Espressioni di un personaggio postumo. Pier Paolo Pasolini e La macchinazione di David Grieco

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Il contributo propone un’analisi del film di David Grieco La macchinazione (2016) – e in parallelo, soprattutto nella prima parte, del libro omonimo del 2015 – come caso di studio da cui sia possibile evincere, anche attraverso le modalità di costruzione del protagonista della pellicola, aspetti rappresentativi del ‘personaggio’ Pasolini e relativi, in particolare, ai lineamenti del suo volto e alla rappresentazione visiva dell’intellettuale intento a scrivere.

Il contributo propone un’analisi del film di David Grieco La macchinazione (2016) – e in parallelo, soprattutto nella prima parte, del libro omonimo del 2015 – come caso di studio da cui sia possibile evincere, anche attraverso le modalità di costruzione del protagonista della pellicola, aspetti rappresentativi del ‘personaggio’ Pasolini e relativi, in particolare, ai lineamenti del suo volto e alla rappresentazione visiva dell’intellettuale intento a scrivere.

 

Il centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini ha confermato la vitalità della fortuna critica di un autore che continua a intercettare il nostro orizzonte d’attesa. Iniziative editoriali, come l’uscita per Garzanti della nuova edizione di Petrolio curata da Maria Careri e Walter Siti, e una quantità estremamente nutrita di studi monografici invitano a riflettere sull’attuale ricezione dell’opera dello scrittore. Ma le iniziative accademiche, gli eventi artistici – tra mostre, spettacoli teatrali, documentari, reading – che hanno costellato la celebrazione dei cento anni dalla nascita del poeta vanno ben oltre la lettura delle dinamiche di appropriazione del macrotesto di un autore da parte di una comunità letteraria: la figura di Pasolini, il suo esistere così fatalmente caratterizzato da un corpo in equilibrio tra arte e vita, si collegano strettamente, infatti, anche all’attrazione esercitata da una personalità ‘magnetica’, ‘eccedente’.

Non è affatto semplice conciliare l’analisi rigorosa di una produzione letteraria – o latamente artistica – con concetti imponderabili quali sono quelli che ruotano intorno alle esperienze personali o al carisma di uno scrittore; tuttavia, il rilievo del profilo pubblico del poeta-regista incoraggia ogni impegno in tal senso, mettendo alla prova sguardi e analisi frequentemente attirati nell’orbita di un fascino, allo stato attuale, inestinguibile.

I tratti peculiari del Pasolini personaggio hanno per altro trovato una loro adeguata contestualizzazione critica nell’ultimo lavoro di Gian Carlo Ferretti. Lo studioso ha puntualmente indagato gli aspetti che hanno contribuito alla nascita e alla definizione dell’immagine pubblica dello scrittore, intrecciando il ricordo di vicende relative alla sua biografia, l’analisi dei testi e le reazioni – spesso, com’è noto, moralistiche e pretestuose – del mondo editoriale, del milieu letterario, delle istituzioni e della stampa. I casi, editoriali e giudiziari, che non di rado hanno accompagnato l’uscita delle opere di Pasolini scorrono in parallelo, nell’indagine di Ferretti, con la messa a fuoco della postura intellettuale del poeta, di quel suo incessante muoversi fra «umiltà e divismo, ostracismi e agiatezze, scandalo sofferto ed esibito, coraggio intellettuale e gusto della provocazione»[1] che ha cooperato, anche a partire dagli stessi interventi dello scrittore, alla costruzione di un’immagine condivisa; un’immagine la cui popolarità è rintracciabile in maniera empirica, oltre che in interessanti affondi critici come quello offerto da Ferretti, all’interno di un vasto e articolato orizzonte espressivo, di cui fanno parte la parola letteraria, il linguaggio figurativo, il mondo dei fumetti, come dimostrano, rispettivamente, i recenti contributi di Elena Porciani, Viviana Triscari, Martina Mengoni.[2]

Il cinema non è estraneo a questo eterogeneo panorama mediale. Basti pensare, ad esempio, a lavori come Pasolini, un delitto italiano (1995) di Marco Tullio Giordana, Pasolini (2014) di Abel Ferrara, oppure La macchinazione (2016) di David Grieco,[3] tutti e tre incentrati sugli oscuri eventi legati alla morte dello scrittore. È già significativo quest’ultimo dato per rendere l’idea della tenuta di una ‘mitografia’ pasoliniana, a maggior ragione se si considera, come ha chiarito Pierpaolo Antonello, che «complice l’eredità, e soprattutto quella sua morte così traumatica e prematura, di nessun autore del Novecento si è celebrato un lutto tanto lungo e insistito, accompagnato dalla dimensione di sacralità che naturalmente emerge da una vicenda come quella di Pasolini e che scavalca qualsiasi tentativo di ancorare la sua opera e la sua parola a una dimensione storiografica o critica»; a tal punto che «sono molti i critici che hanno sottolineato e compitato lo scadimento della figura di Pasolini a mito, a icona generazionale, a cheguevarismo all’italiana, a feticcio rappresentativo di un impegno progettuale e politico che sembra oggi mancare come il pane».[4]

Provando a fugare i rischi che una prospettiva poco ortodossa può comportare, si procederà a un’analisi del film La macchinazione – e in parallelo, soprattutto nella prima parte del contributo, del libro omonimo – come caso di studio da cui sia possibile evincere, anche attraverso le modalità di costruzione del protagonista della pellicola, aspetti rappresentativi del ‘personaggio’ del poeta-regista e relativi, in particolare, ai lineamenti del suo volto e alla rappresentazione visiva dell’intellettuale intento a scrivere.

