3.4. ‘Sono una ragazza fortunata’. La costruzione della celebrity delle giovani attrici italiane su Instagram*

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L’uso strategico dei social media come strumento imprescindibile per creare e mantenere una propria celebrity persona è un fenomeno relativamente recente nell’ecosistema delle celebrity italiane. In parte per una minore o più tardiva pervasività dei social e della loro adozione, in parte per una riluttanza di adattamento a un sistema transnazionale e internazionale che soltanto in tempi recenti è diventato alla portata delle più o meno giovani star italiane, in un fiorire di nuove strategie comunicative profondamente genderizzate. In particolare, a mio avviso è interessante concentrarci sulle attrici che hanno avuto una svolta importante per le loro carriere proprio all’interno di produzioni rese popolarissime sia in Italia che all’estero grazie alla loro distribuzione su Netflix, produzioni dedicate specificamente a un target di giovani e giovanissimi, avvezzi all’uso di un mezzo come Instagram.

Ho selezionato quindi tre profili di giovani attrici con simili caratteristiche: Benedetta Porcaroli, classe 1996, la cui carriera avviata da giovanissima prendendo parte alla serie Tutto può succedere (Rai, 2015-2018) è decollata dopo aver interpretato per tre stagioni Chiara, una delle protagoniste della serie teen Baby (Netflix, 2018-2020) [fig. 1]. Ludovica Martino, classe 1997, che negli ultimi tempi ha iniziato a interpretare anche ruoli di giovane adulta come ne Il Campione (Leonardo d’Agostini, 2019) e Lovely Boy (Francesco Lettieri, 2021), ma che deve la sua fama al ruolo di Eva, una delle protagoniste di SKAM Italia (2018-, la serie è notoriamente un format nato in Norvegia, e riadattato in nove versioni in altrettanti Paesi [fig. 2]. E infine Coco Rebecca Edogamhe, classe 2001, la più giovane delle tre, che al momento conta in carriera soltanto il ruolo che l’ha fatta conoscere, quello di Summer, la protagonista di Summertime (Netflix, 2020-) [fig. 3].

In tutti i tre casi, ma soprattutto nei primi due data anche la differenza di età ed esperienza lavorativa, si tratta di attrici al punto di svolta delle loro carriere, in quel momento in cui tentano di smarcarsi dai ruoli adolescenziali che le hanno rese celebri senza però snaturare completamente l’immagine ad essi legata e soprattutto senza distanziarsi dalle/i fan che le hanno seguite fino a questo momento e a cui parzialmente ‘devono’ il loro successo. Analizzare le loro celebrity performance online, quindi, ci può offrire interessanti spunti per osservare come la presenza online – e le strategie di comunicazione e di racconto del sé adottate su questi canali – contribuisca alla costruzione della celebrity in un momento cruciale di affermazione del loro posizionamento nello star system, una costruzione profondamente legata a dinamiche di genere.

La centralità dell’immagine rispetto a ogni altro tipo di contenuto che caratterizza Instagram (Serafinelli 2018) sembra fornire un palco perfetto per la costruzione della celebrity. Da una parte dà la possibilità di sfruttare tutte le strategie più ‘classiche’ della performance della celebrity, offrendo un potentissimo canale aggiuntivo per la diffusione di foto professionali, shooting di moda, interviste pubblicate su giornali e riviste, testimonial e sponsorship di brand più o meno importanti, e così via. Fornisce, quindi, una vetrina per la messa a valore di quelle qualità ‘aspirazionali’ che ogni celebrity a modo suo incarna per il proprio pubblico. Dall’altra parte, costituisce un canale preferenziale in cui alimentare un contatto più diretto con la propria fanbase, una sorta di perenne ‘finestra’ nella vita privata della star al centro di quella relazione parasociale con la celebrity così studiata dai Celebrity Studies (Rojek 2016). Tuttavia, questo secondo elemento avvicina le celebrity la cui fama dipende da elementi esterni alle cosiddette microcelebrity (Abidin 2018), ovvero coloro che devono alla loro presenza sui social, spesso all’interno di una specifica nicchia, la propria fama. Le pratiche comunicative delle microcelebrity – improntate alla presenza costante, alla condivisione ‘senza filtri’ del proprio intimo, etc. – si sono nel tempo imposte come dominanti all’interno di questi mezzi e, in un certo senso, hanno creato una serie di aspettative e norme con cui anche le celebrity che vogliono utilizzare Instagram devono in qualche modo fare i conti. Ampliando l’idea di extra/ordinarietà aspirazionale che Sarah McRae conia per le microcelebrity, in bilico tra l’essere ‘una persona normale’ e l’eccezionalità di cui devono essere provviste per stagliarsi rispetto alla massa, possiamo dire che anche le star contemporanee si muovono tra questi due poli, con un elemento di difficoltà ulteriore, quello di non essere decisamente più ‘una come tante’ ma tentando ugualmente di performare il ruolo della ‘ragazza della porta accanto’.

