistica verghiana di ambito ‘nordico’, dove il taglio delle riprese sfugge sempre e intenzionalmente dalla ricerca della ‘posa’, dalle inquadrature frontali, dai fondali ‘deliberati’, così come si attenua nelle riprese fatte in Sicilia e in casa quando l’affievolirsi, per eventi luttuosi, della presenza del nucleo familiare consente allo scrittore una maggiore libertà di scelta. Lo si legge ad esempio nella successione cronologica delle varie sequenze dedicate negli anni ai nipoti, e ancora meglio emerge, come istanza richiesta dal fratello Mario, nelle foto di Tebidi collocate nel triennio 1896-99 (VF 109-116), eseguite con varie apparecchiature a lastre (fig. 1).
Non va dimenticato infatti che anche Mario è coinvolto nella fotografia, ha delle apparecchiature proprie e partecipa alle operazioni del fratello non solo nelle riprese ma anche in camera oscura, come lui stesso ricorda, nel dicembre 1892, in una lettera a Giovanni da Tebidi: «… quel che accadrebbe se tu fossi qui con noi. Delle fotografie che si potrebbero fare, delle serate che passeremmo chiusi allo scuro per sviluppare le negative».[8] Ne è riprova una terna di foto, le uniche che, in quel contesto, adoperino la Kodak, quasi prova comparata, e forse disputa fra i due fratelli, alla luce della nuova tecnica che produce un negativo molto piccolo che quindi non si presta a particolari ingrandimenti e, nella stampa domestica, che si avvale di procedure a contatto, non consente di rideterminare l’inquadratura rifilando il cartaceo. Mi riferisco al doppio ritratto di Mario (VF 107-108) con e senza ‘fondale’: il primo con un allestimento particolarmente accurato del telo, ben steso e di un colore meno dissonante dalla gamma morbida dei grigi che, in una luce equilibrata e diffusa, insieme alla postura in scorcio, accentuata dalla disposizione delle braccia, conferisce particolare vivezza all’immagine, ma che non sfugge alla consueta aporia per cui tutto quel che rende così presente il protagonista che ci guarda deborda dalle dimensioni del fondale; con una inquadratura dal basso il secondo, con il protagonista che si volge altrove disposto in diagonale all’incrocio fra un muro sbrecciato e uno squarciato, quasi disfatto, cromaticamente movimentati dal diverso affiorare di arbusti contro il cielo, come, appunto, lo scrittore stesso sceglie di farsi ritrarre a sua volta dal fratello nella terza foto (VF 104), in uno dei cosiddetti ‘autoritratti’.[9]
Su questi «sfondi disastrati» delle fotografie verghiane si sofferma, nella sua acuta disamina dei ritratti, Irene Gambacorti,[10] che tuttavia li ascrive ad una scelta, progressivamente abbandonata, dello scrittore e non ne approfondisce la contraddittorietà degli esiti, dal momento che, e non va dimenticato, noi ci confrontiamo con dei negativi destinati, ad evidenza, a diverse modalità di stampa: quella professionale, mirata al ritratto su fondo neutro, che risponda alle aspettative del destinatario, e per la quale Verga non si preoccupa in alcun modo di alleggerire le fatiche del ritocco e dello scontornamento, e quella personale, che, come vedremo e abbiamo in parte già osservato, era pratica consueta allo scrittore anche se finora non riconosciuta, fra l’altro anche per la mancata pubblicazione dei non esigui esemplari sopravvissuti.
Degli intenti diversi, cui sembra mirare quest’ultima, è ulteriore riprova il confronto fra le foto VF 109 e 111-12, eseguite nello stesso contesto e con la stessa apparecchiatura a lastre 9x12, sempre al fratello Mario: la prima, in abiti eleganti, in compagnia della moglie e del nipote maggiore, senza alcun fondale, in cui lo scrittore si avvicina ai soggetti fino al limite concesso dall’ottica e dall’apparecchio, per coglierne il ‘ritratto’ e le altre due, in abiti più dimessi e con una gestualità più quotidiana e familiare, seduto e affiancato dai nipoti, con un ‘fondale’ bianco, spiegazzato e malamente steso aggrappandolo a una catasta di legni, dove, al contrario di quel che dovrebbe, egli riprende all’alto, in verticale, e si allontana per lasciare in vista, certamente non a caso, l’abborracciato ‘apparecchiamento’ della fotografia piuttosto che il ‘ritratto’.
E proprio alla seconda di queste due ultime (VF 112), con il piccolo Marco che si è mosso durante la posa, farà riferimento con la consueta autocritica qualche anno dopo, in una lettera a Dina di Sordevolo del 23 novembre 1900, selezionandola nel gruppo di fotografie «dei ragazzi che ho potuto trovare nei miei tentativi fotografici» che le invia: «Quello di Mario coi ragazzi non ci sarebbe male, ma il piccolo Marco è irriconoscibile, perché fuori fuoco e sembra malato d’elefantiasi, tanto è gonfio e contraffatto».[11] Anche se sul foglio che avvolgeva i negativi di entrambe le foto aveva annotato: «Mario e nipoti, ottobre 1896 – belle».[12]
L’inquadratura come scelta diventa comunque assolutamente predominante e significante nelle riprese con la nuova, agile e trasportabile Kodak, che apre allo scrittore nuove modalità espressive e nuovi entusiasmi fotografici, con una correlata attività di stampa di cui, a differenza di quanto supposto e talora asseverato anche in saggi recenti,[13] restano precise prove documentarie ed esemplari autografi.
Lo stesso Garra Agosta, peraltro, nell’accurata inventariazione dei materiali presenti in casa Verga iniziata nel 1966 e pubblicata nel 1977, aveva registrato:
Dei corrispondenti 110 fotogrammi delle pellicole esistono soltanto 27 positive originali 4x6 stampate da Verga con didascalie… ho riscontrato inoltre un centinaio di positive 4x6 stampate da Verga, che non ho duplicato, le cui corrispettive negative (pellicole) sono andate purtroppo disperse.[14]
Nel volume dell’89, invece, mentre inserisce, sia pure fuori catalogo e con evidente perplessità rispetto alle affermazioni in tal senso dell’erede detentore, alle figg. 17-32, una serie di stampe la cui attribuzione a Verga è del tutto da escludere, e accenna rapidamente al fatto che lo scrittore avesse «impressionati, sviluppati e stampati» i negativi su pellicola, non include nel suo catalogo alcuna stampa.
