3.1. Il Pinocchio di Walt Disney (1940)

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L’adattamento cinematografico di Le avventure di Pinocchio da parte di Walt Disney, uscito nel febbraio del 1940, è una tappa essenziale che ha portato il nostro burattino nazionale a raggiungere lo status di icona mondiale. Pinocchio è il secondo lungometraggio di Disney dopo Biancaneve e i sette nani e si pone come opera pionieristica per tecnologia, animazione e suono. Con questa pellicola Disney fissa parametri ancora oggi fondamentali nel cinema di animazione. Pinocchio fu anche la prima pellicola di animazione a vincere il premio Oscar e resta ancora oggi un capolavoro del cinema mondiale. Diretto da Hamilton Luske e Ben Sharpsteen, Pinocchio si colloca all’interno del progetto disneyano di trasposizione cinematografica dei capolavori della tradizione favolistica europea, inaugurata nel 1937 appunto con Biancaneve e i sette nani. Dopo la Germania dei fratelli Grimm, Disney si ispira all’Italia delle Avventure di Pinocchio, e tuttavia la storia di Collodi ne esce trasformata e germanizzata. Forse il conservatore e protestante Disney offre un velato omaggio al nazismo, o compie una mossa di mercato volta a contrastare la proibizione messa in atto da Hitler contro un cinema hollywoodiano, radicato nel potere finanziato dagli ebrei? In altri termini, forse Disney tingeva il burattino nostrano di colori germanici, per rendere esportabile in Europa un prodotto cinematografico associato al potere economico degli ebrei di Hollywood e pertanto sgradito al nazismo.

Secondo Wunderlich, il processo di semplificazione del testo collodiano era già in atto nell’America degli anni Trenta, con l’eliminazione di tutte le tendenze anti-sociali del burattino e la rappresentazione dell’infanzia come eperienza esclusivamente positiva. Avviene così un’omologazione della trama collodiana al progetto generale di Disney di rappresentare la tradizione europea secondo un ethos tutto americano. Inoltre il cartone animato esce nelle sale nel periodo successivo alla grande depressione, ma prima dell’entrata degli Stati Uniti nel conflitto mondiale. Disney presenta il mondo esterno come ostile e minaccioso, mentre la casa e la famiglia offrono un protettivo rifugio. Il finale culmina infatti con il ritorno a casa e la restaurazione della famiglia felice. L’ottimismo americano, minato dalla cupa e tragica atmosfera del conflitto mondiale, induce Disney a modificare il suo Pinocchio rendendolo poco fedele all’originale. Ogni elemento perturbante nella rappresentazione dell’infanzia viene rimosso; pertanto siamo di fronte ad un burattino poco problematico e sfaccettato rispetto a quello collodiano.

Il risultato di questa disneyizzazione o germanizzazione è evidente sia a livello della trama, sia a livello rappresentativo, particolarmente nella delineazione dello spazio e dei personaggi. Si veda ad esempio la grafica usata nel disegnare Pinocchio: il burattino, dai nordici occhi azzurri, indossa un costume di tipo tirolese/bavarese, calzoncini corti con banda laterale decorata, gilet nero, fiocco azzurro e cappello con piuma [fig. 1].

L’aspetto esteriore dell’eroe contrasta con il burattino collodiano, pezzo di legno da catasta, vestito di abiti poveri e consunti; in modo analogo, Geppetto non vende la giacca per comprare l’abbecedario, ma semplicemente rinuncia alla sua mela, affinché Pinocchio la porti a scuola per l’insegnante. Il burattino toscano diventa così, nella versione Disney, un bambino di legno mitteleuropeo.

Anche Geppetto cambia: non più un burbero falegname ridotto alla fame, ma un bonario intagliatore di orologi a cucù e giocattoli in legno, con una casa/bottega piena di carillon con figurine tipiche della tradizione germanica. Il movimento spezzato e rigido del burattino di legno viene trasferito da Disney agli oggetti della bottega: le figurine in legno e il ticchettio degli orologi a cucù enfatizzano l’automatismo del burattino [figg. 2-3]. Anche il villaggio toscano degli eroi collodiani si trasforma con Disney in un pittoresco paesetto alpino, pieno di vivaci scolari e genitori indaffarati, in uno scenario fiabesco, del tutto alieno dalla realistica povertà descritta da Collodi [fig. 4].

