La Fata è personaggio mutevole, sfuggente, enigmatico. Appare per la prima volta come fantasma, bambina morta dal viso di cera nella casina bianca in mezzo al bosco, per poi rivelarsi potentissima fata nella sua lussuosa dimora dalle pareti di madreperla; ma in seguito perde i suoi fiabeschi orpelli barocchi per divenire una «buona donnina» (Collodi, 2012, p. 145) del popolo, una elegante signora col medaglione, una capretta e un’immagine di sogno. Anche i suoi rapporti di parentela col burattino cambiano nel corso della storia: da spettatrice indifferente di un dramma diventa sorellina, poi mamma di Pinocchio. Non abbiamo neppure notizie certe sulla sua età; sappiamo che abita nelle vicinanze del bosco «da più di mill’anni» (Collodi, 2012, p. 111), ma la incontriamo per la prima volta bambina per poi ritrovarla donna. Ben poco conosciamo del suo ‘vero’ aspetto al di là delle sue trasformazioni e dei suoi travestimenti, se non che è bella e che ha i capelli turchini. Il colore turchino, in effetti, pare l’unico elemento identitario a permanere nelle varie metamorfosi: pure la capretta che osserva dallo scoglio Pinocchio in mare ha il pelame turchino. Più definito, invece, è il suo carattere, per quella tendenza allo scherzo crudele a fini pedagogici che la spinge persino a fingersi morta.
I critici hanno fornito le più diverse interpretazioni di questo personaggio poliedrico, cercando di etichettarlo in vario modo: Signora degli Animali (Manganelli), Signora delle Metamorfosi e Tessitrice dei destini (Citati), o, secondo una lettura teologica, Madonna salvifica (Biffi). Così come diversissime tra loro sono le immagini con cui i numerosi illustratori di Pinocchio l’hanno rappresentata; proprio per la sua vaghezza e la sua contraddittorietà, per i vuoti lasciati nella sua descrizione, la Fata si presta infatti alle più varie raffigurazioni. Cercherò quindi, senza alcuna pretesa di esaustività, di fornire qualche esempio di come gli illustratori abbiano immaginato la Fata, enfatizzandone solo alcune caratteristiche o cercando di farne emergere tutte le sfaccettature, a partire dai ‘figurinai’ che ne hanno delineato la prima fisionomia.
Enrico Mazzanti, il primo a illustrare Pinocchio in volume (1883), predilige una visione naturalistica e rassicurante della Fata, a scapito del magico fiabesco. Nel suo primo ‘ritratto’ della Fata, in apertura del capitolo XVI, essa appare come una fanciulla sorridente, con lunghi capelli e una coroncina di fiori in testa [fig. 1a]. Ma è la versione della popolana, della donna comune, quella che Mazzanti preferisce: delle quattro illustrazioni in cui compare la Fata, due sono dedicate alla «buona donnina», che indossa un lungo vestito e una cuffia in testa [fig. 1b], tenendo le mani sui fianchi, direbbe Pancrazi, come una «serva del Casentino» (Pancrazi, 1923, p. 201). Solo nell’immagine che compare a fianco del frontespizio, in cui sono rappresentati tutti i principali personaggi del romanzo, la Fata si manifesta come entità celeste, soprannaturale, poiché sembra quasi emergere dalle nubi.
Carlo Chiostri (1901), pur senza indulgere smaccatamente al fantastico – nel suo mondo realistico l’intrusione fantastica è semmai rappresentata dal burattino –, introduce comunque una differenza tra il prima e il dopo, tra la fata e la donna comune, con piccoli accorgimenti. Nel palazzo della Fata ci sono un letto a baldacchino con la sponda decorata, segno di lusso [fig. 2a], e una finestra che pare quella di un castello; la Fata, che appare già adulta e non bambina, indossa un lungo abito dalle ampie maniche a sbuffo, con scollo finemente ricamato. A ben guardare, però, si tratta dello stesso abito indossato dalla «buona donnina», soltanto più dimesso, trasandato, anche a causa del grembiulone e delle maniche rimboccate [fig. 2b]. La Fata è spettinata, poco curata, ma ben riconoscibile: il travestimento è minimo, ma efficace.