Nel prosieguo della promozione del volume, editore e proprietario dei materiali fotografici verghiani hanno affidato a chi scrive la cura di una mostra, per il cui ordinamento è stato possibile studiare e riprodurre anche queste stampe: una prima analisi e ricerca di confronti e dati documentari, intrapresa con il contributo di Luisa Mirone, ha portato ad un ordinamento cronologico di tutte le fotografie che rettificava molte delle indicazioni del testo da cui prendeva le mosse e includeva gran parte delle stampe da esso totalmente escluse.[15]
Una ricognizione fra le carte verghiane conservate presso la Biblioteca Regionale di Catania ha consentito di individuare, nei resti frammentari della sua puntualissima contabilità quotidiana, accanto alle annotazioni più disparate e dettagliate, le sue spese per materiale fotografico. Lacunosa e relativa solo ad alcuni periodi a partire dal ‘72, essa si arresta nel ‘92, quando l’acquisto della Express-Murer segna un’altra stagione di passione fotografica dello scrittore e le note di spesa per materiale fotografico risultano costanti e cospicue: oltre allo stativo, dalla primavera all’autunno, vengono annotati pacchi di lastre Lumière e soprattutto Guilleminot, ma anche componenti chimici per lo sviluppo e la stampa («cassetta preparati fotografici», «Rodinal 250 grammi», «2 tubetti di fissatore», «25 grami bromuro di potassio», «1 flacone idrochinone» «boccetta iposolfito», «flacone idrobromuro», «250 grammi sviluppatore») e attrezzature per la camera oscura come la «tasca camera oscura», la «lente di ingrandimento», il «bicchiere graduato per 20 grammi», indeterminati «oggetti fotografia» e soprattutto la «vaschetta e paniere per fotografie» che si riferisce chiaramente alle operazioni di stampa che vengono confermate, già dalla tarda estate del ‘92, dall’acquisto parallelo di carte per stampa fotografica esperita in due diversi procedimenti: l’1 settembre Verga registra congiuntamente «pacchi carta gelatina da 25 fogli» e «carta aristotipica 12 fogli», ma due settimane dopo, compra, assieme a due pacchi di lastre Lumière, esclusivamente «2 pacchi carta aristotipica», mostrando di privilegiare il più facile procedimento di stampa associato a questa seconda tecnica, molto adoperata dai fotografi dilettanti; e infatti, ancora più avanti, il 20 ottobre, acquista ancora soltanto «carta aristotipica, un pacchetto da 12 fogli».[16]
Nel momento in cui i grandi alberghi delle più frequentate località turistiche cominciano a prevedere per i clienti degli ambienti adatti alle attività di sviluppo e stampa, lo scrittore ha montato una camera oscura nel suo alloggio milanese, dove rientra da Loverciano per procedere alle stampe e da cui proprio il 20 settembre, pochi giorni dopo gli acquisti di carte fotografiche che abbiamo riscontrato, scrive da Milano a Paolina Greppi: «Vi racchiudo le prove delle fotografie […] il vostro ritratto, stampato con cura, […] venuto abbastanza bene e di una bella tinta fotografica […] ho cercato di fare del mio meglio»;[17] e vedremo più avanti che altrettanto accade nelle case di Vizzini e Tebidi.
La contabilità si arresta a questo anno e non ci fornisce alcun supporto per gli anni successivi, ma certo non è un caso che le stampe a contatto da rullo 102 che qui presentiamo siano tutte prove su carta aristotipica.
E, del resto, proprio la lettera a Dina del novembre 1900 citata in precedenza ci dà ulteriore prova del prosieguo di questa attività di stampa personale delle foto: «Il meglio riuscito è quello […] strappato a metà, che ti prego di rimandarmi poi, onde possa cercare fra i negativi quello da cui è tratto, e ristamparlo a suo tempo, quando l’avrò questo tempo».[18]
2. Itinerari ed epistolari
Il lavoro iniziale, intrapreso per l’ordinamento della mostra del 1992 e rimasto inedito, è tuttavia proseguito nel tempo. Oggi esso ci consente di comprovare con maggiore determinazione e precisione la paternità verghiana di queste stampe e soprattutto, attraverso un radicale riordino delle sue riprese, alla luce di più attente ricognizioni dell’epistolario, nonché con il contributo fondante di immagini storiche a confronto, di ricostruire percorsi visivi dello scrittore finora ignorati. Ciò in particolare in riferimento alle fotografie di viaggio, dopo il ’97 tutte eseguite «colla fida Kodak», e quindi su rulli 102 che improvvide operazioni postume di stampa hanno ritagliato in singoli fotogrammi, dissociando le sequenze e inducendo a datazioni ed individuazioni in massima parte erronee. Le stampe moderne delle foto eseguite in Svizzera, destinazione privilegiata in questi anni dei soggiorni estivi dello scrittore, nel catalogo prevalentemente collocate, con poche eccezioni, nella seconda parte della quarta sezione (VF372-423), vengono tutte genericamente datate tra il 1901 e il 1902 senza alcun supporto documentario e con ampi fraintendimenti nella individuazione di luoghi, contesti e soggetti.
È invece nel ’97 che, nell’entusiasmo della pratica del nuovo apparecchio, si colloca una cospicua parte di queste foto su pellicola 102, che si integrano alle stampe inedite, lungo un percorso di esplorazione della Svizzera ampiamente documentabile e collimante con la dislocazione della sequenza ricostituita delle riprese. Riscontri epistolari, anch’essi in parte da rivedere, ci consentono di ricostruire l’indefessa attività dello scrittore che intende apprendere le modalità del nuovo sistema, come lui stesso dichiara nel ringraziare Pascarella («mi ha stancato alquanto ad impratichirmi specie nel diverso modo di chiaroscuro per le istantanee o le prove a posa»); e per questo adopera, parallelamente a confronto, sia il nuovo apparecchio che le macchine a lastre. Da quel che emerge dall’epistolario verghiano, ma anche da quello di De Roberto, in questa tarda primavera del 1897 in cui la partenza per Milano, variamente annunziata, viene differita fino al 21 luglio, questo impegno lo occupa, già dalla fine di aprile, a Catania, ma anche a Vizzini e a Tebidi, come si desume dalla già citata lettera di ringraziamento inviata proprio da Tebidi a Pascarella il 7 maggio in cui promette l’invio di «qualche prova tutta mia, appena saranno presentabili»;[19] e prosegue intensamente, se il 28 maggio Sabatino Lopez scrive da Catania a De Roberto: «Verga in compenso fa molte fotografie e compera molte lastre»,[20] annunziandogli che lo scrittore si accinge a partire l’indomani nuovamente per Tebidi.
A fronte di queste precise indicazioni, nel catalogo le uniche foto catanesi collocate in questa tarda primavera sono quelle, su negativi a lastra, della seduta casalinga dedicata ai nipoti rientrati per le vacanze di Pasqua (VF 75-85, 87), mentre vengono senza alcuna motivazione o prova collocate nel 1899 una serie di riprese su pellicola relative prioritariamente al contesto urbano e ai suoi monumenti (VF192-204) e a qualche amico (VF 139-40), laddove, pur non potendoci inoltrare in questa sede nell’analisi delle foto siciliane, appare plausibile che proprio questo sia il nucleo delle «prove», talora malriuscite e con vistosi errori di inquadratura, che lo scrittore prepara per l’invio a Pascarella.
Anche a Tebidi, dove si reca due volte nel mese di maggio, prosegue l’intenzione non solo di continuare le prove di ripresa, ma di procedere anche a sviluppo e stampa, se, in vista del secondo soggiorno, lo scrittore chiede al fratello, il 14 maggio, di «cercare costì in casa a Vizzini un certo paniere che ci deve essere e forse una cassettina piena di oggetti per fotografia, bottiglie, lanterna oscura ecc.»[21] per portarli a Tebidi; e anche questo «certo paniere», un contenitore forato per immergere e sollevare a tempo le stampe dal bagno chimico, ci riporta alla «vaschetta e paniere per fotografie» che aveva comprato a Milano il 28 luglio del 1892, prima di partire per Tabiano.
A questi soggiorni a Tebidi, che si concludono prima del 13 giugno – «Verga è tornato da Vizzini» scrive a De Roberto il fratello Diego –,[22] nel catalogo vengono riferite alcune foto eseguite con la Express Murer (VF 260, 266, 272-75), e un gruppo di negativi su lastre in formato 6,5x9 (VF 240-259, 261), relativi a una apparecchiatura che risulta adoperata solo in questa circostanza e poi nel 1911, secondo una lettura problematica e certamente da rivedere, e che comunque non possono ascriversi alla Express Murer;[23] secondo le datazioni di Garra Agosta solo tre negativi vengono eseguiti a Tebidi con la Kodak.
Anche se al suo rientro Verga invia delle foto a Pascarella, le riprese catanesi con la Kodak continuano intensamente in esterni, se, ancora il 5 luglio, Guido Viani d’Ovrano, con vaga ironia, scrive a De Roberto che «Verga kodakeggia più che mai».[24] Ancora da una lettera dello stesso Viani a De Roberto apprendiamo infine che lo scrittore si imbarca per Genova la sera del 21 luglio raggiungendo Milano il 25,[25] trascorre presso i Greppi a Loverciano, da dove scrive a De Roberto,[26] qualche giorno per poi recarsi in Svizzera.
