L’oggetto in movimento negli spettacoli astratti di Achille Perilli (1960-1965). La messa in scena come studio dell’avanguardia storica

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Il presente contributo intende ricostruire l’attività teatrale di Achille Perilli fra il 1961 e il 1965. In particolare, l’attenzione verrà posta su quelle azioni sceniche dove si utilizzano mobile, strutture cinetiche, proiezioni di collage, pittura astratta e giochi di luce; mise en scène nelle quali si associa la ricerca sul fronte visuale alla sperimentazione musicale elettronica e letteraria. Queste esperienze dei primi anni Sessanta vedono Perilli cimentarsi in spettacoli “astratti”intesi come balletti meccanici debitori delle esperienze d’avanguardia di inizio secolo.  L’analisi prenderà avvio dallo spettacolo Collage (Roma, Teatro Eliseo, 14-16 maggio 1961); per poi concentrarsi suprove dove l’intervento del pittore è ancora poco noto, come Teatro Gruppo 63 (Palermo, Sala Scarlatti, 3 ottobre 1963) e Por No (Roma, Teatro delle Orsoline, 7-23 maggio 1965).  Affrontare questi casi studio dei primi anni Sessanta significa fare emergere un quadro di relazioni fra i diversi settori della cultura italiana chiamati a dare il loro contributo alle sperimentazioni interdisciplinari da svolgersi nello spazio scenico. Ricostruire l’attività scenica di Perilli tra il 1960 e il 1965 nel suo complesso, e gli eventi interconnessi, permette così di delineare un quadro più ampio dove la neoavanguardia, dopo un lavoro teorico ed editoriale di recupero delle esperienze di inizio secolo, trova una possibilità di verifica nello spazio scenico delle soluzioni sinestetiche dell’avanguardia storica.

This contribution intends to reconstruct the theatrical activity of Achille Perilli between 1961 and 1965. In particular, the focus will be on those scenic actions where furniture, kinetic structures, collage projections, abstract painting and plays of light are used; mise en scène in which research on the visual front is associated with electronic and literary musical experimentation. These experiences of the early sixties see Perilli engage in “abstract” shows intended as mechanical ballets owed to the avant-garde experiences of the turn of the century. The analysis will start with the show Collage (Rome, Teatro Eliseo, May 14-16, 1961); and then continue with rehearsals where the painter's intervention is less known as Teatro Gruppo 63 (Palermo, Sala Scarlatti, 3 October 1963) and Por No (Rome, Teatro delle Orsoline, 7-23 May 1965). Tackling these case studies from the early 1960s means bringing out a picture of relations between the various sectors of Italian culture called upon to make their contribution to the experiments to be carried out in the stage space. Reconstructing Perilli’s stage activity between 1960 and 1965, and the interconnected events, thus allows us to outline a broader picture where the neo-avant-garde, after a theoretical and editorial work of recovering the experiences of the beginning of the century, finds a possibility of verification in the stage space of the synaesthetic solutions of the historical avant-garde.

1. Scenografia come azione e come programmazione

Quando alla fine del 1962 la rivista Sipario decide di realizzare un numero monografico dedicato alla Scenografia italiana d’oggi,[1] l’unico artista di ricerca coinvolto è Achille Perilli. Un mese prima dell’uscita, Franco Quadri, in quel momento caporedattore del periodico, scrive al pittore illustrandogli il progetto di questo numero speciale, che intendeva proporre una panoramica critica «di quello che in questi ultimi anni è stato fatto, soffermandosi in un esame delle correnti più vive e particolarmente sul rapporto tra scenografia e testo teatrale, tra scenografia e cultura italiana d’oggi».[2] Il critico, nelle righe successive, specifica come il piano della redazione sia quello di realizzare un’inchiesta tra gli scenografi italiani e, parallelamente, offrire una visione ad ampio raggio del fenomeno scenico dai punti di vista specifici rispettivamente di uno scrittore, un pittore, un regista, un attore e un architetto. Per quanto riguarda questa seconda sezione, la scelta del curatore del numero, Guido Ballo, cade proprio su Perilli perché già a quella data, come si afferma nella lettera di Quadri, è nota l’opera di ‘scenografo’ del pittore ed evidente la sua competenza in merito alla disciplina.[3]

Così accanto alle firme di Luigi Squarzina, Luigi Pestalozza, Giuseppe Bartolucci e Massimo Grillandi troviamo anche quella di Perilli, che presenta un testo programmatico dal titolo Scenografia come azione e come programmazione.[4] In realtà, alla fine del 1962 l’artista può annoverare fra le fila dei suoi lavori per il teatro solamente il balletto ‘astratto’ Collage,[5] realizzato insieme ad Aldo Clementi per l’Accademia Filarmonica Romana (Teatro Eliseo, Roma, dal 14 al 16 maggio 1961). Perché dunque coinvolgere un pittore che si era prestato alle scene in un’unica occasione? È chiaro che alla redazione, a Guido Ballo e a Fabio Mauri – allora direttore della sede romana di Bompiani, casa editrice della rivista – sia nota non soltanto la prova scenica all’Eliseo, ma soprattutto il lavoro svolto dal pittore fino a quel momento in particolare sul fronte teorico. Il testo del 1962, difatti, si presenta come una lucida sistematizzazione da parte di Perilli del ruolo del pittore all’interno del ‘nuovo Teatro’, inteso non come una rappresentazione di un testo da recitare, bensì come «sintesi di varie forme espressive delle quali la parola non sia esclusivamente la determinante dell’azione».[6] Il teatro viene affrontato dall’artista come un’arte spiccatamente visiva, un luogo dove i diversi linguaggi si incontrano sotto l’egida di un comune sperimentalismo e alla ricerca di un coinvolgimento multisensoriale dello spettatore. Proprio su quest’ultimo si concentrano gli sforzi del ‘teatro dei pittori’.

Oggi – afferma Perilli – lo spettatore deve essere coinvolto nell’azione scenica, deve poter vivere quell’esperienza in modo totale, non deve potersi pensare sostituibile. […]. Il nuovo teatro non può essere più un dialogo o una costruzione di un personaggio o la descrizione di una situazione, ma soprattutto una continua invenzione di nuovi mezzi, un succedersi di sensazioni.[7]

Per creare un’esperienza totale per lo spettatore, l’artista si affida alla scenografia non più intesa come ambiente statico, ma come «azione essa stessa».[8]

Per Perilli, la ‘scenografia come azione’ si traduce praticamente sul palco attraverso l’utilizzo di mobile, strutture cinetiche, proiezioni di collage, pittura astratta e giochi di luce; mise en scène nelle quali la ricerca sul fronte visuale si associa anzitutto alla sperimentazione musicale e, in un secondo momento, a quella letteraria.

Mettendo in relazione le prime prove teatrali di Perilli con i suoi studi sull’avanguardia degli anni Cinquanta, emergerà come le azioni realizzate dal 1961 al 1965 si presentino come una verifica nello spazio scenico di un processo di recupero delle esperienze d’inizio secolo intrapreso dall’artista negli anni precedenti.

