Tommaso Pincio. Profilo

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Come scrittore mi sono condannato da solo a una maledizione, nel senso che devo costantemente spiegare perché mi chiamo in un certo modo.

 

 

Tommaso Pincio nasce a Roma con il nome di Marco Colapietro nel 1963. Si diploma all’Accademia delle Belle Arti, ma, dopo aver frequentato gli ambienti artistici della capitale, progressivamente rinuncia alle proprie aspirazioni artistiche e si trasferisce a New York, dove tra l’altro fa l’assistente di Jonathan Lasker. Rientra poi a Roma e lavora per vari anni nella Galleria d’arte di Gian Enzo Sperone in via della Pallacorda.

Tommaso Pincio, The Melting Pot

Dopo varie pubblicazioni d’arte firmate col nome anagrafico, tra cui spicca Conformale (Edizioni Documentario, 1992), Tommaso Pincio esordisce nel 1997 con M., riedito nel 1999 presso Cronopio. Il romanzo, ambientato in un passato ucronico tra gli Stati Uniti e Berlino, contamina Philip Dick con Thomas Pynchon, con un’evidente fascinazione per la fantascienza e la letteratura americana che si ritrova nel successivo Lo spazio sfinito, pubblicato nel 2000 presso Fanucci nella collana Avant Pop – e riedito nel 2010 da Minimum fax. Qui entrano in scena le biofiction alternative di personaggi come Jack Kerouac e Marilyn Monroe, che inaugurano la peculiare pratica di un genere che si ritrova anche in Un amore dell’altro mondo, dedicato a Kurt Cobain e al suo amico immaginario Homer Alienson detto Boda. Il libro è pubblicato nel 2002 da Einaudi nella collana Stile Libero; nella medesima collana, nella versione Big, appare anche La ragazza che non era lei (2005), che intreccia passaggi di realtà alla Dick con il tema del disincanto della cultura hippy.

Tommaso Pincio, Lo spazio sfinito, 2000

L’opera segna, insieme al saggio Gli alieni. Dove si racconta come e perché gli extraterrestri sono giunti fra noi (Fazi, 2006), la fine della prima fase della produzione dello scrittore, quella più legata al costitutivo scetticismo evocato dal nome dell’apostolo incredulo, come suggeriscono le ripetute avvertenze peritestuali che «la realtà non è di questo mondo». Dopo l’intermezzo iconotestuale di Irrazionalismo urbano (Electa, 2006), che registra la collaborazione con Paolo Fiorentino, Cinacittà rappresenta un evidente punto di svolta, dando inizio a una nuova stagione in cui prevalgono le ambientazioni romane, evocate dal cognome Pincio. Altro tratto rilevante è la componente autobiografica, in quanto i protagonisti che da questo momento in poi si succedono nella narrativa pinciana sono perlopiù ‘sé alternativi’ che lo scrittore, già doppio del sé anagrafico, mette in scena.

Che questa virata autobiografica non comporti comunque un’adesione a moduli realistici lo si vede già in Cinacittà, ambientato in una Roma distopica, abitata ormai quasi soltanto da cinesi dopo che una catastrofe climatica l’ha trasformata in una città preda di un perenne insopportabile calore. L’io narrante, troppo indolente e ‘sperperatore di esistenza’ per fuggire al Nord, si trova recluso in prigione in quanto incolpato dell’efferato omicidio della sua amante cinese e nell’afa micidiale della sua cella scrive delle memorie che molto hanno in comune, nella sezione relativa agli anni Novanta, con la vita dello scrittore.

In seguito, Tommaso Pincio pubblica varie opere ibride, che contaminano l’autobiografia con il saggio: Hotel a zero stelle (Laterza, 2011), che costituisce la sua personale Commedia; Pulp Roma (il Saggiatore, 2012), dove sezioni dedicate a Roma e alla propria infanzia si mischiano alla ricostruzione della tormentata redazione di Cinacittà; e Scrissi d’arte (L’Orma, 2015), in cui sono raccolti vari interventi di argomento artistico, scritti fra il 1984 e il 2015, molti dei quali, quindi, a nome di Marco Colapietro. Nel 2013 esce in formato digitale presso Mirror, con la firma del poeta Mario Esquilino misteriosamente scomparso in Messico, un iconotesto dal titolo Acque chete. Sillabario delle basilari possibilità di esistere, in collaborazione con l’artista Eugenio Tibaldi.

Mario Esquilino appare poi come scrittore, tanto brillante quanto frustrato, avversario del protagonista Ottavio Tondi, lettore professionista di manoscritti, in Panorama, il ritorno alla narrativa di Pincio, pubblicato nel 2015, che giustappone i vezzi del mondo letterario alla solitudine paradossale dei social network. Dopodiché, nel 2018, esce Il dono di saper vivere, al momento l’ultimo libro pubblicato da Tommaso Pincio come autore, che, in due parti che si riflettono l’una nell’altra, ha al centro un doppio confronto con il Gran Balordo, ossia Caravaggio, colui che «morì malamente, come appunto male havea vissuto».

Dalla fine degli anni Zero, Tommaso Pincio ha ripreso a dipingere, producendo soprattutto ritratti e la serie delle Sfere celesti, destinata a illustrare le copertine di Nuovi Argomenti nel 2016 e poi confluita in una mostra tenutasi l’anno successivo a Spoleto presso il Palazzo Collicola Arti Visive. Collabora con vari quotidiani ed è anche traduttore. La sua ultima fatica è Millenovecentottantaquattro di George Orwell (Sellerio, 2021).

Tommaso Pincio, Senza titolo (autoritratto), 2015