Akane Kanai nel suo libro Gender and Relatability in Digital Culture (2019) indaga i tipi di performance richieste da chi abita gli spazi digitali in termini di affective labor (lavoro affettivo), laddove la condivisione delle proprie esperienze di vita, del proprio quotidiano e del proprio privato è strumentale alla creazione di una connessione ‘emotiva’ con il pubblico. I cardini di questo tipo di ‘lavoro affettivo’ sono individuabili nel generare da una parte un senso di autenticità della performance del sé e, dall’altra, un senso di identificazione e vicinanza (relatability) all’audience. Chi guarda questi contenuti deve potersi sentire accomunata da esperienze simili a quelle di chi li produce. In particolare, negli spazi digitali questo tipo di dinamica è osservabile in maniera ancora più spiccata all’interno di espressioni legate a una cultura prettamente femminile e giovanile, una specifica girlhood culture (come la definisce Alison Winch), in cui i media hanno assolto da decenni la funzione di creare spazi più o meno normati di intimità omosociale. Ecco, quindi, che queste strategie ben si sposano con la presenza su un social media come Instagram, fatto di giovani donne così legate a ruoli ‘da ragazze’. Lasciando da parte la questione dell’autenticità, che costituisce una strada più battuta, sono particolarmente interessata al relatability labor e alle strategie adottate da queste attrici per comunicare quella vicinanza, quella ‘prossimità’, così rilevanti per il loro posizionamento.