Sebbene le ricerche del pittore nel dopoguerra, in parte divulgate sulle riviste Civiltà delle Macchine e su L’Esperienza Moderna, non si incentrino esclusivamente sul teatro, esse possono essere considerate come la premessa necessaria per le azioni sceniche successive. Il nuovo teatro musicale si appropria infatti dell’idea di opera d’arte totale delle avanguardie storiche, in cui il contenuto dell’azione e il contenitore scenico si fondono nel movimento. Lo stesso Perilli ci indica come questo sia un intento programmatico: «per me il teatro è stato fondamentale soprattutto come verifica di esperienze; come il teatro di Schlemmer era la verifica del lavoro svolto nei diversi laboratori artistici del Bauhaus, così per un pittore il teatro può diventare il più attendibile luogo di sperimentazione concreta».[9]

Tuttavia, la nuova idea di ‘scenografia come azione e programmazione’ si iscrive anche nel più ampio quadro delle sperimentazioni internazionali. Si vedano in primis le esperienze d’oltreoceano degli happening, come denunciato dallo stesso artista. Nel testo del 1962, difatti, Perilli associa il ‘teatro dei pittori’ di New York – citando Jim Dine, Red Grooms, Alan Kaprow e Claes Oldenburg – con le due azioni sceniche del 1961, ovvero Intolleranza,[10] di Luigi Nono, Joseph Svoboda ed Emilio Vedova, e il suo Collage, esperienze che hanno «dimostrato quali e quante siano le possibili vie di uscita di una crisi».[11] Queste prove italiane e internazionali sono rivelatrici, secondo l’autore, del fatto che «il teatro può vivere soltanto se coinvolge nella sua azione lo spettatore e se abolisce completamente le vecchie convenzioni».[12]

Così facendo Perilli mette in parallelo due esperienze, quella americana del ‘teatro dei pittori’ e quella italiana delle azioni sceniche ‘astratte’, che si ricollegano entrambe, esplicitamente, all’eredità dell’avanguardia. Nello happening, infatti, la critica aveva da subito riconosciuto una matrice nelle ricerche artistiche e teatrali europee del primo Novecento. Da William Seitz che ne ha sostenuto il legame con il collage e l’assemblage;[13] a Michael Kirby che ne ritraccia le origini nelle esperienze sceniche avanguardiste, dalle teorizzazioni di Schlemmer e del Bauhaus al teatro della crudeltà di Antonin Artaud.[14]

Le azioni astratte diventano per Perilli una sorta di laboratorio di sperimentazione degli insegnamenti desunti dalle avanguardie, e una personale risposta alla necessità di un nuovo coinvolgimento dello spettatore, come avviene negli esempi d’oltreoceano.[15]

Dunque, mentre sulle pagine de L’Almanacco Bompiani del 1961 Perilli e Mauri si domandano – insieme ad artisti, musicisti, critici e letterati – se la pittura sia morta oppure se le modificazioni sostanziali da essa subite possano condurre a una nuova forma di linguaggio;[16] contemporaneamente nello spazio scenico gli artisti sperimentano altre vie ‘oltre il quadro’. Nel pieno della temperie postinformale, in un periodo di passaggio fra una stagione operativa e un’altra, i pittori si accostano alla scena come a un ulteriore linguaggio che va oltre la pittura e la scultura, trovando un campo d’indagine privilegiato nel teatro musicale.

 

2. Le azioni cinetico astratte di Achille Perilli. 1961-1965

È con il seminario internazionale d’arte tenutosi nel 1949, al Leopoldskron Student Rest Center di Salisburgo, che per Perilli prende avvio il rapporto con il teatro.[17] In questa occasione Perilli, Piero Dorazio e Mino Guerrini si ritrovano ad allestire uno spettacolo da loro scritto e recitato, strutturato in tre sketch.[18] L’anno successivo vede invece Perilli e Dorazio, insieme a Vito Pandolfi e Angelo Maria Ripellino, riadattare e tradurre il Galileo di Bertolt Brecht con l’idea di metterlo in scena nella loro libreria-galleria Age d’Or.[19] Sempre nel 1950, i tre amici, con l’aggiunta di Lucio Manisco, realizzano le decorazioni per il palco del cinema-teatro Splendore, in occasione del primo concerto jazz a Roma.[20]

Tuttavia, è solo nel maggio del 1961 con Collage, che Perilli esordisce su un palcoscenico teatrale, quello del Teatro Eliseo. L’azione viene concepita con il compositore Aldo Clementi, anche lui alle prese con la prima esperienza sulla scena. All’artista spetta di occuparsi del film proiettato, della lanterna magica, delle sculture in movimento, oltre che della scrittura del libretto. Sull’impianto visivo pensato dal pittore, Clementi compone la musica per l’orchestra Filarmonica Romana, diretta da Daniele Paris, mentre la regia è affidata ad Andrea Camilleri.

Se Perilli si occupa dell’impianto visivo e della struttura drammaturgica, Collage è però frutto di un lavoro condiviso con Clementi. Tutte le fasi ideative, comprese quelle relative agli aspetti visivi, sono pensate insieme al compositore.[21]

Il risultato è un ‘balletto’ senza attori, dove tutta la mise en scène si incentra su ritmo e movimento. L’azione prevede la presenza di diverse machine, fra cui un grande mobile gonfiabile costruito da uno scheletro in filo d’acciaio ricoperto di tela intrisa di vinavil, proiezioni di paesaggi astratti realizzati dal pittore e un film con scene che riproducono episodi di vita quotidiana.

Fotografia di scena, Collage, 14-15-16 maggio 1961, Teatro Eliseo, Roma. Courtesy Archivio Achille Perilli, Orvieto.

La scrittura del libretto nasce invece da una suggestione alchemica: connessa agli interessi coltivati in quegli anni dall’artista.[22]

Lo spunto drammaturgico è solo un pretesto per un’azione scenica che si vuole ‘astratta’, la narrazione non è più affidata alla parola, o a un testo da rappresentare, ma allo stesso movimento degli automi e dei mobile sul palco. Ed è proprio da questa scelta, compiuta dall’artista e dal compositore, che lo spettacolo si fa ‘astratto’:[23] il termine non si riferisce soltanto alla tipologia di pittura utilizzata da Perilli per i vetrini proiettati sugli schermi, o alla forma biomorfica dei mobile, ma all’incontro sinestetico del linguaggio visivo e musicale nel luogo teatrale, che intende immergere lo spettatore in un’esperienza in cui immagine e suoni sono autonomi nel loro significato. Come scrive l’autore, Collage nasce «dall’esigenza di unificare più forme espressive (musica, pittura, cinema, teatro) in una forma nuova, con la funzione di aumentare e rinnovare le possibilità rappresentative e fantastiche del teatro».[24]

Sono, però, le imprese editoriali condotte da Perilli durante gli anni Cinquanta a preludere a questo incontro fra musicisti e artisti. Ne dà prova L’Esperienza Moderna, la rivista diretta dal pittore insieme a Gastone Novelli. Pubblicato in cinque numeri, dall’aprile 1957 al marzo 1959, il periodico presenta i risultati di un aggiornamento interdisciplinare fondato sulle esperienze ‘moderne’, da quelle avanguardistiche di inizio secolo a quelle coeve.

Già alla fine degli anni Cinquanta, gli sforzi di Perilli e Novelli, come più in generale quelli degli intellettuali che ruotano intorno alla rivista, si indirizzano verso le possibilità offerte per le diverse discipline di porsi ‘fra’ i codici linguistici, come le avanguardie avevano già suggerito: «La rivista nasce da una possibilità pratica che si profilò a me ed a Gastone di raccogliere nelle stesse pagine poeti, artisti, musicisti. […] l’esigenza di non rinchiudersi in un codice pertinente alla solo pittura è sempre stata un ‘mio vecchio pallino’, derivatami dall’esperienza delle Avanguardie».[25]

Su L’Esperienza Moderna si trovano diversi esempi di contiguità fra arte visiva, teatro, musica e letteratura. Il periodico dedica spazio, ad esempio, nel dicembre 1957, a un’inchiesta sulla musica contemporanea, con interventi di Luciano Berio, Vittorio Fellegara e Aldo Clementi.[26]

Il contatto fra artisti e musicisti a Roma era tuttavia avviato già da tempo. Dal punto di vista delle arti visive, a partire dagli anni Quaranta – all’interno del dibattito costruito intorno ad alcune mise en scéne sperimentali, che vedono coinvolti il compositore Goffredo Petrassi e il coreografo Aurel M. Milloss –, storici dell’arte, critici e artisti, come Cesare Brandi e Toti Scialoja, iniziano a formulare una specifica idea del balletto come di un linguaggio figurativo autonomo.[27] Lo spazio scenico viene indicato come luogo elettivo dove è possibile realizzare l’incontro dei diversi fronti della ricerca artistica, musicale, e coreutica.

