1. «With thanks, admiration and apologize to Italo Calvino»
Dall’opera di Italo Calvino emerge una non comune sensibilità per il rapporto tra parole e immagini. La sua indagine – iniziata in forma narrativa con La giornata di uno scrutatore (1953) e L’avventura di un fotografo (1955), proseguita negli scritti sul cinema[1] e culminata nella quarta delle Lezioni americane, sulla visibilità – anticipa questioni che saranno affrontate nei decenni successivi dagli studi sulla cultura visuale. La predisposizione di Calvino a interrogarsi sui problemi dello sguardo trova un sintomo precoce negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, con la scoperta del cinema hollywoodiano, unico nutrimento per il «bisogno di evasione, di proiezione, di fuga dal caos privo di senso del proprio universo quotidiano».[2] Il cinema è uno stimolo costante per un autore che vive d’immagini e d’immaginazione, tanto da diventare, come scrive Maria Rizzarelli, quel macchinario in grado di moltiplicare all’infinito i «dispositivi del racconto sui quali si arrovellerà la sua fantasia di scrittore maturo».[3]
Non è un mistero quanto Calvino abbia tratto ispirazione dal cinema; eppure, desta una certa sorpresa scoprire che solamente un esiguo numero delle sue opere abbia percorso la strada inversa, migrando sullo schermo. In sinergia con gli altri contributi raccolti in questo numero di «Arabeschi», si cercherà di delineare il panorama di tali adattamenti e di coglierne le peculiarità. In Italia, oltre a L’avventura di un soldato – capitolo diretto da Nino Manfredi all’interno del film a episodi L’amore difficile (1963) – si annoverano Il cavaliere inesistente (1970) di Pino Zac; il Marcovaldo (1970) a puntate di Giuseppe Bennati; e l’Avventura di un fotografo (1983) diretto da Citto Maselli. Se da una parte vi sono trasposizioni esplicite e dichiarate – che riprendono integralmente le opere di Calvino – dall’altra vi sono casi in cui il processo traduttivo va oltre schemi e formule consuete. Palookaville (1995) di Alan Taylor è uno di questi. Frutto della collaborazione con il produttore Uberto Pasolini, l’opera prima del regista statunitense prende le mosse da tre diversi racconti calviniani: Furto in una pasticceria, L’avventura di un bandito e Desiderio in novembre, inseriti all’interno di una trama più estesa e unitaria, che trasla l’asse geografico di attanti e situazioni dall’Italia del secondo dopoguerra alla periferia americana degli anni Novanta.
Al «passaggio dalla narrazione» – specifica del testo letterario – «alla mostrazione»[4] connaturata al medium audiovisivo si aggiunge dunque un processo di «indigenizzazione» attraverso cui le storie di Calvino «vengono trapiantate in un nuovo terreno» dal quale «nasce qualcosa di nuovo e di ibrido».[5] Lo spostamento geografico e cronologico, come si avrà modo di vedere, è funzionale alla strategia di messa in discorso operata da Taylor. Il film, presentato alla 52ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dà vita ad articolate mutazioni dell’originale di cui la prosa dello scrittore italiano non è che il punto di partenza. Il regista attinge a una fitta serie di modelli che includono anche Monicelli, la commedia all’italiana e il cinema americano. L’operazione traduttiva risulta dunque stratificata e non univoca. Taylor riprende il nucleo narrativo dei racconti per trasporlo in un discorso sulla fine del sogno americano, ne trasferisce il tono farsesco all’interno di una cornice che, seppur ironica e grottesca, mantiene un realismo di fondo.
