Le azioni della musica gestuale in Italia: tra teatro e performance art (1963-1969)

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Le musica gestuale degli anni Sessanta delinea tracciati irregolari in cui le pratiche dell'azione in musica sono rilette attraverso una lente inter e mixed-media, svolgendo un ruolo di catalizzatore per sperimentazioni coeve quali quelle del Nuovo Teatro e della Poesia Sonora e, nello stesso momento,  contribuendo alla ricezione italiana di pratiche come gli happenings e gli events. Analizzando alcune esperienze di musica gestuale nel passaggio tra la prima e la seconda metà del decennio Sessanta, si viene evidenziando uno slittamento da una prospettiva apertamente teatrale ad una performativa, partecipando all'affermazione della nascente scena del Comportamento italiano. Siamo quindi nei territori delle discontinuità che caratterizzano i principali contesti disciplinari di quegli anni. Da quest’ottica ampiamente interdisciplinare posizioniamo il nostro sguardo leggendo le azioni di compositori quali Sylvano Bussotti, Giuseppe Chiari, Domenico Guaccero, Walter Marchetti, Frederic Rzewski e Richard Titelbaum, entrambi questi ultimi del Gruppo Musica Elettronica Viva (MEV), cercando di cogliere quell’instabilità pratica, teorica e terminologica – in fin dei conti “storica” – che l'arco temporale selezionato ci restituisce. Convinti che gli anni in questione possano ancora rivelarci nuove prospettive e aiutarci nella comprensione dei contenimenti che i decenni successivi hanno riserbato a queste pratiche effimere e transdisciplinari.

The ‘musica gestuale’ of the Sixties outlines irregular paths in which the practices of action in music are reinterpreted through an inter and mixed-media lens, playing a role of catalyst for contemporary experiments such as those of the New Theater and Sound Poetry and, in the same moment, contributing to the Italian reception of practices such as happenings and events. Analyzing some experiences of “musica gestuale” in the transition between the first and second half of the 1960s, a shift from an openly theatrical to a performative perspective is highlighted, participating in the affirmation of the nascent scene of Italian Behavior. We are therefore in the territories of the discontinuities that characterize the main disciplinary contexts of those years. From this widely interdisciplinary perspective, we position our gaze by reading the actions of composers such as Sylvano Bussotti, Giuseppe Chiari, Domenico Guaccero, Walter Marchetti, Frederic Rzewski and Richard Titelbaum, both of the latter of the Musica Elettronica Viva (MEV) Group, trying to grasp that 'practical, theoretical and terminological instability – ultimately ‘historical’ – that the selected time span gives us back. Convinced that the years in question can still reveal new perspectives and help us understand the containments that the following decades have reserved for these ephemeral and transdisciplinary practices.

 

Dalla fine degli anni Cinquanta avevano preso avvio trasformazioni colossali nel modo di lavorare e di vivere, di produrre e di consumare, di pensare e di sognare degli italiani.

 

Guido Crainz, Il paese mancato

 

A cavallo dei decenni Cinquanta e Sessanta l’Italia vive il cosiddetto boom economico, il momento in cui passa da nazione agricola e devastata dalla Seconda guerra mondiale a paese tra i più industrializzati d’occidente, questo anche grazie a politiche di sfruttamento del lavoro.[1] Gli effetti del boom si scorgono anche nei fenomeni migratori che coinvolgono per lo più giovani del sud diretti verso il nord del paese, con il conseguente mutamento della geografia sociale e di quella affettiva che si trascina carichi di relazioni interrotte e individualità trapiantate. Un paese in movimento. L’emancipazione dei costumi sembra passare dalla lente made in States del consumismo[2]

In questo contesto l’azione, intesa come presentazione in prima persona, incarnata nel proprio gesto (politico, creativo, didattico ecc.), potrebbe essere un paradigma per leggere il decennio. L’azione diventa strumento di svalutazione e delegittimazione di vecchie abitudini, prassi e norme, pratica di scardinamento, di messa in crisi e di deviazione dai codici acquisiti, tanto nel contesto socio-culturale e immediatamente politico quanto nelle arti.

Nei primi anni Sessanta questa messa in discussione delle norme e degli specifici disciplinari attraverso le pratiche dell’azione coinvolge soprattutto le ricerche teatrali e musicali. Durante il decennio si viene ad articolare la sfaccettata scena del Nuovo Teatro, con la rilevante ricaduta teorica ed operativa della ‘scrittura scenica’ in cui la composizione scenica subisce radicali mutamenti tesi all’autonomia dei linguaggi impiegati, alle loro interferenze disciplinari e a un generale ripensamento del fatto teatrale in aperto rifiuto della tradizione e delle logiche statali e parastatali di gestione dello spettacolo.[3] Allo stesso tempo, il Nuovo Teatro Musicale ha indicato utilizzi disarticolati e autonomi dello spazio acustico e dell’uso della voce fino ad allora inediti, andando ad intaccare anche le modalità d’uso del testo verbale[4] e rinnovando il rapporto spettacolo/spettatore attraverso approcci ‘immersivi’ o all’opposto partecipativi.[5]

