Il disegno e l’animazione nel tecno-teatro di Marcel·lí Antúnez Roca

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Marcel·lí Antúnez Roca è considerato uno dei padri della performance tecnologica per l’uso di sistemi digitali e macchine robotiche. A dispetto di ciò, tutti gli elementi della sua scena dipendono da una pratica cui l’artista è particolarmente legato: il disegno. Nelle sue opere, il disegno non è solo progettazione bensì drammaturgia, che si sostituisce alla scrittura e si insinua in tutte le fasi della creazione, agendo in tre modi. 1) Il disegno che, attraverso la pratica che l’artista chiama Dibujos-Raíz, serve a creare la drammaturgia. 2) Il disegno che progetta le macchine robotiche e l’interattività della scena (Interaction Design). 3) I Dibujos-Raíz si trasformano in animazione interattiva e diventano elementi di scena, personaggi che l’artista, come un marionettista, controlla con l’ausilio di macchine e sensori. Si può affermare pertanto che Antúnez Roca, nel solco del teatro post-drammatico, lavori con una drammaturgia visuale, in cui il disegno organizza l’articolazione di tutti gli elementi della scena.

Marcel·lí Antúnez Roca is considered one of the fathers of technological performance for the use of digital systems and robotic machines. In spite of this, all the elements of his scene depend on a method to which the artist is particularly attached: drawing. In his works, drawing is not just design but dramaturgy, which replaces writing and defines all the phases of creation, acting in three ways. 1) Drawing that, through the practice that the artist calls Dibujos-Raíz, delineates dramaturgy. 2) Drawing that designs robotic devices and interaction (Interaction Design). 3) The Dibujos-Raíz are transformed into interactive animation and become elements of the scene, characters that the artist, like a puppeteer, controls with the help of machines and sensors. Therefore we can say that Antúnez Roca, following the post-dramatic theatre, works with a visual dramaturgy, in which drawing organizes the articulation of all the elements of the stage.

 

1. Introduzione

Marcel·lí Antúnez Roca è tra gli artisti cui è riconosciuta la paternità nell’uso di sistemi digitali e macchine robotiche nel campo delle arti performative. Nelle prossime pagine si metterà in evidenza la centralità del disegno in questo complesso sistema di tecnologie e in generale nella metodologia creativa di Antúnez Roca.[1]

Il discorso si articolerà come segue: dopo aver riassunto i principali studi sull’artista, si procederà ad analizzare il ruolo del disegno e dell’animazione nelle performance. Quest’aspetto sarà declinato in tre modi: disegno per creare la drammaturgia, disegno come elemento per l’interaction design, disegno che diventa materiale scenico, animazione interattiva. Infine, le conclusioni metteranno in luce che, oltre ai complessi sistemi tecnologici che connotano le performance di Marcel·lí, l’aspetto visivo è quello da cui tutti gli elementi si originano.

 

2. Dagli studi sulle performance meccatroniche alla sistematurgia di Antúnez Roca

Il percorso artistico di Antúnez Roca può essere fondamentalmente suddiviso in due grandi fasi. La prima, che dal 1979 giunge agli inizi degli anni Novanta, è contraddistinta dal lavoro in una dimensione collettiva e da performance radicali e rivoluzionarie che si svolgono per le strade o in luoghi non propriamente teatrali. Sono le esperienze realizzate con La Fura dels Baus e con Los Rinos. La seconda è quella che inizia nel 1992 con l’installazione JoAn, l’home de carn ed è contraddistinta da un percorso di lavoro individuale e dall’uso di tecnologie interattive e macchine robotiche in connessione con il corpo.[2] Quest’aspetto, in particolare, ha destato grande interesse negli studiosi del settore.

Essenzialmente si possono rintracciare due prospettive attraverso cui l’operazione artistica di Antúnez Roca è stata osservata. Una prima prospettiva mediale che si sofferma sul valore e sull’impatto che le tecnologie robotiche e digitali assumono in relazione alle arti performative; una seconda di carattere filosofico che ricorre alle teorie del postorganico e del postumano per studiare il significato che l’uso di tali tecnologie assume nei confronti della natura umana. Queste prospettive però non sono dissociate negli studi condotti sull’artista, bensì sono spesso intrecciate al fine di comprendere la complessità del suo operato.

Claudia Giannetti evidenzia questi due aspetti già a partire da Epizoo (1994) e fa notare proprio la correlazione tra l’impiego di un’armatura robotica e le problematiche connesse al postumano. Secondo la studiosa, la trasformazione di Antúnez Roca in un cyborg per mezzo dell’esoscheletro e l’agency del pubblico (gli spettatori intervenivano sull’azione grazie a un mouse e uno schermo) pongono questioni che non riguardano solo la metamorfosi della natura performativa ma anche i concetti di corpo e di soggetto (si pensi ad esempio ai problemi di natura etica che le biotecnologie e le neurotecnologie sollevano quando si applicano alle utopie di vita artificiale).[3]

Su un approccio filosofico, che parte però anche da una riflessione tecnologica, si pone l’analisi di Teresa Macrì sul concetto di corpo postorganico in relazione all’artista. La studiosa fa notare come il corpo abbia superato i suoi confini organici poiché l’ingegneria genetica e le tecnologie digitali lo ridisegnano continuamente. A proposito di JoAn, l’home de carn, il robot interattivo che mischia elementi organici e inorganici e che agisce mediante gli stimoli sonori emessi dagli spettatori, la studiosa parla di una figura inquietante, ai confini dello splatter e del fantasmatico, in cui si realizza una sintonia perfetta tra il sistema informatico e il concetto di postorganico, aprendosi a quelle zone che oscillano tra vita e non vita, uomo e macchina, corpo e cervello.[4]