 

1. «La mia faccia, la mia magrezza»

Il lavoro di David Grieco su Pasolini sviluppato in La macchinazione si compone di due momenti – il film del 2016 e un libro, dal titolo La macchinazione: Pasolini. La verità sulla morte, edito da Rizzoli l’anno precedente – e si configura come un’operazione transmediale in cui, dal punto di vista cronologico, il testo si congiunge idealmente alla pellicola.[5] La prova cinematografica prende infatti avvio dalla vittoria del Pci alle elezioni del giugno 1975 e ripercorre gli ultimi mesi di vita del poeta fino al suo omicidio; il libro invece, la cui pubblicazione si situa tra le riprese del film, girato tra giugno e agosto 2014, e la sua effettiva distribuzione, parte proprio da una testimonianza legata alla giornata del 2 novembre 1975 e dal recupero, elaborato dal punto di vista dell’autore, degli eventi occorsi dopo la notizia della morte di Pasolini. Tra ricordi personali e il commento di fonti primarie – costituite da documenti quali articoli giornalistici, interviste, atti processuali, oltre che da testi dello scrittore – il volume prova a ricostruire le vicende legate all’assassinio del poeta e sposa le tesi che inducono a riconoscere nella sua uccisione un delitto di matrice politica.

Il libro segue il processo relativo al ‘caso Pasolini’ esponendo, passo dopo passo, le incongruenze e le approssimazioni ravvisabili nelle indagini, e lasciando emergere possibili collegamenti tra le ricerche nelle quali lo scrittore era impegnato nella prima metà degli anni Settanta per la stesura di Petrolio – opera summa, pubblicata postuma nel 1992, che ingloba nell’orditura frammentaria e incompiuta della narrazione anche riflessioni sull’Eni, il caso Mattei, il potere di Eugenio Cefis e, come nella parallela produzione ‘corsara’, lo stragismo di Stato – e la loggia massonica P2, i servizi segreti, la criminalità di stampo mafioso, la malavita romana che darà i natali ad alcuni dei membri della futura banda della Magliana. Il film fornisce una versione analoga dei fatti, ma condensa le ingarbugliate traiettorie in cui è rimasta avvolta la morte di Pasolini in soluzioni che aggiungono un livello esplicitamente finzionale, con l’effetto di accentuare il carattere di mistero, da ‘giallo’ insoluto, degli avvenimenti. È ciò che suggerisce, ad esempio, la scelta di far interpretare all’attore Roberto Citran il personaggio di Giorgio Steimetz, in realtà pseudonimo di incerta identificazione dell’autore del libro Questo è Cefis. L’altra faccia dell’onorato presidente, pubblicato per la prima volta dall’agenzia di stampa Ami (Agenzia Milano Informazioni) nel 1972 e subito ritirato dalla circolazione, prima di essere nuovamente edito nel 2010 da Effigie. Posseduto in fotocopia da Pasolini, il volume rientra tra le fonti utilizzate dallo scrittore nella fase di composizione di Petrolio e, nel film di Grieco, diviene un fil rouge che connette, in maniera forse eccessivamente didascalica, la figura di Steimetz con il poeta, con il quale il fantomatico autore di Questo è Cefis entra in contatto e che tenta, mentre è a sua volta spiato da reti di controllo più ampie, di mettere in guardia.

Nel passaggio dalle pagine alle sequenze della Macchinazione, un altro espediente esemplificativo di uno scarto in direzione di uno slancio immaginativo assente nel libro è dato dal personaggio di Pino Pelosi, interpretato da Alessandro Sardelli. In entrambe le configurazioni mediali proposte da Grieco Pelosi – il quale, com’è noto, in un primo momento si è inverosimilmente addossato l’intera responsabilità dell’omicidio di Pasolini – gioca il ruolo di un’esca manipolata dall’alto (così come nella forma di un pretesto viene presentata la restituzione delle bobine rubate di Salò o le 120 giornate di Sodoma che doveva avvenire, nello scenario ipotizzato dal regista, la sera del 1° novembre 1975 all’Idroscalo di Ostia), ma con esiti differenti. Si legge nel volume:

 

Ciò che più colpisce leggendo il verbale della confessione di Pino Pelosi è il linguaggio del ragazzo. Pelosi è poco più che analfabeta, dovrebbe essere alquanto scosso dopo aver vissuto un’esperienza del genere, ma descrive con freddezza la sua bestiale colluttazione con Pasolini padroneggiando termini che userebbe un perito balistico. Il suo racconto è contorto, ripetitivo, ma appare tecnicamente piuttosto elaborato, al solo scopo di rendere credibile ciò che credibile non può essere, cioè il fatto che Pelosi, minorenne tutt’altro che robusto, possa essere riuscito a prevalere nella lotta contro Pasolini, cioè un adulto agile, muscoloso, dall’invidiabile forma fisica, e che per giunta lo avrebbe aggredito per primo.[6]

