Nel luogo del sangue…Laura Betti su PPP

di

     
Abstract: ITA | ENG

L’amicizia fra Laura Betti e Pier Paolo Pasolini è una delle avventure più toccanti dell’industria culturale italiana. Qui si ripercorrono alcuni dei momenti più intensi del loro rapporto attraverso una fitta serie di documenti della stessa Betti. I frammenti di lettere, interviste e scritti autobiografici confermano la temperatura emotiva di un legame davvero unico.

The friendship between Laura Betti and Pier Paolo Pasolini is one of the most touching adventures of the Italian cultural industry. Here some of the most intense moments of their relationship are retraced through a dense series of documents by Betti herself. The fragments of letters, interviews and autobiographical writings confirm the emotional temperature of a truly unique bond.

 

 

 

Avevo veramente una doppia vita. Ma l’ho avuta sempre. L’ho anche adesso, probabilmente. Avevo questa capacità di amministrare una vita e un’altra vita… Comunque nel rapporto con Pier Paolo questo si poneva: io non rinunciavo ad essere una mascalzona. Avevo bisogno di molte cose, mi piaceva moltissimo la mondanità. Che Pier Paolo detestava.

Laura Betti

 

 

Il profilo artistico e biografico di Laura Betti ruota intorno al rapporto con Pasolini: l’incontro con ‘il veneto’ rappresenta una svolta per la funambolica avventura dell’attrice («Fino ad allora, la mia vita non era stata altro che un’abitudine. Lui è diventato la mia vita»),[1] che da quel momento si voterà a una dedizione fatale, con tratti di «folle ambiguità».[2] La loro ‘relazione’ scardina i presupposti dell’industria culturale italiana, perché non resta confinata al modello-Pigmalione: Betti, pur incarnando fino in fondo il ruolo di «pupattola bionda»,[3] sarà l’artefice prima dell’edificazione della mitografia pasoliniana e si trasformerà pertanto da musa a vestale della memoria e dell’opera dello scrittore-regista.[4] Tale sbilanciamento, frutto di una determinazione assoluta, rende le traiettorie della ‘coppia’ inconsuete per il sistema divistico italiano: nessuna amicizia intellettuale riuscirà a eguagliare il primato di una reciprocità così profonda, nessuna partnership sarà tanto longeva e feconda.

 

 Laura Betti © Archivio Mario Dondero

 

La dimensione ‘leggendaria’ di questo legame si deve non solo alle aperture mondane dei due, alla loro disinvoltura nel presenziare a festival, cerimonie, kermesse teatrali o cinematografiche, ma anche alla spiccata propensione di Betti per l’affabulazione romanzesca; non c’è intervista, lettera o manifesto in cui lei non chiami in ballo il poeta, un po’ per la curiosità morbosa di giornalisti e paparazzi, un po’ per la necessità di restare attaccata all’ombra dell’amico scomparso («Il passaggio del tempo, soprattutto da quando non c’è Pier Paolo, per me è disperso al vento. Certo, non sono la sua vestale, ma, per me, è ancora l’unica cosa che vale nella vita»).[5] La storia di questo côté affettivo è dunque puntellata di aneddoti, dichiarazioni, invenzioni più o meno audaci, che testimoniano l’intimità e l’ostinazione della ‘giaguara’, il suo essere irrimediabilmente votata a una fedeltà senza misura, e in ultimo la sostanza mitica di un rapporto capace di superare il limite dell’esistenza.

Senza pretendere di riuscire a raccontare tutto, si proverà adesso a isolare alcuni frammenti di questo incessante ‘discorso amoroso’ nel tentativo di tratteggiare i contorni di una ‘romanza’ ancora appassionante, per la costanza del sentire e la varietà di registri con cui Betti ha voluto e saputo declinare il suo affetto. Mentre Pasolini preferisce affidare alla verità della sua arte i ritratti della «sua moglie non carnale»,[6] riducendo al minimo i pronunciamenti pubblici e lasciando alla consuetudine dei riti privati le dimostrazioni di vicinanza, l’attrice si abbandona a slanci e attestazioni che giungono a comporre una sorta di celebrazione perenne del regime ‘coniugale’, attraversato da incomprensioni epiche e riconciliazioni sublimi.

