3.5. L’invenzione del luogo. Pasolini e il Pigneto

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C’è l’Africa di Pasolini. C’è il Friuli di Pasolini. C’è persino la Tuscia di Pasolini che a Chia, provincia di Viterbo, comprò una torre medievale dove visse gli ultimi anni della sua vita o almeno i fine settimana. Un luogo misterioso e isolato. Poco raccontato dalla mitologia pasoliniana. C’è anzitutto la Roma di Pasolini. Ma poiché si tratta di una città che si contendo in molti, sarebbe più corretto dire che c’è il Pigneto di Pasolini. Quella tra Pasolini e il Pigneto è un’associazione più forte e radicale del legame che unisce Fellini alla Fontana di Trevi o via Veneto. Un legame al riparo dalle contaminazioni turistiche, o in genere così si pensa. Se però cerchiamo un alloggio da queste parti su «airbnb» subito ci spiegano che «Pigneto is known as one of the most fashionable and artistic Rome neighborhoods, famous as the favourite set of Pasolini and Neo Realism cinema and a trendy area mixed with the flavor of the old and authentic Rome». Nel 1961, durante le riprese di Accattone, il Pigneto non era molto trendy. Per realizzare il film furono scelti vari luoghi della città. Quartieri popolari come il Testaccio, Centocelle, la borgata Gordiani. Ma di tutta la mappa urbana di Accattone – che include anche luoghi celebri come il ponte di Castel Sant’Angelo – il Pigneto rappresenta al meglio la sintesi tra la Roma letteraria di Ragazzi di vita o Una vita violenta e quella cinematografica di Accattone. Stretto la via Prenestina e la Casilina, il quartiere era all’epoca un borgo di case popolari con strade sterrate e baracche. Per il cinema non si trattava di un quartiere qualsiasi. Qui Rossellini ha girato molte scene di Roma città aperta. Qui è ambientata la celebre sequenza della morte di Anna Magnani, icona del neorealismo e del nostro immaginario resistenziale e repubblicano. Alla metà degli anni Cinquanta, il film di Rossellini circola di nuovo nelle sale di parrocchia e nelle arene di quartiere allestite d’estate nella città. Pasolini rievoca «l’epico paesaggio neorealista» nella celebre poesia dedicata a una visione di Roma città aperta che comparirà poi nella raccolta La religione del mio tempo, uscita proprio nel 1961:

 

[…] Ecco.... la Casilina
su cui tristemente si aprono
le porte della città di Rossellini...
ecco l'epico paesaggio neorealista,
coi fili del telegrafo, i selciati, i pini,
i muretti scrostati, la mistica
folla perduta nel daffare quotidiano,
le tetre forme della dominazione nazista...
Quasi emblema, ormai, l'urlo della Magnani,
sotto le ciocche disordinatamente assolute,
risuona nelle disperate panoramiche,
e nelle sue occhiate vive e mute
si addensa il senso della tragedia.

 

