1.1. Out of this world

di

     
Categorie



La cosa a cui l’uomo ha più diritto è la vacanza, l’evasione, la sparizione, la solitudine.

P. P. Pasolini, Petrolio

 

 

1. Accattone è all’osteria con i suoi amici magnaccia, ubriaco fradicio. Si sente male, si abbatte sul tavolo e il Napoletano, che è accanto, gli solleva la testa per i capelli e lo guarda: ma lui, pallido come un morto, non lo sente perchè ha un mancamento, uno «sturbo» che gli fa chiudere gli occhi e impedisce ogni comunicazione.

2. Franco Citti con gli occhi chiusi e la testa inclinata, come la Santa Teresa di Bernini nella chiesa romana di Santa Maria della Vittoria, evoca precisamente un’esperienza di estasi: il suo malore lo proietta fuori dal mondo, lo solleva da terra come la levitazione di Emilia in Teorema. Non a caso, allora, la sequenza dell’osteria si conclude proprio a questo punto con un taglio netto: il Napoletano lascia ricadere la testa di Accattone e la narrazione riprende subito dopo, con il protagonista che beve a una fontanella tornando sotto il sole alla sua «bicocca».

L’estasi è un’esperienza comune a molti personaggi pasoliniani, che escono così dall’universo degli uomini per incontrare l’intensità, la profondità e la verità. Il fatto che questi momenti estatici, per definizione transitori e non ripetibili, coincidano spesso con la sfera del basso corporeo (l’ubriachezza in Accattone, il sesso in Teorema o in Petrolio) non sottrae loro l’aureola dell’eccezionalità e anzi ne accentua il carattere rivelatore. Gli occhi che non vedono di Accattone sono gli stessi di Edipo in Edipo re (ancora Franco Citti) e diventano l’immagine stessa di uno sguardo che scavalca il presente, proiettandosi all’interno e sprofondando in un’altra dimensione: il «paradiso interiore» del divino, del sogno o del futuro.

Propriamente estatico è anche lo sguardo di Pasolini quando scrive e possiamo dire di lui ciò che egli stesso diceva di Carlo Betocchi: «ogni suo rapimento sensuale e perfino, indirettamente, impuro trae significato e si sdoppia in un rapimento di forma mistica, il suo desiderio di umiliazione di fronte alle ‘cose’ trova naturale e complementare equivalente nel desiderio di glorificarle». La confessione affidata alla più bella poesia di Trasumanar e organizzar, Versi del testamento, rappresenta con efficacia la dinamica di questa scrittura: un occhio in perenne movimento che percorre un «deserto» in «solitudine», mentre il mondo è «lontano», sostituito da un paesaggio «disumano», quasi astratto e depurato dalla «ripetizione» del «rito» sessuale fino a trasformarsi nell’archetipico apparire e scomparire di «una forma che muta». I sottoproletari pasoliniani sono allora sognati, come i paesaggi edenici del Friuli, le desolate periferie di Roma, i colorati deserti dell’Africa: uomini e spazi visti con un occhio interno, con gli occhi chiusi (appunto) di un soggetto visionario.

3. Che Pasolini non sia realista o (ancor meno) neorealista è dimostrato dal suo cinema, mai semplice registrazione o pura ricostruzione ma sempre «cinema di poesia», all’insegna della «libertà stilistica»: eccellente etichetta per delle immagini non riprodotte dall’esterno ma prodotte dall’interno, sognate appunto. Del resto la teoria pasoliniana del cinema come «lingua scritta della realtà» ha una carica fortissima di empatia ovvero di identificazione mistica con quella che Pasolini chiama la «realtà immaginata» (sotto il segno dello «scorrimento» e del flusso): poiché «solo nell’immaginazione si realizza sensorialmente [...] quell’astrazione che è il cinema».

Ma è anche la letteratura di Pasolini ad evocare l’astrazione, ovvero un ostinato processo di separazione dal mondo che paradossalmente lo ricrea come visione mistica, in modalità ‘estatica’. Basta pensare al suo stile provocatoriamente artificioso e (come si diceva una volta) manierista, alle descrizioni di Ragazzi di vita e ai paesaggi delle Ceneri di Gramsci, arabescati e miniati fino a perdere di vista ogni esigenza comunicativa. Basta pensare al suo impiego del dialetto friulano nella Poesie a Casarsa: una sorta di codice crittografico, assunto religiosamente non in grazia dei temi liturgici ma come linguaggio dell’al di là, in grado di giungere ad una rivelazione ultima del creato e delle creature. C’è sempre nella scrittura pasoliniana, dietro una cortina fitta e raffinatissima di parole, un richiamo al silenzio, al momento in cui la parola viene meno e si apre ad uno stupore infinito, come lo spazio abitato che si trasforma in smisurato deserto («eppure nessuno parlava», scandiscono i protagonisti di Orgia). Lo straordinario e nativo potere mimetico dei versi di Pasolini si accompagna allora, fin dall’inizio, alla necessità di un loro superamento e si spiega così la sua incessante esplorazione dei generi e dei mezzi espressivi, alla ricerca di un’esperienza finale che li inglobi e permetta (per così dire) di ‘vederli’ tutti simultaneamente, come nel famoso Zahir di borgesiana memoria.