Steve Dixon analizza l’operazione di Antúnez Roca all’interno del campo che definisce ‘Metal Performance’, in cui confluiscono performance robotiche che impiegano corpi umani con protesi metalliche. Dixon si sofferma in particolare su Epizoo (1994) e Afàsia (1998) sottolineando la natura oppositiva delle due performance rispetto all’uso delle tecnologie robotiche. Se Epizoo, in cui il corpo dell’artista è inserito dentro un’armatura robotica controllata dagli spettatori, rappresenta la meccanizzazione letterale di un corpo inerme; al contrario Afàsia permette a Roca, tramite l’armatura robotica indossata, di governare l’ambiente che lo circonda.[5]

Gabriella Giannachi parla dell’operazione artistica di Antúnez Roca nel contesto del teatro cyborg e sottolinea che l’artista usa la robotica come uno strumento che gli permette di far incontrare il livello biologico sia umano che non umano con il livello tecnologico, ma evidenzia come nel suo caso l’interesse verso questo tipo di sperimentazioni sia più etico e politico che estetico ed artistico.[6]

Antonio Pizzo osserva, invece, che nelle performance di Antúnez Roca i confini tra organico e inorganico, tra vivente e artificiale sono così sfumati da rasentare l’ambiguità. Ciò che mette in atto l’artista, continua lo studioso, è un confronto fra il corpo con la sua organicità e le tecnologie digitali con la loro malleabilità.[7] Pizzo nota altresì che, nonostante la scena di Roca prediliga l’uso di immagini, suoni e macchine, c’è un tentativo di recupero di una forma drammatica che si palesa nel racconto, una natura drammaturgica affine al teatro postdrammatico.[8]

Stephen Wilson nota che scienza e tecnologia hanno profondamente modificato la maniera di osservare le funzioni corporali e il concetto stesso di corpo, rendendo di fatto sfumate alcune categorie dialettiche come corpo/non-corpo, vivo/morto, naturale/innaturale, etc., motivo per cui il corpo è diventato il luogo su cui si fondano i nostri discorsi culturali. In tal senso, osserva lo studioso, alcuni artisti hanno direttamente lavorato sulla trasformazione del corpo attraverso l’uso di tecnologie. È il caso di Antúnez RocaEpizoo lavora con tecnologie per la stimolazione del corpo.[9]

Anna Maria Monteverdi, parlando di teatro interattivo, osserva che le produzioni dell’artista sono basate sul rapporto naturale-artificiale e sul parallelismo tra sistema informatico e sistema biologico, tanto che lo stesso artista, che ingloba sul suo corpo le macchine robotiche, rappresenta l’utopia del postumano.[10]

Gli studi appena citati, nella diversità di metodologie e intenti, sono accomunati dall’analisi delle relazioni corpo-biologia-natura-macchina-informatica ben evidenti e forse preponderanti nell’operato di Antúnez Roca. In questo dibattito teorico si inserisce lo stesso artista tramite l’elaborazione di una teoria sulla sua metodologia di lavoro, la Sistematurgia, elaborata esplicitamente nei primi anni del nuovo millennio sebbene i suoi principi base siano già operativi nella progettazione di Afàsia (1998), come si evince dalle sue stesse parole:

Desidero costruire un racconto interattivo controllato da un esperto. In ogni presentazione di Epizoo bramavo di essere l’usuario del gioco e di portarlo al limite. […] Ho intenzione di agire da solo e di essere solo io a controllare il medium. Il fatto di non dipendere quasi da nessuno mi ha dato buoni risultati in Epizoo. Ho l’idea di interagire con macchine e immagini sulla scena.[11]

Il termine Sistematurgia deriva dalla contrazione di ‘sistema’ e ‘drammaturgia’ e descrive la progettazione e l’esecuzione dei protocolli di interazione tra performer e macchine. I motivi che sottendono questa metodologia sono esposti dallo stesso Antúnez Roca:

L’apparizione della computazione ha prodotto l’emergere di situazioni interessanti, sincronie impossibili, comunicazioni onnipresenti, geografie sconosciute. La computazione consente di gestire la complessità di infinite forme. Da molto tempo ho preso atto di ciò e ho sviluppato interfacce, programmi e dispositivi che esplorano questo territorio. Tuttavia, mentre cerco di completare questa mappa immaginaria, appaiono nuove forme e nuovi usi che non avevo previsto. La mappa cresce. Questa topografia oggi la chiamo sistematurgia.[12]

La sistematurgia si compone di tre campi: 1) interfaccia, che racchiude l’utente e i dispositivi, in genere sensori, che, comunicando con il computer, permettono di creare l’interazione tra l’umano e la macchina; 2) computazione, che comprende computer, dispositivi informatici e software; 3) medium, o meglio media di rappresentazione che include gli elementi che rendono visibile il processo d’interazione tra interfaccia e computazione, come video, suono, disegno, animazione, robot, luci.

La nozione di sistematurgia è stata illustrata in diversi testi e pubblicazioni, in conferenze e in performance come Protomembrana (2006).[13] Se nei testi la spiegazione della sistematurgia segue le linee discorsivo-argomentative che concernono questi prodotti e se nella performance la spiegazione teorica deriva da una dimostrazione pratica dei concetti stessi, l’ultima esposizione del concetto, in ordine di tempo, è forse la più singolare, ma certo la più utile ai fini di questo articolo.

