2.1. Pinocchio alla guerra

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 Il cuore di Pinocchio, pubblicato da Bemporad per la prima volta nel 1917 e poi riedito, in forma ampliata, nel 1923, è parte della ricca produzione di letteratura per l’infanzia a tema bellico che si diffuse negli anni del primo conflitto mondiale. Scritto dal nipote di Collodi – così figura l’autore Paolo Lorenzini sulla copertina del libro – e illustrato da Carlo Chiostri, già autore dei disegni dell’edizione del 1901 del Pinocchio maggiore, questa nuova riscrittura a tema delle avventure del burattino di legno si presenta anzitutto come un testo vicino alla produzione propagandistica vera e propria. Invece di puntare su una generica celebrazione della nazione in guerra, Lorenzini sceglie di affrontare un tema di grande presa sull’opinione pubblica, ovvero quello della mutilazione. Quella raccontata, infatti, è la storia di come Pinocchio, ormai bambino in carne e ossa, si trasformi in un congegno fatto di parti meccaniche assemblate a causa delle numerose ferite riportate combattendo al fronte.

Le innovazioni tecnologiche apportate agli armamenti, così come le modalità di combattimento tipiche della guerra di posizione, avevano determinato la comparsa di nuove forme di ferimento e mutilazione, che spesso producevano effetti devastanti – e inediti – sul corpo dei soldati. Il personaggio inventato da Collodi, col suo corpo metamorfico, al confine tra l’umano e il non umano, si prestava bene a illustrare in maniera didascalica uno dei contenuti centrali della pedagogia della nazione in guerra: il corpo del soldato è una materia malleabile sulla quale, in nome della patria, si incidono i segni della violenza subita al fronte e si possono, di conseguenza, compiere manipolazioni. L’idea che il corpo sia duttile, trasformabile e adatto a essere integrato da protesi artificiali è la premessa alla base di questa reincarnazione di Pinocchio.

Le 28 illustrazioni di Carlo Chiostri presentano uno stile perfettamente coerente con quello impiegato nell’edizione di Pinocchio del 1901. D’altra parte, è sulla presunta continuità con il testo matrice che questo libro punta, esibendo anche il nome di Collodi nella copertina [fig. 1]. Ma lo spirito di questo Pinocchio bellico è lontano dall’originale: la dimensione ideologica manifesta del testo, punteggiato di continue manifestazioni di patriottismo e di passaggi didascalici sulle ragioni della guerra, grava l’invenzione e annulla la sostanziale ambivalenza tra pedagogia e adesione al principio di piacere su cui si regge il capolavoro di Collodi. La parola ‘cuore’ all’interno del titolo è un riferimento evidente a una delle pietre angolari della letteratura pedagogica post-unitaria, cioè Cuore di De Amicis, in cui sono già presenti i temi della mutilazione e del sacrificio in nome della patria. Ma, nonostante il didascalismo, Il cuore di Pinocchio conserva alcuni motivi di interesse, proprio perché, con l’intento di far familiarizzare il pubblico di lettori con il dramma della mutilazione, esso sceglie un approccio referenziale alla rappresentazione del corpo ferito. Così, le descrizioni delle lacerazioni che Pinocchio e il personaggio del Bersaglierino riportano al fronte sono sempre improntate a uno stile da referto medico, fatto di elenchi nominali, parole tecnico-scientifiche e riduzione a zero di metafore e similitudini, che invece abbondano nei memoriali usciti dopo la guerra, anche in quelli più critici verso il conflitto. Gli effetti delle prime gravi ferite che Pinocchio riporta in combattimento sono, ad esempio, così descritti:

La tua zampina?! Avevi il femore rotto, la tibia maciullata, la rotula in schegge… febbre a trentanove e mezzo, delirio, minaccia di cancrena gassosa… non potevo aspettare che tu fossi andato al diavolo per chiederti il permesso di amputarti… E poi, meno discorsi, io taglio quando ho il diritto di tagliare. Se, nonostante l’operazione la cancrena proseguisse, potrei amputarti anche l’altra gamba (Collodi nipote, 1923, p. 83).

