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Abstract: ITA | ENG

Questo saggio affronta la definizione dello spazio coreutico come scena abitata durante la performance, cercando nessi tra spazio e danza secondo le logiche della lettura dello spazio in architettura. Si azzardano trasferimenti concettuali da un campo all’altro, attraverso una ridefinizione epistemologica dei modelli di movimento come appropriazione dello spazio attraverso il corpo, finalizzata a completare analiticamente la mission didattica di Alphabet. Quest’ultima è un’articolata opera di scavo nella poetica creativa di gruppo nanou, in cui sono indagati i nessi grammaticali e sintattici del movimento, e sono individuate le leggi che ne regolano lo sviluppo spazio-temporale e che attraversano la produzione del gruppo. Alphabet è un ciclo di workshop residenziali per addetti ai lavori e amatori; i capitoli in cui si divide restituiscono la possibilità di scomporre il ‘sistema coreutico’, scrivendo pubblicamente e coralmente una coreografia con il solo scopo di smontarla. Ciò è attuato secondo logiche sistemiche adottate dalla tecnologia, intesa come scienza di governo dei processi produttivi, per consentire la lettura degli elementi componenti: la percezione della poetica derivata dalla tecnica dell’improvvisazione, dal trattenere coreograficamente modificazioni ed incidenti creativi che arricchiscono il prodotto evidenziandone le singole componenti. Il saggio è supportato dalla trascrizione critica dell’esperienza condotta con la partecipazione alla residenza svoltasi a Viagrande Studios e Scenario Pubblico, basata su un’azione di learning on the stage, dove gli osservatori hanno appreso autonomamente i principi della metodologia del gruppo e le modalità di fusione degli elementi dinamici del sistema che, con nuove desinenze e declinazioni, determinano un processo creativo aperto, con un continuo innovarsi del lessico. Si concentra l’attenzione sulla terminologia che costituisce Alphabet, e che ne definisce il sistema di segni e le dinamiche di ripetizione.

The essay deals with the definition of the choreutic space as a scene inhabited during the performance, looking for links between stage space and dance, venturing conceptual transfers from one field to another aimed at completing the didactic mission of Alphabet analytically. This is an articulated excavation work in the creative poetics of the nanou group in which the grammatical and syntactical links of the movement are investigated and the laws that regulate the spatio-temporal development that cross the group’s production are identified. Alphabet is a cycle of residential workshops for insiders and amateurs; the chapters in which it divides return the possibility of breaking down the ‘choreutical system’ by writing a choreography in public and chorus with the sole purpose of disassembling it. This is implemented according to the logic of technology, intended as the science of governance of production processes, to allow the reading of the component elements, the perception of the poetics derived from the improvisation technique, choreographically restraining changes and creative incidents that enrich the product highlighting the individual components. The essay is supported by the transcription of the experience conducted with the participation at the residence held at Viagrande Studios and Scenario Pubblico based on a ‘learning on the stage action’, where the observers independently learned the principles of the group’s methodology and the ways of fusion of the dynamic elements of the system which, with new endings and declinations, determine an open creative process with a continuous innovation of the lexicon. The focus is on the terminology that constitutes Alphabet, and which defines the system of signs and the dynamics of repetition.

 

1. Abitare lo spazio coreografico

 

La danza si fa architettura poiché idea, erige e progetta continuamente luoghi nei luoghi

Marco Valerio Amico

 

Questo scritto si inserisce nell’ambito delle tematiche di ricerca sul progetto dello spazio scenico, nei casi in cui la creazione ‘astratta’, priva di riferimenti testuali, non si sviluppi in un racconto ma in un percorso introspettivo, attraverso i caratteri di uno spazio rarefatto che non cerca conforto nel luogo, anzi ricorre ad una white box, evitando i condizionamenti derivanti dal site specific.