Sono diversi ed eterogenei i modi di praticare l’azione e la loro nomenclatura è altrettanto ricca: happening, event, environment, activity, performance. Gli slittamenti di senso tra le prassi e le terminologie possono sembrare minimi, ma ad un’attenta disamina rivelano tratti differenti.[6] Possiamo individuare due modalità principali che si sviluppano durante il decennio: quella teatrale in cui prevale la composizione, un nucleo collettivo di elaborazione, la necessità del rapporto spettatoriale, l’instaurazione di una temporalità come durata ‘da-a’, o come sommatoria di singole durate (molti aspetti comuni all’happening); e quella performativa dove c’è un rifiuto del livello compositivo, un’elaborazione dell’azione spesso individuale, la non necessaria chiamata pubblica, quindi la possibile assenza di un patto spettatoriale poiché l’azione diventa qui innanzitutto esperienza per chi l’agisce, infine l’instaurazione di una temporalità che rende possibile questo superamento del diaframma arte/vita, una temporalità quotidiana senza cesure, continua (aspetti comuni all’event Fluxus).[7] Queste specificità contraddistinguono le scene del Nuovo Teatro e della Performance Art almeno fino alla metà degli anni Settanta, quando un’assunzione forte della performance è evidente in un sempre più consistente numero di giovani gruppi teatrali.[8] Nelle vicende della musica gestuale che ci apprestiamo ad approfondire avviene invece un vero e proprio slittamento tra la modalità teatrale e quella performativa fin dalla metà del decennio Sessanta. Questo fenomeno, tutt’ora non indagato, ci permette di situare le ricerche musicali di alcuni compositori nel territorio della nascente performance art italiana.[9]

 

1. Su musica gestuale e teatralità

Prima di introdurre il discorso sulla musica gestuale e sulla rilevanza che la dimensione teatrale ha assunto nelle neoavanguardie musicali degli anni Sessanta, dobbiamo soffermarci maggiormente su quanto avvenne negli anni Cinquanta nella scena musicale, in particolar modo europea, contraddistinta da una vivacità e produttività sorprendente, in un panorama frastagliato e teoricamente impegnativo. Ecco, una delle questioni dirimenti riguardanti lo studio interdisciplinare delle neoavanguardie è proprio questa: nel contesto disciplinare musicale dobbiamo spostarci agli inizi degli anni Cinquanta per comprendere a pieno quella vera e propria sismografia che tanto l’azione teatrale quanto la performance hanno assunto nelle vicende musicali degli anni Sessanta.

La scena ‘europea’, come l’abbiamo chiamata, è rappresentata da giovani compositori di diverse nazioni ma in continuo dialogo e collaborazione, da Pierre Boulez a Bruno Maderna, da Karlheinz Stockhausen a Luciano Berio e Luigi Nono. Sono i compositori della cosiddetta Neue Musik [10] che attraverso una massiccia produzione musicale di teorie e composizioni hanno imposto all’attenzione il loro radicale rinnovamento delle strutture linguistiche e del fare musicale. Le proposte di questi compositori sono insanabilmente discontinue nei confronti del passato, anche quello più recente. Sintetizzando e schematizzando, la questione principale riguarda i procedimenti di una nuova metodologia e tecnica di composizione musicale, il serialismo integrale, in cui ogni parametro sonoro, dall'altezza al timbro all’intensità ecc. è utilizzabile all’interno di una serie preordinata in cui viene fatto proliferare con lo scopo di ottenere una costante trasformazione dei materiali. Queste procedure portano gli autori verso un’astrazione assoluta dei processi compositivi, tanto da essere assunti, scrive Andrea Lanza, «come liquidazione dei valori stessi dell’espressione».[11]

Di questo primo momento ascrivibile agli anni Cinquanta è importante sottolineare tre elementi che porteranno molti compositori di questa generazione ad affrontare il problema dell’azione nel Nuovo Teatro Musicale e nella musica gestuale negli anni Sessanta in un’ottica del tutto innovativa: le ricerche attorno allo spazio acustico e in particolar modo la creazione di dispositivi di spazializzazione per la produzione e riproduzione musicale,[12] le sperimentazioni vocali e infine un’attenzione al gesto del musicista, per ora embrionale e risultato dalla discordanza che si viene rilevando nei concerti di musica elettroacustica tra la presenza del musicista e quella del dispositivo (nastro magnetico, lettore, mixer, altoparlanti), facendo sorgere anche la questione della presenza dei media elettronici nell’azione dal vivo. Infatti, negli anni Sessanta, sia il Nuovo Teatro Musicale sia la musica gestuale presenteranno spesso formati mixed-media. Questi elementi, sommati all’urgenza di riacquisizione della dimensione espressiva che il serialismo aveva negato, hanno funzionato da propulsore per la nascita del Nuovo Teatro Musicale, un vasto territorio di sperimentazioni eterogenee che hanno messo in discussione il teatro d’Opera di tradizione sia attraverso un rinnovamento radicale dell’azione scenica, sia attraverso la presentazione di un teatro musicale nuovo, come altro dall’Opera.[13] Accanto a questo Nuovo Teatro ci sono altre azioni – scrivevo – «che si pongono risolutivamente come ‘altro’ dallo spettacolo musicale, ‘nuovo’ o meno».[14] Molte di queste esperienze rientrano nel fenomeno della musica gestuale all’interno del quale, a partire dalla metà del decennio, troviamo quello slittamento di senso tra i modi dell’azione teatrale e performativo.

