Conversazione illustrata. Contrabbando fototestuale in Elio Vittorini

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Nel dicembre del 1953 esce in Italia la settima edizione di Conversazione in Sicilia pubblicata da Elio Vittorini per Bompiani: frutto di un vero e proprio viaggio di reportage nella Sicilia dei primi anni Cinquanta, essa presenta un corredo fotografico di 188 scatti, la maggior parte dei quali a firma del fotografo marchigiano Luigi Crocenzi. Nel processo di riscoperta che ha interessato il fototesto vittoriniano negli ultimi anni, un aspetto su cui non ci si è ancora soffermati a sufficienza riguarda il ‘prequel’, la preistoria testuale da cui Conversazione illustrata scaturisce. Quest’articolo si propone di ricostruire brevemente quali testi possano aver influenzato Vittorini durante la composizione di Conversazione illustrata e come tra questi testi possano aver giocato un ruolo fondamentale quelli appartenenti al genere fototestuale americano del documentary book.

In December 1953, it has been released in Italy the seventh edition of In Sicily by Elio Vittorini, published by Valentino Bompiani: as a result of a real travel reportage in Sicily in the early Fifties, it shows a photographic complement made up of 188 shots, took for the most part by the photographer Luigi Crocenzi. In the process of revaluation that recently has involved the photo-text by Elio Vittorini, the ‘prequel’, the prehistory in which the text takes its origin, is an issue on which critics maybe has not yet focused enough. This article aims to reconstruct briefly which texts may have influenced Vittorini during the composition of the seventh edition of In Siciliy and how, between these texts, those belonging to the photo-textual genre of the American Documentary book may have played a key role.

 

Nel dicembre del 1953 esce in Italia la settima edizione di Conversazione in Sicilia pubblicata da Elio Vittorini per Bompiani: frutto di un vero e proprio viaggio di reportage nella Sicilia dei primi anni Cinquanta, essa presenta un corredo fotografico di 188 scatti, la maggior parte dei quali a firma del fotografo marchigiano Luigi Crocenzi.

A quest’edizione ormai celebre, in particolar modo negli ultimi anni, è stata dedicata particolare attenzione da parte della critica: attenzione che nel 2007 è culminata nella ripubblicazione dell’edizione anastatica, uscita presso Rizzoli per la cura di Maria Rizzarelli. La recente fortuna critica da una parte si può spiegare col fatto che Conversazione illustrata[1] rappresenta il primo vero esempio di photo-text che coinvolge un testo letterario a comparire in Italia nei primissimi anni Cinquanta: Un paese, di Zavattini e Strand, sarebbe comparso soltanto nell’aprile del ’54; Le feste religiose in Sicilia, di Sciascia e Scianna, risale al 1965 (per citare due esempi altrettanto celebri). Dall’altro lato ad attirare le riflessioni degli studiosi molto probabilmente è il carattere ambiguo del volume in cui è rappresentata in pieno quella lotta – che nel caso di Conversazione illustrata evolve addirittura in contesa legale –, quello struggle for territory tra testo e immagine teorizzato da Mitchell, e indicato da Cometa come una delle caratteristiche del genere fototestuale.[2]

Quest’ambiguità costitutiva, la natura intermedia di quell’oggetto inter-mediale che è Conversazione illustrata, è certificata in qualche modo dallo stesso Cometa che, nel tracciare una riuscita tassonomia del photo-text nelle svariate forme in cui esso si presenta, colloca l’opera in uno spazio indefinito, che sta a metà strada tra la forma-illustrazione e la forma-ekphrasis:[3] le immagini inserite in Conversazione quale funzione acquisiscono rispetto al testo? Lo illustrano semplicemente dando referenti visivi ad alcuni elementi testuali particolarmente significativi? Oppure le fotografie trascendono la parola scritta che viene declassata a commento, didascalia, narrazione… ekphrasis appunto?

A queste domande sono state fornite molteplici risposte possibili e i rapporti tra testo e immagine in Conversazione illustrata sono stati indagati particolarmente a fondo:[4] tuttavia l’opera sembra mantenere la propria indeterminatezza, sembra conservare tutta l’enigmaticità della propria natura.

Per tentare in qualche modo, se non di dischiudere l’enigma, almeno di comprendere meglio le dinamiche di funzionamento della dialettica testo-immagine in Conversazione illustrata, si può andare alla ricerca di una chiave nuova procedendo per un altro versante critico.

Nel processo di riscoperta del fototesto vittoriniano infatti, un aspetto su cui forse non ci si è ancora soffermati a sufficienza e sul quale è possibile tentare qualche riflessione aggiuntiva, riguarda il ‘prequel’, la preistoria testuale da cui Conversazione illustrata scaturisce. Cercherò qui di ricostruire brevemente quali testi possano aver influenzato Vittorini durante la composizione di Conversazione illustrata e come tra questi testi, in particolare, possano aver giocato un ruolo fondamentale quelli appartenenti al genere fototestuale americano del documentary book. Portare in primo piano il documentary book può servire a definire meglio come dovesse risultare nelle intenzioni di Vittorini l’edizione illustrata di Conversazione in Sicilia e da dove generi l’ambiguità costitutiva di cui si diceva. Quell’ambiguità che al tempo della prima uscita fu latrice di particolare sfortuna critica ed editoriale, e che oggi determina l’entusiastica riscoperta degli studiosi.

