Per quanto l’apparato critico che accompagna il lavoro di Tommaso Pincio sia ormai cospicuo, la quasi totalità degli interventi riguarda singoli testi o specifici aspetti della sua produzione: la decostruzione del concetto di realtà, la propensione ucronica e distopica, la pratica della metalessi, l’eziologia dello pseudonimo, nonché i molteplici riferimenti al mondo dell’arte, del cinema, del fumetto e della visualità nel suo complesso, incluso un arguto utilizzo delle piattaforme social.[1] Manca ancora uno studio che, tenendo insieme le diverse componenti del suo immaginario, fornisca un’interpretazione complessiva dell’autore – e la cosa non stupisce visto che un simile lavoro richiederà tutt’altro che scontate competenze interdisciplinari e comparatistiche, in grado di abbracciare non solo letterature diverse, ma anche i vari ambiti culturali sopra menzionati, declinati, peraltro, a partire dalla passione per la fantascienza, nell’orizzonte del midcult e della popular culture.
Dato che non è possibile cimentarsi qui in un’indagine a tutto tondo su quello che, parafrasandone l’attitudine citazionale, si potrebbe – almeno in via provvisoria – definire l’enciclopedismo postmoderno di Tommaso Pincio,[2] mi limiterò ad abbozzare un percorso di lettura focalizzato sulla centralità che lo spazio autobiografico e, in particolare, il «destino del mancato artista»[3] rivestono nell’opera dello scrittore.
1. Lo spazio autobiografico
Sebbene meno fortunato del pacte autobiographique, anche lo spazio autobiografico è un concetto che si deve a Philippe Lejeune, che l’ha proposto in un saggio dedicato ad André Gide per indicare «una strategia che mira a costruire la personalità attraverso i più diversi giochi della scrittura».[4] Diversamente dal patto, che poggia sulla convenzione di genere dell’identità di protagonista, narratore e autore, lo spazio autobiografico presuppone una maggiore tensione interpretativa da parte del lettore: questi deve essere pronto a raccogliere e a mettere tra loro in comunicazione i segnali autobiografici, allusi o dichiarati, che l’autore ha distribuito nella sua opera. Se ancora di patto vogliamo parlare, pertanto, dovremo farlo nei termini di una contrattazione tramite cui il lettore implica l’autobiografia dell’autore nell’orizzonte (testuale) di un’incalzante dialogicità ermeneutica.