Le prime esperienze di musica gestuale si avviano in Italia attorno al 1963, anno in cui prende avvio la cosiddetta congiuntura economica. Se l’economia del boom subisce il suo primo evidente scompenso, la musica gestuale s’avvia proprio come critica e riflessione sulla crisi d’espressività che il serialismo integrale aveva praticato e al contempo segnalato. Il lavorio sovversivo delle neoavanguardie musicali dei primi anni Sessanta non ha prodotto solo gesti, azioni, composizioni e teorie ma ha anche catalizzato l’attenzione verso l’event Fluxus e le azioni di John Cage, in particolar modo per via ‘romana’, grazie soprattutto all’impegno di Franco Evangelisti e dell’Associazione Nuova Consonanza.[15] Proprio durante il primo festival dell’associazione, le Manifestazioni di Musica Contemporanea presentate nel marzo del ’63 a Roma, il critico Mario Bortolotto tiene un intervento sul gestualismo in musica. Durante le manifestazioni furono presentati il Theatre Piece di John Cage e Reactions di Dieter Schnebel, per solista e spettatori, azione musicale interamente retta sul continuo feedback tra le due parti. Schnebel, Cage e Mauricio Kagel sono i principali promotori dell’azione teatrale in musica, attraverso una terminologia varia – Instrumentales Theater, Sichtbare Musik (musica visibile), in Italia chiamata musica gestuale.[16] L’elemento che contraddistingue queste pratiche è lo scollamento tra il gesto del musicista e il risultato acustico. Il primo aspetto ad emergere è l’azione del musicista, la gestualità forzata dalla natura dello strumento, che infatti nella musica gestuale è spesso sabotata: le corde del pianoforte percosse con le mani, il suo corpo ligneo accarezzato o preso a pugni, frustato – «Compiere colle mani un gesto estremamente violento e angosciato sulla parte legnosa del pianoforte»,[17] scrive Giuseppe Chiari nel testo verbale dell’azione Teatrino (1963). Queste azioni devono essere accuratamente descritte. Uno degli elementi che sono alla base della musica gestuale è infatti la scrittura d’azione, ovvero la composizione come testo verbale che descrive direttamente l’azione da compiere, spesso con le coordinate spaziali e temporali indicate e non un codice musicale come nella partitura classica. Si tratta di veri e propri script, dove la progettazione dell’evento prende il sopravvento nei confronti del risultato sonoro.

G. Chiari, Teatrino, Brescia, Banco ed. Nuovi Strumenti, 1974. Courtesy Archivio Giuseppe e Victoria Chiari (Firenze)

I critici più attenti al fenomeno riconoscono fin da subito la dimensione teatrale delle prime prove gestuali. Pensiamo al precoce Memoria (1962) di Sylvano Bussotti (1931-2021) che viene indicato da Gioacchino Lanza Tomasi come «spettacolo» e da Mario Bortolotto come un’apertura alle «prospettive teatrali».[18] In Bussotti è soprattutto la dimensione della partitura come script a trasformarsi in un vero e proprio piano di lavoro teatrale, come poi accadrà definitivamente nel suo primo spettacolo La Passion selon Sade (1965).[19] Giuseppe Chiari (1926-2007), il principale protagonista dello slittamento dall’azione teatrale a quella performativa in musica, esponente Fluxus, nel 1964 prende apertamente posizione in favore del fatto musicale «associato a situazioni sociali, culturali, di costume, umane insomma e quindi le porti con sé e le rappresenti» e contrario all’astrazione dei modelli logici del serialismo che «“ripulirebbero” i gesti e i materiali usati e si trasmetterebbero attraverso di questi senza esserne disturbati».[20] È una chiara posizione contro il serialismo, già espressa l’anno precedente nel suo Teatrino (1963) che, rifacendosi alla struttura compartimentata dell’happening e precisato come ‘spettacolo’ in una didascalia dello script, adotta la dimensione teatrale sia attraverso uno schema drammaturgico che ruota attorno al tema dei rifugi anti-atomici, espresso in un testo verbale che apre l’azione, sia attraverso un’attenzione particolare allo spazio teatrale come spazio comune di risonanza, necessariamente collegato alla presenza degli spettatori – ad esempio quando Chiari si concentra sulla dimensione sonora del respiro registrato. Racconta il compositore a Mirella Bandini: «poiché il rumore del respiro umano registrato diveniva una specie di soffio elettronico, scrissi: “dire: ascolteremo il nostro respiro”. Gli spettatori tacevano tutti, e si sentiva la sala respirare per un attimo».[21] Walter Marchetti (1931-2015) invece con il ben più radicale Lilà (1964) individua una durata predeterminata lasciando una sola indicazione nello script «molteplici attività possono aver luogo durante questi diciannove minuti»,[22] cercando così di disattivare l’aspetto compositivo, come avviene negli events Fluxus.

Walter Marchetti, Lilà, partitura edita in Dé-colla/age. Bullettin Aktueller Ideen, 5, january 1966, p. n. n.