Azzarderò infine un’ipotesi ardita, quasi una provocazione critico-filologica: la vera Conversazione illustrata, la più ‘antica’ redazione di Conversazione in Sicilia dotata di un accompagnamento fotografico, potrebbe risalire alla primissima edizione pubblicata a Firenze dall’editore Parenti nel 1941.

 

1. Dalla spedizione in Sicilia alla sventura editoriale

Trascorro molto brevemente sulla vicenda editoriale di Conversazione illustrata già ricostruita dagli studiosi con dovizia di particolari: si tratta di una vicenda travagliata, che non condusse ai risultati editoriali sperati e che ebbe un epilogo poco onorevole (un amarissimo contenzioso legale tra il fotografo, Luigi Crocenzi, e Vittorini).[5]

Solitamente si fa iniziare la cronistoria di questa vicenda con una lettera del 3 febbraio del 1950 di Elio Vittorini a Valentino Bompiani in cui lo scrittore chiede all’editore milanese se sia «disposto a pubblicare un’edizione illustrata di Conversazione con fotografie della Sicilia impaginate in modo tale che il testo ne diventerebbe una specie di commento».[6] Missiva seguita di pochissimo da una del 9 febbraio a James Laughlin in cui lo scrittore chiede al suo editore americano: «Interesserebbe anche a Lei di fare un’edizione con un centinaio di foto di In Sicily?».[7]

Da una lettera di Luigi Crocenzi,[8] conservata presso il Centro Apice dell’Università di Milano, sappiamo tuttavia che il progetto era già in discussione avanzata nell’estate del ’49, tanto che il 23 giugno di quell’anno il fotografo scriveva a Vittorini proponendogli di «abbinare il lavoro fotografico di illustrazione con uno cinematografico»;[9] mentre da un celebre intervento dello stesso Vittorini su Cinema Nuovo dell’aprile del 1954 (che vedremo nello specifico più avanti) possiamo accertare come l’idea di un’illustrazione fotografica per Conversazione in Sicilia risalga addirittura agli anni della prima problematica uscita in volume del 1941.

In tutti i casi verso la fine del febbraio 1950 Vittorini e Crocenzi, accompagnati da Giovanni Pirelli, Alberto Cavallaro, Giuseppe Grasso e Vito Camerano (amici di Vittorini) che li aiutano nell’allestimento dei ‘set fotografici’, partono per la spedizione fotografica in terra siciliana.

Dell’itinerario del viaggio troviamo una descrizione particolarmente circostanziata in una lettera datata 14 marzo 1950, che Vittorini spedì poco dopo aver fatto ritorno dall’impresa all’amico Dionys Mascolo, scrittore e lettore presso Gallimard:

 

 

Mio caro Dionys,
sono felice di trovare la tua lettera appena tornato dalla Sicilia. […] Il mio viaggio è durato ventun giorni ed è stato molto bello anche se con pioggia e anche neve sui monti. Tutto nell’interno. Da Siracusa abbiamo viaggiato con automobile presa in affitto (sans chauffeur) a Noto, Ispica, Scicli, Modica, Ragusa, Comiso, Gela sul mare africano, e da Gela attraverso il latifondo (fermata piazza Armerina) fino a Enna una magnifica città a 1200 metri, poi Leonforte (800 metri), Nicosia 1100 metri, Sperlinga, Gangi, Petralia sempre 1200-1300 metri, e quindi Alimena, Caltanissetta, Caltagirone, Grammichele, Vizzini e di nuovo Siracusa. Vi parlerò di questo viaggio appena ci vedremo. Ho preso 1800 foto che ora stiamo stampando per sceglierne 300 per il libro. Ve le mostrerò tutte. Il movimento sociale dei contadini e minatori è magnifico. I comunisti sono contadini stessi.[10]

L’entusiasmo di cui questa lettera è investita si dissolve nel disincanto quando cominciano ad approdare alla scrivania dello scrittore le prime fotografie stampate: l’impatto più immediato, per Vittorini, è avvilente. La maggior parte di esse, infatti, stando a quanto confida il 26 marzo 1950 a Giovanni Pirelli, è sfuocata: «Sono quasi tutte non a fuoco. Quelle a fuoco non dicono niente di speciale. […] Immaginati come sono arrabbiato».[11]

Pirelli il 30 marzo risponde con estrema franchezza schierandosi in difesa di Luigi Crocenzi:

 

 