Perilli afferma che, nel momento in cui gli artisti iniziano a concentrarsi sulle problematiche del ‘codice’, a partire dalla fine degli anni Quaranta, non hanno avuto accanto gli scrittori, ma i musicisti; e ribadisce che le coincidenze fra le ricerche dell’arte visiva e quelle del mondo letterario si aggiungono solo in un secondo momento, fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta.[28]

Se l’ambiente romano si dimostra già pronto ad accogliere le sperimentazioni condivise fra arte e musica, bisogna attendere gli inizi degli anni Sessanta affinché l’incontro fra diversi linguaggi, all’interno della cornice del teatro musicale, porti gli artisti a concepire l’apparato visivo non più come scenografia, ma come struttura oggettuale in movimento. Nel numero di Sipario dedicato alla Scenografia italiana d’oggi, è Pestalozza, nel momento in cui fa accenno a Intolleranza e Collage, a soffermarsi sull’evidente crescita di interesse da parte dei pittori per il lavoro scenografico legato al teatro musicale.[29] Questa forma linguistica, tuttavia, non viene scelta dagli artisti e dai compositori delle azioni ‘astratte’ per ricollegarsi a una specifica tradizione disciplinare. Piuttosto, i pittori e i musicisti scelgono il ‘teatro musicale’ come spazio, inteso insieme come luogo fisico e arena rituale, dove è possibile attuare il superamento dei confini disciplinari.

Che Collage nasca in questo clima di dialogo fra la sperimentazione artistica e quella musicale lo testimonia il progetto comune che vede coinvolti gli autori dello spettacolo all’Eliseo con quelli di Intolleranza. Da gli scambi epistolari fra Nono e Ripellino, e fra Perilli e Clementi,[30] si viene a sapere che gli autori delle due pièce nel 1960, periodo in cui le due azioni sceniche sono in preparazione, hanno intenzione di mettere in piedi un programma condiviso tutto incentrato sul teatro musicale, alla ricerca di una simultaneità fra i diversi linguaggi. I progetti, mai realizzati, prevedono la formazione di un movimento composto da artisti, musicisti, letterati; l’organizzazione di un convegno da tenersi tra il 25 e il 27 giugno 1960 presso la villa di Mario Peragallo a Calenzano, a cui avrebbero dovuto partecipare un nutrito parterre di intellettuali;[31] e infine la creazione di una rivista.

Dalla corrispondenza fra Perilli ed Edoardo Sanguineti, anch’egli coinvolto nel progetto comune, si coglie l’entusiastico interesse creatosi intorno alle manifestazioni di questo nuovo raggruppamento formato da forze provenienti dal mondo musicale, artistico e letterario. Scrive Sanguineti nel giugno 1960: «Spero enormemente di poterti vedere a Calenzano, se si riuscisse a combinare il famoso congresso […]».[32] Quando poi, verso la fine dell’anno, all’interno del gruppo nascono le prime incomprensioni e diverbi, Sanguineti mostra tutto il suo dispiacere per l’impresa non riuscita.[33]

La rivista avrebbe dovuto chiamarsi, almeno in una prima ipotesi, L’Oggetto ed essere pubblicata da Giulio Einaudi.[34] È Ripellino, in una lettera a Nono, a presentare il progetto editoriale come il canale di divulgazione del nuovo gruppo. Vale la pena di soffermarsi sulla prima idea di titolo del periodico e metterla in dialogo con ciò che Perilli scrive in un resoconto prossimo alla messa in scena di Collage, sulle pagine di Sipario del luglio 1961. L’artista ne parla come di «una azione scenica basata essenzialmente sulla presentazione di oggetti e sulla combinazione di movimenti di oggetti e di proiezioni»;[35] per poi ribadire che il nuovo teatro musicale intende «presentare gli oggetti e il loro movimento, le cose e il loro rapporto, l’azione e la dimensione, la sovrapposizione e il contatto, l’assurdo e il reale».[36]

L’enfasi posta su ‘l’oggetto’, inteso come nuovo protagonista della messa in scena, è colta anche da Umbro Apollonio che, in una lettera a Perilli a commento del testo del 1961 del pittore, nota:

Vedi, mi vien da dubitare quando parli troppo di ‘oggetti’… è vero che il nuovo teatro dev’essere “invenzione… succedersi di sensazioni… mescolanza di tecniche… lavoro di gruppo”. Ma questo è l’aspetto esterno del fatto. Tu stesso ammetti che Collage è una “indicazione”. Sicché sono d’accordo nelle idee di un teatro quali tu le esprimi, soltanto vorrei che ci fosse un ‘engagement’ più addentrato.[37]

Apollonio con ogni probabilità si riferisce all’afflato sociale e politico che sottende Intolleranza ed è invece assente in Collage. Proprio l’azione scenica veneziana di aprile aveva suggerito molti espedienti intorno all’utilizzo della tecnica della Lanterna Magika, che saranno poi presenti anche nel balletto romano. Un tramite per questo dialogo fra Venezia e Roma è da individuarsi in Ripellino. Sia per Perilli, sia per Nono la frequentazione con lo slavista si rivela di fondamentale importanza per lo studio di esperienze allora sconosciute in Italia.[38] Il progetto condiviso fra gli autori di Intolleranza e quelli di Collage, nel 1960, conduce a comuni scelte dal punto di vista visivo, come l’utilizzo di: proiezioni di scritte, frammenti pittorici su vetrini proiettati su strutture in movimento, film, giochi di luce che accompagnano le sculture cinetiche e i mobile. Non stupisce dunque che la prima proposta di titolo per la rivista del gruppo multidisciplinare ricada proprio su L’Oggetto, vista la comune adozione di un impianto visivo oggettuale in movimento. Tuttavia, in Collage si compie un passo ulteriore. Considerato che il filo drammaturgico costituisce soltanto una suggestione, il vero attore della messa in scena è l’oggetto meccanizzato. Il pittore non solo utilizza proiezioni e scenari in movimento, ma decide di declinarli in un balletto senza attori. Uno spettacolo astratto totale, dove si rinuncia persino al corpo fisico dell’interprete.

Agli inizi degli anni Sessanta il teatro musicale diventa un luogo d’incontro non solo per le ricerche dell’arte visiva e le sperimentazioni musicali, ma anche per quelle del mondo letterario.

Perilli aveva già condiviso con Sanguineti, come si è già accennato, i vari progetti nati intorno al teatro musicale nel 1960, e aveva con lui dibattuto sui suoi studi alchemici, che alimentano la struttura ‘narrativa’ di Collage. Quando i due intellettuali riflettono intorno a questa passione in comune, il 14 gennaio del 1960, l’azione astratta è ancora in uno stato di formulazione. Sanguineti scrive:

mi colpisce particolarmente quello che Lei mi scrive dei suoi interessi per i simboli alchemici. Vi è stato un discreto periodo della mia vita in cui mi sono (dilettantisticamente, sia pure…) immerso nelle medesime cose [e ne è rimasto il segno, di fatto, nelle mie poesie del 1951-1953]. Poi sono stato travolto da tante altre cose… e di questa conservo, come di altre, tanta nostalgia.[39]

Tuttavia, è con il Gruppo 63 e poi con la compagnia dei Novissimi[40] che Perilli ufficializza l’incontro con la neoavanguardia letteraria a teatro.