 Laura Betti © Archivio Mario Dondero

 

Scegliere di restare ‘dalla parte di lei’ significa rimontare il film della sua vita seguendo una sceneggiatura provvisoria ma febbrile, fatta di tessere mobili e incandescenti, che restituiscono a chi legge tutto il vigore di una personaggia fuori dagli schemi. Per non lasciarci travolgere dal pathos di una scrittura sempre fremente, per lo più contraddittoria ma al contempo vigile, indichiamo alcune ‘soglie’, da intendersi come punti di coagulazione, capaci a stento di interrompere il flusso di (in)coscienza che ha caratterizzato il farandonico tambureggiare di questa diva senza riserve. A ciascuna di esse corrisponde una diversa stagione del rapporto con Pasolini e con il proprio essere donna e attrice, un capitolo ‘smarginato’ da pose caratteriali inedite e da un’energia indomabile. I frammenti di parole che si addensano attorno a questi nuclei presentano una diversa temperatura emotiva ma uno stesso sentimento: una furia passionale difficile da contenere. La sua scrittura, la sua voce, disegnano un tappeto di sensazioni, una trama di avventure, sempre ironiche, eccedenti; la normalità del resto non era un destino per Betti e Pasolini, sebbene entrambi avessero cercato (l’uno nell’altra) un approdo sicuro.

 

 Laura Betti © Archivio Mario Dondero

 

 

Come leggere allora questo collage? Come tentare di ricomporre le tessere di questo mosaico? Una risposta possibile ce la suggerisce Nadia Fusini: «anche a questo serve parlare d’amore: a “fare l’amore”. A far sì che l’amore prenda corpo di parola».[7]

 

 

#1 Colpo di fulmine

 

Incontro artistico? Ma tra me e Pasolini, nel ’56, ci fu un autentico colpo di fulmine. Io ero appena sbarcata a Roma da Bologna e cantavo, nel cabaret, le canzoni degli scrittori. Ero poco più che una ragazzotta ma, chissà perché, li incuriosivo. Un giorno anche Pier Paolo venne a conoscermi nella mia povera camera ammobiliata. Era timidissimo, e mi fece ridere, all’inizio, quel suo impaccio. Cominciò così la nostra storia. Eravamo una coppia tremenda, litigavamo in continuazione ma c’era tra noi un rapporto che ancora adesso, dopo la sua morte, si è conservato ferocemente intatto.[8]
 
All’epoca del nostro incontro, mi ha guardata come se fossi non so che cosa, un’apparizione... Io l’ho trovato irresistibile, la sua timidezza mi faceva ridere. Fu un colpo di fulmine. È sempre delicato parlare di queste cose perché si può essere fraintesi… Noi abbiamo vissuto ben più di un’amicizia, era amore. Poco importa che lui fosse omosessuale. Eravamo complementari. Grazie al suo rigore, ha messo un po’ di ordine nella mia confusione.[9]

 

Ho conosciuto Pier Paolo nel ’57 [sic]. Ci siamo subito fidanzati, poi sposati. Io sostenevo che sarei poi diventata il bastone della sua vecchiaia e – data la mia tendenza ai chili in più – lui sosteneva che sarei diventata la “palla” della sua vecchiaia.[10]

 

Ho incontrato Pier Paolo Pasolini nel 1957 [sic]. È stata una specie di colpo di fulmine, un amore «immaginario». Alcuni nostri amici, come Elsa Morante, erano colpiti da una relazione come la nostra nella quale il sesso non aveva alcuna importanza. […] In vent’anni, abbiamo reinventato la vita. Solo dopo la sua morte sono riuscita a comprendere l’essenza della nostra relazione, con tutte le sue implicazioni. Pier Paolo era insieme un uomo dotato di una pazienza infinita e di una grande crudeltà. Era crudele come i bambini, o gli animali. Quando penso alla crudeltà di Pasolini, penso al sole e alla sabbia che assorbono la luce e ancora al sole sanguinante.[11]

 

 

#2 Vita di coppia

 