 

Al di là del riferimento alla forza fisica di Pasolini, di un certo interesse anche in relazione alla resa del suo personaggio tra le scene del film,[7] è possibile considerare il brano come un campione dell’impianto saggistico del testo, intrecciato lungo una serie di circostanziate riflessioni che seguono ordinatamente i materiali citati da Grieco per l’elaborazione del discorso. Nell’esito cinematografico della Macchinazione, invece, la ‘recita’ a cui Pelosi si sottopone di fronte ai poliziotti subito dopo la morte di Pasolini assume una valenza metadiscorsiva, giacché il ragazzo viene scritturato per un film, dal titolo allusivo Prezzo da pagare, in cui dovrà interpretare un ‘pischello’ che uccide un omosessuale. Durante il provino, inoltre, è chiamato a leggere proprio il verbale che, nell’epilogo, sarà costretto dal suo avvocato a sottoscrivere.

Una lettura del film condotta in parallelo con le pagine del libro si rivela efficace, oltre che per uno sguardo complessivo sui due lavori presi in esame, anche per un’analisi focalizzata sulle modalità di costruzione del personaggio Pasolini, nella duplice rappresentazione che lo vede sia incarnato visivamente sullo schermo, sia descritto con gli strumenti della prosa. Quest’ultima, in particolare all’interno del capitolo Diario di un film, rispetto alla raffigurazione cinematografica del corpo del poeta, si pone come un resoconto relativo al ‘backstage’, al periodo di ideazione e di lavorazione della pellicola, utile anche a offrire alcune conferme e chiavi di lettura legate al casting e alla scelta del protagonista: «prima di ogni altra cosa, per fare un film su Pasolini», spiega Grieco, «ho bisogno di un attore che possa impersonare Pasolini. Secondo me in Italia esiste un solo attore in grado di farlo. […] Massimo Ranieri è un grandissimo attore […] e le sue guance scolpite disegnano una somiglianza con il volto di Pasolini davvero impressionante».[8]

 Fotogramma tratto dal film La macchinazione (2016) di David Grieco

Nella caratterizzazione del personaggio del poeta-regista restituita dal film La macchinazione sono diversi gli elementi – materiali e simbolici – riconducibili all’immaginario espressivo che ruota intorno alla figura dello scrittore. Oggetti e aspetti ricorrenti nella pellicola (come l’Alfa GT o, a un altro e più alto livello di pregnanza metaforica, il corpo martoriato di Pasolini) hanno attraversato i codici semiotici, sedimentandosi in orizzonti artistici che continuano a ispirarsi all’immagine pubblica dell’autore, rinfocolandone ogni volta, di rimbalzo, determinati tratti peculiari. Si pensi, solo per citare due esempi relativi alle scene teatrali, e dunque emblematici di uno sconfinamento mediale, all’Alfa collocata alla destra del palco nello spettacolo Come un cane senza padrone, attraverso il quale la compagnia Motus ha riletto, nel 2003, un gruppo di appunti di Petrolio; oppure alla narrazione scenica recentemente proposta da Ascanio Celestini in Museo Pasolini, che custodisce tra le sue «reliquie laiche»,[9] secondo l’efficace definizione di Simona Scattina, proprio il corpo massacrato del poeta. Ma ciò su cui si intende in questa sede soffermare l’attenzione è la somiglianza tra il volto di Pasolini e quello dell’attore eletto da Grieco come interprete principale e imprescindibile della Macchinazione, Massimo Ranieri appunto. E non solo per le corrispondenze fisiche, ma anche e soprattutto per le produzioni semantiche che ne derivano.

L’evidenza delle affinità, nei tratti somatici, tra il viso dello scrittore e quello del protagonista del film di Grieco emergono significativamente a partire dalla prima scena. In apertura, i titoli di testa che si susseguono in sincrono con i lenti movimenti di macchina effettuati su un disegno a carboncino di Nicola Verlato – un groviglio di corpi all’interno del quale spicca, leggermente decentrato sulla destra, quasi a presagire un martirio, un corpo a testa in giù e il capo riverso – cedono infatti immediatamente il passo a un profilo che si staglia nella penombra dell’abitacolo di un’automobile.

