L’adattamento cinematografico di Le avventure di Pinocchio da parte di Walt Disney, uscito nel febbraio del 1940, è una tappa essenziale che ha portato il nostro burattino nazionale a raggiungere lo status di icona mondiale. Pinocchio è il secondo lungometraggio di Disney dopo Biancaneve e i sette nani e si pone come opera pionieristica per tecnologia, animazione e suono. Con questa pellicola Disney fissa parametri ancora oggi fondamentali nel cinema di animazione. Pinocchio fu anche la prima pellicola di animazione a vincere il premio Oscar e resta ancora oggi un capolavoro del cinema mondiale. Diretto da Hamilton Luske e Ben Sharpsteen, Pinocchio si colloca all’interno del progetto disneyano di trasposizione cinematografica dei capolavori della tradizione favolistica europea, inaugurata nel 1937 appunto con Biancaneve e i sette nani. Dopo la Germania dei fratelli Grimm, Disney si ispira all’Italia delle Avventure di Pinocchio, e tuttavia la storia di Collodi ne esce trasformata e germanizzata. Forse il conservatore e protestante Disney offre un velato omaggio al nazismo, o compie una mossa di mercato volta a contrastare la proibizione messa in atto da Hitler contro un cinema hollywoodiano, radicato nel potere finanziato dagli ebrei? In altri termini, forse Disney tingeva il burattino nostrano di colori germanici, per rendere esportabile in Europa un prodotto cinematografico associato al potere economico degli ebrei di Hollywood e pertanto sgradito al nazismo.
Il sole splendeva sul mare
con empito ardito e radioso,
compiva ogni sforzo per fare
brillare ogni singol maroso.
La cosa era stramba perché
era notte e suonavan le tre…
Tratto dallo spettacolo Alice Undergronud
Un viaggio meraviglioso e sorprendente, in uno spazio magicamente «sovrapposto», quello che dal 7 al 31 dicembre ha divertito gli spettatori del Teatro Elfo Puccini di Milano, e adesso torna in scena in questo inizio d’anno grazie a una tournée (fino al 29 gennaio) che ha già raccolto ampi consensi. Un’ora e mezza di puro piacere visivo, di sorpresa continua in cui il mondo disegnato da Ferdinando Bruni si anima grazie alla regia di Francesco Frongia e vede muoversi al suo interno una Alice di oggi, e forse di sempre (la bravissima Elena Russo Arman), e un trio formidabile (composto dallo stesso Bruni e da Ida Marinelli e Matteo De Mojana), che si prodiga a impersonare con costumi elaborati ed estrosi travestimenti una folla di stralunate figure (24 in tutto).
Alice Underground – titolo che rispecchia quello della prima versione del capolavoro di Lewis Carroll e che indica anche il regno sotterraneo dell’inconscio, individuale e collettivo – allieta il pubblico per l’originalità della messa in scena, vicina al cartoon disneyano, e rivela uno spirito del tutto contemporaneo. Con questo spettacolo Bruni e Frongia, pensando ai cartoni animati e alle lanterne magiche, ovvero a tutto quello che può ricreare in teatro la magia del sogno, hanno raggiunto il culmine di un lungo percorso e di un interessante sodalizio (La tempesta di Shakespeare, L’ignorante e il folle, L’ultima recita di Salomè). Il primo ha fornito ben trecento raffinati acquerelli; il secondo li ha animati e proiettati, con l’uso della più moderna tecnologia, sulle tre pareti bianche che delimitano lo spazio scenico, munite di alcuni buchi e sportelli in modo che gli attori, sporgendosi, con la sola testa o con un arto, vengano catturati dalle immagini proiettate, divenendo giganteschi o piccolissimi. L’illusione è perfetta e lo spettacolo riesce a dar corpo alla ‘moltezza’ delle suggestioni del testo di Carroll, mettendo in scena la realtà insensata e sovvertita che Alice incontra nel suo sogno. L’idea dei due autori , pur dando un grande spazio al fantastico, è quella di sottolineare una certa contemporaneità, costruendo sopra i punti nodali della storia un’operetta rock. Se da una parte lo spettacolo (rinverdito con nonsense tutti italici) attinge a personaggi e situazioni da entrambi i racconti di Carroll (Alice nel paese delle meraviglie, 1865 e Attraverso lo specchio, 1872), tanto da vedere in scena la protagonista sprofondare nella tana del coniglio, passare attraverso lo specchio, prendere il tè con la lepre marzolina e incontrare il gatto sornione e perfino ‘giocare’ con Spazio e Tempo (i personaggi inediti che, sognati da Alice, danno l’avvio alla storia, variazione di Dimmelo e Dammelo, e che rappresentano il lato cattivo dell’infanzia), dall’altra questo mondo sotterraneo, underground appunto, è quello degli anni Sessanta, l’epoca dei movimenti culturali che portarono al rinnovamento letterario e musicale. «Chi semina suoni raccoglie senso», suggerisce la Duchessa rock (Marinelli) ed ecco allora le musiche dei Beatles, dei Roxy Music, dei Rolling Stones e dei Pink Floyd diventare tappeto sonoro degli indovinelli e delle filastrocche del testo (di De Mojana gli arrangiamenti delle canzoni eseguite dal vivo al piano o con la chitarra). A ben pensarci, canzoni come Yellow Submarine e Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band sono anch’esse caratterizzate da un mondo surreale, popolato di personaggi che hanno a che fare con l’Alice di Bruni e Frongia.