Nel 2014 Marcel·lí realizza presso il centro Arts Santa Mònica di Barcellona un’esposizione/retrospettiva sul suo lavoro, intitolata proprio Sistematúrgia. Accions, dispositius i dibuixos. La mostra è articolata in cinque ambiti. Nel primo, Escenario, sono riproposte alcune performance, da Epizoo, passando per Afàsia, Protomembrana, Hipermembrana, fino a Psuedo. Nell’ambito Procesos si incontrano l’installazione DMD Europa e una serie di disegni che illustrano il processo creativo dell’artista. L’ambito Instalaciones raccoglie una serie di installazioni interattive tra cui la famosa JoAn, l’home de carn. L’ambito Dispositivos raccoglie robot, interfacce e altri dispositivi utilizzati nel corso degli anni. In uno spazio espositivo di documentazione inoltre sono mostrati alcuni manifesti e il documentario El Dibuixant. La mostra riunisce dunque tutti gli elementi che da un lato illustrano e dall’altro mettono in pratica i principi pratici della sistematurgia. Il quinto ambito, il murale SADDi (contrazione del nome dell’esposizione), può essere pensato come una sintesi degli altri. La maggior parte dell’esposizione occupa il secondo piano dell’edificio che la ospita. Il murale è realizzato sulle pareti delle scale che conducono al piano della mostra e quindi introduce il pubblico alla visita, e illustra visivamente i tre comparti della sistematurgia e l’articolazione degli elementi che la compongono. SADDi è la realizzazione concreta di quella mappa immaginaria che l’artista aveva iniziato a figurarsi qualche anno prima. L’intero murale è la raffigurazione di un serpente con due teste, una per ogni estremità. Il corpo del serpente è suddiviso in zone, ognuna delle quali illustra una parte della sistematurgia. Ai tre campi propri della sistematurgia, si aggiunge nel murale anche una parte dedicata alla creazione, a ciò che precede gli elementi veri e propri che danno vita nella pratica alle performance. Dopo la bocca del serpente, nella parte bassa dell’edificio, si incontra il primo comparto, dedicato alle interfacce, che presenta i disegni delle interfacce inventate dall’artista (dreskeleton, guncam, joystick, tappeti e pulsanti) e, a seguire, i disegni che illustrano il comportamento delle stesse interfacce in azione. Segue il comparto della creazione, in cui sei personaggi dai tratti caricaturali e grotteschi, legati da un filo, rappresentano i diversi momenti del processo creativo. Il comparto seguente rappresenta la computazione che, a differenza dei precedenti, presenta un disegno astratto, sempre grottesco nello stile ma privo dei personaggi caricaturali. Gli elementi rappresentano i vari programmi che consentono il controllo delle diverse parti del progetto. Questa astrattezza delle immagini indica l’azione quasi impercettibile, a tratti invisibile, dei software che gestiscono la complessità dell’azione scenica e degli strumenti preposti a realizzarla. L’ultimo comparto racchiude il campo dei media di rappresentazione. Si ritorna alle figure caricaturali e si scorgono vere e proprie scene esemplari (ad esempio un cane che indossa un esoscheletro). Il murale si chiude nuovamente con la testa del serpente dalla cui bocca fuoriesce una caricatura dello stesso artista che conduce all’ingresso della mostra vera e propria.[14] L’artista utilizza il disegno per trattare un argomento teorico, segnalando ancora una volta la centralità di questo codice linguistico nella sua attività.

 

3. Non solo tecnologie: il ruolo del disegno

Nell’operazione artistica di Antúnez Roca l’aspetto tecnologico è di sicuro centrale ma, da quanto visto finora, è chiaro che il disegno non solo collabora alla performance ma è preminente nel processo creativo.[15]

Questa preminenza è chiara a partire dal film-documentario del 2005 dall’emblematico titolo El Dibuixant (Il Disegnatore),[16] opera che racconta la vita e il percorso artistico di Marcel·lí e allo stesso tempo mostra il suo particolare attaccamento al disegno. Il film comincia con Marcel·lí nell’atto di realizzare un murale, un gallo e una gallina con i volti dei suoi genitori. Tali disegni, filo conduttore del racconto, diventano un cartone animato che funge da elemento narrativo entro il quale si inseriscono vari video delle sue creazioni e testimonianze e racconti sulla sua attività.

Il film-documentario è accompagnato da un ‘manifesto’, una pratica consueta di Antúnez Roca che lo pone in connessione con le avanguardie storiche, un documento programmatico che presenta i suoi intenti artistici generali connessi all’opera specifica che sta realizzando:

Il lavoro con la tecnologia ha cambiato il mio modo di produzione. Ciò che nel mio periodo di lavoro collettivo era testo aperto, discussioni attorno a un tavolo, improvvisazioni d’azione e musica; ora è pianificazione, costruzione di prototipi, strumenti, tecnologia. Come far sì che le casualità fluiscano e il processo creativo continui a essere aperto fino alla fine? Per far ciò uso il disegno. L’alfabeto straordinario del disegno mi permette la materializzazione concettuale di qualsiasi cosa e la sua forma leggera consente qualsiasi cambio.[17]

Il disegno si pone a fondamento dell’atto creativo e ricopre tre valenze:

1. Concezione drammaturgica.

2. Elemento di sviluppo per l’Interaction Design.

3. Materiale scenico.

 

4. Il disegno come radice della scrittura drammaturgica

Le performance di Antúnez Roca nascono principalmente dal disegno e non dalla scrittura. Nei suoi taccuini l’artista, più che parole, annota la sua drammaturgia mediante schizzi, bozzetti, disegni veri e propri. Il disegno non è la pre-visualizzazione della scenografia, ma il principio generatore delle performance, cui la parola scritta può, eventualmente, accompagnarsi. Come osserva infatti David Armengol: «Il disegno è sempre stato presente nell’opera di Marcel·lí Antúnez, ma in un modo più intimo, procedurale e metodologico. Un aspetto che, nel corso della sua carriera, gli è servito come forma di scrittura alternativa a quella testuale».[18] Costituendosi come drammaturgia per immagini, la ‘scrittura’ di Marcel·lí impiega un proprio ‘alfabeto’.

