Sconfinamenti di genere. Donne coraggiose che vivono nei testi e nelle immagini (Santa Maria Capua Vetere - 26-28 novembre 2019)

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Nel Convegno Internazionale Sconfinamenti di genere. Donne coraggiose che vivono nei testi e nelle immagini (Crossing Gender Boundaries. Brave Women Living in Texts and Images), svoltosi, a cura di Cristina Pepe e Elena Porciani, dal 26 al 28 novembre 2019 a Santa Maria Capua Vetere presso il Dipartimento di Lettere e Beni Culturali dell’Università della Campania ‘Luigi Vanvitelli’, molteplici sono state le voci impegnate ad attraversare millenni di cultura occidentale per approdare dall’epoca classica sul suolo della contemporaneità: alla scoperta o riscoperta di quei personaggi femminili che sono fuoriusciti dal binarismo di genere e dalle sue regole sessuali e comportamentali, riconducibili ai pregiudizi dell’infirmitas sexus e della levitas animi. Non per questo non è stato possibile mettere a fuoco, negli oltre trenta contributi, di cui tre affidati alle keynote speaker Jacqueline Fabre-Serris, Ita MacCarthy e Gloria Camarero Gomez, alcune costanti che hanno rappresentato il tessuto connettivo fra i diversi approcci disciplinari e le differenti metodologie messi in campo nelle tre giornate di studio.

 

 

La questione della corporalità, ad esempio, è emersa sin dall’intervento inaugurale di Heather Reid, che, incentrato sul corpo gareggiante della Parthenos, ha subito fatto entrare in scena divinità e guerriere del mito, in primis le Amazzoni, ma anche la Camilla virgiliana destinata a perdere la vita per mano di Arunte, trattata da Antonella Bruzzone. In particolare, Fabre-Serris ha trattato il mito delle Amazzoni e due riscritture diversamente esemplari: quella romantica di Henrich Von Kleist (1808) e quella femminista radicale di Monique Wittig (1969). Lo spettro degli sconfinamenti classici non si è però esaurito qui, dato che dopo un excursus sugli aspetti giuridici della condizione della donna a Roma (Judith Hallett), si è parlato di donne dai profondi convincimenti etici: se Laura Kopp ha elevato il personaggio euripideo di Creusa a cittadino ideale ateniese, in altri casi si sono mostrate donne disponibili a sacrificare la vita per un proprio ideale. Si tratta sia di personaggi derivati dal mito, come l’euripidea Alcesti, disposta a morire per salvare il proprio sposo, di cui Diana Perego ha ricostruito la ricezione figurativa in età moderna, sia di personaggi storici, come Epicari, che, come hanno mostrato Caitlin Gillespie e Lucia Monaco, è l’unica tra i partecipanti alla congiura dei Pisoni di cui Tacito presenta il coraggio di suicidarsi per evitare di tradire i compagni. In questo filone rientra anche l’anonima giovane, oggetto dell’intervento di Ivana Djordjević, che in un episodio apparentemente marginale del Roman de Waldef (secolo XIII) ci illustra un esempio di tragic love e female agency nel romanzo cortese. La cultura medievale, del resto, non ha un peso minore nel trattamento tematico del corpo femminile: nei termini della negazione mistica, come mostra il caso di Roswita di Gandersheim (secolo X) illustrato da Marco Sciotto a proposito della rivisitazione teatrale di Ermanna Montanari proposta in Roswita nel 1991 e nel 2008, o nei motivi del travestimento e del mutamento di sesso, di cui Anna Lisa Somma ha mostrato la rilevanza nella produzione canterina italiana. La dismisura fisica delle regine combattenti, come Rovenza e Ancroia, dell’epica cavalleresca del Quattrocento è stata invece al centro della relazione di Annalisa Perrotta, che ha messo in evidenza lo stupore turbato dello sguardo maschile di fronte alle guerriere, nonché la riconduzione all’ordine tramite la loro uccisione da parte dell’eroe cristiano di turno.

Un’altra costante che ha operato da fil rouge tra gli interventi è stato il rapporto dialettico fra spazio interno domestico, di natura protettiva e talvolta claustrofobica, e lo spazio esterno, perlopiù urbano, che significa libertà di movimento, pensiero e parola. Già in epoca classica, come ha mostrato Katia Barbaresco, si registra una sostanziale differenza fra le mogli troiane destinate al confinamento nel focolare domestico e le donne di Lemno, le Amazzoni chiamate a combattere fuori dalla città. Molti secoli dopo, tali vincoli domestici si mutano nel Merito delle Donne di Moderata Fonte, pubblicato postumo nel 1600 e di cui ha parlato Chiara Cassiani, nel luogo simbolico di un giardino privato in cui prende vita un vero e proprio dialogo fra donne sulle donne, punto di avvio di quel lentissimo processo di emancipazione di cui si vedranno i risultati solo nel Novecento.