Nella prospettiva postmoderna (e post-storica)[6] dalla quale parte il discorso di Taylor la dimensione tragica non è più possibile, allora il requiem – per immagini – dell’american way of life non assume toni grevi, ma diventa commedia. Mutatis mutandis, il debito più evidente nei confronti di Monicelli e della commedia all’italiana è dunque saper raccontare con umorismo la fine di un’epoca, i suoi ‘vinti’ (dalla Storia nel caso de I soliti ignoti; senza la Storia nel caso invece di Palookaville). Tornando a Calvino, si osserva una ripresa non solo testuale, ma anche stilistica. Nel film l’heist è il filo conduttore, tuttavia, l’intreccio che lega le sequenze è costantemente sospinto da una forza centrifuga che sembra indirizzare verso nuove storie e diverse possibilità. Taylor gioca con i generi cinematografici, passando dal gangster movie al comico, dal sentimentale al grottesco e al buddy movie, assumendo i tratti dell’iper-romanzo Se una notte d’inverno un viaggiatore.[7] Il regista, consapevole del carattere distintivo della prosa dello scrittore italiano, cerca di non tradirne lo spirito, pur piegandolo al proprio discorso, come indica l’epigrafe finale del film: «with thanks, admiration and apoligize to Italo Calvino».[8]
La breve ricognizione qui proposta cercherà di identificare trasferimenti e trasformazioni occorsi nel processo traduttivo, per fornire un quadro delle strategie a esso sottese e, in ottica target oriented, della loro resa filmica.
2. Ignoti, pasticci e pasticcerie
Nella fusione dei racconti letterari all’interno della più ampia e unitaria trama della pellicola, Taylor e lo sceneggiatore David Epstein pongono ciascuno dei protagonisti al centro di uno degli episodi adattati: Russell Pataki, Sid Dunleavy e Jerry, interpretati rispettivamente da Vincent Gallo, William Forsythe e Adam Trese. I tre cercano una svolta nelle proprie vite grazie a una piccola parentesi criminale, «just a momentary shift in lifestyles»,[9] e la visione di Sterminate la gang! (1950) di Richard Fleischer offre al gruppo di aspiranti rapinatori l’idea di pianificare una rapina a un furgone portavalori. Lo stesso titolo, in apparenza criptico, anticipa l’esito fallimentare dei loro piani; infatti, Palookaville è la città dei perdenti menzionata da Marlon Brando in una scena di Fronte del Porto (1954). Se il gusto per il citazionismo tipico del cinema postmoderno risulta evidente sin dalla locandina, il debito nei confronti di Calvino non si fa attendere molto. La sequenza di apertura mostra l’improvvisata banda intenta a svaligiare una gioielleria, salvo ritrovarsi per errore all’interno dell’attiguo negozio di dolciumi. Più interessato al cibo che alla refurtiva, Jerry inizia ad abbuffarsi ed è costretto a rimanere nascosto nel retrobottega all’arrivo della polizia. Neanche gli agenti resistono alla tentazione dei dolci e – mentre una musica over à la panthère rose evidenzia i toni grotteschi della sequenza – abbandonano la scena del crimine, consentendo a Jerry di fuggire indisturbato.