Le sperimentazioni sceniche entrano a far parte delle forme espressive utilizzate dal gruppo fin dalla prima riunione palermitana. La sera del 3 ottobre 1963, dopo la conferenza-dibattito sulla pittura tenuta da Perilli insieme a Gillo Dorfles e Nello Ponente, nella Sala Scarlatti viene presentato lo spettacolo in tre parti Teatro Gruppo ’63, di cui l’artista realizza le scene e i costumi.[41] La regia è affidata per la prima e per la terza parte a Luigi Gozzi e al Centro teatrale di Bologna, e per la seconda a Ken Dewey e all’Act di Roma. Vengono rappresentati diversi testi di giovani scrittori gravitanti attorno al Gruppo 63 e alla rivista Il Verri. Gozzi dichiara di aver progettato lo schema di un teatro d’avanguardia assicurando contemporaneamente quello che definisce lo ‘specifico’ teatrale e l’aprirsi ad altre sperimentazioni artistiche.[42] Non è stata ancora rintracciata una documentazione fotografica che possa chiarire l’impianto visivo adottato dall’artista. Una lettera di Gozzi al pittore ci restituisce però qualche informazione.[43] Le scene dovevano essere pensate come un’unica struttura mutevole, che si adattasse alle tre parti della pièce, composta in tutto da dieci sketch. Anche in questo contesto Perilli realizza schermi in movimento e proiezioni.[44]

L’artista ritorna poi a collaborare attivamente con il teatro nel 1965. Nel frattempo, appena un anno prima, crea con Novelli, Alfredo Giuliani e Giorgio Manganelli la rivista di arte, letteratura e teatro, Grammatica.[45] Alla ricerca di nuove strutture grammaticali,[46] il periodico nasce come strumento di raccordo della neoavanguardia e costituisce un palinsesto degli interessi interdisciplinari dei suoi fondatori. Il primo numero esce nel novembre 1964 e appena due mesi dopo troviamo Perilli insieme a Nanni Balestrini, Vittorio Fellegara e il coreografo Mario Pistoni al Teatro alla Scala con il balletto Mutazioni.[47]

La struttura visiva progettata dal pittore per l’atto unico in sei scene prevede le medesime soluzioni formali adottate per Collage. Per il prologo, ad esempio, troviamo proiezioni con paesaggi astratti di Perilli, un immaginario pittorico che era già apparso nell’azione all’Eliseo. Nel 1965, alla proiezione di questi vetrini dipinti vengono però contrapposti, nella seconda scena, elementi fotografici e immagini estrapolate dai mass media. Inoltre, un medesimo elemento scenico torna in entrambi i balletti: l’oggetto protagonista della parte conclusiva dello spettacolo all’Eliseo, ‘l’armadio’ riempito di oggetti e fotografie, diventa alla Scala una imponente struttura a griglia che compare nelle scene centrali, davanti alla quale agiscono i ballerini.

Fotografia di scena, Mutazioni, dal 27 gennaio 1965, Teatro alla Scala, Milano. Courtesy Archivio Achille Perilli, Orvieto.

Ed è proprio la partecipazione del corpo di ballo a segnare l’elemento di novità di Mutazioni rispetto al precedente scenico romano. L’artista, tuttavia, alla Scala, realizzando sia i costumi per i danzatori, sia i mobile, concepisce la presenza umana alla stregua di quella meccanizzata: i ballerini, come le machine, sono oggetti in movimento, in un’idea di balletto dove tutto diventa elemento cinetico.

Pestalozza nel libretto della pièce ne chiarisce la strutturazione, e a proposito della seconda scena sottolinea la peculiare relazione che si istaura fra il corpo del ballerino e i mobile: «la concreta raffigurazione di un’attuale vita disarmonica falsa, dove il comportamento insulso e isterico di una massa amorfa si confronta con ‘oggetti’ in movimento che tanto meglio ne rendono manifesta la condizione disumana».[48] Come nel 1961, Perilli si confronta di nuovo con un balletto e con il teatro musicale. Secondo Pestalozza, proprio a quest’ultima forma linguistica spetta il merito non solo di imporre nuovi mezzi di comunicazione teatrale e di integrare la musica in un’inedita condizione scenica, ma soprattutto di rinnovare il rapporto audiovisivo che si stabilisce con lo spettatore.[49]

Pochi mesi dopo, nel maggio 1965, Perilli ripropone la stessa cifra stilistica per un nuovo ‘balletto’ da lui ideato, presentato però questa volta al di fuori di una cornice ‘ufficiale’: si tratta di Por No al teatrino delle Orsoline 15 di Mario Ricci.

Con questa azione il pittore propone nuovamente l’immaginario meccanico di Collage, ma in una veste più di accadimento visivo che di evento teatrale. Per Por No Perilli realizza il materiale scenico e la sceneggiatura, mentre a Ricci spettano le luci e la movimentazione delle marionette create dall’artista. Assistiamo dunque in questo caso a un’egemonia autoriale del pittore, riconosciuta dallo stesso regista delle Orsoline: «Por No era un’invenzione soprattutto di Perilli; io mi limitavo ad essere il braccio, l’animatore, il realizzatore di una fantasia surreal-letteraria».[50]

Come già proposto per lo spettacolo del 1961, l’artista crea una sceneggiatura dove riduce la parte testuale all’essenziale, facendola diventare una suggestione per lo spettatore, piuttosto che una narrazione. Lo scritto di Perilli si presenta come un collage di testi di varia origine:[51] estrapola brani di Johann J. Winckelmann, associandoli ad alcuni passi di trattati tecnici di cibernetica e di linguistica, terminando poi con un pezzo dello scrittore Mickey Spillane. Attraverso gli articoli dell’epoca emerge come questi frammenti testuali, narrati dalle voci esterne di Nelide Giammarco, Luciano Virgilio, Carlo Valli, accompagnavano l’azione di due automi di ferro, tela e gomma avvolti nella plastica.[52] Ancora una volta è l’azione di sculture mobili immerse in giochi di luci e proiezioni a determinare lo svolgersi stesso del balletto – su musiche originali di Ivan Vandor –[53] incentrato sulla tematica di un amore crudele e appassionato.

Riccardo Orsini, fotografia di scena, Por No, 7-23 maggio 1965, Teatro delle Orsoline 15, Roma. Courtesy Riccardo Orsini, Roma.

Il pittore concepisce la sua azione visiva intorno ad alcuni personaggi oggettualizzati, protagonisti di un immaginario erotico-pornografico da cui il titolo ‘Por no’, che allude anche alla ritualità del teatro ‘Nô’ giapponese.

Maurizio Fagiolo, testimone assiduo delle messinscene alle Orsoline, su L’Avanti parla dello spettacolo come di un dramma di amore e morte in versione astratta, che si compone di urli, sospiri ed esseri mostruosi di plastica.[54]

Dalle foto che vedono Perilli e Ricci impegnati nella costruzione della messa in scena di Por No – in occasione del riallestimento dello spettacolo alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna nel 1988 –[55] si comprende la strutturazione originaria pensata dall’artista. Nel 1965 Ennio Flaiano parla di immagini che sembrano immerse in un acquario,[56] difatti l’azione dei grandi mobile bianchi e delle machine biomorfiche si svolge dietro uno schermo, che rende la visione delle marionette ovattata e poco nitida, mentre il tutto è incorniciato da una struttura nera.

Fotografia dell’allestimento, Por No, 5 luglio 1988, rassegna Teatro Immaginario, Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, Roma. Courtesy Archivio A. Perilli, Orvieto.

L’artista con Por No scardina così la definizione sia di pittura sia di teatro: il balletto è un accadimento scenico basato sul movimento meccanico, ma viene esperito dallo spettatore attraverso un piano bidimensionale frapposto fra lui e l’azione degli automi.

 

3. Gli oggetti e il loro movimento. L’eredità delle avanguardie per il nuovo Teatro musicale

L’oggetto in movimento, l’impianto visivo come azione e il coinvolgimento ‘totale’ e sensoriale dello spettatore sembrano i tratti comuni delle prime prove di Perilli per il teatro.

Queste soluzioni per la scena nelle mani del pittore diventano il pretesto per potersi ricollegare alle opere oggettuali cinetiche e alle esperienze teatrali delle avanguardie storiche. I riferimenti entro i quali i balletti meccanici si inseriscono li suggerisce lo stesso Perilli: Moholy-Nagy, Oskar Schlemmer e le idee sul teatro di Enrico Prampolini.[57]

Sull’artista ungherese il pittore aveva svolto delle ricerche qualche anno prima. Tali approfondimenti confluiscono, nel 1955, sulle pagine della rivista Civiltà delle Macchine, fondata e diretta da Leonardo Sinisgalli.[58] L’artista aveva iniziato a collaborare con il periodico della Finmeccanica già nel 1954, inaugurando questo sodalizio con Antologia Dada,[59] una delle prime pubblicazioni dei suoi studi sul dadaismo.