Il compositore che maggiormente ha indagato le possibilità del teatrale nella musica gestuale è sicuramente Domenico Guaccero (1927-1984). Azioni quali Incontro a tre (variazioni su Ionesco) (1963) e (Nuovo) Incontro a tre (1964) sono costruite su scene individuate in testi verbali e didascalie, a partire da Ionesco. Nel primo le luci sono utilizzate come cesura ritmica tra le diverse scene, individuando precise durate, frammentate nelle time brackets (singole durate cronometrate) introdotte da John Cage negli anni Cinquanta. Lo script qui diventa già una «sceneggiatura teatrale»,[23] come sostiene Alessandro Mastropietro. Le azioni che stiamo considerando si riferiscono infatti apertamente al teatro. Lo stesso compositore, nel 1963 afferma «questo “Incontro” a L’Aquila si propone come “spettacolo”. Regista: l’autore».[24] L’Incontro a tre è costituito da sedici scene in cui il materiale musicale sono le relazioni tra i personaggi agenti. La via gestuale in questo momento per Guaccero corrisponde a una teatralizzazione del fare musicale, maggiormente evidente nel (Nuovo) Incontro a tre presentato nel 1964 presso il Centro Teatro Ateneo di Roma nella rassegna Teatro, Gesto, Grafia.[25] In questa azione infatti il gioco combinatorio, presente nelle composizioni musicali seriali fin dagli anni Cinquanta, investe le scene che, a scelta degli interpreti, sono accostabili e sovrapponibili in diverse disposizioni. Ci sono alcune, poche, scelte obbligate dal compositore e diverse possibilità combinatorie che mettono in discussione temporalità, durate, spazi, vicende. Inoltre, questa azione gestuale segna l’avvio della collaborazione tra Guaccero e la soprano giapponese Michiko Hirayama (1923-2018), protagonista di spettacoli successivi del compositore come Scene del potere e Rappresentazione et esercizio, ambedue del 1968, e per quanto riguarda il nostro oggetto, dell’Esercizio per voce (1965) in cui Guaccero approda ad un’azione pienamente performativa.

 

2. Musica gestuale e performance art

Inizialmente, in Italia, il termine performance riferito alle azioni di body e performance art viene poco utilizzato. Dal 1967 si utilizza il termine comportamento come sostantivo generico che non designa una tendenza specifica se non l’assunzione di sé stessi come materiali, più che il corpo come linguaggio della body art, l’esserci in uno spazio – Seguire la riva del mare in bicicletta come fa Eliseo Mattiacci ad Ostia nel 1970. Successivamente, il termine diventa nome proprio, il Comportamento come scelta estetica di una tendenza dell’arte visiva italiana, non del tutto assimilabile alla performance art pur abitandone molti territori comuni.[26] Contemporanea all’affermazione del Comportamento è l’azione performativa nella musica gestuale di alcuni compositori che abbandonano la modalità teatrale – chi momentaneamente come Domenico Guaccero, chi permanentemente come Giuseppe Chiari e Walter Marchetti.

Quello che si viene evidenziando nelle loro azioni è una rinnovata attenzione al dato corporeo in direzione di un’individualità da esperire e non a favore/discapito di personaggi da presentare, come quelli di molta musica gestuale dei primi anni. Non c’è più uno script che raccoglie le didascalie delle scene da rappresentare, si tratta ora di eseguire un esercizio sinteticamente descritto, come uno statement di un’azione. Queste azioni pongono al centro le caratteristiche individuali, più che le capacità acquisibili di chi agisce. Non sono training. Walter Marchetti, dopo aver eliminato l’aspetto compositivo tenta di eliminare il più possibile la componente sonora. In Alzare le braccia (1965) alza le braccia con le dita delle mani distese che si richiudono nel pugno mentre le braccia si alzano, poi distende le dita e le braccia si abbassano mostrando le mani vuote.

Walter Marchetti, Alzare le braccia, foto dalla partitura edita in W. Marchetti, Appocrate seduto sul loto, Madrid, Artes graficas Luis Pérez, 1968; foto della presentazione presso l’Aula Magna dell’Università di Pavia in occasione della rassegna Rumore di fondo (1978), foto di E. Simion; foto della presentazione durante l’edizione del 1990 di Milano Poesia presso la galleria Multiphla di Milano, foto di G. Unmarino

Frederic Rzewski (1938-2021), pianista americano in Italia dai primi anni Sessanta, tra i fondatori del Gruppo Musica Elettronica Viva (MEV),[27] nel 1964 scrive l’azione Selfportrait, pensata come esercizio privato, «destinato a un’esecuzione solitaria da parte del performer».[28] Quest’assenza del polo spettatoriale esclude ogni possibilità teatrale in Selfportrait e introduce la dimensione dell’azione come esperienza privata del performer. Qualcosa di simile avviene l’anno successivo quando Domenico Guaccero presenta un’azione musicale che scarta le possibilità del teatrale assumendo la performance come formato. L’Esercizio per voce, ‘scritto su e per Michiko Hirayama’ – non per un interprete ma per una performer precisa. Nelle azioni gestuali precedenti del compositore barese abbiamo visto come lo script assuma una forma di canovaccio generale, mentre nell’Esercizio per voce la descrizione è minimale, non vengono indicate né scene né personaggi, non è più richiesta alcuna interpretazione, e soprattutto, non è necessaria una dimensione liveness. Essendo esercizi, l’esecuzione dal vivo costituisce solo una possibilità finale, mentre l’accrescimento personale e la conoscenza dei propri limiti ne costituiscono il fine principale. Così l’attività spettacolare viene meno in favore di un esercizio performativo che riguarda solo l’esperienza di chi agisce, con un focus tutto concentrato su una corporeità esasperata non da training ma da una messa in tensione delle possibilità di un corpo specifico, quello di Michiko Hirayama. Guaccero definisce gli Esercizi «prove di forza, di tensione, di concentrazione, di possibilità (non di effettualità) sonore, (“possono e non possono venir fuori”)».[29] L’esercizio è suddiviso in eventi sonori e moti del corpo, quest’ultimi sono azioni delle braccia e degli occhi, della bocca e della testa, del bacino, delle dita e delle mani. Gli eventi sonori riguardano in particolar modo le possibilità del vocale, dove il corpo emittente è anche ostacolo d’emissione (la lingua sui denti, il frullato, canto ingolato) o ostacolato (cantato con acqua), ma riguarda anche azioni delle mani, delle dita e delle unghie in relazione tra loro e con materiali come il vetro tritato, la carta, il metallo. C’è tutta un’enfasi timbrica rivolta a una materialità corporea in precario equilibrio tra tatto e udito, ovvero rivolta ai sensi della propriocezione. Il corpo espressivo si fa qui pienamente conoscitivo.