L’ipotesto letterario, immediatamente riconoscibile, è Furto in una pasticceria, pubblicato nella raccolta Ultimo viene il corvo (1949).[10] Come osserva Bolognaro, i personaggi del racconto di Calvino (Dritto, Gesubambino e Uora-uora) fungono da prototipi per i loro equivalenti cinematografici in ‘salsa americana’:
La derivazione calviniana emerge in modo inequivocabile anche a livello di caratterizzazione dei personaggi: Russell Pataki ha molto dell’asprezza, dell’impazienza, della rabbia sommersa del Dritto; Jerry ha il viso rotondo e l’infantile allegria di Gesubambino; Sid Dunleavy ricorda Uora-uora per il ruolo di palo e per il suo abbigliamento curato, oltre che per una sorta di inversione etnica: nel racconto di Calvino Uora-uora è il moro del sud, in quello di Taylor Sid è il biondo del nord (in opposizione ai tratti mediterranei di Russ e Jerry).[11]
L’insieme di riferimenti inizia a complicarsi se si considera che il medesimo racconto era già stato utilizzato da Mario Monicelli per un episodio nella trama de I soliti ignoti (1958). L’adattamento del regista italiano rappresenta un precedente che non può essere ignorato e che genera una serie di rifrazioni delle quali è opportuno tenere traccia: Taylor adatta il racconto, ma prende anche da Monicelli, che a sua volta ha adoperato Calvino come modello quarant’anni prima. Una rapida comparazione aiuta a comprendere le trasformazioni occorse e permette di tracciarne una stratigrafia. Se nell’originale la pasticceria è l’obiettivo designato del furto, nei due film il colpo ‘gastronomico’ non è altro che un pasticcio, conseguenza di un grossolano errore di calcolo. E ancora, mentre nel racconto di Calvino l’accesso al retrobottega avviene tramite «una finestrella alta da terra, con un cartone al posto del vetro sinistrato»,[12] Monicelli adotta la soluzione della breccia aperta nella parete di una casa (quella sbagliata) e i maldestri ladri si accontenteranno di consumare pasta e ceci trovati nella cucina. Taylor omaggia il regista de I soliti ignoti riprendendo l’abbattimento della parete, mentre l’azione ritorna all’interno della pasticceria.
Più importante della quantità, è però la qualità delle trasformazioni. La storia di Calvino si colloca nel difficile contesto italiano del dopoguerra, in cui i dolciumi costituiscono un bene raro, se non di lusso, come autorizzano a pensare i commenti del narratore su Gesubambino: «Erano anni che non mangiava un po’ di dolci come si deve, forse da prima della guerra»[13] – e più avanti – «per tutta la vita le pasticcerie sarebbero tornate proibite per lui, come quando da bambino schiacciava il naso contro le vetrine».[14] Ecco allora che l’effrazione proietta Gesubambino in una dimensione altra, reame di trasfigurazione degli oggetti concreti attraverso la fantasia. Il percorso nel retrobottega assume dunque i contorni dell’avventura, dei sogni a occhi aperti fatti dai bambini:
Allungò una mano, cercando d’ambientarsi nel buio per raggiungere la porticina e aprire al Dritto. Subito ritirò la mano, con schifo: ci doveva essere una bestia davanti a lui, una bestia marina, forse, molle e vischiosa. Rimase con la mano in aria, una mano diventata appiccicaticcia, umida, come coperta di lebbra. Tra le dita sentì che gli era spuntato un corpo tondo, un’escrescenza, forse un bubbone. […] Non vedeva nulla ma odorava: allora rise. Capì che aveva toccato una torta e sulla mano aveva crema e una ciliegia candita. […] Si buttò sugli scaffali ingozzandosi di paste, cacciandone in bocca due, tre per volta, senza nemmeno sentirne il sapore. Sembrava lottasse con i dolci, minacciosi nemici, strani mostri che lo stringevano d’assedio, un assedio croccante e sciropposo in cui doveva aprirsi il varco a forza di mandibole.[15]
La sequenza di Jerry nella pasticceria perde ogni elemento fantastico, in favore di un realismo narrativo, seppur ironico. A spingerlo non è la frenesia di Gesubambino, per lui i dolci non sono un miraggio: la sua voracità è materiale, squisitamente capitalistica. La differenza risulta evidente anche sul piano stilistico. Il marcato ricorso di Calvino all’aggettivazione genera un climax tensivo che enfatizza i toni concitati dell’abbuffata; al contrario, nel film la macchina da presa segue lentamente Jerry tra gli scaffali di dolci, il ritmo rilassato della sequenza è accompagnato da un commento musicale in chiave ironica.
Il comportamento di Jerry trova motivazione nello sviluppo della trama del film. L’uomo vive da disoccupato con la compagna Betty, che è impiegata in un supermercato. Le sue azioni si collegano al desiderio di ristabilire il proprio ruolo, anche economico, all’interno della coppia. Come lui, anche gli altri due protagonisti acquistano maggiore profondità nel film.
