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Le musica gestuale degli anni Sessanta delinea tracciati irregolari in cui le pratiche dell'azione in musica sono rilette attraverso una lente inter e mixed-media, svolgendo un ruolo di catalizzatore per sperimentazioni coeve quali quelle del Nuovo Teatro e della Poesia Sonora e, nello stesso momento,  contribuendo alla ricezione italiana di pratiche come gli happenings e gli events. Analizzando alcune esperienze di musica gestuale nel passaggio tra la prima e la seconda metà del decennio Sessanta, si viene evidenziando uno slittamento da una prospettiva apertamente teatrale ad una performativa, partecipando all'affermazione della nascente scena del Comportamento italiano. Siamo quindi nei territori delle discontinuità che caratterizzano i principali contesti disciplinari di quegli anni. Da quest’ottica ampiamente interdisciplinare posizioniamo il nostro sguardo leggendo le azioni di compositori quali Sylvano Bussotti, Giuseppe Chiari, Domenico Guaccero, Walter Marchetti, Frederic Rzewski e Richard Titelbaum, entrambi questi ultimi del Gruppo Musica Elettronica Viva (MEV), cercando di cogliere quell’instabilità pratica, teorica e terminologica – in fin dei conti “storica” – che l'arco temporale selezionato ci restituisce. Convinti che gli anni in questione possano ancora rivelarci nuove prospettive e aiutarci nella comprensione dei contenimenti che i decenni successivi hanno riserbato a queste pratiche effimere e transdisciplinari.

The ‘musica gestuale’ of the Sixties outlines irregular paths in which the practices of action in music are reinterpreted through an inter and mixed-media lens, playing a role of catalyst for contemporary experiments such as those of the New Theater and Sound Poetry and, in the same moment, contributing to the Italian reception of practices such as happenings and events. Analyzing some experiences of “musica gestuale” in the transition between the first and second half of the 1960s, a shift from an openly theatrical to a performative perspective is highlighted, participating in the affirmation of the nascent scene of Italian Behavior. We are therefore in the territories of the discontinuities that characterize the main disciplinary contexts of those years. From this widely interdisciplinary perspective, we position our gaze by reading the actions of composers such as Sylvano Bussotti, Giuseppe Chiari, Domenico Guaccero, Walter Marchetti, Frederic Rzewski and Richard Titelbaum, both of the latter of the Musica Elettronica Viva (MEV) Group, trying to grasp that 'practical, theoretical and terminological instability – ultimately ‘historical’ – that the selected time span gives us back. Convinced that the years in question can still reveal new perspectives and help us understand the containments that the following decades have reserved for these ephemeral and transdisciplinary practices.

 

Dalla fine degli anni Cinquanta avevano preso avvio trasformazioni colossali nel modo di lavorare e di vivere, di produrre e di consumare, di pensare e di sognare degli italiani.

 

Guido Crainz, Il paese mancato

 

A cavallo dei decenni Cinquanta e Sessanta l’Italia vive il cosiddetto boom economico, il momento in cui passa da nazione agricola e devastata dalla Seconda guerra mondiale a paese tra i più industrializzati d’occidente, questo anche grazie a politiche di sfruttamento del lavoro.[1] Gli effetti del boom si scorgono anche nei fenomeni migratori che coinvolgono per lo più giovani del sud diretti verso il nord del paese, con il conseguente mutamento della geografia sociale e di quella affettiva che si trascina carichi di relazioni interrotte e individualità trapiantate. Un paese in movimento. L’emancipazione dei costumi sembra passare dalla lente made in States del consumismo[2]

In questo contesto l’azione, intesa come presentazione in prima persona, incarnata nel proprio gesto (politico, creativo, didattico ecc.), potrebbe essere un paradigma per leggere il decennio. L’azione diventa strumento di svalutazione e delegittimazione di vecchie abitudini, prassi e norme, pratica di scardinamento, di messa in crisi e di deviazione dai codici acquisiti, tanto nel contesto socio-culturale e immediatamente politico quanto nelle arti.

Nei primi anni Sessanta questa messa in discussione delle norme e degli specifici disciplinari attraverso le pratiche dell’azione coinvolge soprattutto le ricerche teatrali e musicali. Durante il decennio si viene ad articolare la sfaccettata scena del Nuovo Teatro, con la rilevante ricaduta teorica ed operativa della ‘scrittura scenica’ in cui la composizione scenica subisce radicali mutamenti tesi all’autonomia dei linguaggi impiegati, alle loro interferenze disciplinari e a un generale ripensamento del fatto teatrale in aperto rifiuto della tradizione e delle logiche statali e parastatali di gestione dello spettacolo.[3] Allo stesso tempo, il Nuovo Teatro Musicale ha indicato utilizzi disarticolati e autonomi dello spazio acustico e dell’uso della voce fino ad allora inediti, andando ad intaccare anche le modalità d’uso del testo verbale[4] e rinnovando il rapporto spettacolo/spettatore attraverso approcci ‘immersivi’ o all’opposto partecipativi.[5]

