Santo Alligo, Pittori di carta

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Ed è subito sera: le lettere si delineano e sfumano, si allungano sulla pagina come le ombre al tramonto, accarezzano il leggio dal quale stanno scivolando via, sottraendosi allo sguardo del lettore. Sto parlando di Omaggio a Quasimodo, piccola scultura in terracotta del 2013 di Santo Alligo, che gioca magistralmente con i riflessi e le proiezioni filtrate da un inserto in plexiglass appoggiato tra le pagine del libro. Credo che in questa terracotta ci sia una parte significativa dell’attitudine e della personalità di Alligo: collezionista e grafico, studioso di illustrazione e scultore, nonché bibliofilo dotato di grande raffinatezza e gusto nelle scelte. Sono le peculiarità che contraddistinguono anche i profili biografici e critici degli illustratori (ben 46, 12 nei primi tre volumi e 10 nel quarto) trattati da Alligo, con approfondimento critico e ricco apparato figurativo, in Pittori di carta (quattro volumi pubblicati da Little Nemo editore, Torino, tra 2004 e 2013). L’autore tratteggia e approfondisce gli illustratori cogliendone le diverse sfumature, soffermandosi sulla singola opera (ad esempio Les Choses de Paul Poiret vues par Georges Lepape del 1911, Le avventure di Pinocchio del 1911) oppure sull’insieme dell’attività (solo per citarne alcuni: Duilio Cambellotti, William Nicholson, Sergio Tofano, Antonio Rubino, William Wallace Denslow), mantenendo sempre un approccio filologicamente corretto (e una piacevole vena narrativa).

Ma non di semplici profili biografici si tratta: l’operazione che porta avanti Alligo è più complessa e colta, fin dal titolo. Pittori di carta, dichiarando apertamente la dignità artistica degli illustratori, non può infatti non richiamare alla mente Gli artisti del libro, la storica rubrica tenuta da Antonio Rubino sulle pagine de «Il Risorgimento Grafico», e sulla quale appariranno, tra 1907 e 1941, Attilio Mussino, Adolfo de Carolis, Achille Luciano Mauzan, Aleardo Terzi, Carlo Chiostri, Duilio Cambellotti, nonché i grafici Edoardo Persico e Riccardo Ricas.

Proseguendo in questa identificazione genealogica, bisogna ricordare che tra i promotori di «Il Risorgimento Grafico» vi era Cesare Ratta, a sua volta autore di Gli adornatori del libro in Italia. Il sentiero storiografico ci porta poi sulle tracce, nel primo Novecento, di Vittorio Pica e, passando invece a studiosi vicini a noi, Antonio Faeti e soprattutto Paola Pallottino che con la sua collana «Cento anni di illustratori» (nella quale comparvero artisti come Mario Pompei, Antonio Rubino, Sergio Tofano, Golia, etc.), costituisce il più diretto antecedente all’impresa editoriale di Santo Alligo.

Altro dato significativo: il primo illustratore preso in esame nel volume di apertura è Grandville con un’opera specifica, Un autre monde, del 1844. Significativo perché Un autre monde non è soltanto un magnifico volume, ma è anche formato da un corpus di xilografie che contribuiscono a scardinare la suddivisione classica tra arti minori e arti maggiori, e in particolare il capitolo Le Louvre des marionettes «prefigura parecchie opere d’arte del nostro tempo. […] C’è un ritratto di schiena: René Magritte ne dipingerà uno cent’anni dopo; in un altro quadro le nuvole escono addirittura dalla cornice. Opere di forme varie appese alle pareti, come cortecce di albero, rotolini di fil di ferro e strani oggetti ci sorprendono per la loro modernità: arte povera, objet trouvés raccolti da Rauschenberg o cos’altro?» (S. Alligo, Pittori di carta, Vol. I, seconda edizione riveduta e ampliata, Torino, Little Nemo editore, 2009, p. 32). Oltre ad anticipare opere d’arte contemporanea, tali immagini preannunciano anche manifestazioni come L’Indisposizione di Belle Arti, prima mostra umoristica e satirica italiana, svoltasi a Milano in contemporanea con l’Esposizione Nazionale di Belle Arti nel 1881, e dove era possibile imbattersi, stando al catalogo non illustrato Il Libro d’oro, in lavori come «Patasgiunfete. Campione delle onde che si sbatterebbero contro il molo di Bergamo, appena questa città venisse dichiarata un porto di mare» (Il Libro d’oro per chi visita la famosa Indisposizione di Belle Arti, Milano, 1881, p. 26) oppure «Il sonno dell’innocenza. La tela di questo quadro è identica a quella dei lenzuoli dell’Ospizio suddetto» (ivi, p. 27).

Altro elemento degno di nota: la cura dei sottotitoli che accompagnano ciascun autore, in grado di sintetizzarne lo spirito. Ad esempio Alberto Della Valle è definito Il cantore dell’esotismo casalingo salariano: accostamento ossimorico quanto mai esatto e suggestivo, che trova la propria motivazione direttamente nell’attività dell’illustratore. Infatti, così come Salgari non si era mai mosso dalla sua scrivania, Alberto Della Valle, uno dei suoi più fortunati illustratori, procedeva alla realizzazione delle immagini scattando delle fotografie di prova negli ambienti di casa (al riguardo cfr. il godibilissimo P. Pallottino, L’occhio della tigre. Alberto Della Valle fotografo e illustratore salgariano, Palermo, Sellerio, 1994). Il tinello diventava una nave assaltata dai pirati della Malesia, la scala diventava la liana di una foresta pluviale, gli asciugamani avvolti intorno alla testa venivano interpretati come turbanti arabeggianti, e così via, in un turbine di invenzioni visive che alla loro base avevano un vero e proprio ‘realismo casalingo’: un caso emblematico in cui la fotografia serviva da piano di appoggio per i voli fantastici dell’artista.

Si sarà intuito che una recensione non è sufficiente per restituire la complessità e la ricchezza dei quattro volumi, che affrontano artisti di assoluto rilievo, vere e proprie fucine di invenzioni grafiche, da Aubrey Beardsley a Alphonse Mucha, da Ivan Bilibin a Maxfield Parrish, fino al contemporaneo Ferenc Pintér.

Vorrei quindi chiudere con un’altra immagine, che sembra cucita su misura per Pittori di carta: è la pinacoteca da camera così come la immaginava László Moholy Nagy, scrigno di tesori prezioso eppure a portata di mano: «Con l’aiuto della produzione meccanica, di strumenti e procedimenti meccanicamente e tecnicamente esatti […], oggi ci si può liberare dal predominio del pezzo unico eseguito a mano e del suo valore di mercato. Va da sé che un’opera del genere non sarà usata, come si fa oggi, quale morto ornamento domestico, ma sarà verosimilmente tenuta in deposito in appositi contenitori, in “pinacoteche da camera”, per esser tirata fuori soltanto quando una reale esigenza lo richieda. In Cina e Giappone tali pinacoteche domestiche sono comuni. Anche in Europa le collezioni di grafica funzionano da tempo così, esattamente allo stesso modo delle pellicole per proiezioni casalinghe, che si tengono in un armadio» (L. Moholy-Nagy, Pittura fotografia film, 1925, ora in L. Moholy-Nagy, Pittura fotografia film, a cura di A. Negri, Milano, Scalpendi editore, 2010, pp. 51-52).