L’immaginaria Palookaville, nel New Jersey, è un piccolo centro di periferia, il sogno americano è in crisi, se non definitivamente tramontato, ma i tre protagonisti ne inseguono il riverbero. Taylor si ispira alle pagine di Calvino per proporre un discorso cinematografico sulla decadenza dell’american way of life alle soglie del terzo millennio. Per farlo, Taylor motiva le azioni dei personaggi e ne scolpisce le personalità utilizzando il nucleo narrativo di un racconto calviniano. Se il primo, incentrato sul prototipo del goloso Jerry-Gesubambino, problematizza le difficoltà nelle relazioni a causa della perdita del lavoro; il successivo utilizza la figura del ribelle, incarnata da Russell-Dritto, per approfondire le stesse tematiche all’interno dei rapporti familiari.
3. Guardie, ladri e letti
Russell è dunque il protagonista del secondo adattamento calviniano, tratto da L’avventura di un bandito, racconto pubblicato all’interno della raccolta Gli amori difficili (1970).[16] La storia inizia con la fuga di Gim Bolero, inseguito dalla polizia. L’uomo bussa alla porta della prostituta Armanda in cerca di riparo. L’inaspettato arrivo costringe il marito Lilin a lasciare il proprio posto all’ospite, spostandosi sul divano. Poco dopo, a bussare è il maresciallo sulle tracce del ricercato. Mentre Gim si nasconde nel bagno attiguo alla camera, il marito torna a letto per non destare sospetti. Alla richiesta del maresciallo di trattenersi per la notte, Armanda indirizza ancora una volta Lilin sul divano. Per nulla disposto a dormire nell’angusta toilette e avendo dimenticato le sigarette sul comodino, Gim esce allo scoperto e si costituisce. Il maresciallo, seppur controvoglia, è costretto ad arrestarlo, mentre la voce di Armanda chiama nuovamente il marito a letto. La scrittura di Calvino mescola toni farseschi e realismo intimista. Se l’aspetto umoristico del racconto è rafforzato dall’andirivieni degli occupanti, diretto da Armanda immobile sul letto, a livello tematico risalta il contrasto tra la precipitosa fuga di Gim all’esterno e il placido ritmo degli spostamenti tra le mura domestiche (Lilin si trascina lentamente dal letto al divano e viceversa, Gim fuma e aiuta il maresciallo a indossare la giacca). In questi termini, il letto assume i connotati di nido-rifugio-ventre materno, che la figura della prostituta sembra rafforzare. L’assenza di una vera pulsione sessuale nelle dinamiche tra i personaggi proietta Armanda in «quell’archetipo materno caro a Calvino, le donne generose e premurose ma anche un po’ distaccate che troviamo in molti suoi racconti».[17]
L’adattamento cinematografico mantiene il traffico di spostamenti e incontri del nucleo narrativo calviniano. Qui Russell, in fuga dal colpo alla pasticceria, si presenta alla porta della prostituta June, interpretata da Frances McDormand. La donna lo lascia entrare, anticipando però di essere in attesa di un cliente. Preso posto al tavolo, incontra il marito Walt, intento a guardare l’inseguimento di un poliziesco in televisione, che rimanda diegeticamente alla fuga di Russell e in modo intertestuale a quella del bandito nel racconto di Calvino. Alla vista dell’ospite, il marito si accomoda sul divano, lasciando i due liberi di parlare. Dopo un breve scambio, il suono del campanello informa dell’arrivo del cliente. Russell è invitato ad andar via dalla porta sul retro, mentre June riceve l’uomo, che si scopre essere uno dei poliziotti intervenuti nella pasticceria. Sentita una voce conosciuta, il protagonista torna indietro con la scusa di aver dimenticato le sigarette e scopre che il cliente altri non è che il cognato Ed. Il momento imbarazzante è reso ironico dalla reazione di Russell che dissimulando apparentemente, in realtà non nasconde di aver riconosciuto il cognato:
Russell: Excuse me, i forgot my cyggies. Hey, Ed.
