1. Tra partitura e ‘scrittura scenica’
Il 2021 ha visto diversi nuovi allestimenti di Davide Livermore, quasi tutti di titoli verdiani. In ordine cronologico si segnalano Elisabetta regina d’Inghilterra (Pesaro, Rossini Opera Festival, 11-21 agosto 2021), Norma (Catania, Teatro Massimo Bellini, 23 settembre 2021), La traviata (Firenze, Maggio Musicale Fiorentino, 17 settembre-5 ottobre 2021), Giovanna D’Arco (Roma, Teatro dell’Opera, 17-26 ottobre 2021), Rigoletto (Firenze, Maggio Musicale Fiorentino, 19-24 ottobre 2021), Macbeth (Milano, Teatro alla Scala, 7-29 dicembre 2021). In questo contributo si prenderanno in considerazione le messinscene della Norma di Vincenzo Bellini e del Macbeth verdiano. I due spettacoli sono stati scelti non tanto per la loro risonanza mediatica, quanto piuttosto per l’originalità delle proposte del regista e soprattutto per la loro esemplarità: la loro analisi consente infatti di mettere a fuoco talune fondamentali costanti della ricerca drammaturgica di Livermore e al tempo stesso di affrontare una serie di questioni cruciali relative alle modalità di trasmissione e di ricezione delle opere di repertorio nel panorama culturale contemporaneo.
Oggetto privilegiato dell’indagine sarà la ‘scrittura scenica’ che sovrintende entrambi gli allestimenti, laddove per scrittura scenica si intende – per dirla con Lorenzo Mango – «l’insieme degli elementi legati alla messa in scena, considerati non più come tanti fattori collaterali alla artisticità del teatro ma come parte integrante di un progetto creativo che è “scrittura” poiché determina e compone l’opera d’arte teatrale».[1] Del resto gli studi sulla dimensione performativa del teatro musicale, che si sono sviluppati negli ultimi decenni sotto la spinta del ‘Regietheater’, ci hanno insegnato che la messinscena di un’opera può venire presa in considerazione nella sua autonomia estetica rispetto al libretto e alla musica. Come ha evidenziato Clemens Risi,