 Fotogramma tratto dal film La macchinazione (2016) di David Grieco

Fin da subito, dunque, gli zigomi pronunciati, il volto scavato, le labbra sottili di Pasolini si riconoscono facilmente nel viso di Ranieri, le cui dichiarazioni in merito alla propria identificazione con il corpo del poeta si rivelano particolarmente sintomatiche di una sorta di predominanza, o comunque di un effetto, in absentia ma non per questo meno incisivo, prodotto dalla statura intellettuale del poeta. Come ha spiegato Stefania Rimini, «il catalogo di opere filmiche dedicate all’esistenza dello scrittore offre una galleria di volti, pose ed espressioni che evidenziano uno sforzo imitativo notevole da parte degli attori, decisi a somigliare il più possibile al modello originale, a non infrangere la sua aura mitica».[10] E in effetti, danno l’idea di un interprete che addirittura arretra di fronte al personaggio, di un attore che con discrezione si cala, prestando il proprio corpo, in una personalità troppo rilevante per poter essere ‘contaminata’ da qualsivoglia postura recitativa le dichiarazioni di Ranieri contenute negli extra del cofanetto del DVD del film, dove l’attore definisce Pasolini «un personaggio di uno spessore enorme, come mai mi sono capitati». E aggiunge: «in questi casi devi solo sottrarre, basta dire le battute; è talmente forte quello che dici che [le battute] non hanno bisogno di nessuna spinta emotiva. David mi ha fatto scoprire ancor di più Pier Paolo, difatti ho sentito il bisogno di andare a rileggermelo e a leggere anche altre cose che non avevo mai letto».

Testimonianze simili si ricavano anche da una conferenza stampa in occasione della quale l’attore ha precisato: «non ho dovuto truccarmi. L’unico elemento che mi è stato messo addosso sono quei benedetti occhiali che hanno dato subito alla mia faccia una parvenza di somiglianza abbastanza forte con Pier Paolo»;[11] occasione che gli ha consentito di accennare anche alla paura provata al pensiero di dover interpretare un personaggio così complesso.

In un’indagine sul film La macchinazione, dunque, tanto più si cerca di pedinare le inflessioni performative di Ranieri, quanto più affiorano, piuttosto, le tracce del personaggio Pasolini, racchiuse non solo nei lineamenti dei loro rispettivi volti, ma anche negli oggetti, come gli occhiali scuri, che abitano da lungo tempo la rappresentazione dell’immagine pubblica del poeta – da un passaggio di Teta veleta di Laura Betti,[12] ad esempio, fino al Pasolini di Ferrara, lungo un’escursione temporale e mediale – e a cui del resto neanche il libro di Grieco si mostra estraneo:

 

Massimo Ranieri […] impiegherà non più di un’ora per calarsi nel personaggio afferrandone gli elementi essenziali: la postura, la timidezza, lo sguardo intenso dietro le immancabili lenti scure. Massimo nel film parlerà con la sua voce, e con il suo lievissimo accento partenopeo. Non mi serve un imitatore. Non ho bisogno di un Pasolini di superficie. Mi serve un Pasolini pensoso, angosciato, profondo. E sapevo di trovarlo in Massimo Ranieri ben oltre la sua somiglianza fisica con Paolo. Perché Massimo per molti versi è come Paolo. Massimo Ranieri è sempre stato un artista spavaldo, indipendente, mai incline al compromesso. […] Massimo è meridionale ed estroverso mentre Paolo era settentrionale e introverso. Ma il coraggio, la forza e il senso di giustizia sono le caratteristiche di entrambi.[13]

 

Data ormai per assodata la consonanza fisiognomica tra Pasolini e Ranieri – sostenuta nel volume anche dalla narrazione di un aneddoto in base al quale lo scrittore stesso, incrociando poco prima della sua scomparsa l’allora giovane cantante nello spogliatoio di un campo da calcio, avrebbe ammesso di assomigliargli, come Grieco scherzosamente gli faceva notare – il regista procede individuando, tra i motivi principali che lo hanno spinto a rivolgersi a Ranieri, un principio di verità che consente di saldare, in virtù di qualità come «il coraggio, la forza e il senso di giustizia», la figura dello scrittore a quella dell’interprete; ma soprattutto, nel discutere del processo di immedesimazione con il personaggio del poeta, enuclea una serie di caratteristiche del temperamento di quest’ultimo – «la timidezza, lo sguardo intenso» – che informano di sé innumerevoli raffigurazioni della sua immagine. Non a caso, e in una ulteriore oscillazione dalle pagine allo schermo, il film La macchinazione si chiude sulle parole fuori campo di Moravia pronunciate nel corso dell’orazione funebre per Pasolini: «abbiamo perso un uomo mite, gentile, dall’animo portato ai migliori sentimenti, che odiava la violenza. Ci sono molti buoni, ma un buono come Pasolini sarà difficile trovarlo, sarà difficile che ritorni sulla terra molto presto».

Da questo punto di vista, come è stato evidenziato da Stefania Rimini attraverso un focus sui segni di performance di Ranieri all’interno della pellicola di Grieco, l’attore napoletano «riesce a far slittare l’immagine dello scrittore attraverso sottili variazioni di stile», dovute alla «tensione muscolare di Ranieri, alla plasticità dei movimenti del busto, all’energia con cui il suo corpo attraversa l’opera. Il suo Pasolini rivela così una fermezza di voce (e di gesti) che disegna una piega imprevista, e giunge a ritoccare quel tratto di fragilità proprio dell’originale».[14] Fermi restando i segnali di originalità rintracciabili – parallelamente alla somiglianza del protagonista con il suo referente reale – nell’interpretazione dell’attore, alcune sequenze recuperano i tratti di timidezza e il carattere mite del poeta, associati a uno sguardo schermato dagli occhiali scuri, ossia all’«inafferrabilità di un autore non meno misterioso in vita, nella sua più intima vita psichica, che nell’orrore della morte».[15] Esemplificativo è il passaggio in cui un ragazzo con un difetto di pronuncia si avvicina a Ranieri/Pasolini, in quel momento seduto a un tavolo della trattoria Al Biondo Tevere in compagnia di Pelosi, e inizia a incalzarlo per le sue argomentazioni contro la scuola dell’obbligo. Il protagonista pazientemente spiega al giovane che quelle accuse non riguardano lui.