Queste precisazioni circa le modalità e la tempistica del trasferimento a Milano sono utili a risolvere alcune aporie e contraddizioni nelle edizioni dell’epistolario verghiano correlate a questa sua vacanza in Svizzera cui, come vedremo, vanno riferite una serie di riprese fotografiche, pervenuteci in stampe finora inedite e negativi in gran parte erroneamente dislocati e datati. Dalle edizioni vigenti dell’epistolario risulterebbe infatti che lo scrittore si sia recato nelle località fotografate più volte in tre anni diversi: 1893, 1897, 1902, ma vedremo che, aggiornandone ed integrandone il regesto[27] con una rilettura analitica, emerge un’unica e precisa datazione cui riferire le fotografie che qui prendiamo in considerazione.
Alla determinazione di questo percorso e delle località scelte per il soggiorno in Svizzera concorrono alcune lettere dalla datazione problematica: in particolare due indirizzate a Paolina Greppi che, come ha già notato Antonio Di Silvestro[28] per altri esemplari dello stesso carteggio, vengono diversamente interpretate e datate dai due curatori che le pubblicano contemporaneamente: Giovanni Garra Agosta e Gino Raya.
La prima lettera che Verga scriverebbe dalla Svizzera in questa estate del ‘97 secondo il Garra Agosta sarebbe quella del 6 agosto, priva dell’anno e inviata da Rigi-Kösterli,[29] che invece per Raya va collocata nel 1902:[30] dal contesto si desume chiaramente che Verga non si è recato a trovare Paolina e i Greppi a Loverciano perché la stessa è ad Intra in compagnia del fratello Luigi («non so se vi tratterranno ancora ad Intra […] massime adesso con la compagnia di Gigi»), il quale invece, come vedremo più avanti, nell’agosto del ’97 si trova in Svizzera sul Rigi. Inoltre il richiamo alla maggiore dispendiosità dell’albergo di Kaltbad («non troppo caro, come a Kaltbad»), sullo stesso Rigi, non ha alcuna giustificazione nel contesto di quel che apprendiamo da successive lettere dei suoi spostamenti in questo agosto. Più verosimile appare pertanto la collocazione proposta dal Raya al 1902, quando sappiamo da varie altre lettere, soprattutto a Dina di Sordevolo, che lo scrittore alloggia all’Hotel Sonne di Kösterli.[31]
A conferma di queste osservazioni, la lettera del 10 agosto, che reca l’indicazione dell’anno,[32] dimostra che invece lo scrittore ha scelto di approdare ad Hospental, presso l’Hotel Meyerhof, dove si trova da almeno tre giorni, partendo proprio da Loverciano («non potei avere vostre notizie […] giacché dormivate ancora») dove si era recato da Milano, come attestato dalla lettera a De Roberto del primo agosto precedentemente citata.
Questa lettera dalla datazione certa è anche ad evidenza la prima che lui scrive dalla Svizzera a Paolina («non ho potuto scrivervi prima d’oggi»). Essa è fondamentale ai nostri fini, perché, oltre alle notazioni su questa prima località del suo soggiorno estivo e vacanziero, prospetta le successive tappe del viaggio, la cui precisazione, come si vedrà nella seconda ulteriore parte di questo lavoro, costituisce un preciso supporto per una totale revisione di datazione ed identificazione di gran parte delle foto ‘svizzere’ di Verga.
Ancora inedita è poi una lettera che egli scrive lo stesso giorno [33] e due giorni dopo, sempre dallo stesso albergo, egli ne invia anche una di ringraziamenti alla figlia di Giacosa Bianca.[34] Mentre nella lettera a Paolina del 6 agosto, precedentemente citata, le divergenze di datazione si giustificano per l’assenza della indicazione dell’anno, riteniamo di poter dimostrare che va ascritta ad un lapsus calami la data 1893 che compare in quella inviata il 13 agosto dallo stesso albergo di Hospental a Capuana.[35] E questo non solo perché sappiamo che nell’agosto del ’93 Verga si trova nel pieno di una escursione in Valtellina e allo Stelvio, come dimostrano varie lettere tra cui quella inviata il 20 agosto da Bormio ad Emilio Treves[36] e soprattutto una serie di riprese fotografiche che le notazioni autografe sugli involucri delle relative lastre collocano fra il 13 e il 22 agosto 1893.[37] La descrizione delle modalità del viaggio («imbarcandomi da Catania a Genova direttamente») coincide con le informazioni che Viani d’Ovrano aveva fornito in merito a De Roberto e anche i termini della presenza a Milano di quest’ultimo («a Milano … dove il buon De Roberto è andato dal maggio ad estatare») trovano conferma nelle lettere dello stesso di quest’anno. Anche le notazioni sul contesto, che, nonostante qualche inflessione ironica, lasciano trasparire il grande fascino che su di lui esercita il paesaggio alpino:
Il paese è così verde fresco e bello, malgrado le coppie tedesche e i pastori protestanti che l’infestano … Fo delle passeggiate, dei chilometri in pianura e in montagna, delle fotografie anche, e basta. … Il lavoro soltanto è un grande egoismo, è quasi un’altezza solitaria come il vicino Monte Pilato, dove si gela di notte e si brucia di giorno.[38]
coincidono con quel che, tre giorni prima, aveva scritto a Paolina:
Il sito è bello e la temperatura più che fresca, talché ieri ho fatto circa 20 chilometri (non lo credereste) da Andermatt ad Oberalp,[39] gita e ritorno, pedibus calcantis (sic). Ho fatto parecchie fotografie che vi mostrerò, ma tranne questo la noia è sovrana e troppi pastori protestanti in giro, seguiti da numerosa prole. Incontrai Beppe Treves sul treno, che andava a Kaltbad Righi (sic), e mi promise di venire a trovarmi. Quasi quasi, se lo fa, pianto qui baracca e burattini, e vado con lui a Kaltbad … e conto di andare magari a Lucerna.[40]
Il 13, oltre che a Capuana, Verga scrive anche a De Roberto,[41] comunicandogli la decisione, ormai presa, di raggiungere Treves («parto domani per Rigi-Kaltbad») e cerca di infondergli il suo entusiasmo per le lunghe escursioni invitandolo a raggiungerlo:
Se la tua neuroastenia ti consigliasse di fuggire Milano e le sue tentazioni dovresti venire a trovarmi, o meglio farmelo sapere che verrei io stesso a rifornirmi di scarponi e vestiti opportuni, e ti proporrei – nientemeno! – di fare a piedi lunghe e piacevolissime escursioni. Figurati che le ho fatte anch’io!
Questa sequenza di spostamenti non può che dar ragione alla proposta di datazione al ’97 del Garra, rispetto a quella al 1902 avanzata da Raya, per la seconda lettera priva dell’anno inviata da Verga a Paolina il 16 agosto da Kaltbad, su carta intestata del Gran Hotel omonimo.[42] Accenna di aver incontrato il fratello Gigi Greppi, che spera di rivedere al suo rientro a Loverciano, passaggio confermato, come vedremo, da una successiva lettera e improponibile nel 1902, quando sarà Verga ad invitarla a Villa d’Este; fa immediati confronti con il precedente soggiorno ad Hospental («qui mi trovo bene e il sito è bello, in modo diverso di Hospenthal che è anch’esso bellissimo […] Oggi piove ed è una brutta giornata. Immaginatevi cosa sarebbe stato ad Hospenthal») che non avrebbero ragione alcuna nel 1902 e accenna alla compagnia di Giuseppe Treves, già citato nella precedente lettera del 10 agosto che reca l’anno 1897 («Qui facciamo la partita col Treves, vedendo passare della gran gente sotto il porticato e sentendo suonare bande»). I percorsi ulteriori cui aspira vengono confermati («Oggi si doveva andare a Lucerna») e si ampliano («prima di scendere al Goldau[43] voglio andare a passare una notte al Kulm, e visitare anche il Pilato»).
