Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi sono messo a raccontare. Ma bisogna dica ch’erano astratti, non eroici, non vivi; furori, in qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero col capo chino. Vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un’ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo. Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.
Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia
La sapienza drammaturgica della compagnia marionettistica dei Fratelli Napoli, pupari di tradizione catanese, incontra la letteratura di Elio Vittorini e Conversazione in Sicilia (1941): nasce così lo spettacolo Astratti furori siciliani (2012) in cui i personaggi ‘universali’ di Conversazione palesano una perfetta corrispondenza con gli eroi (e non solo) delle storie dell’Opera dei pupi. Sia il testo di Vittorini sia quello dei Napoli raccontano (ciascuno nel suo specifico linguaggio) – simbolicamente e allegoricamente – una storia che intende riflettere sul mondo offeso e sulla necessità di aspirare a un ordine più giusto [fig. 1].
L’audace esperimento prende corpo da quella fede nelle infinite possibilità di espressione dell’Opera dei pupi che i fratelli Napoli, e nello specifico Fiorenzo ed Alessandro, hanno sempre coltivato. L’Opera, pur avendo perduto il suo contesto originario, vive della sua trasformazione, di una tradizione che è stata ri-compresa in una linea poetica nuova. Ecco quindi che episodi, personaggi, formule e tecniche dell’Opera restano il sottotesto anche quando affrontano altre storie, altri personaggi, altri luoghi [figg. 2-4]: Silvestro, che ritorna in Sicilia in preda ad astratti furori per ritrovare sé stesso, non è tanto diverso da Guerrin Meschino, l’eroe errante dell’Opera, che lascia Costantinopoli per ritrovare i suoi genitori e conoscere la sua origine; il Gran Lombardo, col suo richiamo ad altri e alti doveri, ricorda il duca Namo di Baviera dotato di un altissimo senso etico e di un parlar franco; l’arrotino Calogero, il sellaio Ezechiele, il venditore di stoffe Porfirio e l’oste Colombo – che nel romanzo di Vittorini incarnano quattro diverse modalità di rapportarsi col potere – ripropongono tutta intera la dialettica dei rapporti tra il ribelle Rinaldo, il remissivo Orlando, l’ottuso Carlo Magno e l’infido Gano di Magonza [figg. 5-6]. Spetterà a Peppininu, la maschera più famosa dell’Opera catanese, unico personaggio a parlare in siciliano, il compito di guidare i pupi in questo percorso di riscoperta e di analisi del libro, in modo da rendere la performance interattiva attraverso i commenti e le osservazioni di Orlando, Rinaldo e degli altri personaggi che vedranno rappresentate le loro stesse vicende, commenteranno la messinscena e, al momento opportuno, interverranno direttamente sul palco [fig. 7].
Vittorini, come un moderno cantastorie, ha illustrato le vicende dipinte all’interno del suo cartellone e con esse ha dialogato, anzi conversato. Personaggi del romanzo e pupi si confrontano e si misurano pertanto in un gioco di vite incrociate ritrovando, grazie ad una messinscena ‘contaminata’, tutta la potenza immaginifica dello scrittore siracusano e dell’Opera dei pupi [fig. 8].
Sul rapporto di Vittorini con l’Opera va precisato che quando questi discese in Sicilia con Luigi Crocenzi per realizzare la versione illustrata di Conversazione in Sicilia si recò a Caltagirone dove la famiglia Russo-Pepe praticava l’arte pupara, ma le foto contenute nel volume (e le relative didascalie) si riferiscono a una versione del Macbeth shakesperiano che all’epoca non era presente nel repertorio della compagnia calatina. Difficile stabilire quindi se Vittorini sia stato realmente spettatore dell’Opera e che cosa abbia visto. È pertanto plausibile l’ipotesi di Alessandro Napoli secondo cui lo scrittore abbia avuto una conoscenza solo superficiale dell’Opera dei pupi, probabilmente mediata dalle memorie paterne, ‘mio padre in Macbeth’, tanto da sovrapporla a un’idea di teatro shakespeariano come modello di arte popolare inteso ad educare le coscienze.
Focus della presente scheda di Galleria vuole essere una breve intervista a Fiorenzo e Alessandro Napoli che, attraverso le loro risposte, ci riconsegnano il senso dell’operazione compiuta sull’opera di Vittorini e ci consentono di conoscere i motivi che li hanno portati a confrontarsi con questo testo.
Simona Scattina: Come nasce l’idea di lavorare sul testo di Vittorini e che tipo di lavoro avete fatto per adattare il testo al linguaggio dell’Opera dei pupi?
