«Odetta! Ho trovato la mia Odetta!». I film di Pier Paolo Pasolini nelle parole di Anne Wiazemsky

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Il contributo indaga il rapporto fra Anne Wiazemsky e Pier Paolo Pasolini a partire dal racconto dell'attrice-scrittrice all'interno dei suoi romanzi autofinzionali sull’esperienza dei set pasoliniani. Nel confronto fra l'io narrante-io narrato di Anne con i personaggi di Odetta e Ida interpretati da lei in Teorema e Porcile, emerge il potere liberatorio e dirompente che l’esperienza della regia pasoliniana ha avuto su Wiazemsky, nei termini di una libertà ritrovata proprio nei ruoli controversi interpretati nelle pellicole italiane.

The article focuses on the crucial role played by Pier Paolo Pasolini and his cinematic poetics on the Bildung process that invests the autofictional character of Anne in Anne Wiazemsky's romanesque autobiographical trilogy. By comparing the characterization of Anne to her roles played in Teorema and Porcile, what emerges is the liberating and disruptive power that Pasolini's directing had on Wiazemsky.

1. Un incontro cruciale

Anne Wiazemsky incontra Pier Paolo Pasolini alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1967, per caso, mentre si trova su un vaporetto che va da Venezia al Lido, dove è attesa da Jean-Luc Godard – con il quale si è da poco sposata – e Bernardo Bertolucci. Si trova al festival per promuovere, insieme al marito e cineasta, La chinoise, presentato poche settimane prima in anteprima mondiale al Festival di Avignone, e che la vede tornare, dopo l’esperienza di Au hasard Balthazar di Robert Bresson (1966), nuovamente sullo schermo. L’incontro con il regista italiano, che avrebbe presentato la sera stessa il suo Edipo re, viene descritto dall’attrice e scrittrice nei termini di un avvenimento epifanico, quasi si trattasse di un’espressione di quel destino inesorabile che muove le vite dei personaggi dei film pasoliniani cui parteciperà lei stessa:

 

lo sguardo di quest’uomo […] non mi abbandona obbligandomi a tenere gli occhi bassi. In un francese approssimativo e frammisto di italiano mi dice che mi ha vista in Au hasard Balthazar e che era felice di potermi rivedere nella Chinoise che sarebbe passata in quei giorni. Mi spiega con ferma convinzione che io ero la ragazza del suo prossimo film. «Odetta ... Lei è Odetta», ripeteva, felice. Si era presentato? Non credo, perché di fronte al mio mutismo, scandì il suo nome: Pier Paolo Pasolini. […] Ci stavamo avvicinando al Lido ed io seguitavo a tacere. Ed è sicuramente allora che capì una cosa incredibile: io non sapevo chi era lui. […] Ricordo l'allegria che, per un attimo, illuminò il suo volto parzialmente dissimulato dai grandi occhiali neri e il gesto autoritario per trattenermi. […] «Odetta! Ho trovato la mia Odetta!», disse ancora una volta prima di perdersi nella folla dell'imbarcadero. In quel giorno io avevo incontrato un uomo che doveva contare molto nella mia vita. Che conta sempre. E avevo anche scoperto che ci sono persone, celebri nel mondo intero, che hanno un certo modo di muoversi, solitarie e anonime come il primo che passa. Che li si riconosca, che li si abbordi o che li si ignori non ha importanza. Vanno per la loro strada. E sono loro i grandi artisti. (Wiazemsky 1991: 184).

C’è un elemento che colpisce nel modo in cui l’attrice descrive l’incontro pasoliniano. Wiazemsky, infatti, assume una postura del corpo che condividerà con il personaggio che Pasolini riconosce immediatamente in lei: come Odetta, anche Anne è silenziosa, volge gli occhi verso il basso, quasi a vergognarsi di essere «una piccola francese molto ignorante» (ibidem) che non sa chi si trova di fronte. Eppure, è proprio la grazia di Wiazemsky che il regista riconosce come una folgorazione, quella grazia che deriva proprio dalla capacità di mantenere uno sguardo ingenuo nei confronti del mondo e di sé, simile a quello del giovane uomo che si toglie una spina dal piede, ancora inconsapevole della propria bellezza, nel Teatro delle marionette di Heinrich Von Kleist.