Il percorso svizzero di questa estate si concluderà, come preannunziato, con un soggiorno a Loverciano, da dove, ancora reimpiegando la carta intestata sottratta all’Hotel di Kaltbad, il 24 agosto («Ebbi a Kaltbad, che lasciai ieri, la tua cartolina») scrive a De Roberto, chiedendogli di comprare ed inviargli un oggetto da regalare alla zia di Paolina. Quest’ultima lettera (fig. 2), comparsa in varie aste e poi inclusa nel catalogo Bolaffi 2012, viene ivi trascritta con la data 1894,[44] per una erronea interpretazione della cifra 7 che il Verga, come può notarsi per confronto con la lettera del 10 agosto (fig. 3), traccia con uno svolazzo al di sopra della barra orizzontale che può indurre in errore.
3. Dal Gottardo al Rigi, il percorso fotografico
Per il suo primo soggiorno sulle montagne svizzere Verga sceglie quindi l’asse del San Gottardo[45] e in prima istanza non i luoghi che l’apertura del traforo, riducendo a meno di un quinto i tempi di percorrenza da Milano a Lucerna,[46] aveva reso fulcro della mondanità internazionale, bensì un piccolo centro del cuore della Gotthardstrasse: Hospental[47] (o Hospenthal, come lui scrive adottando la forma più arcaica), che invece proprio questa innovazione aveva reso più isolato e solitario.[48] Un «paesetto di una ventina di case», dove, come scrive ancora lui stesso, «bisogna starci o da solo affatto o in compagnia di amici», forse con l’intenzione, disattesa («quanto al lavoro non ho trovato ancora il tempo di scrivere un rigo»), di dedicarsi alla scrittura per poi finire, come dice al Capuana, per «lasciar trascorrere i giorni l’uno dopo l’altro, senza pensare che ci sono al mondo degli editori e dei librai», e dedicarsi invece ad escursioni fotografiche. Progetto implicito peraltro anche nella scelta dell’albergo: non l’Hotel du Lion, nella piazzetta centrale del paese, che lo avrebbe tenuto in contatto con il contesto locale, bensì il Meyerhof, fuori dal centro, presso all’incrocio della Gotthardstrasse con il percorso per il Furkapass-Oberalp ed altri passi alpini.
Sappiamo del resto che lo scrittore programmava i suoi viaggi documentandosi attraverso letture mirate e guide aggiornate, di cui è ricca la sua biblioteca,[49] e aveva comprato, fresca di stampa, la guida dedicata alla Svizzera pubblicata da Treves proprio nel 1897.[50] Ma può averlo incoraggiato in tal senso anche il lungo rapporto con Woldemar Kaden, che nel 1883 aveva dedicato un saggio, poi tradotto in italiano, al contesto che si apriva al turismo internazionale dopo l’inaugurazione della linea ferroviaria del Gottardo.[51] Verga possedeva la seconda edizione italiana, pubblicata nel 1891 da Treves, del fortunatissimo, monumentale libro di Kaden[52] sulla Svizzera, illustrato da centinaia di incisioni di Alexandre Calame ed altri artisti, che accentuava ancora romanticamente l’aspetto ‘pittoresco’ di questi luoghi, da un lato con la raffigurazione dei principali monumenti e dall’altro con la rappresentazione ‘folklorica’ delle popolazioni svizzere alpine, come nell’incisone dedicata alla piazzetta della Posta della vicina Andermatt. Due aspetti che interessano poco, invece, come abbiamo visto nelle lettere e vedremo nelle fotografie, il suo sguardo.
Nel disordinato complesso delle piccole stampe fotografiche che lo stesso possessore, forse dissuaso dal parere di altri studiosi o dalla loro non elevata qualità tecnica, ha ritenuto di espungere dal catalogo delle foto verghiane, la ricostruzione documentaria precedente ci consente invece di isolarne un gruppo che con certezza può attribuirsi e ricondursi a questa stagione.
Hospental, coi resti della fortificazione tardo duecentesca dei signori vallesi del sito e la chiesa tardo-barocca di Bartolomäus Schmid svettanti su un piccolo grumo di case in legno al centro di un suggestivo contesto alpino, viene precocemente fotografata da numerosi fotografi professionali, che generalmente la inquadrano da nord-ovest con l’Hotel Meyerhof, costruito nel 1859, in primo piano. Rispetto ad Adolphe Braun di Dormach, che la fotografa negli anni Sessanta, la foto di Arthur Gabler[53] di Interlaken, quasi coeva al soggiorno di Verga, registra il primo ampliamento dell’hotel, la terrazza sovrastante la veranda che corre lungo tutto il prospetto meridionale volta verso il centro abitato e perimetrata da una ringhiera in ferro (fig. 4).
È probabile che il triplice cambio di stanza richiesto dal Verga al suo arrivo («sono stato occupato a fare e disfare la valigia, e ho cambiato tre stanze prima di finire in questa ch’è la meno peggio») fosse fondamentalmente mirato a poter usufruire dell’affaccio su questa terrazza: da qui infatti vengono scattate le prime due foto (figg. 5 e 6) che inquadrano il borgo, con la torre medievale e la chiesa tardobarocca, in due varianti di esposizione, ma sempre con un primo piano, diagonale nella prima e parallelo nella seconda: il bordo della ringhiera, che stacca la veduta e al tempo stesso la rende tangibile, coinvolgendo l’osservatore. Successivamente ripete altre due volte la stessa inquadratura, con cambi di esposizione e di punto di osservazione, dal basso, oltre il primo piano della palizzata di recinzione dell’albergo con il suo spoglio alberello (fig. 7) prima e poi avanzando sul sentiero per portare in primo piano, fino al margine dell’inquadratura, lo spumeggiare del ruscello (fig. 8).
Le iterazioni dei soggetti con varianti in Verga attengono non soltanto alla ricerca di inquadrature più rispondenti all’immagine che cerca, ma anche, come si nota in questo caso e in altre foto più avanti, alla resa più contrastata di luci e ombre e meno sensibile ai mezzi toni del nuovo apparecchio rispetto a quello a lastre. Lo aveva notato subito lui stesso, infatti, nella sua lettera di ringraziamento a Pascarella: «le prime prove che ne ho tirate, ancora scialbe o troppo cotte […] la macchina […] per prima cosa, ha bisogno di gran luce per le istantanee, e che tutte le parti ritratte siano in piena luce, se no le parti in ombra vengono nere».
Vedremo più avanti che i due monumenti che caratterizzano il profilo del piccolo centro non lo interesseranno affatto, al pari della struttura, anch’essa tardobarocca, della Gasthaus St. Gotthard, cui passa davanti quando, dirigendosi verso il centro, fa la prima deviazione per riprendere l’antico ponte sul Gotthardreuss (fig. 9), tema privilegiato nelle incisioni ottocentesche del sito, animando di diagonali la sua composizione.
