Il sole splendeva sul mare

con empito ardito e radioso,

compiva ogni sforzo per fare

brillare ogni singol maroso.

La cosa era stramba perché

era notte e suonavan le tre…

Tratto dallo spettacolo Alice Undergronud

Un viaggio meraviglioso e sorprendente, in uno spazio magicamente «sovrapposto», quello che dal 7 al 31 dicembre ha divertito gli spettatori del Teatro Elfo Puccini di Milano, e adesso torna in scena in questo inizio d’anno grazie a una tournée (fino al 29 gennaio) che ha già raccolto ampi consensi. Un’ora e mezza di puro piacere visivo, di sorpresa continua in cui il mondo disegnato da Ferdinando Bruni si anima grazie alla regia di Francesco Frongia e vede muoversi al suo interno una Alice di oggi, e forse di sempre (la bravissima Elena Russo Arman), e un trio formidabile (composto dallo stesso Bruni e da Ida Marinelli e Matteo De Mojana), che si prodiga a impersonare con costumi elaborati ed estrosi travestimenti una folla di stralunate figure (24 in tutto).

Alice Underground – titolo che rispecchia quello della prima versione del capolavoro di Lewis Carroll e che indica anche il regno sotterraneo dell’inconscio, individuale e collettivo – allieta il pubblico per l’originalità della messa in scena, vicina al cartoon disneyano, e rivela uno spirito del tutto contemporaneo. Con questo spettacolo Bruni e Frongia, pensando ai cartoni animati e alle lanterne magiche, ovvero a tutto quello che può ricreare in teatro la magia del sogno, hanno raggiunto il culmine di un lungo percorso e di un interessante sodalizio (La tempesta di Shakespeare, L’ignorante e il folle, L’ultima recita di Salomè). Il primo ha fornito ben trecento raffinati acquerelli; il secondo li ha animati e proiettati, con l’uso della più moderna tecnologia, sulle tre pareti bianche che delimitano lo spazio scenico, munite di alcuni buchi e sportelli in modo che gli attori, sporgendosi, con la sola testa o con un arto, vengano catturati dalle immagini proiettate, divenendo giganteschi o piccolissimi. L’illusione è perfetta e lo spettacolo riesce a dar corpo alla ‘moltezza’ delle suggestioni del testo di Carroll, mettendo in scena la realtà insensata e sovvertita che Alice incontra nel suo sogno. L’idea dei due autori , pur dando un grande spazio al fantastico, è quella di sottolineare una certa contemporaneità, costruendo sopra i punti nodali della storia un’operetta rock. Se da una parte lo spettacolo (rinverdito con nonsense tutti italici) attinge a personaggi e situazioni da entrambi i racconti di Carroll (Alice nel paese delle meraviglie, 1865 e Attraverso lo specchio, 1872), tanto da vedere in scena la protagonista sprofondare nella tana del coniglio, passare attraverso lo specchio, prendere il tè con la lepre marzolina e incontrare il gatto sornione e perfino ‘giocare’ con Spazio e Tempo (i personaggi inediti che, sognati da Alice, danno l’avvio alla storia, variazione di Dimmelo e Dammelo, e che rappresentano il lato cattivo dell’infanzia), dall’altra questo mondo sotterraneo, underground appunto, è quello degli anni Sessanta, l’epoca dei movimenti culturali che portarono al rinnovamento letterario e musicale. «Chi semina suoni raccoglie senso», suggerisce la Duchessa rock (Marinelli) ed ecco allora le musiche dei Beatles, dei Roxy Music, dei Rolling Stones e dei Pink Floyd diventare tappeto sonoro degli indovinelli e delle filastrocche del testo (di De Mojana gli arrangiamenti delle canzoni eseguite dal vivo al piano o con la chitarra). A ben pensarci, canzoni come Yellow Submarine e Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band sono anch’esse caratterizzate da un mondo surreale, popolato di personaggi che hanno a che fare con l’Alice di Bruni e Frongia.

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