Se la pubblicazione dovesse non riuscire, mi dispiace moltissimo per il danno che te ne deriverebbe oltreché per la delusione. Mi dispiacerebbe meno da un punto di vista artistico, perché credo poco alla promiscuità dei linguaggi e non ne vedo la necessità quando un’opera d’arte è già interamente realizzata come Conversazione. […] Il Luis, scusami ma devo proprio difenderlo, riprese tutti i soggetti che tu gli indicavi.[12]

Il 1° aprile, scrivendo nuovamente all’amico, Vittorini precisa: «Io al Luis non rimprovero il suo ‘stile’. […] in fondo quello che non gli perdono è di non aver curato che le fotografie gli venissero a fuoco. Sono per l’80% non a fuoco. Come se fosse un dilettante».[13] Il 3 aprile rivede parzialmente il proprio giudizio e aggiunge alla lettera precedente non ancora spedita: «Riapro, con l’occasione tua di oggi, ma per dirti che ho esagerato a proposito delle foto di Luis. Ora che ho avuto un’ultima mandata di ingrandimenti posso dirti di disporre di circa 200 foto buone».[14]

Nonostante le «200 foto buone» nel copione fotografico che Vittorini ha in mente delle parti rimangono scoperte per cui, lo stesso 3 di aprile, lo scrittore scrive a Vasco Pratolini, che conosce molto bene Luchino Visconti, per chiedergli se può tentare di recuperare qualche fotografia della Sicilia presa sul set de La terra trema (1948): «Luchino Visconti deve avere fotografie dell’interno della Sicilia. Specie di occupazione di terre. Potrebbe mandarmene copia per eventualmente pubblicarne una decina nell’edizione illustrata di Conversazione in Sicilia?».[15]

Il tentativo non andrà a buon fine e Vittorini, per portare a termine il progetto di illustrazione, sarà costretto a ricorrere a sette scatti di Pozzi Bellini e ad una dozzina di comuni cartoline. Conversazione illustrata, nella sua veste definitiva, sarà così corredata di 188 illustrazioni di cui 169 a firma di Luigi Crocenzi.

Terminata la redazione del libro passa qualche anno prima che la pubblicazione vada effettivamente in porto: il motivo non è dato sapersi. In ogni caso il 10 dicembre del 1953 il volume è finito di stampare e alla vigilia delle festività natalizie approda nelle librerie.

Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, Milano, Bompiani, 1953 (frontespizio)Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia, Milano, Bompiani, 1953 (pagina interna)

Di qui in avanti la vicenda di Conversazione illustrata si complica.

L’accoglienza della critica di fronte all’operazione editoriale vittoriniana si dimostra particolarmente fredda. Celebri le stroncature di Montale e Falqui, più cauto (ma solo l’anno successivo) sarà Sergio Antonielli: tutti in ogni caso mettono in rilievo come l’apparato fotografico, riportando al cospetto del lettore la Sicilia reale da cui Vittorini era partito, confligga inevitabilmente con l’inclinazione lirica e immaginaria che caratterizzava l’opera originariamente.[16] L’unica voce fuori dal coro a schierarsi in appassionata difesa dell’esperimento inter-mediale è quella, forse un po’ di parte per la sua appartenenza all’entourage vittoriniano, di Giuseppe Cintioli su Comunità.[17]

Mentre da un lato buona parte della critica prende le distanze da Conversazione illustrata, dall’altro lato, Luigi Crocenzi solleva una vertenza legale con tutti i crismi. Il fotografo contesta a Vittorini e alla casa editrice di Valentino Bompiani, il fatto che il suo lavoro artistico, nel volume, è sminuito dalla nota finale dell’autore che dichiara: «sono tornato in Sicilia a fotografare, con l’aiuto non solo tecnico del mio amico Luigi Crocenzi, gran parte degli elementi di cui il libro s‘intesse».[18] L’aiuto se da una parte non è «solo tecnico», dall’altra non arriva ad essere artistico, sembra essere sottinteso nella nota vittoriniana. Per questo il fotografo, attraverso l’avvocato Luigi Dania, comincia a spedire diffide. Prima a Bompiani con una lettera del 15 gennaio («Onde evitare un’azione legale nei confronti Suoi e del Vittorini, La prego quindi di voler regolarizzare con il Crocenzi la questione dei diritti d’autore, di precisare con un comunicato stampa […] che le 169 fotografie sono state eseguite unicamente dal sig. Luigi Crocenzi»),[19] di seguito a tutti i giornali e le riviste che pubblicano recensioni di Conversazione illustrata.

Non mi spenderò qui in una ricostruzione dettagliata della vicenda giudiziaria, poco onorevole sia per Vittorini, che come aveva già dimostrato in Americana, aveva poca o nulla considerazione riguardo gli altrui diritti d’autore, sia per Crocenzi.[20] Basti aggiungere che vertenza legale da una parte, e sfortuna critica ed editoriale dall’altra, porteranno Vittorini ad un repentino disamoramento rispetto a Conversazione illustrata. Il 26 gennaio 1954 scriverà a Bompiani:

 

 

Caro Valentino,
sono stufo di questa storia. […] Io ormai non voglio un soldo che mi venga da un libro in cui il mio lavoro si presenta contiguo al lavoro del signore in questione. Tuttavia ti avverto che desidero non dare il mio consenso per delle edizioni straniere di quest’edizione.[21]

La storia della settima edizione di Conversazione in Sicilia si chiude con un disconoscimento in piena regola. Come vedremo Vittorini interverrà nuovamente solo il 15 aprile 1954, su Cinema Nuovo, per puntualizzare i propri rapporti di collaborazione con Crocenzi e per chiarire le motivazioni e le intenzioni che avevano determinato la genesi degli esperimenti di illustrazione fotografica: da Americana e Il Politecnico sino, appunto, a Conversazione illustrata.