Si tratta di un episodio secondario nell’economia complessiva del film, ma che appare sintomatico della tensione provocatoria delle coeve riflessioni del giornalista corsaro, rilevata oltretutto anche all’interno del libro La macchinazione. Nel racconto di Grieco relativo alla presentazione di Teorema alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, ad esempio, il clima di tensione del Sessantotto viene rimarcato dal ricordo di un incontro avvenuto tra Pasolini e un gruppo di studenti di sinistra che, alla vista dello scrittore, hanno dato luogo ad aspre manifestazioni di protesta nei suoi confronti a causa del componimento Il PCI ai giovani!!, salvo poi ricredersi di fronte all’eloquio pacato e magnetico del poeta:

 

Si avvicinano a Pasolini insultandolo, ma poi finiscono per ascoltarlo. A intervalli regolari ne arrivano altri, sempre in piccoli gruppi. Pasolini non si scompone e conferma tutto ciò che ha scritto in quella poesia apparsa su «L’Espresso». Paolo strapazza tutti quei ragazzi con la sua voce ferma, li spiazza con la sua calma, li intimidisce con la sua timidezza. Alle cinque del mattino, mentre albeggia, gli studenti radunati attorno a lui sono più di cento. Tutti pendono dalle sue labbra mentre Paolo, molto cortesemente, continua a dire tutto il male che pensa di loro.[16]

 

La presa di posizione espressa nel PCI ai giovani!! e la risonanza che ha suscitato rientrano tra le ragioni che hanno amplificato la notorietà del poeta, rinsaldando quel «sincronismo persecuzione-sfida-scandalo-successo»[17] posto da Ferretti alla base della formazione del personaggio pubblico di Pasolini; un nesso che si riconfermerà ineludibile anche negli anni immediatamente successivi alla contestazione studentesca, gli stessi di cui La macchinazione fornisce una rilettura cinematografica.

 

2. «La mia sola, puerile voce»

Se dall’osservazione delle sembianze fisiche riscontrabili nella versione di Pasolini proposta da Ranieri si passa, nel percorso lungo le sequenze della Macchinazione, a una lettura delle azioni del personaggio, una rima visiva che, anche per la sua ricorsività, si fissa nello sguardo dello spettatore è costituita dalla rappresentazione del poeta impegnato a scrivere. Quello legato a una alacre attività scrittoria è un refrain che accompagna l’immagine pubblica di Pasolini, oltre a essere un dato facilmente verificabile, se si pensa ai dieci volumi che compongono l’opera omnia pasoliniana pubblicata per Mondadori. È proprio nelle pagine di apertura della prima uscita dei Meridiani, nella prefazione a Romanzi e racconti. 1946-1961, che Walter Siti quantifica in una suggestiva descrizione la ‘grafomania’ comunemente attribuita allo scrittore: «c’è un semplice calcolo quantitativo che si può fare e che alla fine si trasvaluta in qualità: se teniamo conto degli inediti, ma senza tener conto delle riscritture, Pasolini ha scritto, tra il ’40 e il ’75, almeno ventimila pagine – il che significa quasi due pagine nuove al giorno, feste comandate comprese e lavori stressanti e malattie». Il risvolto ‘qualitativo’ direttamente discendente da tale impressionante costanza è presto enunciato: «qui c’è l’allegria di chi ogni giorno ha voglia di divorare, scrivendola, la realtà».[18] Di recente, anche Goffredo Fofi ha voluto offrire una sua testimonianza in merito a tale caratteristica distintiva del poeta-regista, affermando senza mezzi termini: «Pasolini era, diciamolo, un grafomane. Quando una volta si ammalò e dovette star fermo a letto per circa una settimana, spaventò Elsa Morante per la quantità di cose che riuscì a scrivere – commedie, poesie, soggetti cinematografici, articoli».[19]

Al di là delle allusioni all’assidua dedizione di Pasolini alla scrittura, le scene che, all’interno della Macchinazione, restituiscono l’immagine dell’Olivetti, della scrivania, del poeta concentrato e delle sue mani che battono sulla tastiera della macchina da scrivere riproducono un contesto visivo e scenografico su cui già Abel Ferrara aveva insistito nel suo Pasolini, dove – come ha notato Stefania Rimini nell’ambito di uno studio dedicato alle effigi degli ‘Scrittori sullo schermo’ – «l’orizzonte della scrittura invade spesso il campo e restituisce la dedizione ossessiva nei confronti della pagina bianca».[20] Nel film di Grieco queste inquadrature si caricano di una serie di connotazioni che sembrano renderle il correlativo oggettivo di almeno due aspetti afferenti alla fisionomia del personaggio Pasolini; essi riguardano, da una parte, la sua figura di intellettuale scomodo e trasgressivo e, dall’altra, una precisa dimensione estetica talvolta associata alla rappresentazione di tale figura.