L’effetto involontario di questo intento normalizzante è quello di mostrare, paradossalmente senza retorica e con maggiore approssimazione alla realtà, gli effetti devastanti della guerra tecnologica. Non bisogna naturalmente sopravvalutare l’intento rivelatorio di queste zone testuali: i corpi maciullati vengono sempre ricostruiti e i mutilati sono sempre rappresentati come uomini in grado di condurre una vita normale. Il Bersaglierino, ad esempio, esprime la sua angoscia all’idea di condurre una vita da mutilato, ma viene poi ricompensato dall’amore della Fatina, con la quale compone un nucleo familiare perfettamente regolare. Resta vero che, proprio per il tramite di queste descrizioni di corpi feriti ridotte al grado zero, il sotto-testo biopolitico del dettato nazional-patriottico viene allo scoperto senza troppe mediazioni: quando nel finale Geppetto si dispera nel vedere il suo Pinocchio adagiato in una cassetta di legno e mutato in un insieme di piastre metalliche e protesi, e si chiede chi sia responsabile, la fatina risponde, senza bisogno di ulteriori spiegazioni, che è la patria ad aver ridotto così l’ex burattino. Questo significa che, prima ancora che dalle truppe nemiche, i soldati sono feriti e uccisi da quell’entità astratta che è la loro patria. Si tratta di uno dei tropi fondamentali del discorso patriottico risorgimentale, che trova qui una enunciazione diretta, inequivocabile e dunque più sinistra.

Se si vanno a vedere le illustrazioni, appare abbastanza scarso il dialogo che esse intrattengono con il testo, i suoi intenti e le sue scelte stilistiche. Se si prende, ad esempio, proprio l’illustrazione che accompagna la scena finale, le divergenze dal testo sono evidenti [fig. 2]: non c’è traccia della cassetta-bara, Pinocchio è raffigurato in piedi sulle sue gambe, e se non fosse per il piccolo dettaglio di una giuntura all’altezza del ginocchio non ci sarebbe alcun segno sul suo corpo a testimoniare la presenza di placche di metallo e argento e di tenaglie al posto delle braccia. L’immagine dunque lavora per sottrazione – se non rimozione vera e propria – e trasforma la scoperta sinistra del Pinocchio semi-cadavere in una scenetta domestica dove i buoni sentimenti prevalgono, mentre scompaiono le tracce della violenza. In generale, le scene di ferimento e la mutilazione vera e propria non hanno alcuna dimora nell’apparato iconografico. Solidi, invece, sembrano i legami con il Pinocchio maggiore, per cui spesso i momenti che Chiostri sceglie di illustrare riprendono personaggi già presenti nel testo matrice, o comunque ne ricordano alcune situazioni narrative: Pinocchio arrampicato su un albero [fig. 3], Pinocchio a letto accudito dalla Fatina [fig. 4], Pinocchio con il cane Medoro [fig. 5]. L’impressione è che Chiostri indulga alla rappresentazione di aspetti favolistici o quotidiani (la fame in particolare), componenti essenziali del Pinocchio matrice, e riduca lo spazio dedicato alle scene belliche vere e proprie. La pedagogia nazionale ha una corrispondenza precisa solo in alcune illustrazioni, come ad esempio quella del conferimento della medaglia al valore al Bersaglierino [fig. 6]. Ma in generale l’apparato visuale del testo recalcitra di fronte alla sostanza della guerra e alla sua violenza: se da una parte questa scelta potrebbe essere dettata dalla necessità di entrare in sintonia con i lettori più piccoli, dall’altra essa appare motivata da una sostanziale estraneità alle ragioni della propaganda.

 

Edizione di riferimento

Collodi Nipote (Paolo Lorenzini), Il cuore di Pinocchio. Nuove avventure del celebre burattino, disegni di C. Chiostri, Firenze, Bemporad, 1923.

 

Bibliografia

A. Gibelli, Il popolo bambino. Infanzia e nazione dalla Grande Guerra a Salò, Torino, Einaudi, 2005.

F. Caffarena, ‘25 dicembre 1917. All’armi siam burattini’, in S. Luzzatto, G. Pedullà (a cura di), Atlante della letteratura italiana, vol. III, Dal Risorgimento a oggi, Torino, Einaudi, 2012, pp. 490-493.

M. Campagnaro (a cura di), La Grande Guerra raccontata ai ragazzi, Roma, Donzelli 2015.

A. Faeti, Guardare le figure. Gli illustratori italiani dei libri per l’infanzia, nuova edizione, Roma, Donzelli, 2011.

W. Fochesato, Raccontare la guerra. Libri per bambini e ragazzi, Milano, Interlinea, 2011.