A volte caricaturali, ironiche, grottesche, le figure sono volutamente deformate così da accentuare delle parti che l’artista vuole mettere in risalto. Emergono anche figure ricorrenti quali la bestia ibrida, metà uomo e metà animale, che da un lato rimanda ai bestiari medievali, composti da creature reali e immaginarie e dall’altro ad argomenti di natura scientifica come gli errori genetici che danno vita a esseri mostruosi. Il tema dell’ibrido però richiama lo stesso lavoro che l’artista conduce attraverso la relazione tra corpo organico e tecnologie robotiche. La bestia ibrida, infatti, riproduce in maniera grafica quei temi che l’artista ha iniziato a sviluppare a partire da Epizoo, come si è visto, quando il corpo umano ha iniziato a inglobare su di sé anche componenti non umane come parti fondamentali della sua struttura. Ad esempio, nei quattro murales che compongono l’esposizione Hibridum Bestiarium (2008), il tema è proprio la bestia ibrida.

Marcel·lí Antúnez Roca, Hibridum Bestiarium – Esposizione, 2008

È l’artista stesso, quando parla del procedimento generativo del suo lavoro, a porre il disegno come base di partenza:

Per generare l’idea molte volte disegno, la penso sotto forma di disegno. Il disegno mi aiuta a visualizzare ciò che immagino, ciò che mi emoziona. Il disegno è come un alfabeto e come la scrittura può comprendere quasi tutto. Dunque cerco di disegnare seguendo alcuni parametri, per questo sviluppo dei quaderni che aiutano il mio lavoro a essere più libero, non sottoposto alla pressione formale. I disegni già presentano un’idea di messa in scena. Impiego il disegno come una forma di pensare, come se si scrivesse a mano, come fase iniziale dei miei progetti.[19]

Il disegno è equiparato alla scrittura ed è un modo di pensare ma anche di agire; una ‘drammaturgia per disegni’, che Marcel·lí chiama Dibujos-Raíz (Disegni-Radice), sottolineando proprio con la metafora della radice quanto il disegno sia l’elemento germinativo delle sue creazioni.

Gli intrecci tra drammaturgia e disegno sono evidenti nel progetto Membrana, che si compone di tre opere – Protomembrana (2006), Hipermembrana (2007), Metamembrana (2008) – e di un’eventuale quarta, Duramáter (2010-in corso).

Protomembrana è una lezione-performance. Attraverso alcuni racconti-favole, l’artista illustra la sua metodologia di lavoro, la sistematurgia. Hipermembrana è una performance in cui, attraverso diversi dispositivi tecnologici, l’artista elabora una propria interpretazione del mito. Metamembrana invece è un’installazione interattiva che ha come tema fondamentale il paesaggio panoramico. Le tre parti di Membrana sono state progettate nella loro forma drammaturgica attraverso i Dibujos-Raíz.

Nei disegni che hanno dato vita all’episodio Cuento de los animales di Protomembrana, come i quattro che raffigurano un toro, un maiale, una capra e un coniglio antropomorfi, ospitati tra l’altro nella mostra Hibridum Bestiarium, si leggono anche alcune annotazioni tecniche scritte a mano dall’artista, che serviranno per la loro trasformazione in animazioni da mettere sulla scena.

  Marcel·lí Antúnez Roca, Dibujos-Raíz, Protomembrana (2006) - Toro, Maiale, Capra, Coniglio

I disegni iniziali dell’artista dunque non sono pensati solo come bozzetti, alla stregua di appunti, ma come degli elementi per sviluppare la drammaturgia.

Lo stesso procedimento si ritrova in Hipermembrana. Tra Protomembrana e Hipermembrana, l’artista realizza dei laboratori intitolati Membrana PDL (Post Digital Laboratory), in cui trasmette agli studenti la sua esperienza con le tecnologie e crea occasioni in cui poter continuare le sperimentazioni.[20] Per dare inizio a questi laboratori, l’artista si serve nuovamente del disegno, selezionando dal suo archivio una serie di immagini e creando un opuscolo: «Questo documento interno influirà discretamente nei laboratori di Membrana PDL, però dove realmente si utilizzerà e risulterà utile sarà nella creazione dell’azione Hipermembrana».[21] I disegni di questo opuscolo seguono temi specifici, corpo, fluidi, protesi, e sono raccolti secondo capitoli illustrativi delle diverse tematiche: Pliegues y orificios (Pieghe e orifizi), che racconta del corpo visto dall’esterno e visto dall’interno con i suoi liquidi; máscara sensora (maschera sensoriale), che racconta di come si possa liberare il corpo cancellando l’identità; Fluxdress, in cui si illustrano abiti che permettono di espellere liquidi sul corpo; Arquisexura (Architetture sessuali), in cui i vestiti sono architetture ma anche le parti del corpo diventano luoghi dell’abitare, come l’utero; Orgía expandida (orgia espansa), intesa in diversi sensi, sia sessuale che non, in cui si illustrano dispositivi che permettono di compiere azioni collettive.[22] Queste tematiche formeranno realmente il nucleo drammaturgico di Hipermembrana, coniugandosi con il mito del Minotauro, con l’Inferno di Dante e con alcune forme di vita microscopiche.

In Metamembrana, la visione panoramica di un paesaggio diventa il tema cardine. In questo caso il ruolo determinante del disegno nella costruzione dell’installazione è insito nella tematica stessa. Infatti, in Metamembrana lo spettatore può accedere a sette episodi interattivi ma l’elemento che permette l’accesso è appunto il paesaggio panoramico, il Pantopos, come lo chiama l’artista. Anche in questo caso il nodo drammaturgico deriva da un Dibujo-Raíz, che raffigura il paesaggio panoramico delle stesse dimensioni che avrà nell’installazione. La visione panoramica è però solo un pretesto per entrare nel mondo dell’artista. Il panorama diventa dinamico e mutante grazie all’ibridazione tra animazione e tecnologie interattive, e così lo spettatore può interagire con l’installazione componendo il paesaggio mediante sovrapposizioni d’immagini.