Avevamo poche cose in comune: una disperata vitalità e una canzone dal titolo Amado mio che aveva cantato Rita Hayworth in Gilda. E un’altra cosa avevamo in comune: la disubbidienza. Eravamo una coppia tipica con i regolari problemi del ruolo. Io mi ero assunta – come tutte le donne – un compito duro, pesante, quasi impossibile. Lo facevo ridere. Non sapeva ridere quando l’ho conosciuto. Teneva le labbra sottili sbarrate, chiuse. Era un uomo braccato, respinto, schedato dalle destre e dalle sinistre come “diverso”. Era un uomo assetato d’amore. Farlo ridere non era dunque facile perché non c’era nulla da ridere. Il nero fascismo del “nuovo fascismo” era tutt’intorno a noi, a la nostra pazza isola di sole, di colori, di sapori; un’isola resa superba dalla poesia sparsa ovunque, a piene mani.
Una coppia tipica. E se lo dico è per disubbidire a chi ha deciso che una coppia tipica non possa essere anche insolita. Lo dico per disubbidire a chiunque scheda gli omosessuali, le donne, gli handicappati stabilendo una volta per tutte che deve esistere una normalità, “quella normalità”, non tre, mille normalità.[12]

 

Com’era il tuo rapporto con Pasolini?
Era un rapporto uomo-donna nel senso tradizionale della parola. Molto conflittuale e molto bello. Molto sofferto, ma stupendo per quello che io sono riuscita a dargli (e lui chiedeva molto, era veramente vorace) e per tutto quello che lui dava a me.
Che cosa davi tu a lui, e che cosa dava lui a te?
Gli davo la certezza di essere amato, e per lui era importante. Aveva un bisogno famelico di amore: capita spesso ai “diversi”. La diversità viene assunta come esclusione. E io gli creavo intorno delle difese feroci. Con lui sono stata esclusivamente e totalmente femminile. Per lui cercavo di fare cose belle, importanti. Cercavo di piacergli in tutti i modi, e non era facile. Anche questo libro [Teta veleta NdA] è una prova d’amore. Perché è una lotta contro la regressione. Con Pier Paolo sono sempre stata molto femminile. Se sono stata maschile, lo sono stata con altri per vendetta contro gli uomini, contro la normalità…
E Pasolini che cosa ha dato a te?
Mi ha dato la coscienza dei valori, e quindi il tentativo di riscoprirli in continuazione. E poi la scoperta della poesia. E poi il coraggio di seguire le tue idee fino in fondo. E la forza di mantenere la propria integrità, pur nell’ambiguità della vita.[13]

 

Quando ami una persona, come io ho amato Pier Paolo, mica lo studi! Sì, ho amato Pier Paolo, ho vissuto con lui, praticamente, per ventidue anni. E adesso ritrovo le sue mani, la sua voce, i suoi occhi, le sue parole, le sue esitazioni, tutte cose che nessun testo scritto potrà mai restituire. E ho capito che solo il cinema può rendere conto di tutto questo.[14]

 

Cos’era per lei Pier Paolo Pasolini?
Il senso della mia vita, sì, era il senso della mia vita. Oltre a tante altre cose. Avevamo un rapporto molto bello, anche molto buffo: eravamo proprio una strana coppia. Io poi ho sempre avuto un temperamento molto comico: e Pier Paolo perdeva letteralmente come gli indiani davanti alle collanine colorate di Cristoforo Colombo. Era un rapporto molto importante, molto bello: con una gran carica di amore strano, d’amicizia, certo, ma forte, anche improbabile.[15]

 

Per vivere venti anni con Pier Paolo ho dovuto compiere determinate scelte. Pagare un prezzo molto alto per un compenso altissimo e cioè l’odore della poesia. In questo prezzo era ed è compreso l’esclusione drastica dai centri del potere discriminante che mi riguarda direttamente: Tv e teatro bene. Ne valeva e ne vale la pena anche se provoca disguidi finanziari notevoli. Poi ho scelto di regalargli il mio corpo che è generoso né più né meno di quello di tutte le donne affinché potesse non vedere tutto quello che c’è nelle scatole e che allora, non essendo inscatolato, era molto più evidente e invadente.
Dopo il 3.11.1975 ho scelto di non accettare esattamente così come Pier Paolo aveva scritto in previsione di una mia morte nel 2000. E credo che il non accettare sia appunto una scelta che ci accomuna. Il punto di incontro dove una risata non può che diventare crudele.[16]

