Favoloso Calvino. Il mondo come opera d’arte. Carpaccio, de Chirico, Gnoli, Melotti e gli altri, a cura di Mario Barenghi

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M. Barenghi (a cura di), Favoloso Calvino, Milano, Electa, 2023

Lo spazio delle Scuderie del Quirinale è aperto da una vasta scalinata a chiocciola che dal piano di accesso si solleva fino al livello superiore, dove inizia la prima delle due grandi gallerie. Per inoltrarsi nel percorso al visitatore resta da attraversare uno spazio di raccordo, prima stazione della mostra Favoloso Calvino (13 ottobre 2023 - 4 febbraio 2024, Roma, Scuderie del Quirinale) che si affaccia sulla pendenza delle scale. Con il disegno di una spirale e una stanza-balcone sopra le linee spezzate dei gradini, l’ingresso all’antica rimessa delle carrozze papali somiglia molto alla forma del mondo secondo Italo Calvino. Una corrispondenza affidata alla voce dell’autore in una sequenza di citazioni estratte dal testo Dall’opaco e proiettate sulla parete al termine della scalinata, come istruzioni implicite per guadare tutto quello che segue.

La mostra racconta l’impronta visiva del mondo nel pensiero e nella scrittura di Calvino attraverso un reticolo di immagini, oggetti e parole sospese sulle griglie di legno che forniscono il supporto verticale dell’esposizione. Queste impalcature ‘aeree’ determinano l’impatto visuale dell’allestimento formando un dedalo di scacchiere trasparenti capaci di filtrare lo sguardo di chi avanza sulle sale, in un continuo omogeneo ma fatto di moduli e strutture a vista.

Il percorso procede per undici serie che seguono sottotraccia, ma tutte ugualmente e ordinatamente rappresentate, le fasi della biografia intellettuale di Calvino, esplicitando i punti di snodo di un ritratto completo: il grande ritratto d’autore nel suo centenario. Prima indicazione di metodo e di lettura è la presenza di coppie di valori opposti nelle sezioni che si articolano fra «lo spazio fisico dei campi» e «lo spazio immaginario» del cinema e della letteratura (2. Natura vs artificio), fra 5. Il reale e il fantastico, fra il remoto/immenso e il vicino/piccolo (7. Tutto il cosmo, qui e ora). Altre sezioni sono dichiaratamente tematiche (3. La guerra, la politica; 4. Ritratti di Calvino; 10. Viaggi e descrizioni) o anticipano nel titolo la centralità di un’opera: 6. «Le fiabe sono vere»; 8. Mescolando le carte; 9. L’atlante delle città (in)visibili. Aprono e chiudono l’esposizione due emblemi dell’immaginario di Calvino, 1. L’albero e 11. Cominciare e ricominciare, che esprimono matrici profonde dello stile e dell’impegno intellettuale dell’autore. Le didascalie e i pannelli firmati da Mario Barenghi punteggiano il viaggio dello spettatore/lettore disegnando ora linee invisibili fra le diverse pareti della mostra, ora immersioni nelle radici più o meno esplorate della scrittura calviniana. Ogni volta che il curatore commenta una forma, un’opera, un’immagine sta descrivendo le pagine dell’autore: «un albero è prima di tutto una forma dello spazio. Dunque un emblema dal duplice valore: da una parte lo slancio verso l’alto, verso una sommità propizia all’estensione dello sguardo […], dall’altro il dispiegarsi delle fronde, la ramificazione, cioè il diramarsi di connessioni, sviluppi».

Allestimento della mostra Favoloso Calvino. Foto di ©Alberto Novelli

Distinti nel ‘Regesto delle opere in mostra’ (all’interno del prezioso catalogo pubblicato da Electa), tre sono i livelli di discorso che si intrecciano attraverso le tessere espositive: le copertine dei libri di Calvino segnano il tempo della vita e della scrittura; una fitta selezione di materiali d’archivio, a stampa, fotografici e audiovisivi formano l’ossatura narrativa della mostra, ricostruiscono ‘cosa’ vedeva Calvino (le città abitate e visitate, i film, le riviste che leggeva o a cui lavorava, la rete delle relazioni private e intellettuali); l’inedita collezione di opere d’arte racconta ‘come’ vedeva Calvino, permette di riconoscere gli archetipi figurativi diventati archetipi narrativi, i luoghi invisibili che prendono forma da quelli reali, le immagini che diventano funzione linguistica e conoscitiva. Attraverso l’incontro con Gnoli, Melotti, Adami, Bortolotti, Picasso, Peverelli, de Chirico, Baj, Baruchello, Steinberg, Borbottoni, Cremonini Calvino parla di politica e di immaginazione, delle proprie opere, delle forme di conoscenza, delle proprietà del linguaggio, dello statuto dell’artista e dell’autore, produce risultati narrativi originali, tenta di pensare sé stesso in rapporto al mondo e il mondo in assenza di sé. Le collaborazioni con personalità come Luzzati, Scialoja e Tadini trasformano i libri scritti, da scrivere o mai scritti in laboratori espressivi multimediali, mentre il confronto fra artisti genera immagini di secondo grado che ne contengono altre (Calvino che guarda Klee, ma anche Calvino che guarda Tullio Pericoli che guarda Klee). Il gioco di riflessi non si interrompe con la scomparsa dello scrittore ed è vivacemente rappresentato da tante opere realizzate nel nuovo secolo, dalla foresta di carta di Eva Jospin alle formiche di Emilio Isgrò, dalla scultura lignea di Giuseppe Penone alla libreria cosmicomica di Mark Dion fino al buco nero di Richard Serra (pastello a olio su carta, intitolato Calvino): una voragine in rilievo che implode-esplode, in cui tutto finisce, tutto sta per iniziare.