June: You know each other?
Russell: I never saw him before in my life, right, Ed? I’ll see you guys later.[18]
Colto in flagranza, il poliziotto si congeda e segue il ladro verso l’uscita. Accompagnati da una musica over che rimarca l’umorismo della scena, i due uomini tornano insieme a casa a bordo della volante, con una ripresa (solamente simbolica) dell’arresto del bandito nel racconto. L’intera sequenza è costruita con l’alternanza di campo e controcampo all’interno del salotto, che scandisce il ritmo dell’azione e al contempo segnala i cambiamenti di posizione dei presenti.
Il personaggio della prostituta – pur mantenendo il carattere materno del prototipo letterario – è armato di una carica dirompente, capace di ribaltare i canoni sociali ma anche di dispensare preziosi consigli. In quest’ottica, le personagge del film si rivelano figure mature, circondate da una mascolinità infantile: «boys don’t always grow up, they age […] but they do not automatically grow up and become men».[19] Se June è consapevole della propria agency, contrapposta all’inetto marito, Laurie, la fidanzata di Russell, è determinata a trovare altrove un futuro migliore mentre Betty lotta per lavorare onestamente.
Al contrario, Ed è un marito infedele, oltre a essere un agente di polizia irresponsabile, che non esita a puntare la pistola fuori dal finestrino della propria auto in corsa per puro scherzo; i disoccupati Russell, Sid e Jerry non trovano realizzazione personale o lavorativa, ogni loro tentativo sembra destinato a fallire.
Questo è il nervo scoperto toccato da Taylor: il crollo del sistema valoriale, oltre che economico, del sogno americano. Le conseguenze si ripercuotono sugli aspetti umani e familiari. Ed, il cognato, è un imbecille, eppure intoccabile all’interno delle mura domestiche, poiché unico ad avere un lavoro. Al contrario, il disoccupato Russ non gode di credibilità e non riesce a tenere in piedi la relazione con la fidanzata Laurie, che lo abbandona con un biglietto di sola andata per Los Angeles.
Lo sgretolamento dei rapporti umani mostrato da Taylor sembra generare uno scarto oltremodo ampio con le pagine di Calvino. Per colmarlo è forse necessario guardare ancora una volta alla rete di modelli e rimediazioni che si frappongono tra le due opere. In quest’ottica, Bolognaro legge un influsso di Monicelli e, più in generale, un ribaltamento del sistema valoriale della commedia all’italiana:
Quello che comincia a emergere è un aspetto del dialogo di Taylor non solo con Calvino ma anche con Monicelli. Abbiamo visto come la disoccupazione e gli intrecci familiari non siano centrali per Calvino, ma per il neorealismo cinematografico italiano. Tuttavia, mentre la commedia all’italiana degli anni Cinquanta era sostanzialmente un’energica celebrazione dei valori tradizionali della famiglia e dell’etica del lavoro, Palookaville parla del crollo di entrambi nel mondo contemporaneo.[20]
La fine dell’american way of life, tra le macerie della società post-industriale, porta dunque con sé il declino del modello familiare tanto celebrato dalla commedia all’italiana. Ciò assumerà maggiore evidenza nell’ultimo degli episodi trasposti.