Ben diverso invece è l’intento di Attilio Mussino (1911), che con le tecniche più varie si diverte a rappresentare la Fata in tutti i suoi travestimenti e atteggiamenti, esaltandone l’estro trasformistico: essa appare morta [fig. 3a], popolana in abito tradizionale [fig. 3b], signora elegantissima al circo, spirito sottile ed evanescente. Fintanto che è Fata, azzurra è non solo la sua chioma, ma tutta la sua persona, a sottolineare la sua natura magica, mentre quando è donna comune conserva quel colore soltanto nei capelli, che possono diventare anche di un più realistico e raffinato nero sfumato di blu. Ma soprattutto, questa Fata ride, ride di gusto, come non aveva mai fatto finora, prendendosi gioco di quel burattino ridicolo [fig. 3c], spesso cinicamente rappresentato con una stolta ed esagerata espressione di sorpresa o sgomento. Nelle immagini di Mazzanti e Chiostri, la Fata sorride, ma non ride; Mussino è dunque il primo a cogliere nel testo di Collodi l’indole beffarda e arguta di questo personaggio.
Nell’edizione illustrata da Luigi e Maria Augusta Cavalieri (1924) si trova invece una Fata fiabesca e principesca, ben lontana dalla sobria semplicità di quella di Mazzanti. Luigi Cavalieri, in una tavola a colori, ci presenta una fata in piena regola, con uno sfarzoso abito a strascico e tanto di cappello a cono decorato di stelle, in un interno dalle pareti dorate in stile gotico che ricorda una chiesa [fig. 4a], mentre Maria Augusta Cavalieri, col suo tratto finissimo e delicato, ci mostra una Fata con in braccio il burattino che pare quasi una Madonna per la sua posa [fig. 4b]. Questa fata-principessa-Madonna, anche quando si trasforma in una donna del popolo dai capelli non più turchini ma bluastri, conserva tuttavia la sua eleganza e la sua grazia principesca. Pure Fiorenzo Faorzi (1934, edizione ampliata del 1937) disegna una Fata regale, dal vestito a strascico con ampie maniche [fig. 5], che mantiene il suo garbo anche in abiti borghesi. Ma la Fata più ‘fatesca’ è quella di Vittorio Accornero (1942), che le fa indossare un cappello a punta culminante in una stella da cui scende un velo dalla lunghezza spropositata. Nelle sue tavole dalle vaste scenografie, Accornero raffigura con dovizia di particolari l'abitazione della Fata, all’esterno palazzetto bianco decorato con vasetti di fiori simmetricamente disposti, e all’interno dimora principesca che si apre a vasti spazi vuoti e geometrici, riconoscibile però dai fiori che si intravedono alle finestre. Giambattista Galizzi (1942) immagina una splendida Fata adolescente dalle treccine azzurre e dal lungo abito bianco che le dona un’aura fantasmatica, abitatrice di un magnifico palazzo con pavimenti in marmo e pareti affrescate, per poi farla diventare una massaia trasandata e quasi vecchia, con un fazzolettone annodato in testa da cui spuntano solo pochi e arruffati ciuffi della capigliatura fantastica. Vsevolode Nicouline (1944), artista russo espatriato in Italia, crea invece una specie di Fata regina delle nevi, con un ampio abito damascato a colori vivaci stretto in vita da un lungo nastro celeste dello stesso colore dei capelli. Una soluzione originale è poi quella di Giuseppe Riccobaldi Del Bava (1956), che solo verso la fine, nel sogno di Pinocchio, fa comparire la Fata nella sua veste tradizionale, dopo averla sempre rappresentata come una ragazza comune.
Per rendere la bellezza e il fascino della Fata, alcuni illustratori l’hanno rappresentata, in quegli stessi decenni, come una specie di diva del cinema. Bernardini (1924), con poche linee stilizzate, la trasforma in una vamp seducente dai capelli vaporosi [fig. 6], collocandola in stanze con baldacchini e colonne tortili nel tentativo un po’ goffo di creare il senso del magico; più credibile, in effetti, è la sua versione della Fata contadina, con le crocchie nei capelli e i grandi zoccoli. Quasi ‘fotografiche’ sono invece le immagini di Alberto Bianchi (1926), che fa della Fata un’attrice più preoccupata della sua posa che del destino di Pinocchio [fig. 7], e di Alessandro Cervellati (1946), che la ritrae in abiti moderni con due primi piani di piccole dimensioni in apertura di capitolo [fig. 8].