La tecnica di Disney nell’adattare il corpus favolistico europeo si fonda sulla semplificazione della struttura narrativa, sulla condensazione della trama e sulla riduzione della topografia. Nel caso di Pinocchio troviamo sei spazi: la casa di Geppetto, il teatro di Mangiafuoco (Stromboli), l’osteria, il Paese dei Balocchi (Pleasure Island, grande parco divertimenti americano, all’insegna del vizio e del gioco), il mare e la pancia del pescecane (Monstro), diventato qui una balena. Ciascuno spazio acquista nuovo valore simbolico, e il solo posto desiderabile è la casa di Geppetto, luogo associato al modello della famiglia patriarcale, seppur privo della figura materna, che solo in parte è rappresentata dalla fata: il padre Geppetto, il pesce Cleo, simbolo del femminile, il gatto maschietto Figaro, e Pinocchio.

Il burattino si anima, grazie alla fata, dopo che Geppetto ha chiesto alla stella dei desideri di trasformare Pinocchio in bambino vero. La stella è un importante elemento introdotto per rappresentare l’ottimistico ethos americano, che permette di credere alla realizzazione dei propri sogni. La canzone When you wish upon a star, cantata dal grillo, sintetizza il messaggio disneyano del sogno americano: chi crede fortemente al proprio desiderio, lo vedrà un giorno esaudito.

Allo scopo di rendere il legnoso burattino meno rigido e più naturale, Disney crea una figura che è per metà burattino e per metà bambino, una sorta di bambino giocattolo, che ben si addice alla bottega di Geppetto. Il bambino giocattolo ha le gambe di legno ma il resto del corpo del tutto umano, con in più le mani inguantate di bianco, tipiche dei cartoni animati. Disney inoltre attribuisce al grillo parlante (Jiminy Cricket), un ruolo centrale come narratore e coscienza, una voce didattica che accompagna e guida Pinocchio nelle sue avventure e testimonia agli spettatori, fin dalla prima scena del film, che, come per Geppetto, il sogno verrà esaudito se ci si crede davvero. Il grillo è un personaggio con cui immedesimarsi, ma rappresenta anche il clown che ammalia e fa divertire il pubblico. Nel film disneyano la trasformazione messa in atto dalla magia della fata riguarda sia Pinocchio, a cui la sua bacchetta magica dà la vita, sia Jiminy Cricket, che da grillo poveraccio e rattoppato diventa un’autorevole persona in miniatura, dotata di frac, ombrello, ed elegante cappello a cilindro [fig. 5]. Il grillo parlante non viene ucciso a martellate dal testardo e ribelle pezzo di legno ma, su suggerimento della fata, diviene la coscienza del remissivo burattino.

Secondo Zipes, il personaggio principale del Pinocchio disneyano sarebbe, anzi, proprio il grillo, la voce onniscente, che impone la morale, sia a Pinocchio che allo spettatore. Inoltre Disney afferma qui la sua ideologia conservatrice attraverso un processo di civilizzazione e iniziazione, in cui Pinocchio deve dimostrare obbedienza, responsabilità e docilità per essere accettato nella cosiddetta società civile, che si concretizza solo tra le mura domestiche.

La divergenza più evidente tra l’originale e l’adattamento disneyano è la presenza della musica e di canzoni che esprimono nuovamente l’ottimistica filosofia di Disney, in netto contrasto con la cupa e cinica visione di Collodi. Altra caratteristica tipica di Disney è quella di separare nettamente il bene dal male. Nel suo percorso avventuroso Pinocchio si muove tra i buoni e i cattivi in una progressione che lo porta da Honest John and Gideon (il gatto e la volpe) – due attori di vaudeville, tutti nel segno della comicità e dell’opportunismo – al malvagio Stromboli (Mangiafuoco), all’infimo cocchiere – commerciante di bambini da trasformare in somari –, fino alla terribile balena (Monstro). Mangiafuoco è qui personaggio completamente negativo e pauroso, dalla barba, capelli neri e carnagione scura: uno zingaro, minoranza etnica particolarmente disprezzata dai conservatori americani, così come lo era nella Germania hitleriana [fig. 6]. Mentre in Collodi il burattinaio è mosso a compassione dalla patetica storia di Pinocchio e lo libera, regalandogli le monete d’oro, in Disney Stromboli ingabbia Pinocchio per impedirgli di tornare da Geppetto. Solo l’intervento del grillo e della fata permetteranno al piangente e disperato burattino di liberarsi, non prima di aver detto alla fata varie bugie, unico momento in cui gli vediamo crescere il naso.