 

 

 Laura Betti © Archivio Mario Dondero

 

 

#3 Il tempo del lutto

 

Ricordo che avevo una sensazione terribile in quei primi giorni… la prima cosa che ho pensato è che abbia avuto molto freddo e che fosse solo… questo lo sentivo fisicamente e mi faceva male, fisicamente, sentire che aveva freddo ed era certamente molto solo… lui che era così vorace del sole, gli piaceva molto il sole…[17]
 
Chi, come me, è vissuto per vent’anni sotto la sferza delle idee, lo stimolo incessante a pensare, si trova accasciato dopo la perdita di una simile compagnia. La tentazione di lasciarsi andare è fortissima. Ma ho resistito, ho tentato di mantenermi alla sua altezza.[18]
 
Caro e gentile Argan,
molto tempo fa – poco tempo dopo – feci mettere a Fiumicino due pioppi e una panchina di pietra. I pioppi si sono seccati e la panchina distrutta. […] Vivere più di vent’anni con un uomo come Pasolini può anche costare molto. Si può ad esempio capire troppo, scendere con atroce generosità dentro l’uomo. Non solo scriverlo, schematizzarlo, strutturarlo. Non, non solo. Ora io sono un’orfana feroce e cupa perché vedo dentro. E vedo la macabra indifferenza di chi sta in alto e di chi sta in basso. Il corpo sbranato di Pier Paolo sta a Fiumicino. E lì starà finché la ‘macabra indifferenza’ non cederà il posto imbarazzata e subito dignitosa a un’ipocrita presa di coscienza quando si saprà, poiché ‘si saprà’. E per me sarà troppo tardi.[19]

 

Io non credo che Pier Paolo sia presente nell’odore del pane – e naturalmente odorava di pane. Credo che la sua presenza sia nel luogo del sangue, nel luogo della crudeltà. E credo che questo faccia parte di uno dei segreti che compongono il mio aver vissuto fisicamente con lui. E chiedermi il perché corrisponde a chiedere come si può vivere distesi su una lama d’acciaio. […] Insomma voglio dirti che la presenza di Pier Paolo è dolorosa, e lo era anche e costantemente, in vita. L’assenza e la presenza di Pier Paolo sono un corpo unico di dolore. […] Ecco. Pier Paolo in tutto questo tempo mi ha torturata perché questa camera di sangue si facesse e in fretta. Poi però vorrà manifestarsi in altri luoghi. Ed infatti penso che alla fine di questa impresa, quando incomincerà il casotto editoriale dell’uscita, io me ne andrò per boschi a cercare delle primule poi ti prendo e ce ne andiamo in Marocco a odorarle e Pier Paolo lo trovo al mercatino che mi compera un bel vestito e finalmente anche si ride.[20]

 

Io vivo condannata ad un’alternanza che rende la schizofrenia sana e abbordabile come una cotoletta alla milanese. Dentro e fuori e fuori e dentro. E Pier Paolo sta dentro per corridoi e molta pioggia con accecamenti da sole di lame d’acciaio e fuori le lame mi danno un po’ fastidio e le fodero di ciccia o di quel che trovo insomma. In pratica io avevo necessità assoluta di te per ricreare, all’interno dei corridoi, i chiarissimi, tersi contrasti che ho vissuto vicino a Pier Paolo rendendomelo giorno per giorno sempre più necessario o altro che ancora non so.[21]

 

Che cosa è cambiato dopo la morte di Pasolini?
«Tutto. La vita».
Che cosa le ha lasciato?
«La presenza. Che è proprio indistruttibile».
Chi c’è dopo di lui?
«Nessuno. Né dopo, né prima». [22]

 

 

#4 Congedo

 

