Galleria

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Guardo, per così dire in anteprima, i quadri di Maccari che usciranno nella mostra della galleria La Tavolozza. Ed ecco che prendendo avvio e ritmo da quella (direbbe il lucchese Nieri) nudabruca che fa da chepì all’ufficiale austrungarico, tutte le donnine schizzano dai quadri a far carosello mentre nella memoria mi affiorano due versetti, sei nomi che quasi conferiscono a ciascuna una identità:

Lolo Dodo Joujou

Margot Cloclo Froufrou”.

Da dove vengono questi due versetti, questi sei nomi? La memoria cerca, trasceglie; e finalmente estrae, così come il pappagallino fa col pianeta della fortuna, un foglietto, una pagina.

L. Sciascia, Presentazione a Maccari alla «Tavolozza» (1970)

Come già in altre occasioni, il saggio di Sciascia dedicato a Maccari per la mostra allestita alla galleria La Tavolozza a Palermo prende avvio da un cortocircuito fra parole e immagini, innescato dalla lettura di un quadro, che – come ha notato Ferdinando Scianna a proposito del Ritratto fotografico come entelechia – si risolve in un affascinante reportage sui meccanismi della memoria involontaria dello scrittore. Le continue interferenze, i link che mettono costantemente in relazione gli scaffali della biblioteca e i quadri presenti nella galleria mentale di Sciascia, disegnano la struttura profonda che anima la sua saggistica. Forse perché la frequentazione di archivi, biblioteche, gallerie e atelier era una consuetudine estremamente piacevole nella giornata dello scrittore, i momenti più felici delle pagine dedicate alle arti figurative corrispondono all’appassionata ricerca delle concordanze segrete fra un quadro e la pagina di un romanzo, fra la visione del mondo di un pittore e quella di uno scrittore.

Così alle gallerie frequentate da Sciascia a Roma e a Palermo – si pensi alla galleria Arte al Borgo, diretta da Maurilio Catalano, che costituisce dai primi anni ’60 il luogo di ritrovo del cenacolo che si stringe attorno allo scrittore siciliano, o alla galleria La Tavolozza, presso cui vengono allestite mostre che Sciascia ha modo di seguire da vicino e di guardare «in anteprima» – si sovrappongono quelle presenti nel suo immaginario e quelle create dalla sua penna. Non è un caso se la «Rassegna bimestrale di cultura», da lui diretta dal 1950 fino alla sua morte e pubblicata dall’editore suo omonimo, si chiami appunto «Galleria» e dedichi poi diversi numeri speciali ad artisti e pittori come Bruno Caruso (1969), Mino Maccari (1970), Renato Guttuso (1971), Giuseppe Migneco (1972), Giuseppe Mazzullo (1972), Fabrizio Clerici (1988).

Una menzione speciale, in questa rapida disamina, merita senz’altro la galleria ideale (che è poi il riflesso di quella quotidiana e domestica formata dalla sua collezione privata), costituita dai quadri dei cinque pittori che in assoluto Sciascia predilige. Accettando «la leggerezza di un gioco che leggero non è», egli afferma: «Ecco dunque, in ordine alfabetico, i cinque nomi: Bruno Caruso, Rodolfo Cencotti, Fabrizio Clerici, Piero Guccione, Gaetano Tranchino. Non è una scelta da critico. È la scelta di chi ogni giorno posa gli occhi su qualche loro quadro e ne trae una certa gioia, quasi un aiuto a vivere».