Edizioni di riferimento
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrazioni di E. Mazzanti, copia anastatica dell’edizione originale (1883), Firenze, Giunti, 2002.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrazioni di C. Chiostri, Torino, Einaudi, 1973.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrazioni di C. Chiostri, Firenze, Giunti Marzocco, 1981.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrazioni di A. Mussino, Firenze, Giunti Marzocco, 1987.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrazioni di L. e M.A. Cavalieri, Firenze, Salani, 2002.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrazioni di F. Faorzi, Firenze, Salani, 1943.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrazioni di V. Accornero, Milano, Mursia, 1985.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrazioni di G. Galizzi, Torino, sei, 1942.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, illustrazioni di V. Nicouline, Milano, Italgeo, 2009.
C. Collodi, Pinocchio, illustrazioni di G. Riccobaldi, Milano, Gribaudo, 2016.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, illustrazioni di P. Bernardini, introduzione di V. Baldacci, Firenze, Giunti Marzocco, 1981.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, illustrazioni di A. Bianchi e R. Sgrilli, Milano, Bietti, 1949.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio. Storia di un burattino, illustrazioni di A. Cervellati, Bologna, steb, 1946.
Bibliografia
G. Ardinghi, ‘Pinocchio illustrato’, in Omaggio a Pinocchio, «Quaderni della Fondazione Nazionale ‘Carlo Collodi’», 1, 1967, pp. 50-55.
V. Baldacci, A. Rauch, Pinocchio e la sua immagine, Firenze, Giunti, nuova edizione aggiornata con un saggio di A. Faeti, 2006.
G. Biffi, Contro mestro Ciliegia. Commento teologico a “Le avventure di Pinocchio” [1977], Milano, Mondadori, 1998.
M. G. Bollini, M. Pasquali, A. Telmon (a cura di), Nel laboratorio dell’artista. Le carte di Alessandro Cervellati, Bologna, Editrice Compositori, 2014.
P. Citati, Il velo nero, Milano, Rizzoli, 1979.
C. Collodi, Le avventure di Pinocchio, Storia di un burattino, a cura di R. Randaccio, prefazione di M. Vargas Llosa, introduzione di D. Marcheschi, Firenze, Giunti-Edizione Nazionale Carlo Collodi («Edizione Nazionale delle Opere di Carlo Lorenzini», III), 2012.
A. Faeti, Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l’infanzia, Torino, Einaudi, 1972.
A. Faeti, Le figure del mito, in Le figure del mito. Segreti, misteri, visioni, ombre e luci nella letteratura per l’infanzia, prefazione di G. Grilli, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2001, pp. 11-55.
A. Faeti, Specchi e riflessi. Nuove letture per altre immagini, introduzione di G. Grilli, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2005.
G. Manganelli, Pinocchio, un libro parallelo [1977], Milano, Adelphi, 2002.
P. Pallottino, Storia dell’illustrazione italiana, Bologna, Zanichelli, 1988.
P. Pancrazi, Venti uomini, un satiro e un burattino, Firenze, Vallecchi, 1923.
I. Pezzini, P. Fabbri (a cura di), Le avventure di Pinocchio. Tra un linguaggio e l’altro, Roma, Meltemi, 2002.
F. Tempesti, Scheda 7. I primi illustratori di Pinocchio: Enrico Mazzanti e Carlo Chiostri, in C. Collodi, Pinocchio, preceduto da F. Tempesti, Chi era il Collodi. Com’è fatto Pinocchio, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 134-136.
P. Zanotto, L’immagine nel libro per ragazzi. Gli illustratori di Collodi in Italia e nel mondo, Trento, Provincia, 1977.
Si ringrazia il personale della biblioteca dell’Archiginnasio e della biblioteca Sala Borsa Ragazzi di Bologna.