Esplorando gli account presi in esame salta immediatamente all’occhio una grande attenzione di tutte alla produzione regolare ed estremamente curata di contenuti sotto forma di post, con una cadenza di una o due volte alla settimana. Le foto alternano shooting professionali a scatti all’apparenza privati, spesso selfie o ritratti, sempre estremamente curati. Tutte e tre hanno uno stile molto specifico: il feed che salta maggiormente all’occhio è quello di Coco Rebecca Edogamhe che, appassionata anche di fotografia, propone spesso gallery di scatti della sua vita privata tra uscite, cene e concerti con gli amici, in uno stile dai colori saturi e con corpi ripresi in costante movimento che richiama molto lo stile visivo di Summertime. Inoltre, nelle foto spesso compaiono sia colleghi della serie con cui ha nel tempo stretto amicizia, sia la sorella che interpreta lo stesso ruolo anche nella serie, creando di fatto un efficace prolungamento del set all’interno del suo canale e consolidando il suo profilo mantenendo una forte coerenza con Summer il personaggio [fig. 4]. Diverso è il caso di Benedetta Porcaroli che, nel tentativo di smarcarsi dal suo ruolo adolescenziale in Baby (e che all’inizio di settembre 2021 ha posato per un servizio su «Vanity Fair Italia» dal titolo lapalissiano Don’t Call me Baby [fig. 5]), popola il suo feed soprattutto di foto collegate alla sua prestigiosa partecipazione alla scuderia di giovani talenti testimonial delle collezioni Gucci di Alessandro Michele [fig. 6]. Un collegamento, questo, con la moda, che la avvicina a strategie più ‘classiche’ di consolidamento di una celebrità più ‘adulta’, ma praticata con nuovi mezzi. In ultimo, Ludovica Martino si situa forse in uno stadio intermedio tra l’aderenza al personaggio di Eva (ruolo che continuerà a interpretare nella futura quinta stagione di SKAM Italia) e la volontà di costruirsi un nuovo profilo. Anche nel suo caso non mancano post dedicati alle collaborazioni prestigiose con brand di moda (Armani, Pinko, Max&Co – quest’ultima in compagnia delle sue colleghe della serie [fig. 7]), e quelli più professionali mischiati però a immagini della vita privata con gli affetti ricorrenti, o a immagini ‘catturate’ durante i set ma nei momenti di pausa. Si può rintracciare una certa ricerca nel far entrare i follower nella sua vita quotidiana professionale, condividendo i momenti dietro le quinte. Inoltre è quella delle tre che utilizza maggiormente lo strumento delle stories (che hanno una permanenza temporanea di 24 ore), per dare un ulteriore punto di accesso alle sue giornate, meno filtrato e più immediato. Quello che si può rilevare in tutti i tre casi è una specifica sfumatura di relatability labor che consiste in una performance costante di un certo tipo di girlhood che punta a posizionare tutte e tre in un segmento specifico del panorama delle celebrity, quello appunto delle ‘giovani ragazze’, e al contempo a sfruttare gli elementi comuni con l’intimate public (Dobson et al.) delle loro fan con cui spesso e volentieri condividono genere ed età. Ecco allora innumerevoli fotografie che ritraggono tutte e tre in compagnia delle ‘amiche di una vita’; la perenne presenza nei post di Ludovica Martino di riferimenti alla sua golosità, al fatto di amare mangiare dolci e ‘schifezze’ – perfetto esempio di performance di genere come top girl postfemminista (McRobbie 2007) –, le ripetute occasioni in cui Benedetta Porcaroli scherza sul suo fisico decisamente minuto e su una sua presunta goffaggine accompagnando le foto con didascalie in cui si auto-definisce ‘scimmietta’, o il tono decisamente infantile con cui in un post annuncia di aver diretto il suo primo corto, sempre per Gucci [fig. 8]. Questo tipo di strategia comunicativa sembra posizionare tutte e tre, seppur con debite differenze, in un solco ben preciso di extra/ordinarietà: sono ‘ragazze fortunate’ cui è ‘capitato’ di fare un lavoro straordinario, e su questo tipo di connessione con il proprio pubblico imbastiscono la costruzione della propria celebrità in trasformazione.

 

Bibliografia

C. Abidin, Internet celebrity. Understanding Fame Online, Bingley, Emerald Publishing Limited, 2018.

A. S. Dobson, B. Robards, N. Carah (a cura di), Digital Intimate Publics and Social Media, Cham, Springer International Publishing, 2018.

A. Kanai, Gender and Relatability in Digital Culture. Managing Affect, Intimacy and Value, Cham, Palgrave MacMillan, 2019.

S. McRae, “Get Off My Internets’: How Anti-Fans Deconstruct Lifestyle Bloggers’ Authenticity Work’, Persona Studies, 3, 2017, pp. 13-27.

A. McRobbie, ‘TOP GIRLS?: Young Women and the Post-feminist Sexual Contract’, Cultural Studies, 21, 2007, pp. 718-737.

C. Rojek, Presumed Intimacy. Parasocial Relationship in Media, Society and Celebrity Culture, Cambridge, Polity Press, 2016.

E. Serafinelli, Digital Life on Instagram. New Social Communication of Photography, Bingley, Emerald Publishing, 2018.

A. Winch, Girlfriends and Postfeminist Sisterhood, London, Palgrave Macmillan UK, 2013.

 

* Questo articolo nasce nell’ambito del progetto di ricerca PRIN (bando 2017): Divagrafie. Drawing a Map of Italian Actresses in writing // D.A.M.A. / Divagrafie. Per una mappatura delle attrici italiane che scrivono // D.A.M.A., che vede come Principal Investigator Lucia Cardone (Università degli Studi di Sassari) e come responsabili delle altre unità coinvolte nel progetto Anna Masecchia (Università di Napoli Federico II) e Maria Rizzarelli (Università degli Studi di Catania).