Benché abbia girato due film con autori già diventati di culto, Anne Wiazemsky rimane attrice anomala e al di fuori dei meccanismi del divismo canonico, complice la giovane età ma anche l’ambiente alto-borghese dal quale proviene e che fu inizialmente ostile alla sua vocazione attoriale, come racconta Wiazemsky nel romanzo Jeune fille (2007). La nipote di François Mauriac, premio Nobel per la letteratura nel 1952, deve infatti destreggiarsi fra le riprese cinematografiche e gli esami di maturità mentre gira il film di Robert Bresson, fra l’incontro fulminante con Jean-Luc Godard e le lezioni universitarie a Nanterre, fra la gelosia e la possessività del marito regista e la necessità di acquisire una fisionomia attoriale, ma anche intellettuale, indipendente da quella dei ‘pigmalioni’ che hanno plasmato l’iconicità riconosciutale dai cinefili.

In questo processo di affrancamento dalle figure maschili che ne hanno condizionato la formazione – Mauriac, Bresson, Godard – proprio l’incontro con Pasolini si rivela decisivo, come si può immaginare dalle parole stesse di Wiazemsky («In quel giorno io avevo incontrato un uomo che doveva contare molto nella mia vita»), e come è possibile osservare in controluce a partire dal racconto della propria Bildung attoriale all’interno della trilogia composta dai romanzi Jeune fille (2007), Une année studieuse (2013), Un an après (2015), testi che ben si possono ascrivere al genere divagrafico (Cardone, Masecchia, Rizzarelli 2019; Rizzarelli 2017; Rizzarelli 2021). Paradossalmente, è più nelle ellissi narrative, che non in quanto viene raccontato dei set di Teorema (1968) e Porcile (1969), che è possibile intravedere il potere liberatorio e dirompente che l’esperienza della regia pasoliniana ha avuto su Wiazemsky, nei termini di una libertà ritrovata proprio nei ruoli controversi interpretati nelle pellicole italiane e che la avvieranno, sempre di più, a un allontanamento dalla parallela stagione ideologica e antinarrativa di Jean-Luc Godard.

 

2. Anne, Odetta e l’occhio fotografico

Dell’esperienza di Teorema, l’io narrante racconta pochissimo in apertura all’ultimo romanzo della trilogia divagrafica, Un an après. Le riprese coincidono infatti con il primo periodo che Anne e Jean-Luc trascorrono separati all’indomani del matrimonio, rappresentando dunque una prima prova di allontanamento:

 

À l’invitation d’une université américaine nous partîmes ensemble pour Los Angeles. Mais mon séjour fut de courte durée et je dus quitter Jean-Luc pour rejoindre Rome où Pier Paolo Pasolini commençait en avance le tournage de Théorème. C’était la première fois que nous étions vraiment séparés et nous étions déchirés de chagrin. Il nous semblait que nous prenions le risque de ne jamais nous revoir et nous sanglotions de concert avant que je monte dans l’avion. […] Au but de quelques jours, il fit l’aller-retour entre Los Angeles et Rome pour vérifier si je l’aimais toujours autant. (Wiazemsky 2015: 15).