Alessandro Napoli: C’è tutta una sensibilità all’interno di Conversazione in Sicilia che fa scattare l’analogia con il mondo del teatro dei pupi. L’occasione contingente di lavorare sul testo di Vittorini nasce da un lavoro commissionato a Modica e realizzato nel 2012 sulla scalinata del Duomo di San Giorgio. Ma nel momento in cui ci viene proposto questo progetto io riprendo vecchie idee che mi frullavano in testa a proposito di Conversazione. Avevo notato delle corrispondenze tipologiche con dei personaggi dell’Opera dei pupi nei quattro personaggi che conducono Silvestro nel corso del suo viaggio. Per cui avevo trovato un’identificazione di Calogero con Rinaldo, di Colombo con Gano, di Ezechiele con Carlo Magno e Porfirio con Orlando. La prima idea doveva essere quella di non rappresentare Calogero come se stesso, ma di rappresentarlo direttamente come Rinaldo in virtù di questa corrispondenza. Poi abbiamo deciso invece di fare la messa in scena con il meccanismo di ribaltamento (interazione del pubblico), per cui i pupi si rispecchiano nello spettacolo rappresentato sulla scena e lì vengono esplicitate queste coincidenze, quella maggiore tra Calogero-Rinaldo e Colombo-Gano, inserendo anche un colpo di teatro in cui Gano e Rinaldo salgono sul palcoscenico e ripropongono una delle scene più classiche dell’Opera dei pupi (Napoli si riferisce qui all’episodio in cui Rinaldo attraversa il Bosco della Foglia per portare a Montalbano il tesoro guadagnato nell’impresa di Dama Rovenza mentre Gano di Magonza gli tenta un agguato per ucciderlo, ma grazie all’aiuto di Peppininu scampa all’imboscata. Gano in seguito lo calunnia facendo in modo che Orlando e Rinaldo si sfidino a duello).
L’adattamento ha imposto un lavoro di sfrondamento piuttosto laborioso e gravoso perché c’erano delle parti del romanzo che piacevano ma che non potevano essere rese da un punto di vista spettacolare perché troppo lente. Tra l’altro nel corso delle varie messe in scena abbiamo alleggerito ulteriormente molte battute. Io avevo cercato di conservare quanto più possibile la formularità di molte parti, però quello che nella lettura può essere interessante e stimolante, nella messa in scena dell’Opera dei pupi corre il rischio, come ci siamo resi conto, di essere pesante e di rallentare il ritmo (Napoli si riferisce ad esempio alle parti de ‘il mondo offeso’, o de ‘i lumi dei morti’ dove ci sono molte ripetizioni di battute). Il testo è in progress come tutti i testi a copione disteso dell’Opera dei pupi che non sono mai vincolanti ma vengono adattati di volta in volta sulla base degli umori del pubblico, degli umori dei parlatori, sulla base di quello che succede nella quotidianità. Questa libertà rispetto alla pagina scritta è una prerogativa dei pupari ed è anche quello che assicura oggi l’adattamento per un pubblico contemporaneo.
S. S.: Quanto il mondo ‘offeso’ di Vittorini è specchio di quello dei paladini dell’Opera dei pupi? E quanto c’è, sia nei protagonisti del romanzo sia tra gli eroi di legno, la necessità di stabilire un ‘giusto ordine’?
A. N.: Al di là della contingenza del 1938, la dittatura fascista e la sua adesione alla guerra civile spagnola, che dà l’occasione a Vittorini per comporre Conversazione, gli ‘astratti furori per il mondo offeso’ ripercorrono quello che, grazie agli studi di Antonio Pasqualino e di Antonino Buttitta, è ormai assodato: il mito dei paladini di Francia esprime l’ordine per un mondo più giusto che abbiamo ritrovato anche in Vittorini.
Simona Scattina: Come hai/avete adattato i codici vocalici di messinscena al testo di Vittorini? Quali adattamenti nella messinscena hanno determinato gli altri codici?
Fiorenzo Napoli: Noi oggi ci rendiamo conto che è in atto un’accelerazione dei tempi che abbiamo provato a tradurre anche in quello che facciamo all’Opera dei pupi. Rispetto a Astratti furori siciliani del 2012 oggi ci troviamo più al passo coi tempi, il ritmo si fa più serrato perché lo spettatore vive l’istante, la velocità. Dobbiamo meravigliare chi assiste ai nostri spettacoli come se si fosse al cinema, dove le scene sono cucite dal montaggio e scorrono veloci davanti ai nostri occhi. Considerando la meccanica dei pupi, l’artificiosità della messa in scena dei pupi, ci consideriamo dei concorde rispetto a chi oggi pratica quest’arte.