L’evidenza del processo creativo è un obiettivo nato come risposta al diffuso manierismo che deriva dalla creazione di linguaggi personali costruiti dalle compagnie a favore di spettacoli, piega che non lascia tempo alla ricerca personale. Il pubblico è rivolto sempre meno ai «linguaggi teatrali», per cui la danza contemporanea si rimette in gioco, rivede le proprie regole nello strenuo tentativo di trovare «le sue radici in territori diversi», guardando fuori da sé, «trasformando le esperienze in materia».[1]

La necessità di uno studio che ripieghi su se stesso, di uno spazio scenico ridotto ad una ‘mappa’ che, restando visibile anche a produzione avvenuta renda leggibile allo spettatore il riferimento che ha condizionato l’elaborazione coreografica, ci riporta alle condizioni artistiche in cui il processo si sostituisce al risultato: mostrare l’elaborazione creativa è più importante della performance.

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Abstract: ITA | ENG

Marcel·lí Antúnez Roca è considerato uno dei padri della performance tecnologica per l’uso di sistemi digitali e macchine robotiche. A dispetto di ciò, tutti gli elementi della sua scena dipendono da una pratica cui l’artista è particolarmente legato: il disegno. Nelle sue opere, il disegno non è solo progettazione bensì drammaturgia, che si sostituisce alla scrittura e si insinua in tutte le fasi della creazione, agendo in tre modi. 1) Il disegno che, attraverso la pratica che l’artista chiama Dibujos-Raíz, serve a creare la drammaturgia. 2) Il disegno che progetta le macchine robotiche e l’interattività della scena (Interaction Design). 3) I Dibujos-Raíz si trasformano in animazione interattiva e diventano elementi di scena, personaggi che l’artista, come un marionettista, controlla con l’ausilio di macchine e sensori. Si può affermare pertanto che Antúnez Roca, nel solco del teatro post-drammatico, lavori con una drammaturgia visuale, in cui il disegno organizza l’articolazione di tutti gli elementi della scena.

Marcel·lí Antúnez Roca is considered one of the fathers of technological performance for the use of digital systems and robotic machines. In spite of this, all the elements of his scene depend on a method to which the artist is particularly attached: drawing. In his works, drawing is not just design but dramaturgy, which replaces writing and defines all the phases of creation, acting in three ways. 1) Drawing that, through the practice that the artist calls Dibujos-Raíz, delineates dramaturgy. 2) Drawing that designs robotic devices and interaction (Interaction Design). 3) The Dibujos-Raíz are transformed into interactive animation and become elements of the scene, characters that the artist, like a puppeteer, controls with the help of machines and sensors. Therefore we can say that Antúnez Roca, following the post-dramatic theatre, works with a visual dramaturgy, in which drawing organizes the articulation of all the elements of the stage.

 

1. Introduzione

Marcel·lí Antúnez Roca è tra gli artisti cui è riconosciuta la paternità nell’uso di sistemi digitali e macchine robotiche nel campo delle arti performative. Nelle prossime pagine si metterà in evidenza la centralità del disegno in questo complesso sistema di tecnologie e in generale nella metodologia creativa di Antúnez Roca.[1]

Il discorso si articolerà come segue: dopo aver riassunto i principali studi sull’artista, si procederà ad analizzare il ruolo del disegno e dell’animazione nelle performance. Quest’aspetto sarà declinato in tre modi: disegno per creare la drammaturgia, disegno come elemento per l’interaction design, disegno che diventa materiale scenico, animazione interattiva. Infine, le conclusioni metteranno in luce che, oltre ai complessi sistemi tecnologici che connotano le performance di Marcel·lí, l’aspetto visivo è quello da cui tutti gli elementi si originano.

 

2. Dagli studi sulle performance meccatroniche alla sistematurgia di Antúnez Roca

Il percorso artistico di Antúnez Roca può essere fondamentalmente suddiviso in due grandi fasi. La prima, che dal 1979 giunge agli inizi degli anni Novanta, è contraddistinta dal lavoro in una dimensione collettiva e da performance radicali e rivoluzionarie che si svolgono per le strade o in luoghi non propriamente teatrali. Sono le esperienze realizzate con La Fura dels Baus e con Los Rinos. La seconda è quella che inizia nel 1992 con l’installazione JoAn, l’home de carn ed è contraddistinta da un percorso di lavoro individuale e dall’uso di tecnologie interattive e macchine robotiche in connessione con il corpo.[2] Quest’aspetto, in particolare, ha destato grande interesse negli studiosi del settore.

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