La ricerca su Moholy-Nagy ricopre un ruolo determinante nella strutturazione visiva dell’azione del 1961. L’intenzione dell’autore di Collage è quella di creare difatti «[…] un nuovo tipo di spettacolo dove confluivano la pittura, la musica, il teatro, il cinema, secondo le deduzioni dai miei studi su Moholy-Nagy».[60] A tale proposito è eloquente il sottotitolo che Perilli sceglie per l’articolo del 1955: «Una figura di artista aperto a ogni esperienza, interessato a tutte le tecniche, coinvolto in qualunque forma di espressione».[61] Nel suo testo propone molti estratti da Vision in Motion, introducendo l’immaginario dell’artista ungherese. La strutturazione delle macchine in movimento e l’utilizzo della luce suggeriti da Moholy-Nagy sono per il pittore degli incoraggiamenti ad andare oltre la tela, verso qualsiasi forma di espressione che potesse utilizzare nello stesso modo il blocco di marmo, come il plexiglas, la pellicola e i caratteri tipografici.[62]

Gli insegnamenti dell’artista del Bauhaus sono fatti propri da Perilli soprattutto quando affronta la scena: come non scorgere una evidente somiglianza fra le machine che animano i suoi balletti ‘meccanici’ e la Macchina per stendere la luce o il Modulatore di spazio di Moholy Nagy? Opere, scrive il pittore, per cui è difficile trovare una definizione, tanto sono lontane dai concetti di pittura e scultura.[63] Lavori sui quali Perilli riflette concretamente, dopo una fase speculativa, attraverso le sue azioni sceniche.

Per quanto riguarda Schlemmer,[64] una diretta genealogia fra le esperienze dell’avanguardia storica e le proposte del teatro musicale del nuovo fronte sperimentale italiano è dichiarata nella mostra Arte e scena del 1965 a Venezia, tenutasi alla sala delle Colonne a Ca’ Giustinian. In questa sede Intolleranza e Collage vengono inserite in un percorso che trae origine proprio dai raggiungimenti teatrali di Oskar Schlemmer.[65] Su proposta di Umbro Apollonio e del direttore della Biennale Prosa, Wladimiro Dorigo, si decide di portare a Venezia, in occasione del XXIV Festival di Teatro della Biennale di Venezia, la mostra Bild und Bühne, organizzata dallo Staatlichen Kunsthalle di Baden-Baden, ed esposta in questa sede da gennaio a maggio del 1965.[66] Solo due mesi dopo, l’esposizione viene portata nella città lagunare. La mostra a Ca’ Giustinian, organizzata in stretta collaborazione con il museo tedesco, presenta un preciso disegno allestitivo, che pone al centro della sala una numerosa quantità di studi grafici, fotografie e alcuni prototipi di automi di Schlemmer.[67] Da questi prende avvio un percorso costruito sulla tematica della relazione fra arte e teatro, nel quale sono inserite anche le due azioni sceniche del 1961. Vengono esposte una fotografia in grande scala di una scena di Intolleranza con le proiezioni delle opere di Vedova; uno studio e una panoramica delle costruzioni di Svoboda; e tre istantanee della messa in scena di Collage.[68]

Qualche anno prima della mostra, Apollonio – che già dal 1961 chiedeva a Perilli materiale fotografico sul suo spettacolo all’Eliseo –[69] sulle pagine di Civiltà delle Macchine aveva già compiuto una ricognizione sul rapporto fra arte e scena, terminando il suo discorso proprio con gli esempi offerti da Nono e Vedova a Venezia e da Perilli e Clementi a Roma.[70] Il critico d’arte sottolinea come queste esperienze abbiano portato in auge l’esigenza di considerare la parte visiva dell’azione teatrale come autonoma. Anche in questo caso il padre di tali esperienze viene riconosciuto in Schlemmer. Programmatica in tal senso è una dichiarazione dell’artista del Bauhaus riportata nell’articolo: «Il pittore, da tempo servitore in teatro del poeta e dell’attore, esige oggi con energia il suo diritto. Da pittore di decorazioni e scene […] è diventato creatore di spazi, di forme, di sinfonie cromatiche. Non vuole restare servo più a lungo e passa alla conquista della scena».[71]

Il processo di astrazione e meccanizzazione del teatro di danza compiuto da Perilli è debitore non soltanto degli insegnamenti di Moholy-Nagy e di Schlemmer, ma anche delle teorie sul teatro di Prampolini. Rispetto agli artisti della Bauhaus che il pittore aveva assiduamente studiato negli anni Cinquanta, il legame con l’artista futurista è invece di natura personale. Difatti, come è noto, Perilli e Dorazio si avvicinano a Prampolini e a Joseph Jarema già nel 1947, quando diventano stretti collaborati dell’Art Club, a Roma. L’associazione artistica, che si proponeva nel dopoguerra come una realtà indipendente e internazionale, non solo prevede nella sua programmazione una parte delle attività dedicata al teatro,[72] ma organizza anche nel 1955 una peculiare esposizione, dal titolo Arti plastiche. La civiltà delle macchine.[73] La 92a Mostra dell’Art Club si tiene alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e vede fra i suoi promotori oltre a Prampolini e Sinisgalli, anche Perilli e Dorazio. In questa occasione l’oggetto assume una particolare declinazione, l’opera d’arte viene difatti esposta in abbinamento a un elemento meccanico e industriale. L’intento di Prampolini è quello di inquadrare «altri elementi ‘indicativi e significativi’ dell’attività umana, intimamente legati al concetto di arte-vita»,[74] così:

sculture e composizioni polimateriche si trovano presenti, fianco a fianco, con elementi meccanici. Non è una novità […] noi stessi col nostro ‘Manifesto sull’arte Meccanica’, fino al 1923, avevamo fissato con la teoria e con le opere le basi per un’estetica della macchina e dell’introspezione meccanica dell’arte; oggi però vogliamo portare questo colloquio introspettivo – fra due entità apparentemente antitetiche – a contatto con il pubblico.[75]

Il teatro-macchina di Perilli dei primi anni Sessanta può essersi nutrito anche di queste esperienze che conducono l’autore a un’operazione di astrazione e oggettualizzazione degli elementi sul palco.

Tuttavia, questo interesse per l’oggetto cinetico non si limita a coinvolgere il materiale scenico, ma anche lo stesso luogo teatrale. Perilli lo aveva già appreso da Prampolini, l’eliminazione dell’attore e la fusione fra contenuto e contenitore scenico era già presente nel Teatro Magnetico. Il modellino del futurista, esposto a Parigi nel 1925, esaltazione della poetica dell’arte meccanica, si pone come un evidente modello e precedente delle successive ricerche sull’apparato scenico. È questo uno spazio elastico che esalta la fruizione attiva dello spettatore, idealmente avvolto dalla grande struttura cinetica, concepita come la «rivelazione magica di un mistero spirituale e scientifico».[76]

Nel 1965 Perilli partecipa a un’operazione simile che ridisegna il luogo teatrale come oggetto cinetico. Si tratta del progetto dell’architetto Maurizio Sacripanti – professore per cui l’anno precedente il pittore aveva svolto delle lezioni all’università –[77] per il Nuovo Teatro Lirico di Cagliari.[78]

Oscar Savio, fotografia del modellino, Nuovo Teatro Lirico di Cagliari di Maurizio Sacripanti, 1965. Courtesy Centro Archivi, MAXXI, Roma.