È curioso che, lungo tutto il testo, l’io narrante collochi nel contesto romano le riprese di Teorema, laddove i luoghi documentati dei vari set sono localizzati perlopiù in Lombardia – da Milano alla campagna pavese e lodigiana – e in Sicilia – la sequenza finale fu girata sulle pendici dell’Etna (Molteni 2013), stessa location per le scene di ambientazione medievale in Porcile. Scherzo della memoria o precisa scelta stilistica proprio in virtù di quella memoria capace di riplasmare l’esperienza e di trasportarla sul piano della finzione, dal momento che, come è accaduto in un’intervista rilasciata a Radio France in occasione dell’uscita del libro, Wiazemsky ha definito il testo come un romanzo e non un’autobiografia o un memoir? (Wiazemsky 2015b; Seligardi 2019).

Oltre a rappresentare una prima prova di cesura, seppur all’interno di una fase comunque idilliaca del rapporto con Godard, la partecipazione a Teorema sembra legarsi in modo ulteriormente sottile alla trama di formazione raccontata nella trilogia di Wiazemsky. Gli elementi in comune alla giovane Anne e a Odetta riguardano in prima battuta l’appartenenza a una determinata classe sociale: entrambe provengono dagli ambienti dell’alta borghesia – l’una da quella intellettuale, l’altra da quella industriale milanese – ed entrambe, come Anne ha dimostrato prendendo parte ai film di Bresson e Godard, ardono di un desiderio di fuoriuscita dagli asfittici confini della propria estrazione. Questa è una somiglianza che indubbiamente ha svolto un ruolo decisivo nella scelta di Pasolini di affidare a Wiazemsky il ruolo di Odetta, dal momento che si inserisce perfettamente nel contesto delle riflessioni che lui stesso andava producendo, all’interno di numerose interviste, intorno alla figura attoriale (Rimini, Rizzarelli 2021): il regista sceglie l’attore non per quello che può sembrare, ma per ciò che è, secondo un principio di incarnazione che nel caso di Wiazemsky – ma ovviamente non solo nel suo – conflagra ulteriormente, scuotendo i confini fra arte, vita e racconto di sé.

Nel caso di Anne-Odetta, c’è un’altra caratteristica che unisce l’attrice al suo personaggio, e che riguarda la capacità scopica raccontata dall’una e attribuita all’altra. Si tratta dell’uso del medium fotografico come strumento di comprensione della realtà. Nel film Odetta compie alcune azioni ripetitive, quasi ritualistiche, prima di cadere vittima di una catatonia pressoché fatale [fig. 1]: tra queste, spicca il gesto di immortalare fotograficamente prima il padre – del quale colleziona i ritratti in un album – e poi dell’ospite, come se congelare l’oggetto del desiderio fosse l’unico modo di scendere a compromesso con un principio di piacere inaudito, perché socialmente proibito [fig. 2]. Ora, una stessa predisposizione all’uso della fotografia appartiene anche ad Anne, che nella primavera del 1967 scopre un interesse per l’arte dello scatto, come si legge in un passo di Une année studieuse:

 

Mais c’était aussi le printemps et un printemps particulièrement délicieux. Grâce à Marilou, je m’étais offert un appareil photo, un Pentax, et deux objectifs, le 50 et le 105. Cette nouvelle occupation me passionna immédiatement. Je me mis à photographier ceux que je chérissais, Jean-Luc, Michel Cournot, mon frère, Blandine, Francis et ses nouveaux compagnons du Théâtre de Bourgogne (Wiazemsky 2013: 205).

 

Sarà proprio la sua risaputa passione fotografica a far sì che François Truffaut inviti Anne a fare un’esperienza da fotografa di set per tre giorni durante le riprese di La mariée était en noir, esperienza osteggiata da Jean-Luc, che la vorrebbe impegnarsi di più negli studi di filosofia a Nanterre. Ma una volta di più, i momenti di lontananza dal proprio amante si rivelano cruciali per rafforzare in Anne la consapevolezza della propria vocazione cinematografica: «Je quittai le plateau de La mariée avec regret, plus amoureuse que jamais du cinéma. C’était bien là que se trouvait ma place, j’étais décidée à y revenir que ce soit devant ou derrière la caméra» (Wiazemky 2013: 2016). Difficile, anche se non impossibile, che Pasolini fosse a conoscenza di questa particolarità dell’apprendistato cinematografico di Wiazemsky, eppure la coincidenza non fa che rafforzare il valore epifanico dell’incontro fra la giovane donna, ancora adolescente nella sua presenza corporea timida, eterea, ma dallo sguardo penetrante [fig. 3], e la sensibilità del poeta di fronte alla macchina da presa.