4. Pelli, pellicce e desideri
La tendenza centrifuga del film – analoga a quella dell’iper-romanzo calviniano – è particolarmente visibile nell’ultima delle operazioni traduttive. Pur mantenendo il proposito heist, i protagonisti cercano di percorrere la via della legalità e utilizzano l’automobile di Jerry per improvvisarsi autisti privati. Durante uno dei tragitti, alcuni passeggeri non gradiscono l’odore dei cani di Sid, che è costretto a scendere dal mezzo sotto un temporale. Il tentativo di salire a bordo di un autobus fingendo di avere al seguito i cani guida viene respinto dal conducente. Cerca così riparo all’ingresso di un negozio di abbigliamento. L’episodio riprende il nucleo narrativo di Desiderio in novembre, pubblicato nella raccolta Gli amori difficili (1970). Se le trasposizioni fin qui esaminate caricano di ulteriore significato politico i racconti originali, la terza sembra smorzare solo apparentemente i toni del discorso per dedicare spazio allo sviluppo del personaggio di Sid. Il racconto apre uno scorcio – quasi marcovaldiano – sulla disparità sociale: «Il freddo arrivò nella città una mattinata di novembre […] Per i poveri fu un brutto giorno, perché non potevano più rimandare i problemi che avevano accantonato fino allora: il riscaldamento, il vestiario».[21] La narrazione prosegue accompagnando i lettori attraverso la giornata di Barbagallo, un anziano indigente vestito solo di un cappottone militare. Vero e proprio freak, l’uomo minaccia di aprire il cappotto davanti alle facoltose clienti di un negozio di pellicce, allo scopo di racimolare alcune monete. Utilizza il medesimo stratagemma per saltare la fila davanti a un’opera pia e ottenere della ruvida biancheria intima. Entrato di soppiatto nel magazzino del negozio, si libera dello scomodo abbigliamento, addormentandosi in un letto di pellicce. Al suo risveglio incontra Linda, commessa col compito di sorveglianza notturna. La giovane si offre di lavare la biancheria dell’intruso, in modo da ammorbidirla. Per gioco, i due iniziano a provare delle pellicce. Presto travolti dalla frenesia del momento, ne indossano e gettano a terra una grande quantità, fino a costruire con le stesse una capanna nella quale dormono insieme. Al mattino, Barbagallo va via indossando la biancheria diventata comoda, mentre Linda rimette in ordine il magazzino.
Tornando a Sid, questi viene invitato a entrare nel negozio dalla commessa Enid e le consegna i propri abiti bagnati. Taylor evidenzia fin da subito la stravaganza di entrambi con uno scambio di battute:
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Enid: Were you blind on the bus?
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Sid: Yeah. Sometimes it works.
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Enid: It’s hard to do. I’ve tried being blind a couple of times.
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Sid: Why is that?
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Enid: For the experience.[22]
Nel retrobottega, Sid inizia a provare diverse pellicce, innescando la stessa giocosa dinamica del racconto. Taylor la rende cinematograficamente con un movimento a “L” della macchina da presa. Prima un carrello mostra le pellicce nel retrobottega, avvicinando l’obiettivo allo specchio in cui è riflessa l’immagine del protagonista intento a provarle, poi una rotazione di 90° mostra la vera immagine del protagonista, inizialmente nascosta. Il piano sequenza viene accompagnato dalla stessa – ironica – musica over dell’abbuffata. Sid esce dal retrobottega comicamente abbigliato da Napoleone, suscitando un sorriso di Enid, che viene coinvolta nel gioco di trasformazioni. Infine un establishing shot delle luci del negozio che si spengono informa che i due trascorrono la notte nell’alcova di pellicce. Una comparazione tra i due testi permette di trarre alcune considerazioni. Il processo di indigenizzazione risulta qui più evidente rispetto ai precedenti casi. Difatti, allo spostamento geografico e temporale segue un’attenuazione della disparità sociale (il