Poco oltre, come ci conferma la foto edita prima che il contesto venisse trasformato (fig. 10)[54], ferma la sua attenzione su uno slargo a destra con due antiche case in legno e pietra davanti alle quali passa una contadina (fig. 11). Ma non lo interessano né la chiesa, che il fotografo professionale ha inquadrato sul fondo, né la stessa contadina; avanza infatti di un po’ ed inquadra anche, in scorcio, la seconda casa (fig. 12), con un angolo ‘vissuto’ dell’altra in primo piano a sinistra. Del borgo ricostruito dopo l’incendio del 1669 lo incuriosisce soprattutto la variegata struttura delle abitazioni più antiche che individua con sicurezza per le fondazioni e la prima elevazione in pietra, forse ricercando la più antica del villaggio, la Steinhaus, costruita nel 1591 e segnalata dalle guide coeve in prossimità della chiesa. Sono gli anni in cui Verga, amico di Pitrè, è attento nel riprodurre, nei materiali che fornisce per la messa in scena delle sue opere, un’ambientazione ‘arcaica’ del mondo rurale che non corrisponde alle foto dei suoi contadini e dei suoi luoghi che ritroviamo nelle sue fotografie. Ed è anche il periodo (1885-1900) in cui Jakob Hunziker si aggira in queste valli per la sua imponente campagna fotografica sistematica, ora conservata nello Staatsarchiv del Cantone Aargau, per la pubblicazione in otto volumi dei suoi studi sulla casa tradizionale svizzera.[55]
Verga appare piuttosto interessato solo ad alcune peculiarità di questo tessuto urbano. Lo conferma poco più avanti quando, giunto nella piazzetta antistante allo storico Hotel du Lion, uno dei più famosi della valle di Urseren,[56] ‘salta’ sia la caratteristica fontana che la struttura classicheggiante dell’albergo, ricostruito da appena un decennio e oggetto prevalente di riprese fotografiche tra le più diffuse e commercializzate di Hospental.
Lasciando al margine il prospetto occidentale dell’albergo che si intravede a sinistra, inquadra ancora al centro una casa in legno e l’incurvarsi lungo la strada delle abitazioni seguenti (fig. 13), individuabile per confronto con fotografie coeve (fig. 14). Poi, rigirandosi verso nord, coglie lo scorcio opposto con a destra lo stesso prospetto (fig. 15) riconoscibile per analogo confronto (fig. 16).[57] Avanza quindi verso la torre a sud, ma, giunto in prossimità, inquadra ancora da vicino due case (fig. 17): a sinistra in scorcio, oltre la palizzata del giardinetto, la Müller Haus, costruita nel 1687 per un esponente del patriziato locale e in fondo, al centro, una casa articolata da due ali laterali, riprodotte in una foto di poco posteriore (fig. 18)[58] antecedente alla trasformazione in albergo di quest’ultima; ma lascia che della fortificazione medievale si intravveda soltanto il basamento roccioso sullo sfondo.
Non prosegue verso la cosiddetta torre ‘longobarda’ eponima né verso la cappella di San Carlo, opera dello stesso Schmid; piuttosto, seguendo il corso del Gotthardreuss, si avvicina a fotografare lo scorrere del ruscello fra le rocce, che avanza in diagonale fino al primo piano contro una quinta animata di case ‘moderne’, liberamente disposte a ridosso di una parete rocciosa (fig. 19); ridiscendendo lungo la sponda del ruscello inquadra poi piuttosto rapidamente ancora una casa ‘moderna’ in muratura sulla sponda opposta (fig. 20), che, in forme essenziali, rivisita la tradizione architettonica svizzera secondo le linee emerse nella recente Esposizione Nazionale di Ginevra, ancora esistente e che si vede a sinistra in una foto coeva di Arthur Gabler (fig. 21).
«Il paesetto, di una ventina di case circa, e Andermatt qui vicino, li conosco già come le mie tasche, e li ho fotografati in tutte le loro posizioni», scrive Verga nella già citata lettera del 10 agosto e questo ci dà ulteriore certezza della paternità di queste foto, ma anche della percentuale delle perdite, che va valutata nel giudicare le selezioni del suo percorso. Anche se la sequenza di questa escursione fotografica, per quanto presumibilmente lacunosa, impone di ripensare il modo in cui lo scrittore percorre i luoghi che visita e si rivolge alla fotografia.
Perdute, o forse più verisimilmente disperse nel mercato antiquario, sono le foto che dichiara di aver fatto ad Andermatt; come pure quelle delle sue entusiaste escursioni, anche fotografiche («ho fatto parecchie fotografie»), nella valle e sui percorsi alpini, «da Andermatt ad Oberalp», che aveva raccontato a Paolina.
Una paziente ricerca di confronti ci consente tuttavia di individuarne traccia in quattro stampe, in qualche caso non del tutto leggibili.
Inquadra infatti uno slargo della via principale di Andermatt, in prossimità del punto di fermata della Furkapost, cuore animato del piccolo borgo, una foto (fig.22) ripresa dal ponte sul Furkareuss, ampiamente confrontabile con coeve immagini adoperate per una serie di cartoline colorate e ‘animate’ (fig. 23)[59], che riproducono da varie angolature questo gruppo di case. E tuttavia, non a caso, come già ad Hospental, a differenza della folla animata che Karl Häberlin aveva raffigurato nell’incisione del libro di Kaden[60], egli sceglie un momento in cui il contesto fotografato è privo di frequentatori.
Avviandosi sulla nuova strada del Furkapass-Oberalp, completata nel 1866 da Hospental ad Oberwald e nel 1895 collegata al Grimsel, nel tratto che, dopo Realp, si incunea con i primi tornanti lungo i fianchi della montagna, scoscesi verso il Realpereuss, riconoscibili in una foto più recente (fig. 24), ne inquadra uno scorcio, con, in remota lontananza, una coppia di escursionisti che la percorre e, sul fondo, appena leggibile, il ghiacciaio del Rodano (fig. 25).
Nelle sue escursioni montane, di cui tanto parla agli amici nelle lettere, egli non menziona uno dei siti più noti e rappresentati di questo contesto alpino, il mitico Teufelsbrücke,[61] che verosimilmente raggiunge nei giorni successivi: qui ferma la sua attenzione sullo spumeggiare tumultuoso della Reuss ripreso dal ponte con uno scatto (fig. 26) individuabile per confronto con varie fotografie coeve, come quella di Arthur Gabler del 1889, ma soprattutto, per la coincidenza dei dettagli, con quella desunta dall’album coevo di un viaggiatore francese (fig. 27).
Il fascino, tutto svizzero, dell’incrocio di ardimenti ingegneristici con le sommità alpine lo ha portato nelle gole delle Schöllenen, dove inquadra un tratto dei complessi tornati prossimo alla galleria stradale (fig. 28): poco leggibile, questo scatto si individua per confronto con una veduta d’insieme di James Buchanan Aurig eseguita nel 1892 per il famoso studio fotografico Römmler & Jonas di Dresda (fig. 29).[62]
Le ultime due foto sono fondamentali per aspetti ulteriori di questa ricerca – che per motivi di spazio esporremo in un successivo momento –, in quanto si collegano a molte delle foto ‘svizzere’ di Verga determinandone una radicale revisione cronologica e identificativa. Documentano infatti l’inizio della seconda parte di questa prima vacanza svizzera dello scrittore, il trasferimento, il 14 agosto, a Kaltbad, sul Rigi, annunziato e poi confermato nelle lettere.
La prima (fig. 30), attraverso una lunga analisi di confronti, ci riporta già al suo soggiorno nell’Hotel Katbad-Rigi in cui Verga, dopo la solitudine di Hospental, va ad immergersi nella vita mondana («Qui invece la lanterna magica di tutto il mondo vi passa sotto gli occhi e vi distrae»). La sequenza di terrazze digradanti e l’articolazione di strutture alberghiere contigue che caratterizzano il sito («Ad ogni passo quasi vi è un albergo grandioso …») si vede nelle incisioni della carta intestata che lo scrittore usa per alcune sue lettere (fig. 2) e meglio si individua in una litografia di Johann Conrad Steinmann utilizzata dall’editore Heinrich Schumpf di Winterthur per una cartolina colorata tra le più ricercate di quegli anni (fig. 31).[63] Verga fa uno scatto dall’alto, affacciato alla terrazza superiore dell’albergo, e inquadra in fondo a destra l’Hotel Bellevue con il viale ricurvo su cui prospettano varie dependance, e, a sinistra in basso, il terrazzo immediatamente sottostante caratterizzato dalla sagoma mistilinea con un piccolo padiglione circolare nella porzione aggettante.
