7.2. Meravigliose sorellanze: ripensare i legami familiari femminili attraverso la collaborazione fra Alice e Alba Rohrwacher

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1. Rifrazioni

Le collaborazioni fra Alice e Alba Rohrwacher sono al centro di un immaginario di grande ricchezza, abitato da presenze fantasmatiche che hanno origine dal loro legame e che a loro volta generano intricati arabeschi di tensioni e affetti, solidarietà e competizioni, confronti ed emozioni. Attraverso il prisma della sorellanza si rifrangono le infinite possibilità della differenza, soprattutto per quanto riguarda i posizionamenti culturali e di gender. Le personagge messe in scena da Alba e quelle raccontate da Alice assumono interpretazioni nuove, alla luce del filo di un cognome e di un passato in comune.

L’immagine scattata da Marco La Conte per Io Donna [fig. 1] è solo una delle fotografie circolate per la promozione di Le meraviglie mentre era in concorso al festival di Cannes, e basate sul continuo richiamo visuale fra questi due corpi, nonché sulle loro differenze. Da quando la fotografia istantanea è divenuta pratica comune all’interno della borghesia europea, le fotografie di famiglia hanno ritratto insieme le sorelle, giocando esattamente su questo impianto visivo di rime e contraddizioni, in un inseguirsi di tratti somatici e scelte stilistiche [fig. 2]. Questa somiglianza nella differenza riproduce attraverso l’immagine fotografica quel perturbante sdoppiamento e quella differenza attribuiti in assoluto al femminile dalle culture patriarcali (Irigaray 1991 [1977]). Le immagini di Alice e Alba contribuiscono alla visualizzazione di quel ‘mistero’, e sono portatrici della rottura dell’individualità considerata come unità e pienezza (maschile) tipica delle culture egemoniche.

Quando raccontano la loro esperienza, le due sorelle infatti non propongono una prospettiva di unità e linearità, quanto piuttosto una frammentazione delle soggettività nei possibili. Il passato comune torna in frammenti, soprattutto nel film Le meraviglie, diretto da Alice nel 2014 e interpretato da Alba [fig. 3]. Il film fornisce una lente particolare attraverso cui guardare alla carriera di entrambe, in particolare nel generare delle strutture del ‘familiare’ che vanno ben oltre la convenzione patriarcale e borghese che pure ancora domina il racconto contemporaneo. In una sorta di immagine frattale, Le meraviglie propone un’idea di ‘madre’ che poi riverbera nel precedente film diretto da Alice nel 2011, Corpo celeste, e nella madre interpretata da Anita Caprioli; ma anche nelle donne interpretate da Alba, che costituiscono spesso un eccesso e una sfida rispetto a qualunque prevedibilità del femminile e appunto del materno (penso soprattutto ad alcune personagge recenti, come Mina in Hungry Hearts, Saverio Costanzo, 2014; Hana/Mark in Vergine giurata, Laura Bispuri, 2015; la Divina nel cortometraggio De Djess, diretto da Alice per la campagna di Miu Miu nel 2015).

Aspetto evidente e di grande interesse del film è la dimensione di una collegialità, in cui il rapporto non è mai solo a due, ma la tensione delle relazioni si rifrange continuamente, a coinvolgere le e gli abitanti della casa di famiglia [fig. 4]. Il convenzionale triangolo edipico raccontato dalla psicoanalisi, basato sul rapporto fra un singolo (scisso e polimorfo, ma uno) e i genitori (in questo scenario, sempre due), viene irrimediabilmente scardinato dalla presenza di qualcun altro e soprattutto delle sorelle, pari nella scala gerarchica eppure mai avvertite come eguali (Butler 2014 [2004]).

 

2. Genealogie

È in particolare il rapporto con il materno e con il femminile ad essere rinnovato dalla prospettiva della sorellanza, in una dinamica di identificazione e divergenza, rispecchiamenti e differenze. Il posizionarsi di un’altra donna al proprio fianco dà la misura dell’impossibilità di contenere l’assoluto in se stesse, o di contenere l’assoluto nel legame con la madre. Che Alba, in Le meraviglie, veda collassare sul proprio corpo l’essere sorella maggiore della regista e l’essere madre della protagonista è un punto di esplosione del desiderio intersoggettivo e condiviso, un’incarnazione dei funzionamenti interfantasmatici all’interno delle dinamiche familiari, lontane dalla linearità gerarchica del fantasma edipico tradizionale (Nicolini 2012, Sommantico 2012).

Quello che le due sorelle Rohrwacher configurano con il loro lavoro è invece una produzione di conoscenza, desiderio, immaginari che va al di là della tradizionale filiazione patriarcale, in cui il sapere e le forme di cittadinanza vengono trasmessi in modo lineare ed esclusivamente fra i maschi della specie, che vanno a produrre la ‘sfera pubblica’ nella sua forma borghese, nazionalista, progressista (Harvey-Kaplan-Noudelmann 2009). Questo mondo ordinato e gerarchico è lungi dall’essere l’unico possibile. Alice e Alba, ciascuna con la propria professionalità, si fanno piuttosto portatrici di un’esplosione del senso, e di una deformazione del tempo. Ne Le meraviglie, la famiglia fatica a identificarsi con una contemporaneità segnata dalla standardizzazione e sterilizzazione dei processi di produzione, ma questa incapacità non è vista senza problematicità. Anzi, il materno incarna proprio il tentativo di adeguamento al nuovo e al condiviso, a confronto con la figura paterna (Wolfgang, interpretato da Sam Louwyck) che invece vorrebbe preservare una separatezza e una manualità che sono anche approssimazione e potenziale spreco. Va anche sottolineato come Angelica comunichi con Wolfgang in francese, mentre questi parla tedesco: si tratta di uno slittamento semantico e culturale non indifferente, che lascia appena trapelare un passato complesso e sottolinea la non-coincidenza e l’asimmetria che dominano la coppia.