 

2. I precedenti di un esperimento senza precedenti

La prima voce autorevole a certificare il carattere innovativo di Conversazione illustrata e a riconoscere all’opera lo statuto di «grande esperimento»,[22] sarà quella di Maria Corti nel 1974.

Ed in effetti Conversazione illustrata si presenta come un esperimento editoriale che, perlomeno in Italia, non ha precedenti: primo caso di testo appartenente alla nostra letteratura a trasformarsi in fototesto.

Nonostante ciò non si tratta di una meteora, non siamo al cospetto di un ‘hapax fototestuale’ nell’esperienza editoriale vittoriniana: la settima edizione di Conversazione in Sicilia segna piuttosto il compimento e il punto di arrivo di una fase di sperimentazione, quasi programmatica, iniziata da Vittorini nei primissimi anni Quaranta con l’antologia Americana. Raccolta di narratori americani dalle origini ai giorni nostri, e proseguita nel primissimo dopoguerra attraverso Il Politecnico. Con Americana Vittorini aveva introdotto in Italia, per la primissima volta, un fototesto caratterizzato da uno strettissimo rapporto dialettico tra testo letterario e ‘testo fotografico’: nell’antologia, giunta nelle librerie nell’ottobre del 1942, erano presenti 147 immagini (la maggior parte delle quali fotografie). Con Il Politecnico aveva inventato invece i ‘racconti per immagini’: serie di scatti montati con criterio cinematografico accompagnati da brevi didascalie che raccontavano pezzi di Italia poco conosciuti. I ‘racconti per immagini’ segnano peraltro l’inizio del rapporto di collaborazione tra Vittorini e Luigi Crocenzi.[23]

Non intendo soffermarmi, tuttavia, su questi precedenti, sulla cui importanza per Conversazione illustrata la critica, e Vittorini stesso, si sono giustamente spesi. Non mi soffermerò, non solo perché il terreno è battuto e già ampiamente indagato, ma anche perché, nel tentativo di ricostruzione della preistoria testuale di Conversazione illustrata è forse più interessante volgere lo sguardo a testi meno noti appartenenti alla cultura d’oltreoceano.

Prima di calarmi però nella ricerca e nell’eventuale individuazione degli antenati di Conversazione illustrata made in U.S.A., vorrei aprire una breve parentesi relativa alle motivazioni che spinsero Vittorini a illustrare Conversazione con fotografie e vorrei tentare di dimostrare come queste motivazioni abbiano a che vedere con il problema della censura.

Già la colonna illustrativa di Americana nasceva come reazione alle estenuanti trattative con il MinCulPop per ottenere il nullaosta alla stampa. Vittorini, che nella prima redazione dell’antologia risalente all’aprile del 1941 non aveva ancora introdotto alcun apparato illustrativo, in seguito ai ripetuti blocchi da parte del Ministero, intuendo che i suoi corsivi critici sarebbero stati espunti dal volume, introdusse la colonna illustrativa con la precisa funzione di apparato critico di riserva: la utilizzò per poter dire attraverso le immagini ciò che non gli era consentito dire a parole.[24]

La genesi di Conversazione illustrata muove da intenzioni simili. Anche se portata a compimento solo nel 1953, infatti, l’idea di Vittorini di fare un’edizione fotografica del suo romanzo più importante, come in parte già accennato, risale agli anni della prima uscita in volume.

Vittorini intraprese la scrittura di Conversazione in Sicilia nel 1937, l’opera venne pubblicata a puntate su Letteratura tra il 6 aprile del 1938 e il 10 aprile del 1939, mentre l’uscita in volume con il titolo Nome e lagrime[25] risale alla primavera del 1941 per l’editore Parenti di Firenze. Ottenere il nulla osta alla stampa non fu semplice.