 

3. La studentessa ribelle, la vocazione attoriale: Anne-Ida

La successiva collaborazione con Pasolini trova qualche traccia narrativa più corposa nelle pagine di Un an après. La proposta di interpretare la parte di Ida in Porcile avviene per telefono, in un clima di reciproca stima e allegria provata all’idea di lavorare ancora insieme:

 

Aussi émus l’un que l’autre, nous nous étions avoué notre envie de retravailler ensemble et aussitôt tutoyés. Il voulait faire un film construit en deux parties. La mienne se tournerait vraisemblablement début 1969, à Padoue, avec, entre autres, Jean-Pierre Léaud. C’était à l’origine une pièce qu’il avait écrite pour le théâtre. «Il y a donc beaucoup de texte, je te la fais traduire et envoyer et tu me dis ensuite si tu veux bien du rôle d’Ida». Je lui avais dit oui tout de suite, comme je l’avais fait pour Théorème. (Wiazemsky 2015: 188)

 

Ma se la lontananza fra Anne e Jean-Luc durante le riprese di Teorema non aveva avuto particolari ripercussioni sul loro rapporto amoroso, questa volta l’opposizione del regista alla partecipazione di Anne al nuovo film di Pasolini è aperta, e deriva dal posizionamento ideologico e politico sempre più esplicito che Jean-Luc ha maturato in seguito alle riprese della Chinoise e alla partecipazione al movimento studentesco. La rottura di Godard rispetto alla propria stessa produzione cinematografica, e a quella di molti colleghi del panorama non solo francese ma anche italiano, aveva trovato il culmine nella lite avvenuta in occasione di un incontro romano organizzato da Bertolucci, conclusosi con una una rottura fra i due raccontata da Anne nelle pagine immediatamente precedenti del romanzo. Il giudizio di Godard su Pasolini riportato da lei mantiene una posizione di severità, benché mitigata dal rispetto comunque immutato nei confronti della postura intellettuale del poeta e regista italiano: «Pour lui, Pasolini était devenu un traître depuis qu’il avait pris le parti des policiers italiens “fils du prolétariat” contre les étudiants “fils nantis de la bourgeoisie”. Mais en même temps, il continuait à l’admirer. “Il y a en lui quelque chose d’irréductible… C’est l’homme le plus courageux que je connais”» (ibidem). D’altronde, lo scambio epistolare fra i due registi all’altezza dell’autunno 1967, all’indomani dell’uscita della Chinoise e alle soglie delle riprese di Teorema (Pasolini 2021), testimonia una sincera comunanza di visione poetica del reale che, al di là delle prese di posizione più critiche del Godard del periodo Dziga Vertov, si manifesta anche nell’interesse per la rappresentazione delle tensioni interne alla classe borghese e alle nuove generazioni, incarnate non a caso dalla coppia Jean-Pierre Leaud-Anne Wiazemsky tanto nella Chinoise quanto in Porcile.