7 Gennaio 1976
Tu non mi hai mai parlato dell’irrealtà dell’assenza, Pier Paolo. Non ne so nulla.
Che cosa hai fatto, che cosa hai fatto, che cosa mi hai fatto, cosa è successo, perché l’hai fatto, perché è successo. Mi hai staccato la testa. La calotta è staccata, fasci di nervi penzolano sul collo e trasmettono sensazioni, rumori: il giornale radio, gli slogan delle manifestazioni, i battiti di un cuore, il mio, i discorsi sulla struttura, l’impegno dell’intellettuale… poi i fasci di nervi si ritirano strisciando sul collo, la calotta si richiude e tutto si ricompone nel silenzio delle ore, dei minuti primi, dei minuti secondi, delle lancette che si muovono stupide e pretenziose come se davvero il tempo, come loro segnano, esiste. E questo silenzio dove il tempo non è diventa un film senza colonna sonora e senza titoli di testa. La prima inquadratura è il mio tavolo su cui c’è sempre stata tanta roba da mangiare per te. È un lento carrello a scoprirti steso sulla planimetria disegnata da Dante Ferretti che ha bagnato qua e là la carta di lacrime di rabbia. Seguiamo una matita rossa che vaga per la planimetria, sul tuo corpo, a segnare i perché di quella notte. Lentamente entra in campo il mio profilo gonfio e appesantito e le mie labbra inseguono i segni e le crocette rosse e baciano le tue ferite, le tue mille ferite, le tue braccia ritorte, le tue orecchie sbranate, i tuoi passi ciechi verso dove, verso chi… dove, dove la cercavi la vita? dove?... non c’è vita sulla planimetria… è così chiaro? Dove la cercavi?[23]

 

20 gennaio 1976
Volevi tempo, chiedevi altro tempo. Io te l’ho dato il mio tempo, da brava cagnona fedele. Ho buttato via Gerard che mi amava e che io amavo. E non è servito a nulla, a nulla. Nemmeno a darti un giorno di sole in più. […] mi metterò la parrucca di Teorema per venire da te, lì dove ti hanno spaccato il cuore. […] e ti parlerò a lungo. Ti farò ridere come sempre. Ti conquisterò per l’eternità offrendoti una delle più belle risate della nostra lunga vita. Il tuo regno per una risata… è così, no? E rimarrò su quella panchina finché i capelli non mi diventeranno verdi, come in Teorema, e mangerò le ortiche, come in Teorema. Finite le ortiche tornerò a Roma da Fiumicino a Roma, come in un film di Godard. A Roma comincerò ad aspettare.[24]
 
Caro Pier Paolo,
qui tutto si svolge secondo il previsto. Infatti ieri non ti ho raccontato – è vero, lo dici sempre che dimentico l’essenziale – non ti ho raccontato che ti conoscono in tanti. Tanti che sanno tutto di te e ti descrivono da destra a sinistra e da sinistra a destra. […] Se parlo ora della tua morte – tu che per me morto non sei né mai lo sarai – è per passeggiare con te nel paradosso, nella disinformazione a mezzo stampa e tv, nel conformismo e nel perbenismo per i viali ripuliti a fondo da ogni contraddizione, di questa “Italia di serie B” così femminilmente timorosa di aver paura. […]
Quanto a me io farò tutto quello che mi dirai di fare: disobbedirò alla “tolleranza”, correrò dietro al potere per riferirti di volta in volta come si maschera e come si trucca, imparerò nuovi piatti succulenti che servirò ai giovani che riescono a crescere malgrado tutto e cercherò in tutto il mondo qualcuno che debba imparare a ridere e glielo insegnerò – come l’ho insegnato a te – poiché di una cosa sono certa: è successo qualcosa di aberrante perché privo della poesia e della grazia di cui tu sai e di cui hai colmato il tuo striminzito esercito di matti. Questo qualcosa si trasformerà – lo si voglia o no – in una stupenda rosa rossa inondata di sole, di dolcezza e di risate. Schiere di ragazzi e di ragazze rideranno felici e complici dell’ambiguo segreto dei tuoi versi d’amore.[25]

 


1 L. Betti, ‘Nous avons rencontré… Laura Betti’, intervista a cura di M. Acquaviva, Femme actuelle, 12 marzo 1980 (traduzione mia).