La seconda foto (fig. 32), scattata in precedenza, il 14 agosto, mostra che, con il presumibile conforto del Reisebegleiter bilingue di cui si conserva una copia nella sua biblioteca[64], Verga ha scelto, per raggiungere Kaltbad, la via più breve, ma anche la più gradevole per lui che sente molto il fascino degli ambiti lacustri ed ama fotografarli dall’acqua. È partito in ferrovia da Hospental, ma, invece di continuare per il più lungo percorso fino ad Arth-Goldau, da Altdorf ha proseguito per Flüelen dove si è imbarcato, percorrendo in battello, su uno dei Salondampfern pieni di turisti che lo attraversavano, un tratto del lago dei Quattro Cantoni fino a Vitznau, da cui risalire il Rigi fino a Kaltbad con la frequentatissima ferrovia a cremagliera.
Per dislocare questa foto precisi confronti infatti ci riportano a Brunnen, al centro della prima insenatura del lago procedendo da Flüelen verso Vitznau, che si staglia sullo sfondo dei Mythen: in particolare vi si identificano, oltre al profilo, contro il cielo, delle due cime del Kleiner e Grosser Mythos, poco leggibili per il già notato eccesso di contrasto che l’apparecchiatura usata produce, a sinistra, l’Hotel Waldstätterhof , inaugurato il 17 luglio 1870 su progetto dell’architetto Johann Meyer, e, a destra, l’Eden, che ancora manca nella foto identificativa di confronto proposta (fig. 33), eseguita dallo studio Charnaux di Ginevra nel 1880; non c’è il Drossel, costruito nel 1900 e non ancora completato nel 1902 con l’aggiunta, due anni dopo, dei torrioncini cupolati.[65] Tutti elementi che costituiscono precisi termini cronologici per questo primo contatto dello scrittore con la navigazione sul Vierwaldstättersee.
Stampe amatoriali su carta aristotipica coeve e molto vicine a quelle del nostro, circolanti sul mercato antiquario (fig. 34), lasciano sperare di poter individuare in futuro altri momenti della campagna fotografica verghiana nella valle dell’Orsera e oltre.
Di quest’ultima stampa fotografica verghiana, a differenza delle altre, inserisco qui non la riproduzione monocroma che venne esposta alla mostra promossa dall’editore Maimone nel ‘92, ma una di quelle a colori che mi fu concesso di eseguire personalmente in quella occasione dal proprietario prof. Garra Agosta. E ciò non solo per restituirne l’originaria gamma cromatica, ma perché è la prova che Verga, pur se dilettante, stampava le sue foto dal rullo intero o comunque da sezioni di rullo; ciò ci consente, per l’esatta sovrapponibilità del residuo del fotogramma precedente al margine destro della foto dei tornanti delle Schöllenen, di confermare la sequenza; ma ci dice anche che, pertanto, è postuma, e forse recente, l’operazione ‘barbarica’ che ha ritagliato i singoli fotogrammi dei negativi verghiani su pellicola, utilizzando, come si vede nelle riproduzioni pubblicate, due tratti di nastro adesivo trasparente per appianarli per la stampa.[66]
Contribuendo così a quella confusione, e dispersione, delle riprese su pellicola, per ricostruire le cui sequenze – se si vuole andare oltre la valutazione ‘artistica’ di singole foto dello scrittore e studiare invece il modo in cui il suo sguardo percorre i luoghi e le cose –, non rimane che un lungo e paziente lavoro filologico.
1 G. Verga, Lettera a Cesare Pascarella, Catania 24 giugno 1897, in L. Jannuzzi, ‘A proposito di due lettere inedite del Verga fotografo’, Critica letteraria, 50, 1986, fasc. 1, pp. 55-60, ristampato con qualche variante in Ead., L’opera di Verga e altri studi di critica letteraria, Avellino, Edizioni di Sinestesie, 2014, pp. 51-57
2 Cfr. G. Verga, Lettera a Cesare Pascarella, Villa Tebidi Vizzini 7 maggio 1897, ibidem, con la quale egli ringrazia del dono ricevuto. La pellicola 102 su cui risultano eseguiti gli scatti verghiani, notoriamente creata dalla Eastman per questo specifico modello di Kodak, ne consente l’individuazione. Sono state, e vengono ancora di recente variamente e fantasiosamente declinate, nonostante il definitivo chiarimento precedentemente citato, modalità e cronologia dell’acquisizione di questa, ma anche di altre apparecchiature fotografiche, per cui cfr. C. Guastella, ‘Como e il suo territorio nelle fotografie di Giovanni Verga’, in G. Guarisco con T. Bella, M. Leoni, D. Mirandola (a cura di), Fernard De Dartein e l’architettura romanica comasca. Viaggio in un archivio inesplorato, Ariccia, Ermes, 2015, pp. 369-394, alle pp. 373-374 e 383-384.
3 Cfr. infra, nota 17 e ivi, pp. 373-374.
4 G. Garra Agosta, Verga Fotografo, Catania, Giuseppe Maimone editore, 1989 (prima edizione con successive ristampe), alla cui numerazione, preceduta dalla sigla VF, facciamo qui riferimento per la menzione delle foto verghiane.
5 G. Raya, Carteggio Verga-Capuana, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1984, passim e soprattutto fino agli anni ’80.
6 Biblioteca Regionale di Catania, U.M.S., Verga 040, Rubriche e quaderni di spesa 1872-1892, f. 70, 6 ottobre 1891.
7 A. Leibovitz, A. Fuller, Annie Leibovitz. Portraits 2005-2016, London - New York, Phaidon Press, 2017, dove passim si coglie questa ‘trasgressione’ dialettica del fondale e della sua negazione/presenza.
8 Citata in S.S. Nigro, ‘L’ospite invisibile’, la Repubblica, 21 febbraio 1992, p. 33.
9 Che questo, come peraltro tutti gli scatti allo scrittore inclusi nel catalogo e definiti dall’autore e anche da altri studiosi ‘autoritratti’ non siano tali, lo si desume, fra l’altro, in questo caso, dalla riproduzione che ne fa F. De Roberto, ‘Stato civile della “Cavalleria Rusticana”’, La Lettura, a. XXI, n. 1, 1 gennaio 1921, pp. 1-12, a p. 12, senza specificare, come invece fa per altre foto che riproduce nella serie di quattro articoli di tema verghiano pubblicati nella stessa rivista fra 1921 e 1922, che si tratti di una foto di Giovanni Verga.
10 I. Gambacorti, ‘Ritratti verghiani’, in A. Dolfi (a cura di), Letteratura & Fotografia, Roma, Bulzoni, 2007, pp. 143-187.
11 G. Verga, Lettera a Dina di Sordevolo, Catania 23 novembre 1900, in G. Verga, Lettere d’amore, a cura di G. Raya, Roma, Tindalo, 1971, n. 56, pp. 64-66. Qui e in avanti nelle citazioni delle lettere la sottolineatura riportata nel testo è dello scrittore.
12 G. Garra Agosta, La biblioteca di Giovanni Verga. Documentazione inedita di libri cimeli onorificenze fotografie lettere notiziario, Catania, Edizioni Greco, 1977, p. 162; significativo che questo sia l’unico caso in cui egli adopera questo aggettivo, invece del consueto «buona» riservato alle foto di cui è soddisfatto.
13 Così, ad esempio, variamente, ed anche da ultimo, G. Sorbello, Iconografie veriste. Percorsi tra immagine e scrittura in Verga, Capuana e Pirandello, Acireale-Roma, Bonanno, 2012, in particolare alle pp. 24-27.