Il crescendo di negatività raggiunge il vertice nello scontro con la terribile balena, dal ventre della quale Pinocchio aiuta Geppetto a fuggire. Il nome Monstro suggerisce il pericolo e il terrore scatenato dal vendicativo cetaceo, pronto a scagliarsi più volte su Pinocchio e Geppetto appena usciti dalle sue fauci [fig. 7], fino a provocare l’annegamento del burattino, che verrà resuscitato solo dall’intervento finale della fata.

Un posto particolare spetta inoltre alla Blue Fairy, la fata. Mentre Collodi la rende magica tramite il dettaglio fisiognomico dei capelli azzurri, in Disney il colore dei capelli è il biondo delle principesse e delle dive di Hollywood, e il turchino viene spostato all’abito luccicante e alle ali da fata. Essa inoltre usa la bacchetta magica che la Fata Turchina non ha. Come unica figura femminile (a parte il pesce Cleo), questa fata sembra anticipare visivamente lo stereotipo delle ‘glamour girls’ (pare fosse ispirata a Jean Harlow, anche se Disney intendeva evitarlo) o appunto delle principesse del repertorio disneyano, da Cenerentola alla Bella Addormentata, a Belle. Si tratta comunque di un personaggio del tutto privo dell’ambivalenza e della severità della sua controparte collodiana [fig. 8].

La differenza fondamentale tra Collodi e Disney è proprio nel personaggio di Pinocchio. Il percorso di Bildung è poco evidente nella marionetta disneyana: Pinocchio resta l’ingenuo, inesperto fanciullo/giocattolo, accompagnato e manipolato dagli altri personaggi che decidono per lui. La sua unica iniziativa, far uscire il padre dalla pancia della balena, riesce, ma gli costa la vita; quando è ormai dato per morto annegato, interviene la fata che, per la seconda volta, gli dà vita.

La cinica e ambigua Weltanschauung di Collodi, che continua a prestarsi a innumerevoli adattamenti e rifacimenti, contrasta con la semplicistica rappresentazione dell’infanzia e con l’ottimistica visione della realtà proposta da Disney in Pinocchio, nel quale il bene e il male sono chiaramente contrapposti e il bene trionfa.

 

Bibliografia

P. Bettella, ‘Collodi’s Puppet in Film: Disney, Comencini, Benigni’, Quaderni d’italianistica, 25, 1, 2004, special issue Pinocchio, an Anniversary (... Plus One!), ed. by P. Bettella, pp. 9-27.

L. Gambin, ‘Secretly Scary: Exploring the Horror of Walt Disney’s Pinocchio’, <http://www.comingsoon.net/horror/news/749723-secretly-scary-exploring-horror-walt-disneys-pinocchio> [consultato il 3 maggio 2017].

J. B. Kaufman, Pinocchio. The making of the Disney Epic, San Francisco, Walt Disney Family Foundation Press, 2015.

P. Fabbri, I. Pezzini (a cura di), Le avventure di Pinocchio: tra un linguaggio e l’altro, Roma, Meltemi, 2002.

R. Wunderlich, T. Morrisey, Pinocchio goes postmodern: Perils of a puppet in the United States, New York, Routledge, 2002.

J. Zipes, Fairy Tales and the Art of Subversion, New York, London, Routledge, 2006.

 

Le immagini del lungometraggio Disney sono tratte dal sito Disney Screencaps (https://disneyscreencaps.com/).