Fratture simili attraversano anche Gelsomina e la sua sorella minore Marinella, entrambe depositarie di una molteplicità strutturale, in rapporto al posizionamento culturale, all’identificazione, al desiderio che producono la narrazione del sé. Più di ogni altra cosa, le due sorelle esprimono una fascinazione inarrestabile per un femminile multiplo, che non è incarnato solo dall’identificazione con la madre, ma anche da Cocò (Sabine Timoteo) [fig. 5], il cui ruolo di sostegno delle spinte di cambiamento non è formalizzato da una collocazione definita all’interno del collettivo familiare. Il suo corpo ordinario è anche portatore di una affettività fisica, che si scontra con la riservatezza adolescenziale di Gelsomina e di Martin (Luis Huilca), ospite della famiglia come parte di un programma di reinserimento e avviamento professionale. Soprattutto però le due sorelle si confrontano con Milly Catena, presentatrice televisiva de Il paese delle meraviglie interpretata da una fiabesca Monica Bellucci [fig. 6] e che fa eco alla Ambra Angiolini che in quegli anni dominava i programmi televisivi per adolescenti (e non solo).

 

3. Sorellanze

Gelsomina e Marinella mettono dunque in scena tutte le tensioni e i momenti di condivisione affettiva solitamente associati al rapporto fra due sorelle, dando vita all’identificazione l’una nell’altra, ma anche a un conflitto esplicito. La performance della soggettività diviene un mosaico di possibilità, di cui alcune spettacolari, ma mai pienamente pari: se Marinella canta e balla per Gelsomina la canzone di Ambra T’appartengo, Gelsomina si fa accompagnare dal fischiare di Martin nel suo spettacolo da incantatrice di api durante la registrazione della puntata etrusca de Il paese delle meraviglie.

Anche dal punto di vista delle personagge a cui Alba ha prestato corpo e voce, la dimensione performativa acquista una intensità inusuale. Esempi di grande rilievo sono come accennato gli ultimi ruoli interpretati dall’attrice. Di particolare interesse è l’evidente opposizione fra il particolare collocamento di Hana/Mark in Vergine giurata rispetto alla configurazione soggettiva e al desiderio [fig. 7] e la femminilità convenzionale, capricciosa e negativa della Divina nel cortometraggio diretto da Alice [fig. 8]. In entrambi i casi si tratta di una messa in scena sartoriale, con una valenza però del tutto opposta.

Nel caso della Divina, i tessuti, gli accessori, il trucco che modellano il corpo (per eccesso o con la loro mancanza) producono un soggetto univoco, un’entità identica a se stessa e alle altre copie della stessa personaggia che vengono prese di mira dagli obiettivi dei fotografi sul tappeto rosso. Alice e Alba, complici, giocano con una figura retorica dello spettacolo, ovvero la diva bionda e irascibile, di cui esistono infinite repliche nelle narrazioni occidentali contemporanee, alcune visualizzate nel cortometraggio. Mark porta con sé invece tutto lo smarrimento della difficoltà di comprendere la propria molteplicità e la differenza di cui i soggetti sono portatori, in un confronto continuo fra posizioni maschili e femminili più o meno in formazione (la sorella Lila, la nipote Jonida). Se la Divina può rapportarsi solo alle sue simili, compiute e piene come lei, ma anche immediatamente rase al suolo dal confronto con l’obiettivo fotografico, le personagge di Vergine giurata sono invece portatrici di una costante imperfezione, di tutto il peso degli interrogativi sul proprio ambiguo e mutevole posizionamento, e prosperano di fronte agli specchi presenti nel film.

Le sorellanze messe in scena da Alice e Alba Rohrwacher, anche al di fuori delle loro collaborazioni più dirette, non sono espressione di omogeneità. Non sono un inno alla pacificazione e all’uniformità, in funzione di un ipotetico progresso del femminile, omogeneo per tutte le donne – identificate dalla loro anatomia. Al contrario, sono tensioni e intensità, identificazioni e conflitti, che proliferano grazie al riconoscimento delle differenze di cui i soggetti sono portatori, e soprattutto delle molteplici posizionalità possibili per identificarsi con il ‘femminile’ come con il ‘maschile’.

 

Bibliografia

J. Butler, Fare e disfare il genere [2004], trad. it. di F. Zappino, Milano, Mimesis, 2014.

R. Harvey, E. A. Kaplan, F. Noudelmann (a cura di), Filiation and Its Discontents, Occasional Papers of the Humanities Institute at Stony Brook, 4, 2009.

L. Irigaray, Questo sesso che non è un sesso [1977], trad. it. di L. Muraro, Milano, Feltrinelli, 1990.

L. Irigaray, Essere due, Torino, Bollati Boringhieri, 1994.

M. Klein, ‘Amore, colpa e riparazione’, in M. Klein, J. Riviere, Amore, odio e riparazione [1937], trad. it. di F. Molfino, Roma, Astrolabio, 1969, pp. 55-112.

M. G. Minetti, ‘Il posto del soggetto nella catena generazionale’, Notes per la psicoanalisi, n. 0, 2012, pp. 121-139.

E. A. Nicolini, ‘Famiglie e postmodernità: quel che permane dell’Edipo’, in Notes per la psicoanalisi, 0, 2012, pp. 141-154.

M. Sommantico, ‘L’arcaico fraterno come ostacolo alle funzioni genitoriali’, in Notes per la psicoanalisi, 0, 2012, pp. 155-175.