A conclusione del progetto Membrana, Marcel·lí vuole realizzare un quarto capitolo conclusivo, un film-documentario dal titolo Membrana, che negli anni successivi diventa Duramáter, un’opera autonoma. In realtà a oggi Duramáter è un progetto per un film non ancora realizzato, di cui esiste un trailer,[23] figlio dei progetti appena visti. Per sviluppare il concept di Duramáter, nel 2009 Antúnez Roca procede attraverso la ricognizione di disegni già realizzati. Il progetto del film però non vede la luce ma si concretizza in un Work Book che raccoglie il materiale classificato, un vero e proprio libro illustrato, una sceneggiatura per disegni con più di quaranta personaggi che vanno a comporre i capitoli e in cui le parole accompagnano le immagini. Il progetto Duramáter e i suoi disegni fungeranno da base per lo sviluppo dei personaggi che prenderanno vita nelle performance Cotrone (2010)[24] e Pseudo (2012),[25] tanto che l’artista definisce queste due performance come le figlie di Duramáter.[26] Tale libro dunque rappresenta l’ulteriore conferma che, pur nella diversità di linguaggi, la metodologia creativa dell’artista è la medesima e parte sempre dal disegno.

 

5. L’arte del disegno nell’Interaction Design

Un secondo livello in cui interviene il disegno è nella progettazione, sia dei singoli dispositivi scenici, sia dell’interattività della scena (Interaction Design).

Questo secondo livello si lega al precedente per due ragioni. La prima è che nello sviluppo di una performance di sperimentazione tecnologica, è inevitabile la riflessione sui dispositivi necessari e su come organizzarli in funzione dell’idea drammaturgica. Pertanto, la realizzazione dei disegni ‘drammaturgici’, i Dibujos-Raíz, è accompagnata simultaneamente da disegni più ‘pragmatici’ quali progetti o modelli. Qui però interviene la seconda connessione, poiché questi ultimi disegni non sono abbozzi che schizzano quel tanto che basta per indicare le istruzioni. Diversamente, sono opere finite, diremmo autonome in quei tratti tra il grottesco e l’ironico, simili ai disegni per la scena; quell’attitudine caricaturale, che accentua alcune parti in una figura dalle sembianze umane e ne rimpicciolisce altre.

L’insieme di questi ‘diagrammi’, come li chiama l’artista, può essere suddiviso in due categorie. Da un lato, i disegni di singole macchine o dispositivi come il caso del muskeleton di Epizoo o del dispositivo Maties della performance Pseudo

Marcel·lí Antúnez Roca, muskeleton di Epizoo (1994) e diagramma di Maties in Pseudo (2012)

È evidente dalle due raffigurazioni che non si tratta solo di diagrammi tecnici. Le informazioni tecniche sono inglobate in un disegno dello stesso artista che indossa il muskeleton nel caso di Epizoo, oppure in una sua caricatura per il dispositivo Maties, una testa robotica modellata su Marcel·lì che trae ispirazione dalle bambole dei ventriloqui.

Dall’altro lato si riconoscono i diagrammi dell’intero apparato scenico che raffigurano, oltre alle macchine, anche i performer e gli spettatori. Si tratta di diagrammi per il funzionamento della scena e per descrivere le relazioni tra i diversi elementi, ma allo stesso tempo sembrano vignette caricaturali, quasi strisce a fumetti. Come esempio si riporta il diagramma della performance Pol (2002):

Marcel·lí Antúnez Roca, Diagramma di Pol (2002)

Pol fu uno degli spettacoli più complessi dell’artista sotto il profilo delle tecnologie interattive. Nel progetto vi erano due performer che indossavano due dreskeleton, che dovevano essere connessi senza fili ai computer e al nuovo software POL, creato proprio per l’occasione. Dell’insieme facevano parte: i vudubots, figure robotiche indipendenti, automi dall’apparenza zoomorfa; tre schermi che dovevano mostrare i panorami dell’azione e interagire con i performer; il pubblico che doveva interagire in tempo reale con la scena. Nel suo personale stile, l’artista usa il disegno per creare un diagramma che visualizza la propria sistematurgia. Nel diagramma di Pol sono visibili, infatti, tutti e tre gli elementi ai quali si è accennato e le loro relazioni all’interno della performance: le interfacce (quelle che consentono al pubblico di interagire con la scena o il dreskeleton), il sistema computazionale (PC, server) e i media di rappresentazione (schermi).

 

6. Il disegno-animazione: elemento scenico vivo quanto il performer

Nell’ultimo livello il disegno diventa animazione e si trasforma in elemento scenico. Naturalmente esiste una continuità tra i precedenti disegni e quelli che poi sono utilizzati nell’azione scenica. Gli animali antropomorfi concepiti per Protomembrana diventano animazioni per la scena.

Questi disegni hanno già una forma. Quando li realizzo, penso già a come devono essere le cose nei disegni stessi. […] Pertanto disegno per parti; disegno il corpo, disegno la testa, disegno lo sfondo, disegno gli oggetti che sono necessari per spiegare la storia. Normalmente lavoro con l’inchiostro di china. Però non lavoro solo in bianco e nero ma anche con tutta la scala dei grigi. Con questa tecnica ho realizzato migliaia di disegni e ormai è una forma consolidata nel mio lavoro. Quando devo realizzare disegni per la scena lavoro con un formato di carta molto grande. Questi fogli vengono poi scannerizzati per parti e in seguito la figura è ricomposta e colorata con Photoshop. […] In seguito si procede con una animazione in Flash, ma si può utilizzare pure After Effects. Si separano le parti che devono muoversi e partendo da lì si animano. Con questi software si può controllare tutta la catena di produzione. Per esempio, se in una scena non ti piace il colore del viso lo puoi cambiare facilmente. O puoi cambiare il colore dello sfondo. Tutto questo in corso d’opera. Dunque lavori in un intorno, dentro la complessità, abbastanza aperto.[27]

Spesso le animazioni appaiono su schermi di proiezione, alle spalle dell’azione performativa. L’animazione proiettata però non è un decoro scenografico o illustrativo dei luoghi ma è elemento attivo che, assieme al corpo e alle macchine, assume il ruolo di performer, in un dialogo scenico equilibrato con gli altri elementi.