L’architetto, l’artista, e il gruppo di ricerca arrivano a concepire uno spazio polifunzionale che supera la tradizionale concezione scenica europea agendo sulla struttura stessa del teatro. Sia il pavimento sia il soffitto sono costituiti, nell’idea di Sacripanti, da pistoni scorrevoli verticalmente, azionati tramite comandi elettronici, che permettono il cambiamento della configurazione spaziale a seconda delle esigenze sceniche e drammaturgiche.[79] La ‘macchina’ ideata da Sacripanti, con la consulenza di Perilli, è pensata «come un unico palcoscenico, con pavimenti e soffitto ad elementi mobili che si pongono come matrici di uno spazio integrabile e plasmabile per ogni necessità».[80] Il ‘Total Teatro’, sul modello di Walter Gropius,[81] è frutto della necessità sentita da Sacripanti di creare uno nuovo spazio adatto a rinnovate esigenze sceniche. Come si apprende dal testo del progetto, l’architetto dopo avere visto il balletto di John Cage, Robert Rauschenberg, Merce Cunningham al Teatro La Fenice l’anno precedente, aveva riscontrato la difficoltà dello spazio di adattarsi a una ‘non scena’ fatta di oggetti mobili: «Lo spettacolo era mordente di pienezza vitale […] chiedeva gesti illimitati, ma la clausura del palcoscenico lo limitava».[82]

Questa grande macchina in movimento è concepita non solo per distruggere la cristallizzazione fra scena e platea, ma anche per instaurare un dialogo con la città, reinventandosi di volta in volta come luogo pronto ad accogliere attività differenti. Ed è proprio il progetto grafico di Sacripanti per il teatro lirico di Cagliari a comparire sulla copertina nel numero di Grammatica dedicato al teatro del 1967. Due mesi dopo l’uscita della rivista i curatori, Balestrini e Perilli, decidono di organizzare alla libreria Feltrinelli una serie ininterrotta di happening dalla durata di 12 ore. Si mette così in scena, nello spazio della libreria totalmente alterato da teli di plastica e copertoni, No Stop Teatro, frutto delle ricerche più sperimentali presenti a Roma. Gli organizzatori chiamano a raccolta tutti coloro che si sono occupati di teatro nel corso del decennio, non solo registi come Mario Ricci, ma anche pittori come Gastone Novelli, Toti Scialoja e Giordano Falzoni. Tuttavia, l’evento alla Feltrinelli segna un cambio di rotta nel clima operativo degli anni Sessanta. Gli artisti sperimentano i mezzi scenici al di fuori del luogo teatrale, compiendo un passo effettivo ‘oltre il quadro’ e verso l’azione.

Non stupisce che il numero sul teatro di Grammatica sia nelle intenzioni di Perilli già in preparazione e pronto all’uscita nel 1965, come si apprende dalla corrispondenza intessuta dall’artista con la casa editrice Bompiani e con Apollonio.[83] Le azioni astratte-cinetiche della prima parte degli anni Sessanta si configurano difatti come un insieme di esperienze con una specifica identità, all’interno di un periodo di confine fra la temperie postinformale di inizio decennio all’approdo ai ‘nuovi’ mezzi oltre la pittura e la scultura. In questo lasso di tempo, alcuni artisti, come Perilli – nonostante non abbandonino il mezzo pittorico e scultoreo come faranno poi i più giovani nella seconda metà degli anni Sessanta – si avvicinano ai mezzi scenici per verificare ciò che l’avanguardia aveva indicato: la diminuzione del confine fra arte e vita, come quello fra scena e platea, alla ricerca di un coinvolgimento ‘totale’ dello spettatore.

La messa alla prova delle esperienze di inizio secolo non avviene, per Perilli, in forma di semplice riproposizione, che avrebbe tolto, come egli stesso scrive, «sangue e linfa» all’esempio dell’avanguardia;[84] al contrario, bisognava inspirarsi a esse per ritrovare nuove metodologie creative.[85] Un’eredità quella delle avanguardie che, per il tramite di queste prove ‘astratte-cinetiche’ di inizio decennio, porterà a inedite soluzioni oltre la superficie pittorica e verso un ‘nuovo alfabeto’ per corpo e materia.[86]

 

Desidero ringraziare l’Archivio Achille Perilli per il sostegno offertomi durante la ricerca, nella persona di Nadja Perilli, Giorgia Chierici, Fabiola Di Tella e Alessia Monachino; inoltre, per i loro preziosi consigli Claudio Zambianchi ed Elisa Genovesi.

 

 


1 Archivio Achille Perilli, Orvieto (Terni), (d’ora in poi AAP), Faldone ‘Corrispondenza’, cartella ‘Critici’, Lettera di Franco Quadri a Achille Perilli, Milano, 2 novembre 1962, carta intestata Sipario. Rivista di teatro, scenografia, TV e cinema, dattiloscritta.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

4 A. Perilli, ‘Scenografia come azione e come programmazione’, Sipario. Rivista di teatro, scenografia, v.s. ‘Scenografia italiana d’oggi’, XVII, 200, dicembre 1962, p. 48.

5 S. Lux, D. Tortora, Collage 1961. Un’azione dell’arte di Achille Perilli e Aldo Clementi, Roma, Gangemi, 2005.

6 A. Perilli, ‘Scenografia come azione e come programmazione’, p. 48.

7 Ibidem.

8 Ibidem.

9 B. Drudi, ‘L’esperienza teatrale di Achille Perilli: un’intervista’, Terzoocchio. Trimestrale d’arte contemporanea, XVII, 1, marzo 1991, p. 40.

10 Intolleranza 1960: da giovedì 13 aprile a sabato 15 aprile 1961, Teatro La Fenice, Venezia. XXIV Festival di Musica Contemporanea – Biennale di Venezia. Azione scenica in due parti su un’idea di Angelo Maria Ripellino. Musiche di Luigi Nono, Costume e scene di Emilio Vedova. Allestimento tecnico Josef Svoboda.

11 A. Perilli, ‘Scenografia come azione e come programmazione’, p. 48.

12 Ibidem.

13 W. C. Seitz (a cura di), The Art of Assemblage, catalogo della mostra (New York, The Museum of Modern Art, 2 ottobre-12 novembre 1961), New York, Museum of Modern Art, 1961, pp. 91-92.

14 M. Kirby, Happening. Antologia illustrata [1965], trad. it di A. Piva, Bari, De Donato editore, 1968, pp. 47-51.

15 S. Sontag, Happening. Un’arte di accostamento radicale [1962], trad. it di E. Capriolo, in Id., Contro l'intepretazione [1964], trad. it di E. Capriolo, Milano, Bruno Mondadori, 1967, pp. 353-368.

16 A. Perilli, F. Mauri (a cura di), ‘Morte della pittura?’, L’Almanacco Letterario Bompiani 1961, (redatto 1960) 1961, pp. 267-284.

17 N. Perilli, Intervista ad Achille Perilli su Mino Guerrini, in G. Bonasegale, S. Lux (a cura di), Forma 1 e i suoi artisti 1947-1997, catalogo della mostra (Praga, Scuderia del Castello, 4 giugno-19 luglio 1998; Roma, Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea 4 giugno-19 luglio 1998), Roma, Gangemi, 1998, pp. 73-74.

18 Archivio Piero Dorazio Milano, Programma Teatro a Salisburgo Leopoldskrohn, 1949. Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli & co.

19 F. Pirani, ‘Anni cruciali per Dorazio’, La Tartaruga. Quaderni d’arte e letteratura a cura di Plinio De Martiis, v.s. ‘Gli anni originali’, 5-6, marzo 1989, p. 52; P. Vivarelli (a cura di), Achille Perilli. Opere dal 1947 ad oggi, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna 10 giugno-25 settembre 1988), Roma-Milano, De Luca Editore-Arnoldo Mondadori, p. 126.

20 AAP, Faldone ‘I concerto Jazz 1950’, locandina dello spettacolo, Il nuovo hot club di Roma, 1. Concerto Jazz, decorazioni di M. Guerrini, A. Perilli, P. Dorazio, L. Manisco. 5 febbraio 1950, cinema-teatro Splendore, Roma.