Allestimento della mostra Favoloso Calvino. Foto di ©Alberto Novelli

Fuori da ogni cronologia (ma entrambi riconducibili al contesto del Rinascimento italiano), si impongono le ‘visioni’ centrali della mostra. La prima, collocata nella sezione dedicata agli anni Cinquanta (la stagione delle Fiabe e degli Antenati), è l’Arazzo millefiori di Pistoia (1530-1535) con i suoi otto metri di seta e lana che formano un universo di spettacolari dettagli floreali e faunistici: il ‘mondo scritto’ con i suoi fili intrecciati, i suoi inganni, le sue meraviglie, ma anche un tappeto (come quello di Eudossia) in cui puoi credere di «contemplare la vera forma della città» (I. Calvino, Le città invisibili, 1972). Il secondo è la tavola di San Giorgio che uccide il drago dipinta da Carpaccio nel 1516, tarocco fra i tarocchi (esposta in prossimità del mazzo visconteo di Bonifacio Bembo), in cui lo scrittore-bagatto condensa l’impeto della scrittura e la disperazione dell’agire, la convivenza macabra e straziante con la bestialità che abita l’umano, il desiderio e l’odio verso l’altro da sé (il drago), la «certezza che guerriero e drago sono due elementi inscindibili d’un’unica figura» (I. Calvino, inedito 1973, pubblicato per la prima volta in Album Calvino, 1995). Al centro il Cinquecento, ai margini estremi Giulio Paolini che apre la mostra con il progetto di una pietra tombale mai costruita e la chiude con un’opera ideata per l’allestimento delle Scuderie: un collage a tecnica mista che coglie – di sfuggita, «in una rete di linee che s’intersecano» (I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, 1979) – lo sguardo di Calvino. Guardare, il titolo scelto da Paolini, corrisponde al volume curato da Belpoliti (Mondadori, 2023) per raccogliere gli scritti dell’autore dedicati alle discipline dell’immagine e ritorna in Calvino guarda il mondo. Pluralità, coesione, metamorfosi, il convegno internazionale organizzato a Roma dal Comitato nazionale per le celebrazioni del Centenario e dal Laboratorio Calvino (Sapienza, Università di Milano, Università di Milano Bicocca, Università di Oxford) in collaborazione con la Biblioteca nazionale centrale di Roma e Villa Medici, nella stessa settimana in cui si inaugurava la mostra.

Allestimento della mostra Favoloso Calvino. Foto di ©Alberto Novelli

Per Calvino guardare il mondo in un certo modo (problematicamente scelto fra gli infiniti modi possibili) significa essere scrittore: visibilità non è solo osservare, distinguere e riconoscere con gli occhi aperti ma coltivare il «potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di far scaturire colori e forme dall’allineamento di caratteri alfabetici neri su una pagina bianca, di pensare per immagini» (I. Calvino, Lezioni americane, 1988). Se fosse stato un sensibile e appassionato estimatore delle arti figurative, la mostra avrebbe risposto a una semplice curiosità biografica, ma in Calvino la visibilità è racconto. Per questo un progetto apparentemente tutto ‘fuori’ dall’autore, fuori dalle parole e dentro le immagini, è in realtà un potente richiamo a tornare (e attardarsi) dentro i suoi libri. Raccolte nella spirale di marmo delle Scuderie del Quirinale le opere visibili diventano proprietà del pensiero e della scrittura, si trovano lì non tanto perché sono oggetti d’arte ma perché sono servite alla letteratura. Calvino sa che l’arte figurativa è necessaria per la letteratura, che tutto è necessario per la letteratura e che la letteratura – anche noi dobbiamo crederlo – può essere utile a tutto.