Vittorini, consapevole che il suo romanzo avrebbe incontrato problemi al Ministero della Cultura Popolare, già in fase di scrittura si era auto-imposto una profonda reticenza. Era ricorso alla trasfigurazione e alla metafora per poter parlare liberamente del ‘mondo offeso’ e per fugare ogni dubbio sulla realisticità del suo romanzo, aveva corredato l’ultima pagina di una sibillina nota cautelativa in cui dichiarava:

 

 

Ad evitare equivoci o fraintendimenti avverto che, come il protagonista di questa Conversazione non è autobiografico, così la Sicilia che lo inquadra e accompagna è solo per avventura Sicilia; solo perché il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela. Del resto immagino che tutti i manoscritti vengano trovati in una bottiglia.[26]

Fa sorridere la nota vittoriniana, per l’ironia sottile con cui in certa misura si prende gioco dei suoi censori. Difficile credere che Silvestro non sia un personaggio autobiografico e che la Sicilia descritta da Vittorini abbia parentela, anche solo lontana, con Persia o Venezuela. In ogni caso la nota funzionò: Conversazione ottenne l’imprimatur e venne pubblicata.[27]

Riguardo la reticenza che si era dovuto auto-imporre, molti anni dopo Vittorini avrebbe dichiarato:

 

 

Quando Conversazione in Sicilia apparve per la prima volta in volume, nel maggio del 1941, io stavo terminando di redigere la ‘colonna illustrativa’ dell’Americana. L’esistenza della censura e le lunghe lotte che si dovevano sostenere con i funzionari per pubblicare qualunque cosa, mi avevano costretto a essere più reticente di quanto non volessi nelle due ultime parti di Conversazione e a corredare il libro della “nota” cautelativa che poi divenne famosa. Così i risultati che andavo ottenendo nell’illustrare l’Americana mi portarono presto a riflettere che se mi fosse riuscito di illustrare Conversazione con gli stessi criteri mi sarei presa la migliore delle rivincite sull’in più di reticenza che m’ero dovuto imporre, e avrei automaticamente messo la “nota” (dov’essa dice che la mia Sicilia è Sicilia «solo perché il nome Sicilia mi suona meglio del nome Persia o Venezuela») nella sua giusta luce per cui si intende dire, in effetti, che la Sicilia può essere anche Persia o Venezuela proprio nell’essere Sicilia di più. Da allora ho ripensato infinite volte (dico dal 1941) a questa rivincita che avrei potuto prendermi. Ne ho parlato con decine di amici. E tra il ’45 e il ’47, mentre provvedevo al lavoro illustrativo per Politecnico, ho accarezzato infinite volte l’idea di recarmi un giorno nell’isola a raccogliere delle fotografie che mi permettessero di illustrare Conversazione come illustravo Politecnico e come avevo illustrato l’Americana […].[28]

Vittorini già dal ’41 aveva cominciato ad ‘accarezzare’ l’idea che Conversazione potesse essere illustrata con fotografie. Esse avrebbero potuto «colmare le lacune dei capitoli in cui l’autore era stato reticente, assolvendo così non solo ad una funzione “critica” […] ma di completamento del testo, aggiungendovi l’immagine reale di ciò di cui non si parlava, o si parlava troppo copertamente»:[29] se al testo letterario non era consentito descrivere la realtà, forse sarebbe stato consentito al testo fotografico. Certo, il progetto di illustrazione fotografica sino ai primi anni Cinquanta sarebbe rimasto sospeso nel limbo delle velleità, tuttavia prestando attenzione alle parole di Vittorini su Cinema Nuovo si sono individuate le funzioni primigenie alle quali gli scatti fotografici avrebbero dovuto adempire.

Erskine Caldwell e Margaret Bourke-White, You Have Seen Their Faces, New York, Modern Age Books, 1937 (copertina e pagina interna)

Individuati i ‘moventi’ delle operazioni fototestuali vittoriniane si può discutere finalmente quali possano essere i precedenti d’oltreoceano.

Americana e Conversazione illustrata, infatti, non hanno in comune solamente due apparati illustrativi pensati originariamente come baluardi di resistenza di fronte al MinCulPop: entrambe le opere, come cercherò di dimostrare, scaturiscono da un’operazione di vero e proprio contrabbando culturale.

Nell’impostare i due esperimenti fototestuali, infatti, ‘clandestinamente’ Vittorini importava un genere che aveva iniziato a svilupparsi in America tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento e che era letteralmente ‘esploso’, per popolarità e numero di opere, negli anni Trenta in conseguenza delle collaborazioni di vari fotografi e scrittori all’interno dei progetti della Work Progress Administration: il documentary book.[30] Tra i documentary books più celebri: You Have Seen Their Faces (1937) nato dalla collaborazione di Erskine Caldwell e Margaret Bourke-White; Land of The Free (1938) del poeta Archibald MacLeish; l’infuocato 12 Million Black Voices (1941) dello scrittore nero Richard Wright, illustrato da Edwin Rosskam con foto della FSA; An American Exodus. A Record of Human Erosion (1940) frutto della proficua collaborazione tra Paul Shuster Taylor e la fotografa Dorothea Lange; Home Town (1940) di Sherwood Anderson anch’esso illustrato da Edwin Rosskam col materiale fotografico della FSA; The Inhabitants (1946) e The Home Place (1948) di Wright Morris[31]; e soprattutto Let Us Now Praise Famous Man (1941) di Walker Evans e James Agee.