21 S. Lux, D. Tortora, Collage 1961. Un’azione dell’arte di Achille Perilli e Aldo Clementi, pp. 152-172.

22 Biblioteca del Civico Museo dell’Attore, Genova, (d’ora in poi BCMA), Programma di sala della XXVII manifestazione concertistica dell’Accademia Filarmonica Romana, direttore artistico M. Bogianckino, Teatro Eliseo, Roma. Collage; I sette Peccati Capitali. 14-15-16 maggio 1961; A. Perilli, Memoria su collage, p.24; P. Vivarelli (a cura di), Achille Perilli. Opere dal 1947 ad oggi, p. 127.

23 Cfr. F. Molina, ‘Tre Spettacoli Astratti’, Sipario. Rivista di teatro, scenografia, cinema, 183, luglio 1961, pp. 4-9.

24 BCMA, Programma di sala della XXVII manifestazione concertistica dell’Accademia Filarmonica Romana.

25 A. Perilli in G. De Marco, ‘Piazza del Popolo: 1950-1960’, La Tartaruga. Quaderni d’arte e letteratura a cura di Plinio De Martiis, v.s. ‘Gli anni originali’, 5-6, marzo 1989, pp. 116.

26 L’Esperienza Moderna, I, 3-4, dicembre 1957, pp. 41-49.

27 Cfr. C. Brandi, Arcadio o della Scultura. Eliante o dell’Architettura, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1956; A. Tarasco (a cura di), Toti Scialoja critico d’arte. Scritti in “Mercurio”, 1944-1948, Roma, Gangemi, 2015, pp. 49-54, 143-151; T. Scialoja, ‘Discorso sulla pittura, la musica e il teatro’, L’Immagine, II, 11, gennaio-febbraio 1949, pp. 85-98; T. Scialoja, Il teatro è arte visiva, s.d. [1968-1985], in M. Rossi, ‘Il teatro è arte visiva. Le premesse critiche di Toti Scialoja per una moderna concezione della scena’, Storia della Critica d’Arte. Annuario della S.I.S.C.A., Milano, Scalpendi, 2020, pp. 113-127.

28 A. Perilli in G. De Marco, ‘Piazza del Popolo: 1950-1960’, p. 116.

29 L. Pestalozza, ‘Influenza della scenografia sulla lirica’, Sipario. Rivista di teatro, scenografia, cinema, v.s. ‘Scenografia italiana d’oggi’, XVII, 200, dicembre 1962, p. 44. Inoltre, sul teatro musicale negli anni Sessanta si rimanda a D. Vergni, Nuovo teatro musicale in Italia (1961-1970), Roma, Bulzoni, 2019.

30 Archivio Luigi Nono, Venezia, ‘Corrispondenza fra A. M. Ripellino e Luigi Nono’. La corrispondenza è stata poi pubblicata in A. I. De Benedictis (a cura di), Intolleranza 1960 nelle voci epistolari dei protagonisti, in Id., G. Mastinu (a cura di), Intolleranza 1960, Venezia, Marsilio 2011, pp. 59-111. Mentre parte della corrispondenza fra A. Clementi e A. Perilli è pubblicata in S. Lux, D. Tortora, Collage 1961. Un’azione dell’arte di Achille Perilli e Aldo Clementi, pp. 152-172.

31 Vedi quanto sostenuto da A. Perilli su M. Peragallo in Archivio Museo Laboratorio Arte Contemporanea, Roma, (d’ora in poi AMLAC), intervista a A. Perilli, bozza di catalogo dattiloscritta mai pubblicato della mostra Suono e Segno. Nell’avanguardia italiana del secondo dopoguerra (MLAC, Roma, 10 dicembre 1989-15 febbraio 1990).

32 AAP, Faldone Corrispondenza, cartella ‘Sanguineti’, Lettera di E. Sanguineti a A. Perilli, 28 giugno 1960, Torino, manoscritta.

33 AAP, Faldone Corrispondenza, cartella ‘Sanguineti’, Lettera di E. Sanguineti a A. Perilli, 9 novembre 1960, Torino, manoscritta.

34 Lettera di A. M. Ripellino a L. Nono, Roma 4 ottobre 1960, dattiloscritto, in A. I. De Benedictis (a cura di), Intolleranza 1960 nelle voci epistolari dei protagonisti, pp. 76-77.

35 A. Perilli in F. Molina, ‘Tre Spettacoli Astratti’, pp. 4-9.

36 Ibidem.

37 AAP, Faldone Corrispondenza, cartella ‘Critici’, sottocartella ‘Apollonio’, Lettera di U. Apollonio a A. Perilli, 24 luglio 1961, intestazione ‘Archivio storico d’arte contemporanea della Biennale, Venezia’, manoscritta.

38 Cfr. la corrispondenza fra L. Nono e A.M. Ripellino in A. I. De Benedictis (a cura di), Intolleranza 1960 nelle voci epistolari dei protagonisti, pp. 59-111; mentre sul ruolo di Ripellino per Forma 1 si rimanda a J. Machalicky, ‘Distanze che si riducono’, in A. M. Di Stefano (a cura di), Forma 1 1947-1951, atti del convegno internazionale (Roma, Sala della Protomoteca-Campidoglio 9-10 ottobre 1997), Roma, Gangemi, 2001, pp. 79-84; A. Nicastri, ‘Angelo Maria Ripellino e “Forma 1”. Un incontro cruciale per la pittura d’avanguardia in Italia nel secondo dopoguerra’, Dialoghi di Storia dell’Arte, 8-9, dicembre 1999, pp. 178-187; A. Nicastri, Angelo Maria Ripellino. I sogni dell’orologiaio. Scritti sulle arti visive. 1945-1977, Firenze, Polistampa, 2003.

39 AAP, Faldone ‘Corrispondenza’, cartella ‘Sanguineti’, Lettera di E. Sanguineti a A. Perilli, 14 gennaio 1960, Torino, manoscritta.

40 A. Perilli prende parte anche alla Compagnia teatrale dei Novissimi: al Teatro Parioli, Roma, realizza scene e costumi per Povera Juliet di A. Giuliani, in scena dal 3 giugno 1965.

41 Cfr. AAP, Faldone ‘Corrispondenza’, opuscolo Teatro Gruppo 63, Sala Scarlatti, Palermo, 3 ottobre 1963. Le informazioni sullo spettacolo sono riportate anche in: L. Gozzi, ‘Teatro. Gruppo 63 a Palermo’, Marcatrè. Notiziario di cultura contemporanea, 1, novembre 1963, pp. 13-16.; V. Pandolfi, ‘Tappe dell’avanguardia teatrale in Italia’, Marcatrè. Notiziario di cultura contemporanea, 16-17-18, luglio-agosto-settembre 1965, pp. 125-130 (p. 126); N. Balestrini, A. Giuliani (a cura di), Gruppo 63. L’Antologia / R. BARILLI, A. GUGLIELMI (a cura di), Gruppo 63. Critica e teoria, Milano, Bompiani, 2013, pp.347-402; pp. 907-908.

42 L. Gozzi, ‘Teatro. Gruppo 63 a Palermo’, Marcatrè. Notiziario di cultura contemporanea, pp. 13-16.

43 AAP, Faldone ‘Corrispondenza’, Lettera di L. Gozzi a A. Perilli, (senza data), manoscritta.

44 P. Vivarelli (a cura di), Achille Perilli. Opere dal 1947 ad oggi, p. 131.

45 Redazione: A. Giuliani, G. Novelli, G. Manganelli, A. Perilli fino al 1968, dopo solo A. Perilli. Della rivista escono 5 numeri: Grammatica, 1, novembre 1964; v.s. ‘Le Forme dello spettacolo’, Grammatica, 2, gennaio 1967; Grammatica, 3, luglio 1969; v.s. dedicato allo spettacolo Kombinat Joey, Teatro Abaco, Roma, Grammatica, 4, luglio 1970; v.s. dedicato a G. Novelli a cura di A. Perilli, Grammatica, 5, 1976.

