Federico Tiezzi, Non si sa come

di

     


Sappiamo infatti che la legge è spirituale mentre io sono di carne.

Paolo, Romani 7,14

 

Possedere un corpo è ciò che fanno o piuttosto ciò che sono le persone.

Ricœur, Soi-même comme un autre, primo studio

 

Non si sa come ©Luca Manfrini

Se tutti i grandi scrittori sono «geometri del desiderio» (Girard), ciò è tanto più vero per Luigi Pirandello, laborioso rabdomante alla ricerca di segrete vene d’acqua nell’abisso del cuore umano, mosso dall’ambizione di censire i fiumi e i rigagnoli che – come scrive Qoèlet – sfociano in un mare che «non è mai pieno».

Un fiume alquanto carico di connotazioni simboliche è menzionato, non a caso, nella prima didascalia di Non si sa come, testo scritto nel ’34 dal drammaturgo agrigentino e messo in scena dalla Compagnia Lombardi-Tiezzi in una tournée che ha collegato ben sedici teatri, dallo Storchi di Modena al Grassi di Milano, dalla Pergola di Firenze al Manzoni di Pistoia. Nella evocativa descrizione della casa di uno dei personaggi, Giorgio Vanzi, si legge infatti come sotto il lungo terrazzo «scorra un fiume, che non si vede», immagine icastica di quel grumo di passioni che alla fine della pièce romperà ogni argine, sancendo ancora una volta l’indissolubile legame tra eros e thanatos.

Non si sa come è una drammaturgia composita, frutto dell’innesto di tre novelle già pubblicate che, secondo il dramaturg Fabrizio Sinisi, costruiscono la struttura di riferimento: «Nel Gorgo dipana orizzontalmente la vicenda, le fornisce impostazione e struttura; La realtà del sogno ne costituisce la diagonale, l’angolatura drammatica; Cinci scava verticalmente il personaggio e ne carica la tragicità illuminandone tutta l’oscurità retroattiva». L’esito è un palinsesto narrativo straordinariamente complesso, non già per il dinamismo d’azione quanto per l’audace squarcio sull’intimità dell’uomo. Nel protagonista Romeo Daddi (Sandro Lombardi) si tratta del ventre della sua coscienza, sconvolta per aver ceduto a un fugace amplesso con Ginevra (Elena Ghiaurov), moglie dell’amico Giorgio Vanzi (Francesco Colella); «delitti innocenti» è l’ossimoro che Romeo utilizza per consegnare alla moglie Bice (Pia Lanciotti), a sua volta insidiata da Respi (Marco Brinzi), tutto il suo sgomento per un corpo che si sveglia da sé «non si sa come», per un «gorgo improvviso», per un «terremoto» inatteso. Disegno imperscrutabile di un Dio che si ostina ad «accecare gli uomini, ogni volta, perché la vita nasca», che si diletta a far crollare «tutte le costruzioni perché la vita si muova».

Non si sa come©Luca Manfrini

Siamo così spettatori inermi davanti alla lotta di origine mitica tra «Ordine» e «Disordine», viviamo in continua tensione tra la filosofia del cogito e un’ontologia della carne che rivendica il suo spazio. Già San Paolo nel settimo capitolo della Lettera ai Romani scriveva: «nelle mie membra vedo un’altra legge che muove guerra alla legge della mia mente». Se in superficie l’impressione che abbiamo leggendo il dramma è di spiare una seduta analitica di gruppo, «una stanza di analisi matematica del pensiero», come scrive Tiezzi nell’opuscolo di accompagnamento alla pièce, uno sguardo in profondità ci fa cogliere invece le tracce di un esclusivo dialogo dell’anima con sé stessa.

Per Romeo Daddi «la vita è a patto di credere, non di sapere. […] Perché conoscersi è morire». Si svela così l’interlocutore ultimo cui indirizzare l’eco di quei «sogni sepolti» adesso riemersi: la morte. Romeo, infatti, ha già scelto la sua condanna: negare le relazioni che lo rendono colpevole, «negare la vita». Le ultime battute aggiunte da Pirandello nel finale per accontentare Alessandro Moissi (attore destinatario del testo) e Rolf Jahn (sovrintendente del Volkstheater di Vienna), i quali chiedevano una soluzione più «teatrale» o più «umana», appaiono un epilogo coerente, un «irresistibile richiamo della coscienza».

Pregevole è quindi la scelta di utilizzare come Leitmotiv dello spettacolo, oltre a brani di Kurtág, Stravinskij, Schönberg e Gershwin, l’Andante del Quartetto per archi La morte e la fanciulla di Schubert, di cui gli attori in scena mimano l’esecuzione; i quattro protagonisti sono infatti trasfigurati da Tiezzi in un vero e proprio complesso da camera intento a svolgere le consuete prove musicali. All’interno di questa originale cornice si svolge il dramma, costantemente punteggiato con gesti e geometrie da concerto. A Romeo spetta la parte del primo violino (esaltata dai virtuosismi di Lombardi), perché a lui compete l’esposizione dei temi che verranno poi ripresi dagli altri, generando ciò che Goethe definiva «una conversazione intelligente tra quattro persone». 

Molto suggestiva è inoltre la mise en image volta ad attingere al corpus figurativo della pittura surrealista e – segnatamente – di Savinio, maestro nell’arte dell’ibridazione: più volte gli attori compaiono in scena con teste di coccodrillo, rappresentazione simbolica di «quell’istinto della caccia che è in tutti agguattato».

Alberto Savinio_Prodigo

Funzionale ed elegante la scena impaginata da Pier Paolo Bisleri: dapprima un fondale scandito da tre luci (cifra stilistica ricorrente negli allestimenti di Tiezzi) fa da cornice alle prove d’insieme del quartetto; poi un salotto borghese con tappezzeria viola costituisce l’ibseniana (o strindberghiana) ‘camera della tortura’, ingentilita da sobrie boiseries dorate. Sapiente è l’uso delle luci affidato a Gianni Pollini, appariscenti e ricercati i costumi della Buzzi.

La scrittura scenica si avvale nel finale di un’ulteriore cifra identitaria: nove file di neon, disposte parallelamente al centro del fondale, illuminano quella che Tiezzi definisce «l’immaginazione anarchica» di Romeo Daddi. Questo interessa al regista: che Romeo arrivi «col suo bagaglio di immagini, come se fosse Salvador Dalì, e le trasformi in tortura del pensiero, in malvagi quadri surrealisti, avvolgendosi in una rete di parole che cattura e imbriglia il mondo». Le note di The Man I Love, nella sublime interpretazione di Billie Holiday, danno ritmo in chiusura agli applausi del pubblico.

Non si sa come©Luca Manfrini

Non si sa come

di Luigi Pirandello

Drammaturgia Sandro Lombardi e Federico Tiezzi

Regia Federico Tiezzi

Interpreti Sandro Lombardi (Romeo Daddi), Pia Lanciotti (Bice Daddi), Francesco Colella (Giorgio Vanzi), Elena Ghiaurov (Ginevra Vanzi), Marco Brinzi (Nicola Respi).

Scene Pier Paolo Bisleri

Costumi Giovanna Buzzi

Luci Gianni Pollini

Produzione Compagnia Lombardi-Tiezzi, Teatro della Pergola, Firenze