2 L. Betti, ‘Pagine inedite’, Cine/teca, a cura di R. Chiesi, n. 8, 2005, p. 53.

3 P.P. Pasolini, ‘Necrologio di P.P. Pasolini per una certa Laura Betti’, L’Uomo Vogue, 11 aprile 1971.

4 Per una mappatura della dimensione pigmalionica dell’industria cinematografica italiana si veda C. Tognolotti (a cura di), Cenerentola, Galatea e Pigmalione. Raccontare il divismo femminile tra fiaba e mito, Pisa, ETS, 2021; per una lettura ampia delle dinamiche fra Betti e Pasolini si rimanda invece a S. Rimini, Con occhi torbidi e innocenti. Laura Betti nel cinema di Pasolini, Lentini (Sr), Duetredue edizioni, 2021, pp. 35-61.

5 L. Betti, ‘Il mio Pasolini’, intervista a cura di G. Fantuz, Il Gazzettino, 3 luglio 1990.

6 P.P. Pasolini, ‘Lettera a Jean-Luc Godard’, Roma ottobre 1967, in Id., Lettere 1955-1975, a cura di N. Naldini, Torino, Einaudi, 1988, p. 629.

7 N. Fusini, Maestre d’amore. Giulietta, Ofelia, Desdemona e le altre, Torino, Einaudi, 2021, p. 5.

8 L. Betti, ‘«Tra me e Pasolini fu colpo di fulmine»’, intervista a cura di S. Zanovello, Il Secolo XIX, 6 dicembre 1985.

9 L. Betti, ‘“Madame” Betti à Paris’, intervista a cura di J. Chavanne, Ex libris, 4 ottobre 1989; alcuni stralci sono apparsi poi in ‘Teatri corsari. Pasolini e Laura Betti: parole, immagini, frammenti’, a cura di S. Casi e C. Valenti, Prove di drammaturgia, XII, 1, luglio 2006, p. 38.

10 L. Betti, ‘Ho conosciuto Pasolini nel 1957’, Panorama, 8 novembre 1977.

11 L. Betti, ‘C’était un être solaire’, l’Humanité, 2 novembre 1995 (traduzione mia).

12 L. Betti, ‘Ho conosciuto Pasolini nel 1957’.

13 L. Betti, ‘«Sono stata femminile soltanto con Pasolini»’, intervista a cura di A. Del Bo Boffino, Amica, XVIII, 19 giugno 1979.

14 L. Betti, ‘«Vi racconto Pasolini. Come l’ho amato io»’, La Nazione, 1 dicembre 2000.

15 L. Betti, ‘«Pasolini, il senso della mia vita»’, intervista a cura di F. Molossi, Gazzetta di Parma, 21 gennaio 1996.

16 L. Betti, ‘Lettera a Tullio De Mauro’, 11 maggio 1977, Cine/teca, p. 64.

17 L. Betti, ‘Avevo una doppia vita’, intervista a cura di R. Chiesi, Cine/teca, pp. 27-28.

18 L. Betti, ‘«Sono stata femminile soltanto con Pasolini»’.

19 L. Betti, ‘Lettera a Giulio Carlo Argan’, 2 agosto 1978, Cine/teca, p. 73. Molto toccante la risposta di Argan: «Signora, non appena letta la Sua lettera sono andato all’Idroscalo: ho veduto i due pioppi stecchiti, della panchina nemmeno un resto. Pasolini ha amato Roma, Lei Pasolini; è giusto che Roma dia a Pasolini il segno di un ricambio d’amore e che sia lei a dettarlo. […] Credo di aver capito: gli alberi, va bene, ma bisogna che quel luogo rimanga un luogo, possibilmente umano» (ibidem).

20 L. Betti, ‘Lettera ad Andrea Zanzotto’, 14 giugno 1977, Cine/teca, p. 63.

21 L. Betti, ‘Lettera a Franco Fortini’, 1988, Cine/teca, p. 63.

22 L. Betti, ‘Che noia essere una divina’, intervista a cura di M. Gentile, Contro, I, 12, 9 giugno 1979.

23 L. Betti, ‘Pagine inedite’, Cine/teca, p. 52.

24 Ivi, pp. 52-54.

25 L. Betti, ‘Lettera a Pier Paolo Pasolini’, Annuario1976 – Eventi del 1975, La Biennale di Venezia, 1976, citata in Pasolini sconosciuto, a cura di F. Francione, Alessandria, Edizioni Falsopiano, 2000, p. 83.