Vittorini presumibilmente conosceva la maggior parte di questi testi. Certamente ne aveva avuti tra le mani almeno due che aveva recensito poco dopo la loro uscita negli Stati Uniti: del primo, You Have Seen Their Faces, scriveva su Omnibus il 19 marzo 1938; il secondo, Land of The Free, lo presentava al pubblico italiano nell’Almanacco Letterario Bompiani all’inizio del 1939.[32] È probabile inoltre che avesse potuto sfogliare anche 12 Million Black Voices di Richard Wright[33] e The Inhabitants di Wright Morris nell’edizione in rivista del 1940.[34]

Tra Conversazione e queste opere riscontriamo in primo luogo un’identità strutturale: in entrambi i casi siamo al cospetto di fototesti nei quali il rapporto parola-immagine è un rapporto fortemente dialettico, non gerarchicamente ordinato, di cooperazione paritaria da parte di entrambi i media alla costruzione dell’opera. Fotografie che non sono semplici illustrazioni, testi che non svolgono la funzione di mere didascalie: siamo in quello spazio intermedio tra forma-illustrazione e forma-ekphrasis individuato da Cometa.

All’identità strutturale si somma l’identità tematica e di soggetti. Più nello specifico individuiamo soggetti comuni (contadini, operai, braccianti, minatori, malati, volti di madri, nature morte di miseri oggetti, paesaggi erosi dalla siccità), temi comuni (fame, povertà, ubriachezza, ingiustizia sociale) ed infine intenti politici e di riscatto sociale comuni.

Alcuni dei fototesti, oltre le caratteristiche appena descritte, presentano un ulteriore livello di somiglianza rispetto a Conversazione illustrata, una somiglianza che potremmo definire genetica: originano dal viaggio di uno scrittore e di un fotografo, e talvolta questo viaggio è un viaggio verso sud.

È il caso di You Have Seen Their Faces di Caldwell e Bourke-White, opera che possiamo descrivere brevemente riprendendo la presentazione al pubblico italiano intitolata Cotone e tabacco, comparsa su Omnibus nel marzo del 1938 a firma dello stesso Vittorini:

 

 

In compagnia di Margaret Bourke-White, che prendeva fotografie, Caldwell ha visitato il sud, di casolare in casolare, ha fatto parlare un contadino dopo l’altro, ha trascritto con vivacità quanto ha udito, pubblicando poi una cronaca illustrata dalle fotografie della Bourke White, col titolo: Ecco le loro facce! Ma queste facce, che egli ci presenta con scrupolo documentario non tornano affatto nuove al lettore delle sue opere precedenti. Sono le stesse facce contadine dei suoi romanzi e dei suoi racconti, deluse, disarmate, stanche, con negli occhi soltanto un’astuzia bruta e istintiva.[35]

Se sostituiamo nel testo ‘Vittorini’ a ‘Caldwell’ e ‘Crocenzi’ a ‘Bourke-White’ in breve otteniamo una sinossi esaustiva di Conversazione illustrata: esattamente come You Have Seen Their Faces il fototesto vittoriniano è frutto di una spedizione verso sud intrapresa per ritrarre il ‘mondo offeso’. Entrambe le opere nascono da viaggi che potremmo definire in senso lato ‘di reportage’ in un sud rurale, arretrato e povero.

Frutto di un viaggio verso Sud è anche 12 Million Black Voices dello scrittore afroamericano Richard Wright. Wright, alla ricerca delle proprie origini, nell’estate del 1940 si mise in viaggio e prese a risalire la corrente del fiume migratorio che portava milioni di neri americani a fuggire dalle campagne del Sud per andare a stiparsi nei ghetti delle città del Nord. 12 Million Black Voices nasce da un viaggio a ritroso nello spazio e nel tempo, da un moto di ritorno ai luoghi dell’infanzia: da un nostos.

Identico, nel 1950, sarà il percorso sulle orme di Silvestro rappresentato dal viaggio in Sicilia di Vittorini, che Maria Rizzarelli definisce appunto come «nostos che si compie realmente, dopo quello immaginato attraverso la scrittura di Conversazione».[36]

Anche The Inhabitants ha genesi similare: Wright Morris, di ritorno dall’Europa, intraprese un percorso personale di riscoperta delle proprie radici e della propria terra, il Nebraska.

Insomma, un viaggio sta al principio di molti documentary books, a volte questo viaggio è reportage, a volte un percorso a ritroso alla ricerca delle proprie origini: la spedizione da cui origina Conversazione illustrata del 1953 è investita contemporaneamente da entrambe queste spinte propulsive.