G. Chiari, partitura di Fare qualcosa col proprio corpo e il muro, edita in Musica senza contrappunto, Roma, Lerici 1969. Courtesy Archivio Giuseppe e Victoria Chiari (Firenze)

Giuseppe Chiari dalla seconda metà del decennio decide di presentare i propri lavori in prima persona e non di affidarli ad un interprete e comincia a sondare i limiti del corporeo in riferimento al sonoro. In Analisi fisiologica (1966) utilizza un microfono poggiato in diverse parti del corpo per amplificarne i suoni interni. Richard Titelbaum – anch’esso del Gruppo MEV – si concentra sulle possibilità fisiologiche del corpo in In Tune, eseguita in prima alla Chiesa Americana di Roma nel dicembre del 1968. Battiti cardiaci, onde cerebrali alfa e respiro di Barbara Mayfield sono amplificati. In particolare, le onde cerebrali sono utilizzate per controllare un sintetizzatore Moog. Tornando a Chiari, le procedure combinatorie ancora presenti in Teatrino lasciano il passo a un’indeterminazione assoluta: «suonare liberamente» è il testo del Solo per megafono (1968). Indeterminata è anche Fare qualcosa col proprio corpo e il muro (1967) in cui si richiamano le possibilità sonore tra i due elementi, lo scontro tra il corpo vivo e quello inerte del muro – [30] come ci ricordano anche le successive Expansion in space di Marina Abramović e Ulay (1977) e Ombra diurna, possibilità di un’assenza della compagnia Il Carrozzone (1977).[31] Fare qualcosa col proprio corpo e il muro ci rimanda anche ad un altro tema caro ai primi performer, ovvero quello del conoscersi e riconoscersi: una progressione di piccoli gesti presi in considerazione da questi corpi ‘nuovi’ che sembrano ora conoscersi e conoscere ciò che hanno attorno, pensiamo ai passi di Bruce Nauman in Walking in an Exaggerated Manner Around the Perimeter of a Square (1967-1968), alla demarcazione dello spazio fisico del corpo realizzata da Vasco Bendini con l’ausilio di uno specchio e dei propri gesti minimi nel suo studio (Il mio spazio, 1967).[32]

In questi ultimi anni sessanta si formano musicisti e compositori come Giuliano Zosi e Giancarlo Cardini che ritroveremo sul versante gestuale performativo che abbiamo cercato di tratteggiare, mentre la generazione successiva vedrà il fenomeno maggiormente integrato nel contesto delle arti visive dove operano sempre più musicisti – pensiamo a Claudio Ambrosini e Marino Vismara – e contemporaneamente diversi artisti e teatranti adottano strumenti e formati musicali – la partitura corporale di Mano armonica e la performance sonora Vibractions di Ferruccio Ascari, il Last Concert Polaroid de Il Carrozzone, la performance radiofonica di Angelo Pretolani Correnti fredde (nel palinsesto di Fonosfera curato da Armando Adolgiso e Pinotto Fava). È ancora tutta da scrivere questa storia della performance art italiana dal versante musicale, più che quello disciplinare quello delle strategie operative messe in atto e delle pratiche presentate da musicisti, artisti visivi e teatranti. Questo approfondimento sugli slittamenti dell’azione tra teatro e performance nella musica gestuale italiana degli anni Sessanta allora vuole essere anche un primo riscontro di queste vicende.


1 Un commento dell’epoca è quello di F. Forte, ‘Il miracolo ha avuto per base la manodopera a buon mercato’, Il Giorno, 22 febbraio 1964. Toni Negri spiega questo fenomeno con la comparsa dell’operaio massa non specializzato e non politicizzato. Cfr. T. Negri, Dall’operaio massa all’operaio sociale, Verona, Ombre Corte, 2007. Esiste una ricca letteratura riguardante il boom economico italiano e le sue immediate conseguenze. Si veda almeno G. Crainz, Storia del miracolo italiano. Culture, identità, trasformazioni fra anni Cinquanta e Sessanta, Roma, Donzelli 1997 e 2003.

2 Sul modello consumistico americano e sulla sua espansività persuasiva si veda V. De Grazia, L’impero irresistibile. La società dei consumi americana alla conquista del mondo, Torino, Einaudi, 2006.

3 Per un approfondimento sulla scrittura scenica si vedano G. Bartolucci, La scrittura scenica, Roma, Lerici, 1968; L. Mango, La scrittura scenica. Un codice e le sue pratiche nel teatro del Novecento, Roma, Bulzoni, 2005. Per quanto riguarda le vicende del Nuovo Teatro in questi primi anni D. Visone, La nascita del nuovo teatro in Italia 1959-1967, Corazzano (PI), Titivillus, 2010 e V. Valentini, Nuovo Teatro made in Italy 1963-2013, Roma, Bulzoni, 2015, pp. 21-48. Si rimanda anche ai percorsi di ricerca online Sciami|Nuovo Teatro made in Italy <https://nuovoteatromadeinitaly.sciami.com/> e InCommon In praise of community. Shared creativity in arts and politics in Italy (1959-1979) <https://www.in-common.org/> [accessed 16 giugno 2021].