4. Franco Citti nell’immagine di Accattone è anche una figura di Cristo deposto e non c’è bisogno di insistere sulla trama di citazioni, allusioni e riscritture cristologiche nel cinema di Pasolini fino al Vangelo secondo San Matteo. L’imitazione di Cristo, del resto, è motivo costante nella letteratura pasoliniana ed è legato al tema della santità, poiché solo il santo può separarsi dal mondo e comunicare con la realtà divina: i ragazzi friulani e i sottoproletari delle periferie romane, come Stracci nella Ricotta, possiedono questa santità che appartiene al corpo perché solo nel corpo è la via che conduce fuori dal mondo: la comunicazione profonda con la verità è infatti nel gesto o nella voce, non nella parola (ancora Orgia: «nessuno in quel mondo aveva qualcosa da dire / a un altro: eppure era tutto un risuonare di voci»). È innanzitutto la sessualità a rappresentare la via maestra dell’ascesi e dello sprofondamento mistico, sul filo della rivelazione e insieme della morte, conferendo all’omoerotismo pasoliniano la sua paradossale aureola metafisica e insieme collegandolo a un vero e proprio annullamento del soggetto nell’infinito cosmico. Le dichiarazioni in questo senso sono innumerevoli, ma la più esplicita si legge in Petrolio: «Chi è posseduto perde la coscienza della forma del pene, della sua compiutezza limitata, e lo sente come un mezzo infinito e informe, attraverso cui Qualcosa o Qualcuno si impadronisce di lui, lo riduce a possesso, a un nulla che non ha altra volontà che quella di perdersi in quella diversa Volontà che lo annulla».

5. Questa drastica spersonalizzazione corrisponde, sul piano espressivo, a una progressiva spersonalizzazione della voce dello scrittore che è ben percepibile nella fase finale della sua carriera. Pasolini continua a fare poesia e prosa sulla propria esperienza individuale, ma raggelandola, prosciugando ogni partecipazione emotiva e distanziandosi vertiginosamente. È lo stile, al cinema, di Salò ed è quello di molti versi volutamente ‘brutti’ degli ultimi anni. È soprattutto lo stile degli interventi su temi d’attualità, sociologici e antropologici, affidati ai giornali e definiti «corsari» dall’autore, perché simili alla guerriglia di un piratesco outsider contro la civiltà consumista ma anche perché scritti ‘di corsa’, come proposte concrete estranee ad ogni impegno formale. Proprio la posizione esterna di Pasolini e la provocatoria piattezza denotativa di queste pagine danno alla sua voce il tono asseverativo, monotono e inquietante del profeta: è una parola puramente pratica eppure, nonostante le apparenze, priva di contatto immediato con il presente (di qui l’incomprensione e le polemiche); è una parola fuori da questo mondo, che proprio per questo è in grado di giudicarlo (senza nessuna speranza di cambiarlo) e annunciare il futuro.

6. Ancora Franco Citti in silenzio, con le palpebre abbassate, il capo reclinato e un sorriso che sembra disegnarsi ma non appare. Pasolini ha dedicato il medesimo profilo di estatica, estranea santità ad un’altra attrice a lui cara, Silvana Mangano: «tu sei lontana. Appari dove si crede, si lavora, ci si dà da fare: ma sei dove non si crede, non si lavora, non ci si dà da fare. Richiamata qua da un obbligo che (chissà perché) si ha vivendo, resta la realtà della tua lontananza, come una lastra di vetro fra te e il mondo».

 

Bibliografia

P.P. Pasolini, Poesie a Casarsa, Bologna, Libreria Antiquaria, 1943.

P.P. Pasolini, Le ceneri di Gramsci, Milano, Garzanti, 1957.

P.P. Pasolini, Alì dagli occhi azzurri, Milano, Garzanti, 1965.

P.P. Pasolini, Teorema, Milano, Garzanti, 1968.

P.P. Pasolini, Trasumanar e organizzar, Milano, Garzanti, 1971.

P.P. Pasolini, Empirismo eretico, Milano, Garzanti, 1972.

P.P. Pasolini, Porcile, Orgia, Bestia da stile, Milano, Garzanti, 1979.

P.P. Pasolini, Il Caos, Roma, Editori Riuniti, 1979.

P.P. Pasolini, Il portico della morte, a cura di C. Segre, Roma, Associazione “Fondo Pier Paolo Pasolini”, 1988.

P.P. Pasolini, Petrolio, Torino, Einaudi, 1992.