Riguardo al primo punto, non può sfuggire il fatto che l’immagine del poeta-regista su cui giocoforza si concentra La macchinazione è quella che appartiene alla stagione corsara dei primi anni Settanta, ossia a una fase in cui la notorietà dello scrittore è oramai indiscussa, come lo è anche la forza provocatoria del suo pensiero. Il diniego nei confronti dell’omologazione culturale, le accuse rivolte al sistema neocapitalista e alla borghesia, responsabile di tale appiattimento, la denuncia pronunciata contro un’intera classe politica raggiungono in quegli anni vette di un’indipendenza intellettuale difficilmente riproducibile, dando vita anche a quell’insieme di metafore – la ‘scomparsa delle lucciole’, il ‘processo al Palazzo’, ‘io so’ – che sono entrate a far parte di un immaginario comune e di una comune visione del personaggio dell’autore. Come osserva giustamente Ferretti:

In sostanza, il Pasolini corsaro e grande campione di un giornalismo militante antagonistico verso ogni ordine costituito, precisa i suoi concreti obiettivi e realizza pienamente il suo nuovo e originale ruolo pubblico, la sua immagine di grande personaggio e la sua strategia di oppositore solitario fuori e contro le istituzioni, di disperato e strenuo combattente, di attivo e coinvolgente testimone, accusatore e giudice, di pedagogo anomalo e trasgressivo, attraverso sorprendenti analisi, provocatorie requisitorie, iterazioni argomentative, e attraverso una scrittura polemico-problematica di nuovo efficacia e funzionalità.[21]

Da questo punto di vista, sebbene nell’ambito di una rappresentazione che può tradire degli aspetti di stereotipia, le scene della Macchinazione riflettono la maturità e le peculiarità cui l’immagine pubblica dello scrittore era giunta negli anni Settanta. Non a caso, i testi ai quali Pasolini/Ranieri lavora – citati attraverso brevi stralci, in corrispondenza dei momenti in cui è impegnato a scrivere, dalla voce fuori campo dell’attore – sono gli Scritti corsari e l’opera che ne costituisce, per certi versi, il rovescio narrativo, Petrolio. «Il mio nome è sinonimo di scandalo», afferma con decisione il protagonista, inoltre, nel corso di un dialogo con Steimetz.

 Fotogramma tratto dal film La macchinazione (2016) di David Grieco

Ancora in relazione ai ritratti in movimento del personaggio del poeta colto nell’atto di scrivere, un dettaglio di non secondaria importanza è costituito dagli inserti in bianco e nero osservabili nei fotogrammi che introducono le scene che vedono il protagonista del film di Grieco seduto alla scrivania. Si tratta di un aspetto riconducibile al secondo dei due punti prima enucleati, quello relativo a una componente estetica connessa con una determinata ‘iconografia’ pasoliniana.

L’immagine dell’autore assorto nella sua attività di studio e di scrittura, circondato da oggetti che abbiamo imparato a riconoscere come familiari in una rappresentazione del personaggio Pasolini – la scrivania, la Lettera 22, i libri, le carte dei suoi articoli – è stata già parte integrante di un film dedicato alla morte del poeta, Pasolini, un delitto italiano, ma con una sostanziale differenza. Nella pellicola di Giordana, infatti, nessun attore si è cimentato nell’interpretazione di Pasolini, ma è stata l’immagine di quest’ultimo ad essere, al contrario, incorporata tra le sequenze attraverso una serie di materiali di repertorio. Tra questi, appare un gruppo di scatti provenienti dal servizio fotografico commissionato dallo scrittore, nell’ottobre del 1975, al fotografo romano Dino Pedriali. Le immagini immortalano il poeta-regista all’interno della Torre di Chia, un rudere medievale nei pressi di Viterbo scoperto durante le riprese del Vangelo secondo Matteo e luogo privilegiato per la stesura di gran parte di Petrolio, e avrebbero dovuto probabilmente confluire tra le pagine dell’ultima opera narrativa di Pasolini.[22]

Sono fotografie, inoltre, che hanno cristallizzato alcune delle espressioni più identificative dell’autore, il quale per altro si presta volutamente all’obiettivo, lasciando intuire una ‘regia’, un controllo nelle pose, se non un’intenzione ‘automitografica’. Del resto, come ha sottolineato Marco Balpoliti, «queste immagini sono una testimonianza straordinaria di come Pasolini si vedeva (o voleva farsi vedere).[23] Se nel film di Giordana tali espressioni vengono riprese direttamente, con la sola interpolazione costituita dalla trascrizione in sovrimpressione di brani tratti dall’articolo delle Lettere luterane ‘Bisognerebbe processare i gerarchi Dc’, nella prova cinematografica di Grieco esse appaiono richiamate, come si è visto, dalla dimensione documentaria suggerita dagli innesti in bianco e nero, ma anche – non è escluso – dalla posizione della macchina da presa, che riprende il busto di Pasolini fattosi personaggio di spalle oppure dall’alto, leggermente chino sui suoi fogli.