Archibald MacLeish, Land of The Free, London, Boriswood Limited, 1938 (frontespizio e pagina interna)

Vittorini non dichiarò mai la possibile influenza dei fototesti americani per Americana o Conversazione illustrata, anzi, nel 1954 su Cinema Nuovo scriveva che il suo punto di partenza era stato «nel cinematografo fuori dai libri e dai giornali».[37]

Dopo quanto detto sembra improbabile, tuttavia, che non vi sia un debito dei fototesti vittoriniani nei confronti del documentary book americano. Quella dello scrittore – non dimentichiamo che siamo al cospetto di uno dei mediatori culturali più attenti nel campo letterario ed editoriale degli anni Quaranta e Cinquanta – credo si possa inquadrare come un’operazione, quanto mai consapevole, di import and rebranding di un ‘prodotto editoriale’ che negli Stati Uniti aveva avuto grande successo. Vittorini – l’opinione è sempre quella di chi scrive – per parte propria aveva tutto l’interesse ad accreditarsi l’invenzione dell’innovativo accostamento tra testo e fotografie, chiamando in causa come lontana ispirazione il cinema, piuttosto che ammettere l’assai più cogente derivazione dal libro fotografico americano.

Queste considerazioni, se da una parte ridimensionano parzialmente lo statuto di ‘grande esperimento’ accordato da Maria Corti a Conversazione illustrata, dall’altra confermano ancora una volta la capacità vittoriniana di porsi come antenna sensibilissima rispetto a tutto ciò che rappresenta il nuovo. Lo scrittore incarna a pieno l’habitus eretico del ‘contrabbandiere’ con tutti gli elementi di positività che questo comporta: in particolare l’essere ‘passatore di frontiere’[38] capace di traghettare da oltre confine la produzione letteraria ed editoriale migliore del momento sfuggendo ai ‘controlli di dogana’.

Detto questo si può provare una risposta all’enigma di Conversazione illustrata, tentare di trovare una ragione all’ambiguità costitutiva di cui si diceva all’inizio di questo percorso. Vittorini quando intraprende l’esperimento ‘Conversazione illustrata’ si avvale della ricetta del documentary book americano che ha sotto mano: gli ingredienti che utilizza sono i medesimi (un narrazione, un viaggio e degli scatti fotografici) e tuttavia il metodo cambia.

La differenza più vistosa sta nel fatto che fotografia e testo non nascono contestualmente: nel caso di Vittorini prima viene il testo – ben 15 anni prima – e solo dopo vengono le fotografie. La preesistenza del testo implica di fatto l’instaurarsi di un rapporto gerarchico tra i due media, che risulta difficilissimo sconfessare attraverso una dialettica ‘alla pari’ sullo stile del documentary book americano: questa viene replicata e ottenuta solo in superficie, sul piano della disposizione tipografica. Ed è qui, credo, che possa essere individuato il punto di snodo dell’ambiguità di Conversazione illustrata: nella parte emersa – al livello superficiale della veste editoriale – immagini e testo dialogano, sotterraneamente al dialogo succede il diverbio. Come già Montale metteva in rilievo, nella sua recensione sul Corriere della Sera, i due discorsi stanno su due piani differenti, lirico quello della narrazione, realistico quello delle immagini, ed inevitabilmente confliggono. Non può esserci vera comunicazione intermediale.

In tutto questo credo avesse colto il segno a suo tempo Sergio Antonielli quando scriveva: «ha avuto un bel coraggio nel tentare l’esperimento con un testo come la Conversazione, il quale era nato in sé e per sé, […] tutto sarebbe stato più pacifico se egli avesse fatto nascere un nuovo testo contemporaneamente alle illustrazioni».[39]

L’ultima conseguenza, se si danno come assodate tutte queste considerazioni, è lo slittamento di Conversazione illustrata (nello schema proposto da Cometa per il genere fototestuale) nel campo della pura forma-illustrazione: il prevalere del testo sull’immagine, infatti, se dal punto di vista tipografico non è palesato, sottotraccia rimane come elemento preponderante e allontana l’esperimento dalla forma-ekphrasis, che presupporrebbe un testo votato, almeno parzialmente, alla narrazione delle immagini.

 

3. (In)conclusioni

Questa breve trattazione per propria natura potrebbe produrre un ulteriore capitolo, un capitolo che si potrebbe definire uno ‘sfrido’ di lavorazione, nel quale far confluire riflessioni di risulta raccolte ai margini del percorso che è stato tracciato sin qui.

Rileggere alcuni passaggi tra quelli descritti, e in particolare riportare l’attenzione sul fatto che Vittorini conoscesse da vicino la fotografia americana degli anni Trenta, ci potrebbe spingere infatti a tornare al testo originario (quello della prima edizione) per provare ad analizzarlo in una prospettiva nuova, nel tentativo di verificare un’ipotesi della quale ho accennato all’inizio di questo percorso che a questo punto prende corpo concretamente: vale a dire che già la prima edizione di Conversazione in Sicilia potesse essere ‘illustrata’ da fotografie.