4 Giuliano Scabia ci ha raccontato di come la scomposizione vocale sul testo di Zip (1965) nacque proprio dalle precedenti richieste di Luigi Nono nel lavoro su La fabbrica illuminata (1964). Colloquio con Giuliano Scabia di Daniele Vergni 11 luglio 2017. Per un approfondimento sul Nuovo Teatro Musicale italiano degli anni Sessanta e sui suoi rapporti col Nuovo Teatro rimando a D. Vergni, Nuovo Teatro Musicale in Italia (1961-1970), Roma, Bulzoni 2019. Sul versante storico-musicologico e con un’attenzione particolare alla scena romana si veda A. Mastropietro, Nuovo Teatro Musicale fra Roma e Palermo, 1961-1973, Lucca, LIM, 2020.

5 Scrivevo: «Nel primo le strategie di coinvogimento dello spettatore sono incentrate su un'aderenza inclusiva di questo [lo spettatore, N.d.A] al mondo dello spettacolo attraverso dispositivi tecnologici che permettono d'immergerlo nella finzione scenica, immersione cui lo spettatore non può sottrarsi. Nel secondo, quello partecipativo, lo spettacolo costruisce strategie attraverso le quali lo spettatore viene messo nelle condizioni di poter agire, di poter mettere in atto un gesto intenzionale all'interno dello spettacolo e contemporaneamente di disattendere tutte le attese». D. Vergni, ‘Lo spettatore nel Nuovo Teatro Musicale’, in F. Fiorentino, V. Valentini (a cura di), Elogio dello spettatore. Teatro musica cinema arti visuali, Roma, DeriveApprodi, 2019, p. 39.

6 Mi sono occupato delle questioni terminologiche riguardanti l’azione in arte in D. Vergni, ‘Azione e comportamento in Italia (1967-1973). Questioni terminologiche e specificità linguistiche dell’azione come pratica nelle arti visive’, Biblioteca Teatrale, 136-137, di prossima pubblicazione.

7 Tra queste due modalità principali oscillano gli altri formati. L’activity, ad esempio, mette al centro l’esperienza dell’artista e non prevede necessariamente spettatori (come l’event e la performance), può però avvenire in momenti diversi, essere frammentata, utilizzando quindi una componente compositiva sparsa nel tempo e impiegando una serie di durate ‘da-a’ (come nell’happening). Cfr. M. Kirby, ‘“Attività”: nuova forma di spettacolo’, Sipario, 281, settembre 1969, pp. 15-20.

8 A partire dal biennio 1976-1977 molti gruppi teatrali adottano la performance come formato di opposizione radicale nei confronti del teatro. Pensiamo in particolare a Benedetto Simonelli, Gianni Colosimo e i gruppi The-a-tre, Taroni-Cividin, Il Carrozzone. Giuseppe Bartolucci in diversi interventi tra il 1979 e il 1981 scrive di Nuova performance, distinguendola sia dal ‘comportamento’ degli anni 1967-1976, sia dalle tentazioni della Nuova spettacolarità teatrale nascente. Per una prima panoramica rimandiamo a ‘Dalla postavanguardia alla nuova spettacolarità’, Teatroltre, IX, 20, Roma, Bulzoni, 1979; G. Bartolucci, A. Mango, L. Mango, Per un teatro analitico esistenziale, Torino, Studio Forma, 1980; G. Bartolucci, M. Fabbri, M. Pisani, G. Spinucci (a cura di), Paesaggio metropolitano, Milano, Feltrinelli, 1982. Per una ricostruzione storica si veda M. Valentino, Il nuovo teatro in Italia 1976-1985, Corazzano (PI), Titivillus, 2015.

9 Precedentemente mi sono occupato del Nuovo Teatro Musicale in Italia negli anni Sessanta, indagando anche le azioni teatrali della musica gestuale. Questo saggio nasce in parte da questo studio e in parte dalla ricerca di Dottorato in Spettacolo presso Sapienza ancora in corso (2019-2022) e che ha per oggetto la Performance Art in Italia tra gli anni Sessanta e i primi anni Ottanta. L’incontro di queste ricerche ampiamente interdisciplinari ha fatto emergere le ipotesi qui sistemate e proposte in forma embrionale nell’intervento Dalla musica gestuale alla Performance Art, presentato presso la Fondazione Scelsi di Roma il 28 febbraio 2020 durante la giornata di studi all’interno della manifestazione ‘Michiko, ponte fra oriente e occidente. Omaggio a Michiko Hirayama’. Ringrazio il Prof. Alessandro Mastropietro per i consigli che in tale occasione mi ha suggerito.

10 Le esperienze strutturali e seriali nella musica degli anni Cinquanta, nella loro difformità teorica e pratica, vengono accomunate sotto l’etichetta ‘Neue Musik’ che comprende in particolar modo giovani compositori e musicisti che si formano presso gli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt. Questi corsi, creati nel 1946 da Wolfgang Steinecke, vedono infatti in questi anni coagularsi il nucleo più combattivo dei nuovi compositori come Stockhausen, Berio, Maderna, Boulez ecc. Per un approfondimento A. Trudu, La scuola di Darmstadt. I Ferienkurse dal 1946 ad oggi, Milano, Unicopoli-Ricordi, 1992.

11 A. Lanza, Il secondo Novecento, Storia della musica a cura della Società Italiana di Musicologia, Torino, EDT, 1982, II ed. ampliata 1991, p. 98. Sul serialismo integrale si veda G. Borio (a cura di), L’orizzonte filosofico del comporre nel ventesimo secolo, Venezia, Il Mulino, 2003, in particolare i saggi contenuti nella prima parte ‘Struttura musicale e strutturalismo’, pp. 51-123.