 Fotogramma tratto dal film Pasolini, un delitto italiano (1995) di Marco Tullio Giordana Fotogramma tratto dal film La macchinazione (2016) di David Grieco

Stabilire in maniera definitiva l’esistenza di un nesso, qui soltanto ipotizzato, tra le due configurazioni mediali ed estetiche – la versione fotografica consegnataci da Pedriali e quella cinematografica elaborata da Grieco –non è un fattore dirimente, per lo meno in relazione al rapporto che è possibile instaurare, anche a prescindere dal filo conduttore costituito dagli scatti del fotografo romano, tra il film di Giordana e La macchinazione, ovvero tra due diverse forme in cui l’immagine di Pasolini agisce e si reifica. Lo spessore documentario della pellicola del 1995, infatti, che segue da vicino la prima fase del processo per la morte dello scrittore fino alla sentenza del giudice Carlo Alfredo Moro del 26 aprile 1976, prevede una restituzione ‘fedele’, archivistica, della figura pubblica dell’autore; nel film di Grieco, invece, il processo di ‘iconizzazione’ postuma del corpo del poeta – e delle stratificazioni semantiche che esso comporta in termini di fascino e di spregiudicatezza intellettuale – si è a tal punto compiuto da contemplare un vero e proprio sdoppiamento attoriale del personaggio Pasolini, nonché uno sforzo di immedesimazione da parte di un interprete ‘altro’.

Si può discutere molto su quanto possa considerarsi riuscito l’obiettivo di dire ‘la verità’ (esposta nel sottotitolo del libro di Grieco) sulla morte dello scrittore, come anche sulle implicazioni forse troppo ambiziose di questo tentativo. Ma certamente entrambi gli assetti mediali della Macchinazione mostrano una loro fecondità critica se osservati entro un più ampio contesto mediale; un contesto in cui elementi costitutivi della raffigurazione pubblica del poeta-regista continuano a fluire e a esistere, sotto l’impulso di produzioni artistiche che, ad oggi, non hanno cessato di appropriarsi di quegli elementi e di risemantizzarli.

Che il volto di Pasolini – per non parlare dell’infinità di declinazioni assunte dalla tematica del corpo nell’opera e nella vita del poeta – possa ancora produrre significato appare del resto un’operazione connaturata al corpus stesso dell’autore. «Mostrare la mia faccia, la mia magrezza – / alzare la mia sola, puerile voce – / non ha più senso: la viltà avvezza / a vedere morire nel modo più atroce / gli altri, nella più strana indifferenza. / Io muoio, ad anche questo mi nuoce»:[24] al principio di una disillusione che non ricuserà di evolversi in aspra polemica, tra i componimenti di Poesia in forma di rosa e, in particolare, nelle strofe della Guinea, Pasolini oppone all’incipiente dilagare di una deriva culturale, sociale e politica il suo viso scarno e l’attrito delle sue parole; la «faccia» e la «voce», strumenti di resistenza e di un modo di esporsi che il poeta ha, in realtà, costantemente riempito di senso e di possibilità di espressione. Adesso sta anche a noi – lettrici, studiose, spettatrici – il compito di provare a dare significato al lascito di quei lineamenti inconfondibili.

 

 

1 G.C. Ferretti, Pasolini personaggio. Un grande autore tra scandalo, persecuzione e successo, Novara, Interlinea, 2022, p. 60.

2 Cfr. E. Porciani, ‘Versioni di Pier Paolo. Per una mappature delle mitografie di Pasolini’, Arabeschi, 20, luglio-dicembre 2022 <Versioni di Pier Paolo. Per una mappatura delle mitografie di Pasolini - Arabeschi Rivista di studi su letteratura e visualità>; V. Triscari, ‘‘Icona-Pasolini’. Ovvero della costruzione e della ricezione di un mito’, Arabeschi, <Icona-Pasolini. Ovvero della costruzione e della ricezione di un mito - Arabeschi Rivista di studi su letteratura e visualità>; M. Mengoni, ‘Pasolinik ovvero Pier Paolo Pasolini a fumetti’, Arabeschi, <Pasolinik ovvero Pier Paolo Pasolini a fumetti* - Arabeschi Rivista di studi su letteratura e visualità> [accessed 15.12.2022].

3 Per un’analisi dei film dedicati a Pasolini, con particolare riferimento al genere del biopic, cfr. S. Rimini, ‘The Imitation Game. Variazioni del personaggio-Pasolini fra scena e schermo’, in F. Tomassini, M. Venturini (a cura di), «L’ora è confusa e noi come perduti la viviamo». Leggere Pasolini quarant’anni dopo, Roma, TrE-Press, 2017, pp. 135-147.

4 P. Antonello, Dimenticare Pasolini. Intellettuali e impegno nell’Italia contemporanea, Milano-Udine, Mimesis, 2012, pp. 97-98.