14 G. Garra Agosta, La biblioteca di Giovanni Verga, p. 193, citato anche da I. Gambacorti, ‘Ritratti verghiani’, p. 155, n. 36, che viene indotta dal successivo silenzio dello stesso ad ipotizzare che siano andate perdute. Le dimensioni dei negativi a pellicola (rulli 102 a fotogrammi 37x50) sono imprecise e reciprocamente contraddittorie nei due testi del Garra.
15 Giovanni Verga fotografo. Lo sguardo di uno scrittore sul mondo. Cinquecento immagini della collezione Garra Agosta, a cura di C. Guastella con la collaborazione di L. Mirone, (Catania, Facoltà di Lettere, Monastero dei Benedettini, 19 giugno - 19 luglio 1992). Cfr. G. Giarrizzo, ‘La posa naturale. La mostra sulle fotografie di Giovanni Verga al Monastero dei Benedettini di Catania’, La Sicilia, 23 giugno 1992, p. 27. Mi avvalgo in questa sede delle riproduzioni personali, a colori, cui mi ha autorizzato il detentore delle opere prof. Giovanni Garra Agosta, oggi scomparso, e delle riproduzioni monocrome esposte alla mostra cui mi ha autorizzato l’editore e co-promotore della medesima Giuseppe Maimone; ad entrambi vanno i miei ringraziamenti.
16 Nell’impossibilità di allegare, in questa sede, un regesto documentario e analizzare partitamente i dati, si indicano il fondo e, cumulativamente, le date e le relative pagine, che recano una numerazione distinta fronte e retro: Biblioteca Regionale di Catania, U.M.S., Verga 040, Rubriche e quaderni di spesa 1872-1892, marzo-ottobre 1892, ff. 97-137.
17 G. Verga, Lettera a Paolina Greppi, Milano 20 settembre 1892, in G. Garra Agosta, Verga innamorato. Le lettere inedite di Giovanni Verga a Paolina Greppi Lester, Catania, Edizioni Greco, 1980, n. CLXXX, pp. 265-266 e G. Verga, Lettere a Paolina, a cura di G. Raya, Roma, Fermenti, 1980, n. 181, pp. 186-188. Per il contesto e la corretta datazione di queste foto si rinvia a C. Guastella, ‘Como e il suo territorio nelle fotografie di Giovanni Verga’, pp. 378-379.
18 Cfr. supra nota 11.
19 Dalle due lettere a Pascarella, da Tebidi il 7 maggio e da Catania il 24 giugno 1897 per cui cfr. supra note 1 e 2.
20 S. Lopez, Lettera a Federico De Roberto, Catania 28 maggio 1897, in G. Lopez, ‘Sabatino Lopez e il teatro siciliano’, Memorie e Rendiconti dell’Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici, Acireale, s. II, vol. LX, 1979, pp. 335-336.
21 G. Verga, Lettera al fratello Mario, Catania 14 maggio 1897, in G. Verga, Lettere ai fratelli (1883-1920), a cura di G. Savoca, A. Di Silvestro, Catania, Fondazione Verga Euno Edizioni, 2016, n. CCXX, pp. 513-514.
22 D. De Roberto, Lettera al fratello Federico De Roberto, Catania 13 giugno 1897, in F. De Roberto, Lettere a donna Marianna degli Asmundo, a cura di S. Zappulla Muscarà, Catania, Tringale, 1978, pp. 97-98 nota 4.
23 La problematicità di questo gruppo di negativi, cui appartengono alcune delle foto più belle del catalogo verghiano, e dell’identificazione dell’apparecchiatura cui afferiscono non può risolversi, come abbiamo dimostrato alle pp. 373-374 del saggio citato supra alla nota 2, con la proposta di R. Mutti (a cura di), Giovanni Verga scrittore fotografo, catalogo della mostra, – Milano, Arengario 7-26 settembre 2004 –, Novara, De Agostini, 2004 che ritiene il modello della Express Murer di Verga in grado di funzionare con due diversi formati di lastre. Né, per quanto riguarda la cronologia del secondo gruppo, appare convincente la proposta di I. Gambacorti, Ritratti verghiani, p.165 di arretrarne la datazione al 1897.
24 G. Viani D’Ovrano, Lettera a Federico De Roberto, Catania 5 luglio 1897, in G. Lopez, ‘Sabatino Lopez e il teatro siciliano’, p. 339.
25 «Verga […] si imbarcò ier sera a bordo dell’Asia […] Egli sbarcherà a Genova domenica e probabilmente arriverà a Milano domenica sera stessa», ivi, pp. 336, 340.
26 G. Verga, Lettera a Federico de Roberto, [Loverciano 1agosto 1897], in A. Ciaravella (a cura di), Verga, De Roberto, Capuana, catalogo della mostra (Catania, Biblioteca Universitaria, 1955), Catania, Giannotta, 1955, pp. 21-22.
27 G. Finocchiaro Chimirri, Regesto delle lettere a stampa di Giovanni Verga, Catania, Società di Storia Patria per la Sicilia Orientale, 1977.
28 A. Di Silvestro, ‘Noterella ecdotica sul Verga innamorato. Le lettere a Paolina Greppi’, in Id., In forma di lettera. La scrittura epistolare di Verga tra filologia e critica, Acireale-Roma, Bonanno Editore, 2012, pp. 189-197.
29 G. Verga, Lettera a Paolina Greppi, Rigi-Klösterli, 6 agosto s.a., ma 1897 in G. Garra Agosta, Verga innamorato, n. CXCVIII, p. 293.
30 G. Verga, Lettera a Paolina Greppi, Rigi-Klösterli, 6 agosto s.a., ma 1902 in G. Verga, Lettere a Paolina, a cura di G. Raya, Roma, Fermenti, 1980, n. 201, pp. 210-211.
31 G. Verga, Lettere d’amore, a cura di G. Raya, Roma, Tindalo, 1970, nn. 161-163, pp. 131-134.
32 G. Verga, Lettera a Paolina Greppi, Hospenthal 10 agosto 1897, in G. Garra Agosta, Verga innamorato, n. CXCIX, p. 294 e G. Verga, Lettere a Paolina, n. 199, pp. 208-209.
33 Aste Bolaffi. Libri rari e autografi. Milano, 14 dicembre 2016, Catalogo, Milano 2016, n. 784, p. 126.
34 G. Verga, Lettera a Bianca Giacosa Ruffini, Hospenthal Hotel Mejerhof (sic), 12 agosto 1897, in G. Finocchiaro Chimirri, Postille a Verga. Lettere e documenti inediti con XII tavole inedite di Verga fotografo, 2° ediz. accresciuta, Roma, Bulzoni, 1977, n. XXXII, pp. 137-138.
35 G. Verga, Lettera a Luigi Capuana, Hospenthal Hotel Meyerhof 13 agosto 1893, in G. Raya, Carteggio Verga Capuana, n. 407, pp. 354-355, riscontrata personalmente sull’originale, conservato presso la Biblioteca Regionale di Catania, cat. 001/1037.
36 G. Verga, Lettera a Emilio Treves, Bormio 20 agosto 1893, in G. Raya, Verga e i Treves, Roma, Herder, 1986, n. 202, pp. 138-139.
37 Cfr. C. Guastella, ‘Como e il suo territorio nelle fotografie di Giovanni Verga’, pp. 379-383, figg. 12-20.
38 Cfr. supra, nota 35.
39 Dal riscontro diretto sull’originale, conservato presso la Biblioteca Regionale di Catania, cat. 001/840, questa lettura, di Raya, del toponimo appare più convincente rispetto all’irricevibile «Chelrago» proposto dal Garra Agosta.