Proprio la contraddizione insita all’interno del movimento studentesco è al cuore del personaggio di Ida in Porcile [fig. 4]: Ida è una diciassettenne invaghita del venticinquenne Julian, figlio di un industriale nostalgico del nazismo. Con Julian, Ida pare intrattenere una sorta di relazione amorosa, che tuttavia non riesce a concretizzarsi: alle risposte evasive, bizzarre ed enigmatiche di Julian, con le quali il giovane dissimula il vero oggetto del desiderio che lo possiede e che lo porterà sino a un martirio volontario, Ida oppone una verbosità logica, razionale, analitica, che lei tenta di applicare, senza successo, alla sua relazione col giovane. Il posizionamento granitico di Ida si riverbera, oltre che sulla sua tramatura linguistica fatta di battute dall’andamento fortemente ipotattico e logico-argomentativo, anche sulla corporeità del personaggio e, nuovamente, sulla sua capacità scopica. Se in Teorema Odetta aveva bisogno del filtro della macchina fotografica per venire a patti col desiderio, qui Ida osserva dritta e altera il viso giullaresco di Julian, e alla gestualità da fou medievale che questi interpreta come forma di opposizione alla realtà (il grattarsi la testa, ad esempio), il corpo di Ida risponde con una statuarietà verticale apparentemente monolitica [fig. 5], alla ricerca di quella “concentrazione”, di quella “produzione di istanti forti” (Rimini, Rizzarelli 2021: 99) caratteristici della poetica cinematografica pasoliniana. Eppure, anche in lei si annidano contraddizioni non risolte: se la sua appartenenza al pensiero progressista viene resa manifesta dai discorsi e dalla partecipazione alle proteste studentesche a Berlino, è tuttavia attratta da un uomo ben lontano dagli studenti ‘capelloni’ con i quali condivide i propri ideali. Anche in seguito alla rottura con Julian, la scelta di accompagnarsi a un ragazzo che sembra incarnare la fisicità ideale dell’uomo tedesco perché sportivo e tutto biondo (anche se, come ci tiene a precisare lei, in modo completamente «non ariano»), tradisce la contraddizione interna alla composizione di classe del movimento studentesco diagnosticata da Pasolini, e che in parte, seppur nella direzione contraria di un aperto sostegno, mostrava anche Godard nella rivoluzione fallita della Chinoise. La Véronique godardiana e l’Ida pasoliniana condividono una postura del corpo fiera e uno sguardo volitivo [figg. 6 e 7], e chissà che la scelta di affidare a Wiazemsky la parte della contestatrice tedesca non possa essere stata suggerita anche dall’averla vista nei panni della rivoluzionaria parigina.

Quel che è certo è che il set di Porcile si rivela, nuovamente, un momento cruciale per la carriera di Wiazemsky nel racconto di Anne. Il clima di felicità che viene a più riprese sottolineato, il rapporto di stima e piena fiducia reciproca instaurato con Pasolini, l’indipendenza affettiva raggiunta anche rispetto a Godard, l’incontro sul set con Marco Ferreri, da cui scaturirà la successiva collaborazione ne Il seme dell’uomo (1969), rafforzeranno la volontà della giovane donna di far parte di quel mondo, di voler essere attrice e di farlo a dispetto della posizione sempre più critica del marito e della gelosia di quest’ultimo. La jeune fille è ormai a pieno titolo un’actrice capace di scegliere il proprio destino, indipendentemente dalle figure ormai accessorie di pigmalioni o amanti che ne avrebbero voluto indirizzare le scelte:

 

J’étais très heureuse, Pasolini aussi, et ce tournage marqua le début d’une grande amitié. Déjà, il évoquait un futur dont je ferais partie car il aimait s’entourer des personnes fidèles qu’il appréciait particulièrement comme Ninetto Davoli et les frères Citti. Pendant ce temps, Jean-Luc se trouvait en Angleterre avec Jean-Jock pour tourner ce qui s’appellerait British Sounds. On se téléphonait tous les jours mais il s’inquiétait, craignant que je le n’oublie. Je le rassurais comme je pouvais, mais il est vrai qu’il ne manquait pas tant j’étais à mon aise sur ce tournage. Grâce à l’affection et à l’estime de cette équipe, je me sentais à nouveau exister et cela me confirmait dans mon désir de devenir actrice. (Wiazemsky 2015: 210-211).

 

 

Bibliografia

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