Alain Guiraudie, Lo sconosciuto del lago

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Lo sconosciuto del lago di Alain Guirodie (Francia, 2012) viene presentato come un thriller o una detective story con la variante dell’ambientazione omosessuale, ma la suspense non riguarda certo la trama, dato che sin da subito sappiamo che è stato Michel ad annegare nel lago il ragazzo il cui corpo verrà ritrovato tre giorni dopo. Sì, come in un giallo classico seguiamo l’indagine del segaligno ispettore in trasferta sul luogo del delitto chiedendoci se riuscirà in qualche modo a smascherare l’assassino, ma capiamo – forse troppo tardi, come lui stesso – che era una falsa pista. Perché la vera pista del film è erotica: quali sono le ragioni della complicità di Franck? Perché, pur avendo assistito all’omicidio di Michel, non lo denuncia? Perché continua a sentirsi attratto dall’adone coi baffi che pare uscito da un manifesto gay degli anni Settanta? Perché percorre il pericoloso sentiero dell’innamoramento così come ogni giorno percorre quello che dal parcheggio porta alla riva del lago? Eppure il goffo e solitario Henry lo ha avvertito: «forse sei così innamorato da non accorgertene, ma il tuo ragazzo è un tipo strano (bizarre)». Henry e l’ispettore, lucidi nel fiutare il pericolo, sono i nostri puntelli razionali di spettatori e spettatrici, ma il film sguscia dalla prospettiva della razionalità per rappresentare quello che si può ben definire, in una catena di francesismi che si spiegano del resto nella francesità della pellicola, l’amour fou per un homme fatale.

Il valore del film sta in primo luogo, infatti, nell’abile capacità di rimotivare e rinnovare i topoi della tradizionale combinazione di eros e thanatos, per cui alla femme fatale medusea e assassina si sostituisce il bellissimo misterioso, adescato e adescante: non tanto un serial killer quanto uno sterminatore di ostacoli, dato che i suoi omicidi più che concentrati su un unico tipo di vittima appaiono dettati dall’esigenza di eliminare ciò che si frappone alla realizzazione del proprio desiderio. Laddove Franck appare introverso, gentile, indifeso nella sua bellezza efebica, ma anche irriflessivamente pronto a fidarsi – non vuole usare mai il profilattico, ad esempio – in un misto di stolidità e ingenuità che l’allibito ispettore gli butta in faccia durante uno dei suoi improbabili interrogatori: «Un ragazzo è morto e voi avete continuato a incontrarvi!». In realtà, le motivazioni degli atti e dei gesti dei personaggi rimangono sospese, non dette, tese tra il bisogno di amore e la serialità degli accoppiamenti, destinate a rimanere ai margini di un locus amoenus che lentamente, mano a mano che alle giornate assolate si sostituiscono il crepuscolo e la notte, da Eden della pulsione sessuale si trasforma in spazio perturbante.

Si potrebbe anche scorgere un’allegoria sulla natura compulsiva del desiderio nella società occidentale, ma senza dubbio si fa più giustizia allo Sconosciuto del lago riconoscendogli un interesse squisitamente cinematografico, che in parte risiede nella trasformazione della ‘sessografia’ da elemento esornativo-descrittivo, se non proprio decorativo, a elemento diegetico, indispensabile all’intreccio, come accade ad esempio anche nella Vita di Adele di Abdellatif Kechiche, per citare un film diversissimo, ma nelle sale in questi giorni. Mi riferisco alla capacità di Guirodie di volgere l’esplicitezza delle scene di sesso in una narrazione in levare, geometrica e allusiva: nonostante l’ambientazione in un luogo di battuage e l’esposizione dei corpi, il film è più cerebrale che fisico, effetto a cui contribuiscono sia la luce rarefatta e avvolgente della fotografia sia il ritmo lento e ripetitivo della narrazione, costruito attraverso il prevalente ricorso alla camera fissa nelle scene singolari e alla ripetizione meticolosa delle inquadrature in campo lungo nelle scene iterative. Di qui due corollari: la camera fissa fa sì che noi spettatori ci sentiamo come fossimo presenti alle conversazioni e agli accoppiamenti, nonché agli omicidi, quasi che la prospettiva dell’immagine diventasse una nostra soggettiva voyeuristica. Pertanto, se Henry e l’ispettore, in quanto elementi estranei allo scambio sessuale del luogo, costituiscono la nostra coscienza, anche il grottesco personaggio che vaga nel bosco con il pene in mano sempre pronto a masturbarsi appena vede due che si appartano diventa figura di chi guarda il film. Come a suggerire: non pensare di essere fuori da tutto questo, si parla anche di te! D’altra parte, il quotidiano arrivo di Franck al lago – la macchina che curva e viene poi parcheggiata, lui che cammina nel bosco e giunge alla riva – finisce per costituire il rituale di passaggio dal mondo là fuori a un luogo di staticità oppressiva e ipnotica, che, impregnato di un senso crescente di minaccia, rappresenta veramente l’eccellenza del film.