5 Nel processo di attraversamento dei media preso in esame, si adotta qui la prospettiva delineata da Henry Jenkins, il quale identifica lo storytelling transmediale con «una storia raccontata su diversi media, per la quale ogni singolo testo offre un contributo distinto e importante all’intero complesso narrativo» (H. Jenkins, Cultura convergente [2006], trad. it. di V. Susca, M. Papacchioli, Milano, Apogeo, 2014, p. 84). Si ricorda che, tra gli studi teorici fondamentali relativi alla transmedialità, Irina Rajewsky propone invece una definizione orientata, più che sulla natura degli oggetti di studio, sull’approccio euristico con il quale essi si analizzano, e pone dunque l’accento su una transmedialità che «si concentra su fenomeni che si manifestano o sono osservabili across media» (I. Rajewsky, Percorsi transmediali. Appunti sul potenziale euristico della transmedialità nel campo delle letterature comparate, in F. Agamennoni, M. Rima, S. Tani (a cura di), Schermi. Rappresentazioni, immagini, transmedialità, Between, VIII, 16, 2018 <https://ojs.unica.it/index.php/between/article/view/3526>; accessed 15.12.2022).

6 D. Grieco, La macchinazione: Pasolini. La verità sulla morte, Milano, Rizzoli, 2015, p. 26.

7 Oltre alla passione dello scrittore per il calcio, esplicitamente richiamata nel film di Grieco tramite la messa in scena di una partita a pallone, si devono al personaggio di Antonio Pinna (Libero De Rienzo) le considerazioni più scopertamente collegate alla forma fisica di Pasolini/Ranieri; tra queste, figura l’aneddoto secondo il quale il protagonista, dopo essere stato un sera derubato del portafogli, ha lasciato gli aggressori «in un lago de sangue e si è pure ripreso il portafoglio».

8 D. Grieco, La macchinazione, p. 142.

9 S. Scattina, ‘«Ogni oggetto è per me miracoloso»… Pasolini nel Museo di Celestini’, Arabeschi, <«Ogni oggetto è per me miracoloso»… Pasolini nel Museo di Celestini - Arabeschi Rivista di studi su letteratura e visualità> [accessed 15.12.2022].

10 S. Rimini, ‘The Imitation Game’, p. 136.

11 La conferenza stampa è visionabile su YouTube al seguente link: <La Macchinazione - Pier Paolo Pasolini - Press Conference - YouTube> [accessed 15.12.2022].

12 «“Ma lei, scusi, non se li toglie mai quegli occhiali neri?”» (L. Betti, Teta veleta, Milano, Garzanti, 1979, p. 51).

13 D. Grieco, La macchinazione, p. 145.

14 S. Rimini, ‘The Imitation Game’, p. 144.

15 E. Porciani, Versioni di Pier Paolo.

16 D. Grieco, La macchinazione, p. 35.

17 G.C. Ferretti, Pasolini personaggio, p. 149.

18 W. Siti, Tracce scritte di un’opera vivente, in P.P. Pasolini, Romanzi e racconti. 1946-1961 [1998], a cura di W. Siti, S. De Laude, Milano, Mondadori, 2010, pp. XIII.

19 G. Fofi, Per Pasolini, Roma-Milano, Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia-La nave di Teseo, pp. 33-34.

20 S. Rimini, ‘Scrittori sullo schermo. Corpi, parole e strategie diegetiche’, in M. Paino, M. Rizzarelli, A. Sichera (a cura di), Scritture del corpo, Atti del convegno (Catania, 22-24 giugno 2016), Pisa, ETS, 2018, p. 96.

21 G.C. Ferretti, Pasolini personaggio, p. 112.

22 Supporta indirettamente tale ipotesi la nota progettuale di Petrolio in cui si legge: «Esistono anche delle illustrazioni (probabilmente ad opera dell’autore stesso) del libro. Tali illustrazioni sono di grande aiuto nella ricostruzione di scene o passi mancanti: la loro descrizione sarà accurata, e, poiché si tratta di opere grafiche di alto livello benché assolutamente manieristiche, accanto alla ricostruzione letteraria ci sarà una ricostruzione critica figurativa» (P.P. Pasolini, Petrolio [1992], a cura di M. Careri, W. Siti, Milano, Garzanti, 2022, p. 675). A questo proposito, sul piano degli studi critici, cfr. E. Siciliano, Vita di Pasolini, Milano, Mondadori, 2005, pp. 408-409; M.A. Bazzocchi, Alfabeto Pasolini, Roma, Carocci, 2022; M. Belpoliti, Pasolini e il suo doppio, Milano, Guanda, 2022, pp. 87-108. Le fotografie, oltre ad essere state esposte in diverse mostre, sono state raccolte e pubblicate in due edizioni: D. Pedriali, Pier Paolo Pasolini, Magma, Roma 1975; D. Pedriali, Pier Paolo Pasolini, Johan & Levi, 2011.

23 M. Belpoliti, Pasolini e il suo doppio, p. 94.

24 P.P. Pasolini, La Guinea, in Poesia in forma di rosa, Milano, Garzanti, 1964, ora in Id., Tutte le poesie [2003], a cura di W. Siti, Milano, Mondadori, 2009, I, p. 1089.