46 P. Vivarelli (a cura di), Gastone Novelli. 1925-1968, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea 10 giugno-25 settembre 1988), Roma-Milano, De Luca Editore-Arnoldo Mondadori, 1988, p. 13.

47 Mutazioni. Teatro alla Scala, Milano, prima rappresentazione 27 gennaio 1965. Libretto di N. Balestrini, musica di V. Fellegara. Coreografia di M. Pistoni. Scene, costumi, mobile, proiezioni di A. Perilli. Sul programma testo di L. Pestalozza.

48 L. Pestalozza, Mutazioni, E.A. Teatro alla Scala, stagione lirica 1964-1965, pp. 233-239 (pp. 234-235).

49 Ivi, p. 233.

50 M. Ricci in N. Garrone, ‘Trittico per Mario Ricci’, La Repubblica, 15 luglio 1988.

51 AAP, Faldone ‘Teatro’, Cartella ‘Por No’, A. Perilli, Por No, sceneggiatura, versione dattiloscritta e manoscritta.

52 Cfr. M. Fagiolo, ‘Tra arte figurativa e teatro’, L’Avanti, Roma, 4 giugno 1965; E. Flaiano, ‘Azioni visive alle Orsoline 15’, L’Europeo, XXI, 21, 23 maggio 1965; P. Vivarelli (a cura di), Achille Perilli. Opere dal 1947 ad oggi, p.132.

53 Ibidem.

54 M. Fagiolo, ‘Tra arte figurativa e teatro’.

55 L’appuntamento è intitolato Teatro Immaginario, 5 luglio 1988, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma. Archivio Bio-Iconografico, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, soggetto ‘Achille Perilli. Opere dal 1947 a oggi. 1988’, scatola 35, Opuscolo Manifestazioni speciali in occasione delle mostre Luigi Cosenza, Gastone Novelli, Achille Perilli (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 28 giugno-20 settembre 1988).

56 E. Flaiano, ‘Azioni visive alle Orsoline 15’.

57 A. Perilli in B. Drudi, ‘L’esperienza teatrale di Achille Perilli: un’intervista’, p. 39.

58 P. Perilli, ‘Moholy-Nagy’, Civiltà delle Macchine, III, 2, marzo 1955, pp. 74-75.

59 P. Perilli, ‘Antologia Dada’, Civiltà delle Macchine, II, 5, settembre 1954, pp. 19-20.

60 AMLAC, intervista a A. Perilli, bozza di catalogo mai pubblicato della mostra Suono e Segno. Nell’avanguardia italiana del secondo dopoguerra.

61 P. Perilli, ‘Moholy-Nagy’, p.74.

62 Ibidem.

63 Ivi, p. 75.

64 L’artista era stato oggetto nei primi anni Sessanta di notevole interesse e riscoperta ne è esempio la mostra su Oskar Schlemmer, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, dal 31 gennaio-1 marzo 1962.

65 Mostra Arte e scena. Mostra di studi teatrali di Oskar Schlemmer, Venezia, Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian, La Biennale di Venezia- XXIV Festival internazionale Teatro di Prosa, direttore Wladimiro Dorigo, 19 settembre-10 ottobre 1965.

66 Bild und Bühne. Bühnenbilder der Gegenwart und retrospective: Bühnenbilder von Oskar Schlemmer, mostra presso Staatlichen Kunsthalle, Baden Baden, 30 gennaio-9 maggio 1965.

67 Le opere di Oskar Schlemmer presenti alla mostra sono: sei acquarelli; cinque disegni a penna; un disegno a matita; tre marionette; due foto di grande formato; una fotografia a colori; nove fotografie di media dimensione; diciotto foto di piccola dimensione. Dati estrapolati da Oskar Schlemmer. Venedig, Staatlichen Kunsthalle di Baden Baden. In Archivio Storico della Biennale di Venezia, ASAC, Fondo storico, Teatro B.24, Cartella: Mostra Arte e Scena e Oskar Schlemmer. 1. Busta.

68 E. Vedova, Intolleranza, foto di grande formato, 3x4 metri; J. Svoboda, Intolleranza, foto di grande formato e foto panoramica delle scene; A. Perilli, Collage, 3 fotografie di scena. Vd. Veizeichnis für Venedig. Staatlichen Kunsthalle di Baden Baden. In ASAC, Fondo storico, Teatro B.24, Cartella: Mostra Arte e Scena e Oskar Schlemmer. 1. Busta

69 AAP, Faldone Corrispondenza, cartella ‘Critici’, sottocartella ‘Apollonio’, Lettera di U. Apollonio a A. Perilli, 5 ottobre 1961, intestazione ‘Archivio storico d’arte contemporanea della Biennale, Venezia’, manoscritta; lettera di U. Apollonio a A. Perilli, 13 ottobre1961, intestazione ‘Archivio storico d’arte contemporanea della Biennale, Venezia’, manoscritta.

70 U. Apollonio, ‘Arte e Scena’, estratto, Civiltà delle macchine, 3, maggio-giugno 1962.

71 Ivi, p. 3.

72 G. Simongini, G. Conte (a cura di), Art club 1945-1964. La linea astratta, catalogo della mostra (Parma, Galleria d’Arte Niccoli, 24 ottobre 1998-20 gennaio 1999), Parma, ‎ Galleria d’Arte Niccoli, 1998.

73 Aa. Vv., Le arti plastiche e la civiltà meccanica. 92a Mostra dell’Art Club Associazione artistica internazionale indipendente, catalogo della mostra (Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, 20 maggio-20 giugno 1955), Roma, Art Club, 1955.

74 E. Prampolini in Le arti plastiche e la civiltà meccanica.

75 Ibidem.

76 E. Prampolini, ‘L’Atmosfera scenica futurista’, Noi, 6-7-8-9, 1924, in G. Lista, ‘La ricostruzione del modellino del teatro magnetico’ in E. Crispolti, R. Siligato (a cura di), Prampolini. Dal futurismo all’informale, catalogo della mostra (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 25 marzo-25 maggio 1992), Roma, Carte Segrete, 1992, p. 197.

77 AAP, Cartella ‘Scuola viarie’. I documenti attestano che Perilli sostiene il corso ‘Metodologia visiva’, nell’ambito della cattedra di M. Sacripanti, Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti, a.a. 1963-1964, Facoltà di Architettura, Università La Sapienza, Roma.

78 Il progetto partecipa a un premio nazionale bandito dal Comune di Cagliari nel 1965, arrivando al secondo posto. Oltre M. Sacripanti partecipano F. Frigerio, A. Nonis, G. Pellegrineschi (automatismi), G. Perucchini (strutture), F. Purini, A. Perilli.

79 M. Garimberti, G. Susani (a cura di), Sacripanti. Architettura, Venezia, Edizione Cluva, 1967, pp. 49-60; A. Giancotti, R. Pedio, Maurizio Sacripanti. Altrove, Torino, Testo&Immagine, 2000, pp. 19-23.

80 B. Zevi, ‘Nasce in Sardegna il teatro in condominio’, L’Espresso, XI, 42, 17 ottobre 1965, p. 6.

81 Cfr. ‘Il Total Teatro di Maurizio Sacripanti’, Domus. Architettura, arredamento, arte, 437, aprile 1966.

82 Fondo Maurizio Sacripanti, Centro Archivi, MAXXI, Faldone P1/fascicolo 7. Teatro di Cagliari. I. Proposta di progetto di Total Teatro. Progetto presentato al concorso per il Teatro di Cagliari.

83 Cfr. AAP, Faldone ‘Corrispondenza’, cartella ‘Bompiani’; cartella ‘Critici’, sottocartella ‘Apollonio’.

84 AAP, Faldone ‘Testi’, A. Perilli, A proposito di “altro Zaum”, dattiloscritto, poi in Aa. Vv., Russia 1900-1930, l’arte della scena, Venezia, Ca’ Pesaro, 1990.

85 Ibidem.

86 T. Trini, ‘Nuovo Alfabeto per corpo e materia’, Domus. Architettura, arredamento, arte, 470, gennaio 1969, pp. 45-51.