La volontà di riconnettersi all’esperienza neorealista passa dunque anche, se non anzitutto, dai luoghi che verranno immortalati da Accattone nel 1961. Il Pigneto garantisce al film di Pasolini la creazione di una specie di immagine-palinsesto, un lavoro di accumulo lascia intravedere in filigrana i fantasmi dell’origine del neorealismo. «Quell’anno per questo quartiere ha rappresentato una sorta di anno zero. Da quel momento infatti le vie del Pigneto sono rimaste in qualche modo legate alle scene della pellicola pasoliniana» – scrive Massimo Innocenti, autore del volume fotografico dal titolo Pasolini Pigneto. Il Bar Necci ai tempi di “Accattone”. Ma non è proprio così. Al Pigneto la mitologia pasoliniana è cresciuta di pari passi con la radicale gentrificazione subita dalla zona a partire dalla fine degli anni Novanta. Un’operazione immobiliare compiuta all’ombra della memoria di Pasolini che ha trasformato il quartiere in una zona artistica con locali e caffè alla moda. Il Greenwich Village romano, anche se l’esempio più adatto sarebbe Williamsburg, il quartiere di Brooklyn fitto di giovani artisti e negozietti vintage. Nel frattempo, lungo tutti questi anni, il legame Pasolini-Pigneto è cresciuto. Le fatidiche quattro «P» si sono trasformate in evento. La serata «Pasolini Pigneto», spiegano gli organizzatori, è «dedicata all’importanza che l’autore e il regista ha avuto nello stravolgimento e nella trasformazione del quartiere»; comprende «interventi di street art, proiezioni di immagini d’epoca, installazioni visive e sonore di artisti, l’esposizione di una serie di scatti d’epoca e foto reperite presso gli abitanti del quartiere». Il grande murale di Omino 71 Io So i nomi, in via Fanfulla da Lodi, ritrae ad esempio «il volto gigante del Poeta mascherato da supereroe». A occhio l’artista sembra si sia ispirato a Capitan America. Pasolini paladino della Verità con la v maiuscola. Personalmente, se c’è un Pasolini che mi spaventa devo dire che è proprio quello di Che cos’è questo golpe; o meglio, mi ha sempre spaventato l’uso improprio, da ultrà indignato, dello slogan So i nomi, ma non ho le prove; mi ha sempre lasciato perplesso il suo sconfinamento nella verità assertiva che non ha bisogno di prove perché fondata su visioni interiori e immagini profetiche concesse all’intellettuale totale. Ma d’altronde, è per frasi come queste che Pasolini è il nostro intellettuale totale à la Sartre. Sartre però non ha il Pigneto, né i murales che lo ritraggono vestito da Batman al Café de Flore, o i menù ispirati a La Nausée. Come ricorda Michele Masneri in uno dei suoi reportage del Pigneto, sul menù del Bar Necci «tra la pizzella napoletana (2 euro), la calamarata all’amatriciana di tonno fresco (13 euro) e l’insalata con cuore di burrata (10 euro) c’è la frase “Io so i nomi”, tipo slogan commerciale, “la natura di prima mano”». Sartre non ha neanche i gadget. Come quelli che regalano alla serata Pasolini Pigneto, dove – spiegano sempre gli organizzatori – «T-Shirt e volumi a tema saranno a disposizione del fruitore che potrà anche usufruire delle pillole corsare tratte direttamente dagli Scritti Corsari di P.P.P.), un souvenir culturale che i visitatori potranno acquistare dall'apposito distributore di palline a sorpresa». Il Pigneto di Pasolini sembra la versione distopica del Vittoriale di D’Annunzio. A Riviera del Garda dovrebbero gemellarsi col Pigneto. L’orbo veggente, il poeta supereroe. D’Annunzio e Pasolini si contendono ovviamente due target diversi. Però assieme completano il profilo dell’intellettuale italiano del XX secolo che sparge i suoi effetti su tutta la società fino a prendere forma in un luogo. D’Annunzio e Pasolini come una creatura mitologica, un centauro intellettuale metà divo, metà fustigatore, con l’euforia del moderno che convive assieme alla condanna della modernizzazione, della ‘mutazione antropologica’ (un’aporia risolta in sintesi dalla formidabile Alfetta GT che guidava Pasolini). A riprova che l’acquisizione pasoliniana del Pigneto non è limitata al ricordo di un set c’è anche un murale gigante ispirato al Vangelo secondo Matteo (realizzato dall’artista romano Mr. Klevra). Di fatto, quando si va al Pigneto ci si muove dentro un parco a tema. Un po’ come nel tour degli Universal Studios, se riuscite a immaginarli costruiti tutti sul cinema di Pasolini. A Roma, si sa, hanno girato tanti film. Ma qui siamo di fronte a qualcosa di diverso. L’icona di Pasolini e le tracce di Accattone hanno risucchiato persino quelle di Roma città aperta, come in fondo dimostra il silenzio dei media attorno ai settant’anni del film di Rossellini, uscito il 27 settembre del 1945 (anniversario di cui non ha parlato nessuno).

Lo scorso anno, Ken Loach è giunto a Roma per presentare Jimmy’s Hall e ha scelto di rompere il protocollo andando al Pigneto: «Sono felice di presentare il mio film in periferia e non in centro», disse. Come se nulla fosse mutato, come se ci fossero ancora le baracche di Accattone e non le centrifughe zenzero e mela verde a sei euro. Non per nulla, qui il Pasolini della villa all’Eur lo teniamo quasi nascosto e forse se n’è occupato solo il film di Abel Ferrara.

Cosa direbbe Pasolini? Come sappiamo questo è uno dei mantra del nostro tempo, seguito a ruota da «Pasolini l’aveva predetto». Ci capita continuamente. Cosa direbbe Pasolini di come siamo diventati, cosa direbbe delle file per comprare l’I-phone, dei matrimoni gay, dei tatuaggi, del porno di massa, della fine della sinistra, eccetera, eccetera. Mai nessuno che si interroghi su come reagirebbe ai menù pasoliniani o alle pillole ‘corsare’ distribuite come biscotti della fortuna. Forse sarebbe contento di vivere all’Eur.

 

Bibliografia

P. Antonello, Dimenticare Pasolini. Intellettuali e impegno nell’Italia contemporanea, Milano, Mimesis, 2013 

A. Jaubourg, M. Innocenti Jr., Pasolini Pigneto, Il Bar Necci ai tempi di Accattone – volume fotografico pubblicato proprio in concomitanza della manifestazione – “Pasolini Pigneto”, 8 maggio 2014, Roma.

M. Masneri, ‘Pigneto’s Way’, Il Foglio, 8 dicembre 2014.

A. Minuz, ‘Il cielo sopra il Pigneto’, IL (mensile del Sole24Ore), febbraio 2015.

P.P. Pasolini, ‘Ma che colpo al cuore, quando, su un liso’, in La religione del mio tempo, ora in Id., Tutte le poesie, a cura di W. Siti, Milano, Mondadori, 2003, pp. 937-938.