negozio vende abbigliamento usato) e della differenza di età (commessa e ospite diventano pressoché coetanei), oltre a un deciso avvicinamento tipologico dei due personaggi, che assumono entrambi caratteri bizzarri. Al contrario, Calvino colloca Linda e Barbagallo agli antipodi fisicamente: minuta e dalle trecce nere l’una, corpulento e «con una barbaccia bianca screziata da ciocche ancora bionde»[23] l’altro. Nel testo letterario la trasgressione può avvenire solo in virtù della particolarità del luogo – in quel momento affrancato da convenzioni sociali (assenza della proprietaria e delle clienti) – e dal venir meno di una normatività, anche sessuale, all’interno della giocosa fusione di pelle e pellicce. Nel film l’incontro assume connotati differenti: Enid e Sid appaiono come due freak, individui stravaganti, che trovano nella comune alterità uno spazio di condivisione, un terreno d’incontro e di reciprocità. Oltre a rivestire una certa importanza per lo sviluppo del personaggio di Sid, in quanto punto di svolta per uscire da un lungo periodo di solitudine e chiusura dopo la fine di una precedente relazione, l’episodio mostra la spontaneità delle relazioni autentiche. L’immediata affinità della coppia Sid-Enid è nettamente contrapposta alla monotonia del matrimonio tra Ed e Chris, o tra June e Walter, ma anche alle precarie o instabili relazioni degli altri protagonisti con le rispettive compagne. A livello stilistico, ancora una volta Taylor trasforma il regime fantastico e farsesco della prosa calviniana in una narrazione realistica, seppur a tratti grottesca, in cui pensieri e azioni dei personaggi sono plausibili e compiutamente motivati. Il discorso che muove dalla rielaborazione dei racconti di Calvino dipinge la fine del sogno americano, le difficoltà a instaurare rapporti umani autentici e il senso di smarrimento individuale, che le vestigia di quel modello trascinano nella società contemporanea. L’improbabile banda di ladri – che vorrebbe rapinare il portavalori – finisce per soccorrere l’autista colpito da infarto e restituire il denaro. Al fallimento di un secondo tentativo, vengono prelevati dalla polizia. Temendo di essere arrestati, ricevono invece un premio per aver salvato la vita dell’uomo. Taylor mostra così che al di fuori della Storia la tragedia si trasforma in farsa, e anche i ladri più inetti, loro malgrado, possono essere celebrati come eroi.
1 Cfr. I. Calvino, Guardare, a cura di M. Belpoliti, Milano, Mondadori, 2023.
2 M. Rizzarelli, Sguardi dall’opaco. Saggi su Calvino e la visibilità, Acireale, Bonanno Editore, 2008, p. 100.
3 Ivi, p. 106.
4 L. Hutcheon, Teoria degli adattamenti, Roma, Armando Editore, 2011, p. 67.
5 Ivi, p. 211.
6 Pochi anni prima dell’uscita del film, le tesi del politologo statunitense Francis Fukuyama sulla fine della Storia generarono un vivace dibattito culturale, che coinvolse anche filosofi, storici e artisti. Cfr. F. Fukyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Torino, UTET, 2020.
7 Cfr. I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Milano, Mondadori, 2022.
8 Epigrafe tratta dalla colonna visiva del film.
9 Battuta desunta dalla banda sonora del film.
10 Cfr. I. Calvino, Ultimo viene il corvo, Milano, Mondadori, 2023.
11 E. Bolognaro, ‘Playful robberies in Palookaville (1995): Alan Taylor, Italo Calvino and a new paradigm for adaptation’, New Cinemas: Journal of Contemporary Film, IV, 1, 2006, p. 9 (traduzione mia).
12 I. Calvino, Furto in una pasticceria, in Id., Ultimo viene il corvo, Milano, Mondadori, 2023, p. 160.
13 Ibidem.
14 Ivi, p. 163.
15 Ivi, pp. 161-162.
16 Cfr. I. Calvino, Gli amori difficili, Milano, Mondadori, 2023.
17 Ivi, p.8.
18 Dialogo desunto dalla banda sonora del film.
19 Ibidem.
20 E. Bolognaro, ‘Playful robberies in Palookaville (1995): Alan Taylor, Italo Calvino and a new paradigm for adaptation’, p.12.
21 I. Calvino, Desiderio in novembre, in Id., Ultimo viene il corvo, p. 198.
22 Dialogo desunto dalla banda sonora del film.
23 I. Calvino, Desiderio in novembre, in Id., Ultimo viene il corvo, p. 199.