Noi parlatori dell’Opera dei pupi abbiamo un paradigma di voci, di vocalità, che usiamo per i buoni, per i cattivi, per i neutri, per i mostri, per i diavoli, per le eroine; per i personaggi di Vittorini è scattato, come detto, un automatismo di riferimento. Il personaggio è delineato grazie ad Alessandro che ci propone la stesura del testo con già l’indicazione dei codici espressivi: ‘come Rinaldo’, ‘come Orlando’, ‘come Namo di Baviera’ per esempio una persona posata, autoritaria con una sua voce che lo caratterizza (mentre parla Napoli cambia il tono di voce usando le qualità vocali di Namo). Per quei personaggi misteriosi che devono andare in scena noi cerchiamo un’identificazione e questo ci facilita mentalmente il tutto; leggiamo, abbiamo la password per entrare nei personaggi ed esprimere quella parlata che alla fine risulta essere vincente perché i codici non sbagliano, sono sperimentati, per noi sono una sicurezza.
S. S.: Peppeninu ha il compito di guidare i pupi in questo percorso di riscoperta e di analisi del libro. Come avviene in scena tutto ciò?
F. N.: Immancabile è la presenza di Peppeninu che fa da trait d’union tra una scena e l’altra del racconto, oltre ad aprire e chiudere lo spettacolo. Quando ero bambino, quelli che poi sarebbero stati i miei maestri, Biagio Sgroi e Rosario Mannino (Napoli ricorda due tra i più grandi parlatori dell’Opera dei pupi di area catanese), portavano in maniera diversa in scena Peppeninu. Il primo ne accentuava forse un po’ troppo la comicità e la volgarità, Mannino invece risultava più saggio nel voler regalare a Peppeninu la sua funzione di maschera riflessiva, non per forza comica. Io da quest’ultimo sono partito: Peppeninu fa sì ridere ma anche riflettere. È una guida alla quale ci rivolgiamo sempre all’interno dei nostri spettacoli, come anche in Astratti furori siciliani, per ritrovare la leggerezza ed imparare dall’esperienza popolare. In Peppeninu si vanno a condensare anche i nostri migliori ricordi personali che possono convergere nella sua saggezza: l’affabilità e la scherzosità di mio padre per esempio (Natale Napoli). Poi io me lo costruisco secondo le mie esigenze, secondo quello che avverto nella sala; cerco di renderlo dinamico e comunicativo e non tralascio mai l’occasione, anche se siamo sotto testo, di trovarmi le mie finestre, le mie possibilità per proiettarlo nella contemporaneità così da attivare con il pubblico una sorta di cortocircuito. Peppeninu è commisurato alla funzione che in quel momento gli è stata affidata e le battute del testo tengono conto dello spirito del personaggio. Per Astratti furori siciliani, essendo più ‘blindato’ il testo, ho lavorato sull’impostazione di Peppeninu ma ciò che dice è opera di Vittorini e di Alessandro perché è inserito in un contesto letterario che non permette divagazioni di un certo tipo. Peppeninu gioca comunque il ruolo metastorico che ha avuto da sempre nel teatro dell’Opera dei pupi, solo lui può fare ciò che fa all’interno di un testo come Conversazione. Nel tempo abbiamo sempre più creduto nelle possibilità di questo personaggio (Napoli qui fa riferimento a due spettacoli, Macbeth e Riccardo III, in cui Peppeninu rispetto alle prime edizioni ha assunto, sempre più, un ruolo di rilievo) e nessuno ha mai gridato per questo allo scandalo. Peppeninu in questo come negli altri spettacoli è la chiave che ci consente di avvicinarci ad altri mondi (https://www.youtube.com/watch?v=JwmgsVMcZwc).
Bibliografia
F. Bianconi Bernardi, ‘Parole e mito in “Conversazione in Sicilia”, Lingua e Stile, 1-2, 1966, p. 176.
E.M. Ferrara, ‘Vittorini in conversazione con Shakespeare: teatro e cultura popolare’, Italian studies, 1, 2012, pp. 105-119.
E. Vittorini, Conversazione in Sicilia [1941], introduzione e note di G. Falaschi, Milano, Rizzoli, 2006.
E. Vittorini, Conversazione in Sicilia [1941], edizione illustrata a cura dell’autore con la collaborazione fotografica di L. Crocenzi, postfazione di M. Rizzarelli, Milano, Rizzoli, 2007.