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Il presente contributo intende ricostruire l’attività teatrale di Achille Perilli fra il 1961 e il 1965. In particolare, l’attenzione verrà posta su quelle azioni sceniche dove si utilizzano mobile, strutture cinetiche, proiezioni di collage, pittura astratta e giochi di luce; mise en scène nelle quali si associa la ricerca sul fronte visuale alla sperimentazione musicale elettronica e letteraria. Queste esperienze dei primi anni Sessanta vedono Perilli cimentarsi in spettacoli “astratti”intesi come balletti meccanici debitori delle esperienze d’avanguardia di inizio secolo.  L’analisi prenderà avvio dallo spettacolo Collage (Roma, Teatro Eliseo, 14-16 maggio 1961); per poi concentrarsi suprove dove l’intervento del pittore è ancora poco noto, come Teatro Gruppo 63 (Palermo, Sala Scarlatti, 3 ottobre 1963) e Por No (Roma, Teatro delle Orsoline, 7-23 maggio 1965).  Affrontare questi casi studio dei primi anni Sessanta significa fare emergere un quadro di relazioni fra i diversi settori della cultura italiana chiamati a dare il loro contributo alle sperimentazioni interdisciplinari da svolgersi nello spazio scenico. Ricostruire l’attività scenica di Perilli tra il 1960 e il 1965 nel suo complesso, e gli eventi interconnessi, permette così di delineare un quadro più ampio dove la neoavanguardia, dopo un lavoro teorico ed editoriale di recupero delle esperienze di inizio secolo, trova una possibilità di verifica nello spazio scenico delle soluzioni sinestetiche dell’avanguardia storica.

This contribution intends to reconstruct the theatrical activity of Achille Perilli between 1961 and 1965. In particular, the focus will be on those scenic actions where furniture, kinetic structures, collage projections, abstract painting and plays of light are used; mise en scène in which research on the visual front is associated with electronic and literary musical experimentation. These experiences of the early sixties see Perilli engage in “abstract” shows intended as mechanical ballets owed to the avant-garde experiences of the turn of the century. The analysis will start with the show Collage (Rome, Teatro Eliseo, May 14-16, 1961); and then continue with rehearsals where the painter's intervention is less known as Teatro Gruppo 63 (Palermo, Sala Scarlatti, 3 October 1963) and Por No (Rome, Teatro delle Orsoline, 7-23 May 1965). Tackling these case studies from the early 1960s means bringing out a picture of relations between the various sectors of Italian culture called upon to make their contribution to the experiments to be carried out in the stage space. Reconstructing Perilli’s stage activity between 1960 and 1965, and the interconnected events, thus allows us to outline a broader picture where the neo-avant-garde, after a theoretical and editorial work of recovering the experiences of the beginning of the century, finds a possibility of verification in the stage space of the synaesthetic solutions of the historical avant-garde.

1. Scenografia come azione e come programmazione

Quando alla fine del 1962 la rivista Sipario decide di realizzare un numero monografico dedicato alla Scenografia italiana d’oggi,[1] l’unico artista di ricerca coinvolto è Achille Perilli. Un mese prima dell’uscita, Franco Quadri, in quel momento caporedattore del periodico, scrive al pittore illustrandogli il progetto di questo numero speciale, che intendeva proporre una panoramica critica «di quello che in questi ultimi anni è stato fatto, soffermandosi in un esame delle correnti più vive e particolarmente sul rapporto tra scenografia e testo teatrale, tra scenografia e cultura italiana d’oggi».[2] Il critico, nelle righe successive, specifica come il piano della redazione sia quello di realizzare un’inchiesta tra gli scenografi italiani e, parallelamente, offrire una visione ad ampio raggio del fenomeno scenico dai punti di vista specifici rispettivamente di uno scrittore, un pittore, un regista, un attore e un architetto. Per quanto riguarda questa seconda sezione, la scelta del curatore del numero, Guido Ballo, cade proprio su Perilli perché già a quella data, come si afferma nella lettera di Quadri, è nota l’opera di ‘scenografo’ del pittore ed evidente la sua competenza in merito alla disciplina.[3]

Così accanto alle firme di Luigi Squarzina, Luigi Pestalozza, Giuseppe Bartolucci e Massimo Grillandi troviamo anche quella di Perilli, che presenta un testo programmatico dal titolo Scenografia come azione e come programmazione.[4] In realtà, alla fine del 1962 l’artista può annoverare fra le fila dei suoi lavori per il teatro solamente il balletto ‘astratto’ Collage,[5] realizzato insieme ad Aldo Clementi per l’Accademia Filarmonica Romana (Teatro Eliseo, Roma, dal 14 al 16 maggio 1961). Perché dunque coinvolgere un pittore che si era prestato alle scene in un’unica occasione? È chiaro che alla redazione, a Guido Ballo e a Fabio Mauri – allora direttore della sede romana di Bompiani, casa editrice della rivista – sia nota non soltanto la prova scenica all’Eliseo, ma soprattutto il lavoro svolto dal pittore fino a quel momento in particolare sul fronte teorico. Il testo del 1962, difatti, si presenta come una lucida sistematizzazione da parte di Perilli del ruolo del pittore all’interno del ‘nuovo Teatro’, inteso non come una rappresentazione di un testo da recitare, bensì come «sintesi di varie forme espressive delle quali la parola non sia esclusivamente la determinante dell’azione».[6] Il teatro viene affrontato dall’artista come un’arte spiccatamente visiva, un luogo dove i diversi linguaggi si incontrano sotto l’egida di un comune sperimentalismo e alla ricerca di un coinvolgimento multisensoriale dello spettatore. Proprio su quest’ultimo si concentrano gli sforzi del ‘teatro dei pittori’.

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