Dalla fine degli anni Cinquanta avevano preso avvio trasformazioni colossali nel modo di lavorare e di vivere, di produrre e di consumare, di pensare e di sognare degli italiani.
Guido Crainz, Il paese mancato
A cavallo dei decenni Cinquanta e Sessanta l’Italia vive il cosiddetto boom economico, il momento in cui passa da nazione agricola e devastata dalla Seconda guerra mondiale a paese tra i più industrializzati d’occidente, questo anche grazie a politiche di sfruttamento del lavoro.[1] Gli effetti del boom si scorgono anche nei fenomeni migratori che coinvolgono per lo più giovani del sud diretti verso il nord del paese, con il conseguente mutamento della geografia sociale e di quella affettiva che si trascina carichi di relazioni interrotte e individualità trapiantate. Un paese in movimento. L’emancipazione dei costumi sembra passare dalla lente made in States del consumismo[2]
In questo contesto l’azione, intesa come presentazione in prima persona, incarnata nel proprio gesto (politico, creativo, didattico ecc.), potrebbe essere un paradigma per leggere il decennio. L’azione diventa strumento di svalutazione e delegittimazione di vecchie abitudini, prassi e norme, pratica di scardinamento, di messa in crisi e di deviazione dai codici acquisiti, tanto nel contesto socio-culturale e immediatamente politico quanto nelle arti.
Nei primi anni Sessanta questa messa in discussione delle norme e degli specifici disciplinari attraverso le pratiche dell’azione coinvolge soprattutto le ricerche teatrali e musicali. Durante il decennio si viene ad articolare la sfaccettata scena del Nuovo Teatro, con la rilevante ricaduta teorica ed operativa della ‘scrittura scenica’ in cui la composizione scenica subisce radicali mutamenti tesi all’autonomia dei linguaggi impiegati, alle loro interferenze disciplinari e a un generale ripensamento del fatto teatrale in aperto rifiuto della tradizione e delle logiche statali e parastatali di gestione dello spettacolo.[3] Allo stesso tempo, il Nuovo Teatro Musicale ha indicato utilizzi disarticolati e autonomi dello spazio acustico e dell’uso della voce fino ad allora inediti, andando ad intaccare anche le modalità d’uso del testo verbale[4] e rinnovando il rapporto spettacolo/spettatore attraverso approcci ‘immersivi’ o all’opposto partecipativi.[5]