In tale direzione, si capisce il senso della frequente rappresentazione di azioni che indicano la fuoriuscita dalla casa da parte delle donne e l’attraversamento dello spazio esterno. Ma come ci si può muovere nella città o anche nella campagna che circonda la propria abitazione? Lo si può fare correndo, al modo di Srna, la bambina che, come ha ricordato Marjia Strujic, nel tragico racconto Arcobaleno di Dinko Šimunović (1907) vuole diventare maschio inseguendo l’arcobaleno, oppure anche semplicemente rivendicando il diritto di camminare per strada, le cui insidie e pericoli Rita Debora Toti ha ricapitolato in una ricca panoramica dal primo Ottocento a oggi. Nelle strade di Bahia si può protestare per i propri diritti, come fa la Teresa Batista di Jorge Amado, di cui Maria Giovanna Italia ha mostrato l’esemplarità di sex worker, ma la città è anche lo spazio delle resistenze armate in cui le donne giocano un ruolo di primo piano, come nella narrativa di Pino Cacucci affrontata da Giuseppe Andrea Liberti.

Al movimento nello spazio si associa il progressivo impossessarsi di un linguaggio propriamente femminile. Si tratta di una costante che bene ha messo a fuoco nel suo intervento Ita MacCarthy prendendo in esame come Vittoria Colonna e Tullia d’Aragona si siano interrogate nel corso del Cinquecento sul valore semantico della parola “grazia”. La funzione emancipativa della scrittura è emersa anche nella relazione di Sandra Plastina dedicata a Giulia Bigolina, letterata anch’essa del secolo XVI, che nel suo romanzo Urania sostiene che l’affermazione di una donna non dipende dal suo aspetto, ma deve essere raggiunta per mezzo delle opere e dell’ingegno. Il ruolo liberatorio della scrittura trova conferma nel Novecento: nei propri racconti Vita SackVille-West dà vita a ‘personagge’ libertine, come mostrato da Angelo Riccioni, mentre Serena Sapegno ha tratteggiato il profilo di una Anais Nin tesa a superare ogni tabù sessuale adoperando un esplicito lessico erotico. Infine, con Dacia Maraini e il collettivo Controparola la parola si fa azione politica, come ha messo in luce Monica Venturini.

Un ulteriore filone di primo piano delle relazioni ha riguardato le riscritture e le trasposizioni. Riscrivere le loro storie concede a certe personagge di acquistare un rinnovato anticonformismo, come accade alla Cinzia properziana di Pietro Zullino trattata da Olga Cirillo, ma può accadere che figure di partenza innovative come Jane Eyre perdano la loro originaria energia sconfinante per piegarsi alle regole del melodramma cinematografico o televisivo, come ha illustrato Teodora Narcisa Giurgiu. La questione delle trasposizioni apre poi al dialogo inter artes sviluppatosi nel convegno e che ha coinvolto in primis la pittura e il cinema. Se Adelina Modesti è intervenuta su due pittrici del Seicento come Artemisia Gentileschi ed Elisabetta Sirani, note non solo per la loro forte personalità creativa ma anche per la capacità di dipingere soggetti agenti femminili di notevole espressività, Alessandra Zamperini ha mostrato il ruolo della committenza femminile nell’utilizzo dell’arte in funzione del potere politico: Caterina II sceglie di essere ritratta da Vergilius Eriksson con abiti maschili in contesti equestri, mentre la Maria Antonietta amazzonica di alcuni dipinti di Brun de Versoix sembra più rappresentare la necessità di essere al passo con i tempi.

Le questioni visuali hanno coinvolto anche la contemporaneità. Gloria Camarero Gomez ha offerto un’ampia panoramica sulle chicas Almodovar che, madri e lavoratrici indipendenti, in grado di mettere in comunicazione tradizione e liberazione, entrano in dialogo con le performance delle artiste femministe, delle quali Luca Palermo ha offerto una rassegna di casi dagli anni Settanta agli anni Novanta, ma anche con gli autoscatti di Cindy Sherman, di cui Cristina Casero ha evidenziato la componente finzionale e più latamente di genere che non strettamente femminista. Mostrando gli stereotipi di genere presenti nella rappresentazione del femminile nei videogames, Alessandra Porcu ha fatto eco all’intervento di Sara Palermo dedicato alla warrior woman che, dal cinema di serie B anni Settanta alle serie TV degli anni Novanta come Xenia, riproduce il mito delle Amazzoni in termini di una velata omosessualità imbrigliata in abiti succinti.

 

 

Nell’insieme, l’attraversamento evocato dal titolo del convegno non ha riguardato soltanto le tante figure mitiche, storiche, letterarie e artistiche di donne prese in esame: la passione critica delle relazioni ha fatto sì che il pubblico – studenti, liceali, docenti scolastici alle prime armi e di vecchia data, studios* indipendenti, anime curiose – avvertisse costantemente il desiderio di intervenire con domande, obiezioni, idee, rompendo i confini tra impostazione accademica e partecipazione militante. Di qui il senso di un’apertura di questioni che investono il senso complessivo della rottura delle barriere di genere: non solo nei termini della costruzione di una tipologia di situazioni e destini di personaggi – o personagge –, ma anche in quelli di una domanda più generale su che cosa, nella contemporaneità, si situi al di là delle frontiere del binarismo una volta che lo si sia superato, in territori di negoziazione fra femminile e queer.