12 Negli anni Cinquanta gli apporti delle nuove tecnologie alla creazione e ricezione musicale hanno aperto nuove possibilità compositive (la possibilità di comporre il suono prima di comporre con i suoni, di organizzare lo spazio acustico, d’intervenire su voci registrate attraverso vari tipi di processi, dalla sovrapposizione alle modulazioni ecc.), nuovi generi (musica concreta, elettronica, elettroacustica, music for tape recording) e nuove possibilità produttivo/esecutive. Si veda almeno F. Galante, N. Sani, Musica espansa, Milano, Ricordi-LIM, 2000.

13 Tale distinzione può essere colta anche nei diversi scritti che i compositori dedicano al teatro musicale. Sul primo versante, del rinnovamento, anche radicale, gli scritti di Luigi Nono e Giacomo Manzoni, sul secondo, un teatro musicale nuovo come altro dall'opera negli scritti di Luciano Berio e Domenico Guaccero, con intenti e modi però differenti. Si rimanda agli scritti: L. Nono, ‘Appunti per un teatro musicale attuale’, La rassegna musicale, XXXI, 4, 1961, pp. 418-424, ora in Id., Scritti e colloqui vol. 1, a cura di A. I. De Benedictis, V. Rizzardi, Lucca, LIM, 2001, pp. 86-95; L. Nono, ‘Possibilità e necessità di un nuovo teatro musicale’, conferenza tenuta a Venezia il 27 febbraio 1962 presso la Fondazione Giorgio Cini che segnò la ripresa della discussione sull’opera teatrale nell’ambito della nuova musica; pubblicata poi in Il Verri, 9, agosto 1963, pp. 59-70, ora in Id., La nostalgia del futuro. Scritti scelti 1948- 1986, a cura di A. I. De Benedictis, V. Rizzardi, Milano, Il Saggiatore, 2007, pp. 111-123; G. Manzoni, ‘Problemi del nuovo teatro musicale’ (1966), ora in Id., Tradizione e utopia. Scritti di musica e altro, a cura e con un’introduzione di A. De Lisa, Milano, Feltrinelli, 1994, pp. 197-206; L. Berio, ‘Problemi di teatro musicale’ (1967), in Id., Scritti sulla musica, a cura di A. I. De Benedictis, Torino, Einaudi 2013, pp. 42-57; D. Guaccero, ‘Un’esperienza di “teatro musicale”’, Il Verri, 21, Feltrinelli, Milano 1966, pp. 126-140, ora in Id., Un iter segnato. Scritti e interviste, a cura di A. Mastropietro, Milano, Ricordi-LIM, 2005, pp. 143-160.

14 D. Vergni, ‘Fare musica. L’azione “teatrale” di Giuseppe Chiari negli anni Sessanta’, in I. Caleo, P. Di Matteo, A. Sacchi (a cura di), In fiamme. La performance nello spazio delle lotte (1967-1979), Venezia, Bruno Editore, 2021, pp. 360-369.

15 D. Tortora, ‘«L’archivio delle cose da fare», da Cage ai romani’, in V. Cuomo, L. V. Distaso, La ricerca di John Cage. Il caso, il silenzio, la natura, Milano, Mimesis, 2013, pp. 27-40. Successivamente, dal 1967, nel nord del paese esplode il fenomeno Fluxus. Riguardo Nuova Consonanza, l’associazione di compositori viene fondata a Roma nel 1961 da Mario Bertoncini, Mauro Bortolotti, Antonio De Blasio, Franco Evangelisti, Domenico Guaccero, Egisto Macchi e Daniele Paris. Daniela Tortora, che ha studiato a lungo le attività dell’associazione, sintetizza il motivo fondatore di Nuova Consonanza nella «necessità di svecchiamento, non più rinviabile, della musica in Italia; azione comune ai fini della diffusione della musica contemporanea, al di là delle posizioni personali e dei singoli itinerari linguistici». D. Tortora, Nuova Consonanza. Trent’anni di musica contemporanea in Italia (1959-1988), Lucca, LIM, 1990, p. 35.

16 Per un approfondimento sulla musica gestuale e il suo rapporto con il Nuovo Teatro Musicale rimando a C. Annibaldi, ‘Musica gestuale e nuovo teatro: ritorno alla realtà’, La musica moderna vol. VII: Le avanguardie, Milano, Fratelli Fabbri, 1969, pp. 129-157. Si veda anche il già citato A. Mastropietro, Nuovo Teatro Musicale fra Roma e Palermo.

17 G. Chiari, Teatrino, Brescia, Banco ed. Nuovi Strumenti, 1974, p. n. n.

18 G. Lanza Tomasi, ‘Concerto d’apertura alla Terza Settimana Internazione di Nuova Musica’, L’Ora, 2-3 ottobre 1962 e M. Bortolotto, ‘Concerto inaugurale’, Il Giornale di Sicilia, 3 ottobre 1962.

19 Ricordiamo un intervento sul teatro di Sylvano Bussotti di Roland Barthes che s’intitola appunto La partitura come teatro, dove scrive il semiologo «il Libro (l’opera) non è un prodotto, ma un’operazione». R. Barthes, ‘La partition comme théâtre’, in F. Degrada (a cura di), Sylvano Bussotti e il suo teatro, Milano, Ricordi, 1976, p. 11.