Marcel·lí Antúnez Roca, Protomembrana (2006) - Immagini per la scena - Toro, capra

L’uso delle animazioni però segue un’evoluzione storica. Esiste il periodo che va da Epizoo a Pol (1994-2002) e quello che da Transpèrmia (2004) arriva sino a oggi. La pratica di utilizzo dei disegni in scena comincia nel 2004, quando l’artista entra in una fase di riflessione e di riorganizzazione del suo lavoro. Le prime performance presentano invece una forma di animazione differente:

In Epizoo, Afàsia e Pol le animazioni sono digitali però differenti da quelle usate in seguito. In Epizoo abbiamo utilizzato foto analogiche scannerizzate del mio corpo ma anche di altri elementi come base delle immagini, questa stessa tecnica di elaborazione 2D dell’immagine scannerizzata sarà la base di Afàsia. Tanto in una performance come nell’altra si usano programmi non specifici e adattati per la produzione delle animazioni interattive come Visual Basic C++. In Pol si è utilizzato Flash con tutte le caratteristiche per l’animazione.[28]

In Epizoo, dietro al corpo dell’artista inserito nel muskeleton, si erge uno schermo verticale su cui è proiettata un’animazione grafica del suo corpo nudo. Nel corso della performance l’immagine si deforma sempre più, le parti del corpo si moltiplicano, l’insieme è sempre più scomposto, cambia colorazione sino a diventare quasi animazione di forme astratte.

In Afàsia, gli elementi narrativi principali sono le immagini retroproiettate e i suoni prodotti dai Soundbots (robot musicali). Lo schermo ospita due tipi di materiali, animazioni grafiche basate su fotografie o disegni e video interattivi. Nei diversi casi, il performer gestisce e manipola le immagini grazie al nuovo esoscheletro o attraverso la voce.

In Pol l’animazione si estende su tre schermi verticali che mostrano paesaggi e ambientazioni attivate delle azioni che i performer, con i loro dreskeleton, compiono sulla scena.

Sarà appunto con Transpèrmia che avviene un cambio netto della tipologia di animazioni sulla scena. Innanzitutto si tratta di immagini in bianco e nero ed inoltre è qui che Marcel·lí disegna dal vivo su una tavoletta grafica collegata a un computer. Nel capitolo finale, invece, entrano in gioco i Dibujos-Raíz, che l’artista converte in reali animazioni. Da questo momento il processo che dal disegno arriva all’animazione diventerà la base di tutte le performance future.

In Protomembrana questo procedimento è esemplare e i disegni diventano animazioni interattive i cui personaggi dialogano con il performer reale. Antúnez Roca diviene un marionettista ma le sue marionette prendono vita nell’ambiente digitale, grazie all’animazione e alla programmazione. I loro fili, anch’essi divenuti digitali, sono incorporati nel dreskeleton, che permette di controllarle. Ad esempio, nella scena Cuento de Martí, Martí è un personaggio le cui azioni sono controllate da Antúnez Roca che, grazie ai diversi pulsanti della sua armatura e ai sensori presenti in scena, può azionarne le singole parti.

Marcel·lí Antúnez Roca, Protomembrana (2006) - Cuento de Martí

Inoltre, sempre in Protomembrana, l’artista sviluppa un dispositivo, già utilizzato in precedenza e chiamato guncam, che permette di catturare in tempo reale il volto di una persona e di sovrapporlo alla figura animata.

Ma uno degli esempi più chiari è rappresentato dai progetti DMD (Dibujo Mural Dinamico): si tratta di dipinti in cui la dinamicità non mostra «l’agitazione del disegnatore nel suo lavoro ma lo stesso disegno in un trambusto che è variazione, sovrapposizione di figure precedentemente cancellate, palinsesto di segni per la rappresentazione».[29] Nei due progetti dello stesso anno, 2007, DMD Europa e 43 Somni de la raó, i video di animazione in stop-motion danno conto della dinamicità che l’artista vuole imprimere ai dipinti murali: «Lo stop-motion del processo di creazione mostra chiaramente un disegno già enunciato e che si ridisegna, un’immagine che si muove in avanti e indietro, un dettaglio che si pone e si corregge. Come nelle mie azioni, questo murale è il prodotto della sua messa in scena».[30]

Il disegno si contamina con la teatralità della performance. Sia che l’artista lo realizzi propriamente per un’azione scenica, sia che si tratti di un’opera pittorica più tradizionale come il murale, il disegno sottende sempre a un processo di creazione drammaturgica e di messa in scena. Il murale, come l’opera teatrale, attraversa una fase di prove fino a trovare una sua presunta stabilità sempre all’interno dei continui rimandi e scambi tra disegno, corpo dell’artista e azione performativa.

 

7. Conclusioni

Negli ultimi anni sembra che il percorso artistico di Antúnez Roca stia subendo una modifica radicale, paragonabile al cambiamento occorso agli inizi degli anni Novanta quando decise di lavorare autonomamente e con le nuove tecnologie. Nelle ultime realizzazioni, infatti, si assiste a un certo distacco dai modi tecnologici che lo hanno contraddistinto, a favore di un recupero delle esperienze di gruppo e di strada fatte negli anni Ottanta, anche se resta fondamentale il ruolo del disegno. Si prendano ad esempio l’installazione del 2015 Alsaxy e la performance del 2017 Tracapello.