40 Cfr. supra nota 32.
41 G. Verga, Lettera a Federico De Roberto, Hospenthal 13 agosto 1897, in S. Zappulla Muscarà (a cura di), ‘Lettere inedite’, Galleria, XXXI, 1-4 (numero speciale dedicato a Federico De Roberto), 1981, n. 6, p. 6.
42 G. Verga, Lettera a Paolina Greppi, Kaltbad Hotel & Pension Rigi-Kaltbad, 16 agosto s.a. ma 1897 in G. Garra Agosta, Verga innamorato, n. CC, p. 295 e 1902 in G. RAYA, Lettere a Paolina, n. 202, pp. 211-212.
43 A seguito di riscontro diretto sul manoscritto proponiamo questa lettura per il termine che Garra Agosta, ibidem, legge «Gavino» e Raya, ibidem, legge «Gais». Goldau, o meglio Arth-Goldau, a valle del Rigi, era, come ancora oggi, la stazione di collegamento con i percorsi ferroviari internazionali.
44 Bolaffi Aste Ambassador. Libri antichi e autografi. Milano, 29 marzo 2012. Catalogo, Milano 2012, p. 78.
45 Per le vicende, il fascino e il senso simbolico che il Gottardo e la sua ferrovia ebbero nel tardo Ottocento, nonché la sua fortuna iconografica e letteraria, rinviamo al bel libro di J. Schüler, Materialising Identity: The Co-construction of the Gotthard Railway and Swiss National Identity, Amsterdam, Aksant Academic Publishers, 2008.
46 Proprio nel 1897 i passeggeri della linea del Gottardo raggiungono i 2 milioni cfr. ivi, capitolo sesto, Travelling the Gotthard, p. 83.
47 Th. Brunner, Hospental am Gotthardpass, Bern, Gesellschaft für Schweizerische Kunstgeschichte, 2003.
48 L’apertura di strade carrozzabili sui passi alpini nella prima metà del secolo, nel 1830 la Gotthardstrasse e nel 1866 quella per il Furka e Oberalp, conferendo ad Hospental la funzione di punto di sosta delle diligenze, nonché di stazione postale e doganale, aveva segnato l’incremento anche turistico del piccolo centro, bruscamente interrotto nel 1882 dall’apertura della linea ferroviaria del San Gottardo.
49 Per una prima analisi di questi aspetti delle letture del Verga si rinvia a C. Guastella, ‘Como’, p. 371 e passim.
50 Cfr. C. Lanza, S. Giarratana, C. Reitano (a cura di), La biblioteca di Giovanni Verga. Catalogo, Catania, Assessorato Regionale dei Beni Culturali e Ambientali e della P.I., 1985, p. 416.
51 W. Kaden, Die Gotthardbahn und ihr Gebiet, Luzern, C.F. Prell, 1883, pubblicato nello stesso anno anche in traduzione italiana: La ferrovia del Gottardo e i suoi dintorni dall’editore Salvioni C. di Bellinzona. Sui rapporti di Verga con Kaden, apertisi dieci anni prima con una polemica poi risolta per sue traduzioni non autorizzate, cfr. G. Finocchiaro Chimirri, Postille a Verga, pp. 83-84 e 99-105.
52 W. Kaden, La Svizzera. Descritta da Voldemaro Kaden. Illustrata da 446 incisioni di Alessandro Calame, Arturo Kalame e altri celebri artisti, seconda edizione, Milano, Treves, 1891 cfr. C. Lanza, S. Giarratana, C. Reitano (a cura di), La biblioteca di Giovanni Verga. Catalogo, p. 236.
53 Arthur (1867-1927) succede al padre nella gestione del prestigioso studio fotografico e nella edizione di cartoline. Il negativo con la veduta di Hospental, su pellicola piana 10x15, si conserva nel Büro für Fotografiegeschichte di Berna (inv. n. 1293) ed è databile agli inizi dell’ultimo decennio del sec. XIX. Ne vennero desunte varie cartoline, anche colorate con il procedimento Autochrom di Louis Laser di Leipzig, come quella edita con il n. 2061 dalla Verlag Gebrüder Wehrli di Zurigo, di cui un esemplare si conserva in collezione privata a Catania.
54 Utilizzata intorno al 1930 dagli editori Beringer&Pampaluchi di Zurigo per la cartolina n. 2475.
55 J. Hunziger, Das Schweizerhaus, nach seinen landschaftlichen Formen und seiner geschichtlichen Entwicklung dargestellt, voll. I-VIII, Aarau, Sauerländer, 1900-1914.
56 Cfr. Th. Brunner, Uri IV. Oberes Reusstal und Ursen, Bern, Geselleschaft für schweizerische Kunstgeschichte, 2008.
57 Foto utilizzate dall’editore C.P.N. – Comptoir de Phototypie de Neuchâtel per le cartoline nn. 5542 e 5575 in uso alla fine del secolo.
58 Utilizzata qualche anno dopo dall’editore Fr. Beeler di Brunnen per la cartolina n. 1386.
59 Fra cui quella riprodotta, databile al 1905, n. 7206 dell‘editore PVK- Postkarten Verlag Künzli di Zurigo.
60 K. Häberlin, Vor der Post in Andermatt, incisione a p. 20 di W. Kaden, Das Schweizerland. Eine Sommerfahrt durch Gebirg und Thal, Stuttgart, Verlag von I. Engelborn, s. d. [1877], di cui Verga, cfr. supra, possedeva la versione italiana.
61 G. Ghiringelli, Il Ponte del diavolo nelle vecchie stampe, Bellinzona, Edizioni Casagrande, 2007.
62 Commercializzata anche con il n. 3799 dall’editore Schroeder & Co. di Zurigo e ripetuta da altri fotografi come quella, del 1934, pubblicata in A. Wyss-Niederer, Sankt Gotthard Via Helvetica, Lausanne, Ovaphil, 1979, fig. 27, in cui il dettaglio ripreso dal Verga, con la galleria stradale, si individua nella parte destra in fondo.
63 La litografia colorata del prolifico pittore e grafico svizzero Johann Conrad Steinmann (Neftenbach, 1866-Affoltern am Albis, 1933), inserita nella serie Vierwaldstättersee delle Schweizer Kunstler Postkarten dal litografo editore Heinrich Schumpf di Winterthur col n. 2163, sul finire del secolo XIX era una delle cartoline più ricercate e pregevoli relative al più prestigioso albergo del Rigi.
64 Il bilingue Reisebegleiter für die Schweiz, Zürich, Verlag F. Amberger vorm. D. Bürkli, 1904 e lo Horaire des chemins de fer suisses …Postes et bateaux à vapeur, Bienne, C. Schweizer, 1901, sono supporti annuali al viaggio che lo scrittore aggiornava ad ogni partenza e di cui rimangono nella sua biblioteca queste ultime edizioni acquisite, cfr. C. Lanza, S. Giarratana, C. Reitano (a cura di), La biblioteca di Giovanni Verga. Catalogo, pp. 215 e 223.
65 Cfr. R. Flückinger-Seiler, Hotel Träume. Zwischen Gletschern und Palmen, Baden, Hier+Jetz, Verlag für Kultur und Geschichte, 2001, pp. 139-148 e passim.
66 Deliberatamente, dati i ripetuti danneggiamenti che il maneggio dei negativi e delle stampe originali per motivi di studio o di riproduzione ha comportato nel tempo, abbiamo ritenuto in questa sede di avvalerci soltanto di riproduzioni già esistenti, per sottolineare l’urgenza di un restauro e di una adeguata conservazione dei materiali fotografici verghiani, nonché l’auspicio di una loro acquisizione da parte di un ente pubblico. Le foto di Verga qui riprodotte si conservano nella collezione Garra Agosta di Catania; le immagini di confronto, ove non altrimenti specificato, in altra collezione privata catanese.