20 G. Chiari, ‘Musica e oggetto’, Marcatrè, II, 3, febbraio 1964, p. 20. Ho già sostenuto altrove come sia impossibile comprendere le azioni del teatro musicale-gestuale di Chiari degli anni Sessanta senza prendere in considerazione la sua corrosiva critica al sistema musicale coevo, tanto d’avanguardia quanto quello più accademico. Cfr. D. Vergni, ‘Fare musica. L’azione “teatrale” di Giuseppe Chiari negli anni Sessanta’.

21 M. Bandini, ‘Conversazione con Chiari’, NAC Notiziario d'Arte Contemporanea, 11, novembre 1972, p. 30. Si veda G. Chiari, Teatrino, p. n. n.

22 W. Marchetti, ‘Lilà’, Dé-colla/age. Bullettin Aktueller Ideen, n. 5, january 1966, p. n. n. consultabile on line <https://www.fondazionebonotto.org/en/collection/fluxus/marchettiwalter/performance/2268.html> [accessed 20 settembre 2021].

23 A. Mastropietro, Nuovo Teatro Musicale fra Roma e Palermo, p. 327. Dello stesso autore sulle azioni gestuali di Guaccero si veda anche ‘Anni Sessanta: rappresentazione e superamento della crisi del linguaggio in tre lavori “gestuali” di Domenico Guaccero’, Musica/Realtà, XXXV, 105, Lucca, LIM, novembre 2014, pp. 145-169.

24 D. Guaccero, Incontro a tre [per due pianisti e un flautista, 1960], in programma di sala, Auditorium del Forte Spagnolo, Società Aquilana dei Concerti B. Barattelli, 26 maggio 1963, ora in Id., Un iter segnato, p. 463.

25 Secondo Alessandro Mastropietro questa rassegna getta le basi per la nascita, nel 1965, della Compagnia del Teatro Musicale di Roma. Cfr. A. Mastropietro, ‘Intorno alla Compagnia del Teatro Musicale di Roma: un nuovo modello operativo, tra sperimentazione e utopia’, in G. Borio, G. Ferrari, D. Tortora (a cura di), Teatro di avanguardia e composizione sperimentale per la scena in Italia: 1950-1975, Venezia, Fondazione Giorgio Cini Onlus, 2017, pp. 105-161.

26 Nel comportamento, infatti, tanto l’azione effimera quanto l’opera oggettuale sono al centro di processi d’incarnazione materiale (embodiment). Cfr. D. Vergni, ‘Azione e comportamento in Italia (1967-1973). Questioni terminologiche e specificità linguistiche dell’azione come pratica nelle arti visive’.

27 Gruppo attivo nell’area romana, nato nel 1966 e formato da compositori di provenienza statunitense: Fredric Rzewski, Alvin Curran, Joel Chadabe, Richard Teitelbaum, Allan Bryant, Carol Plantamura, Ivan Vandor, Steven Lacy, Jon Phetteplace; tra i loro numerosi collaboratori ricordiamo: Vittorio Gelmetti, Giuseppe Chiari e Michelangelo Pistoletto. Le loro teorie e le loro prassi dissolvono le dicotomie autorialità/realizzazione collettiva, professionalità/non professionalità. Il gruppo realizza azioni così diversificate ed eterogenee tanto da esser «stato percepito come gruppo di avanguardia musicale colta, di free jazz o di teatro sperimentale secondo i diversi contesti in cui si è trovato ad operare». L. Pizzaleo, MEV. Musica Elettronica Viva, Lucca, LIM 2014, p. 21.

28 A. Mastropietro, Nuovo Teatro Musicale fra Roma e Palermo, p. 530.

29 D. Guaccero, ‘Prefazione all’Esercizio per voce, scritto su e per Miciko Hirayama’, in Id., Un iter segnato, p. 466.

30 Le due partiture verbali sono riportate in G. Chiari, Musica senza contrappunto, Roma, Lerici, 1969, p. n. n.

31 Ricordiamo che la compagnia Il Carrozzone (poi Magazzini Criminali) fin dal 1976 assume la performance con l’intenzione di una rifondazione del linguaggio teatrale che escluda non solo lo ‘spettacolare’ ma il concetto di spettacolo. A proposito dello studio per ambiente Presagi del vampiro (1976) la compagnia afferma: «Presagi del Vampiro non è uno spettacolo, è il rifiuto di fare uno spettacolo». Il Carrozzone, ‘Presagi del vampiro. Studi per ambiente (1977)’, in R. Bonfiglioli (a cura di), Frequenze barbare. Teatro Ambiente/Cinema/Mass Media/Metropoli/Musica/Pornografia nel Carrozzone Magazzini Criminali Prod., Firenze, La casa Usher, 1981, p. 187.

32 Scrive Vasco Bendini: «io stesso, in prima persona, vestito di una tuta nera attillata, mi stendo a terra supino, col capo sollevato e coi piedi accostati ad una superficie specchiante di forma semicircolare, che mi riflette per intero. Tale immagine di me rinvia a un originale del corpo che non è laggiù fra le cose, come appare, ma pur sempre dalla mia parte. È l’unica e possibile percezione del mio corpo, di me stesso, se pure non sia che un semplice e puro simulacro. Lo specchio, infatti, incornicia un'immagine fittizia di me stesso, come, in alto, sigilla un'immagine reale di un cielo assente». V. Bendini in M. Calvesi (a cura di), Vasco Bendini. Opere 1950-2006, catalogo 10 febbraio-31 marzo 2007 Frittelli Arte Contemporanea, Firenze, Cambi, 2007, p. 84.