Alsaxy è un’installazione interattiva realizzata a Strasburgo in cui gli abitanti del quartiere Hautepierre, indossando particolari costumi, hanno allestito una serie di azioni pubbliche, per lo più parate di strada, che sono state riprese per passare poi nell’installazione finale. Si tratta di una procedura che richiama la fase creativa della performance Hipermembrana, in cui l’artista era giunto alla versione finale attraverso tre laboratori, Hipermembrana PDL, svoltisi nelle città Ladines, Celrà e Torino, in cui dei gruppi locali erano coinvolti nella realizzazione di azioni che venivano filmate per comporre la banca dati video della performance finale. Mentre in Hipermembrana le azioni erano realizzate unicamente per la ripresa video, in Alsaxy le azioni sono sì riprese per l’installazione ma nello stesso tempo sono azioni pubbliche autonome. L’autonomia dell’azione pubblica è ancora più visibile in Tracapello, realizzato dall’artista a Valencia per il festival Intramurs. Tracapello è una vera e propria parata di strada realizzata grazie alla partecipazione di un centinaio di volontari, tutti vestiti da insetti, che sfilano insieme a una serie di carri per le vie della città accompagnati da un’orchestra.

Sono eventi lontani dalle performance meccatroniche, in cui l’artista recupera l’esperienza de La Fura dels Baus e in cui il pubblico è coinvolto senza utilizzare interfacce tecnologiche. Non è però l’abbandono del proprio percorso quanto piuttosto una trasformazione e una riflessione sui principi tecnologici e filosofici che hanno contraddistinto le performance precedenti; e anche in questo caso interviene il disegno.

La peculiarità di queste azioni è nei costumi delle persone e nei carri. I performer indossano costumi animaleschi realizzando così quel bestiario ibrido che era apparso nei disegni degli anni precedenti. Adesso quegli uomini-animali trovano una loro forma reale grazie all’innesto del disegno sul corpo del performer. Se l’ibrido postumano era stato realizzato in passato grazie all’uso di protesi robotiche connesse al computer, adesso l’umanità della persona è superata nella ibridazione con la bestia. Il disegno diventa lo strumento per creare i costumi che modificano i corpi nella realtà.

, Marcel·lí Antúnez Roca, Tracapello (2017)

L’operato di Antúnez Roca in tutte le sue varianti, dalle performance meccatroniche alle parate di strada, rientra in quella fase del teatro che Hans-Thies Lehmann definisce post-drammatico; quel teatro che non viene dopo il teatro di parola o si concretizza come un teatro senza parola, ma piuttosto che utilizza i vari segni teatrali, cioè tutti gli elementi compresa la parola, in modo differente rispetto al teatro di tradizione borghese, basato sulla gerarchia instituita dal testo drammatico. È un teatro dunque non gerarchico, senza sintesi, che procede per aperture e frammenti e quindi avverso alla compiutezza, in cui la presenza del corpo del performer è preponderante, in cui teatro è più processo che risultato.[31] Il lavoro performativo di Antúnez Roca richiama molti di questi tratti e in particolare, come si è avuto modo di constatare, si osserva la prevalenza dell’aspetto visivo:

All’interno dell’uso paratattico e de-gerarchizzato dei segni, […] si crea la possibilità nel teatro post-drammatico, dopo la dissoluzione della gerarchia logocentrica, di assegnare il ruolo dominante ad altri elementi che non siano il logos drammatico e il linguaggio. Ciò riguarda la dimensione visuale più che quella uditiva. Spesso al posto di una drammaturgia regolata dal testo, subentra una drammaturgia di tipo visuale […]. La drammaturgia visuale non è organizzata in modo esclusivamente visuale, ma è piuttosto una drammaturgia che non si sottomette al testo e può manifestare liberamente la propria logica.[32]

Tale logica è quella che si è cercato di individuare in queste pagine, illustrando il lavoro di Antúnez Roca. Nelle performance coabitano differenti segni teatrali che però sottendono tutti alla mano dell’artista, ai suoi disegni, che scrivono la narrazione e organizzano tutti gli elementi, che da scrittura drammaturgica si tramutano in ambienti e personaggi di una narrazione multiforme e disarmante, guidata da Marcel·lí, marionettista tecnologico, che li impiega insieme a sistemi digitali e macchine robotiche per costruire una scena polimorfica, polisemica e a tratti disarmante.

 


1 Il presente lavoro è frutto di un periodo di ricerca condotto a Barcellona (Spagna) tra ottobre 2016 e marzo 2017. Tra gli elementi determinanti, oltre allo studio teorico, si pongono l’aver preso parte al workshop Systorgy, tenuto dallo stesso artista, in cui si è lavorato con gli elementi delle sue produzioni, la frequentazione del suo studio e le diverse conversazioni intrattenute con lui che sono confluite in un’intervista.

2 Per la biografia artistica di Antúnez Roca cfr. www.marceliantunez.com/; M. Antúnez Roca, ‘De la creación colectiva de La Fura dels Baus a la sistematurgia de Protomembrana/Notas del Dibuixant’, Revista Canadiense de Estudios Hispánicos, Vol. 31, No. 1, 2006, pp. 63-81; Id., ‘L’attore, dall’animazione teatrale alla scena digitale. Intervista e nota introduttiva di Federica Mazzocchi’, Acting Archives Review, I, 1, 2011, pp. 229-266; Id., Sistematurgia. Acciones, dispositivos y dibujos, Barcellona, Arts Santa Mònica e Ediciones Polígrafa, 2016 (il libro è disponibile anche in lingua inglese e catalana); T. Mazali, F. Mazzocchi, A. Pizzo (a cura di), Marcel·lí Antúnez Roca e la performatività digitale, Acireale-Roma, Bonanno, 2011; A. Pizzo, ‘The Kaleidoscopic Career of Marcel·lí Antúnez Roca’, The Scenographer, 2015, <https://www.thescenographer.org/wp-content/uploads/2017/08/The-Kaleidoscopic-Career-of-Marcel%E2%80%A2l%C3%AC-Ant%C3%BAnez-Roca.pdf> [accessed 16 July 2018].

3 Cfr. C. Giannetti, ‘Natura (et ars) non facit saltus’, in M. Antúnez Roca, Performances, objetos y dibujos/Performances, objects & drawings, Sabadell, MECAD—Media Centre d’Art i Disseny, 1998, pp. 7-23.

4 Cfr. T. Macrì, Il corpo postorganico: Sconfinamenti della performance, Genova, Costa & Nolan, 1996.

5 Cfr. S. Dixon, ‘Metal Performance. Humanizing Robots, Returning to Nature, and Camping about’, The Drama Review, Vol.48, No. 4, 2004, pp. 15-46; Id., Digital performance: a history of new media in theater, dance, performance art, and installation, Cambridge MA, The MIT Press, 2007.

6 Cfr. G. Giannachi, Virtual Theatres: An Introduction, London, Routledge, 2004.

7 Cfr. A. Pizzo, Teatro e mondo digitale. Attori, scena e pubblico, Venezia, Marsilio, 2003.

8 Cfr. A. Pizzo, Neodrammatico digitale. Scena multimediale e racconto interattivo, Torino, Accademia University Press, 2013.

9 Cfr. S. Wilson, Information arts: intersections of art, science, and technology, Cambridge MA, The MIT Press, 2002.

10 Cfr. A.M. Monteverdi, Nuovi media, nuovo teatro, Milano, Franco Angeli, 2011.

11 M. Antúnez Roca, Sistematurgia. Acciones, dispositivos y dibujos, p. 34.

12 Ivi, p. 80.

13 Per una trattazione dettagliata della sistematurgia cfr. M. Antúnez Roca, Sistematurgia, 2005, in http://marceliantunez.com/texts/sistematurgia/ [accessed 16 July 2018].; Id., Sistematurgia. Acciones, dispositivos y dibujos; Id., ‘Piccolo trattato di Sistematurgia’, in A. M. Monteverdi, Nuovi media, nuovo teatro, pp. 233-239; Id., ‘Materia sistematurgica’, in T. Mazali, F. Mazzocchi, A. Pizzo (a cura di), Marcel·lí Antúnez Roca e la performatività digitale, pp. 13-32; A. Pizzo, ‘Sistematurgia. La quarta parete e lo schermo’, Mimesis Journal, Vol. 1, No. 2, 2012, pp. 124-146.

14 Cfr. M. Antúnez Roca, Sistematurgia. Acciones, dispositivos y dibujos.

15 Che il disegno sia un tratto caratteristico dell’operare artistico di Antúnez Roca non deve in realtà sorprendere più di tanto se si pensa che la formazione dell’artista avviene presso l’accademia di belle arti di Barcellona nel periodo che precede e in parte coincide con i primi anni de La Fura dels Baus.

16 M. Antúnez Roca, El Dibuixant, 2005. Film disponibile in <http://marceliantunez.com/work/el-dibuixant/#!gal/0/> [accessed 22 May 2018]

17 M. Antúnez Roca, Notas al Dibuixant, Barcelona, 2006, in <http://marceliantunez.com/texts/el-dibuixant/el-dibuixant.pdf>; [accessed 22 May 2018]

18 Il testo di D. Armengol, En tierra de nadie, proviene dal catalogo del 2009 dell’installazione Metamembrana e qui citato dalla sezione testi del sito dell’artista: <http://marceliantunez.com/texts/en-tierra-de-nadie/en-tierra-de-nadie.pdf> [accessed 22 May 2018]

19 M. Antúnez Roca, intervista personale, Barcellona, marzo 2017.

20 Antúnez Roca realizza tra ottobre e dicembre del 2006 quattro laboratori Membrana PDL nelle città di Barcellona (2-6 ottobre), Vitoria (8-11 novembre), L’Aquila (12-16 dicembre), LLeida (18-22 dicembre).

21 M. Antúnez Roca, Sistematurgia. Acciones, dispositivos y dibujos, p. 84.

22 Cfr. ivi, pp. 82-84.

23 Il teaser di Duramáter è disponibile in <http://marceliantunez.com/work/Duramater/#!gal/0/> [accessed 23 May 2018]

24 Per un’analisi della performance Cotrone si veda oltre al sito dell’artista anche T. Mazali, F. Mazzocchi, A. Pizzo (a cura di), Marcel·lí Antúnez Roca e la performatività digitale; A. Pizzo, ‘Attori e personaggi virtuali’, Acting Archives Review, I, 1, 2011, pp. 83-118.

25 Per un’analisi della perfomance Pseudo si veda oltre al sito dell’artista anche A. Pizzo, ‘Giocare con la tecnologia: Pseudo di Marcel-lì Antuanez Roca’, in A. Amendola, V. Del Gaudio (a cura di), Teatro e immaginari digitali. Saggi di sociologia dello spettacolo multimediale, Salerno, Gechi Edizioni, 2018, pp. 179-189.

26 Cfr. M. Antúnez Roca, Sistematurgia. Acciones, dispositivos y dibujos, p. 105.

27 M. Antúnez Roca, intervista personale, Barcellona, marzo 2017.

28 Ibidem.

29 P. Salabert, El cuerpo es el sueño de la razón y la inspiración una serpiente enfurecida. Marcel·lí Antúnez Roca: cara y contracara, Murcia, Cendeac, 2009, p. 51.

30 M. Antúnez Roca, Sistematurgia. Acciones, dispositivos y dibujos, pp. 96-98.

31 Cfr. H. T. Lehmann, ‘Segni del teatro post-drammatico’, tr. it. M. I. Runco, in V. Valentini (a cura di), Biblioteca Teatrale. Il teatro di fine millennio, aprile-dicembre 2005, pp. 23-47.

32 Ivi, pp. 35-36.