L’ipotesi è di per sé provocatoria, dal momento in cui è evidente che la prima edizione del romanzo di Vittorini non presenta fotografie di sorta. Tuttavia l’idea che una serie di scatti fotografici siano celati all’interno del testo di Conversazione e che Vittorini, nel descrivere i paesaggi della Sicilia rurale, nel riportare le scene di vita quotidiana dei poveri della sua terra, nel ritrarre i personaggi del suo romanzo, lavori da fotografo (un fotografo che ha sviluppato il proprio sguardo in seguito al contatto con la fotografia della Farm Security Administration e con il documentary book), si affaccia. Nel caso saremmo di fronte a quella che Michele Vangi definisce «referenza intermediale implicita».[40]

Wright Morris, The Inhabitants, New York, Charles Scribner’s Sons, 1946 (frontespizio e pagina interna)

In questa sede purtroppo non rimane spazio sufficiente per intraprendere un’analisi approfondita dell’implicita presenza della fotografia all’interno del testo di Conversazione in Sicilia. Per questo mi limito a raccogliere qui solamente alcune suggestioni puntuali rimandando ad altra occasione un’eventuale dimostrazione articolata più nel dettaglio.

Che il mezzo fotografico fosse già presente nella mente di Vittorini al momento della scrittura del romanzo è lo stesso Vittorini a confessarlo nell’intervista già citata e comparsa qualche mese dopo l’uscita di Conversazione illustrata su Cinema Nuovo. Nell’intervista Vittorini, oltre a rivelare – l’abbiamo visto poco sopra – come già nel 1941 avesse pensato di illustrare Conversazione con fotografie, dichiarava:

Potrei dire, insomma, che ho fatto scorrere almeno a sfondo, nella «colonna illustrativa», la stoffa di pezza da cui tanti anni prima avevo tagliato fuori le figure del testo. Ve l’ho fatta scorrere, ve l’ho sventolata… Ed era straordinario accorgermi che quelle immagini di tanti anni prima rientravano quasi perfettamente nel disegno della stoffa come se ne fossero state tagliate fuori solo la vigilia.[41]

Da queste considerazioni in effetti l’ipotesi che il regime scopico vittoriniano, già all’epoca della scrittura di Conversazione in Sicilia fosse fotograficamente impostato, si rafforza e ci spinge alla ricerca di tracce all’interno del testo.

La primissima, già evidenziata a suo tempo da Giovanni Falaschi, potrebbe essere individuata nel fatto che il romanzo appare come romanzo in bianco e nero:

Vittorini tende a dare degli oggetti la dislocazione, la consistenza, i rapporti spaziali; vede le forme, le masse, i volumi, i contrasti, e poi illumina tutto, ma non vede gli effetti cromatici della luce sul paesaggio; se vede il fumo sulle case non ne dice il colore, la paglia non è gialla ma è paglia; se vede una fontana grigio-marrone dice solo che è di ghisa. […] La cosa più sorprendente è che questo paesaggio è sotto il sole, e pur tuttavia è in bianco e nero. […] Conversazione è in grandissima parte un libro in bianco e nero.[42]

Tuttavia, nella ricerca di reperti fotografici nascosti tra le righe di Conversazione in Sicilia, quello che potrebbe risultare ancora più interessante è la comunanza tra le descrizioni e i ritratti che Vittorini inserisce all’interno del tessuto narrativo e l’estetica tipica della fotografia americana della prima metà del Novecento, in particolare quella ‘targata’ Farm Security Administration. Le somiglianze che si possono elencare sono innumerevoli: il ritratto di Silvestro a capo chino ad inizio di romanzo, che ricorda l’infinita teoria di uomini e donne a capo chino presenti all’interno dell’opera di Dorothea Lange; i ritratti dei figli del mondo offeso, che ci rimandano a Arthur Rothstein, Russel Lee, Ben Shahn o Carl Mydans; l’arida Sicilia abbacinata dal sole di certe descrizioni, che rievoca paesaggi di Edward Weston e del figlio Brett; i ‘piccoli siciliani’ sul traghetto per Messina, che ci riconducono inevitabilmente a The Steerage di Alfred Stieglitz (tutti fotografi antologizzati da Vittorini nella colonna illustrativa di Americana).

Procedendo di questo passo, tuttavia, si corre il rischio di trasformare questo capitolo conclusivo in una trattazione a sé stante: conviene dunque fermarsi per lasciare che queste ultime considerazioni, per ora solamente accennate, fungano eventualmente da ipotesi introduttive di un nuovo lavoro, e chiosare con le ultimissime osservazioni.

Conversazione illustrata del 1953 non ebbe il successo che Vittorini e Valentino Bompiani si sarebbero aspettati. La sua storia è quella di un piccolo fallimento editoriale che oggi, a distanza di sessant’anni, riscopriamo e apprezziamo come innovativo esperimento transmediale, mossi forse più da ‘studium razionale’ che dall’ineludibile stimolo del punctum barthesiano.

Ripercorrerne la vicenda tuttavia, se da una parte ha messo in luce come il valore dell’edizione fotografica di Conversazione in Sicilia vada parzialmente relativizzato, dall’altra potrebbe riconfermare e rafforzare l’importanza dell’edizione puramente testuale. Emerge infatti come il testo di Conversazione presumibilmente sia entrato in contatto con la fotografia ben prima del ’53 e si affaccia l’idea di un’implicita presenza della fotografia già nella prima edizione di Conversazione in Sicilia.

Aggiungo, quasi a titolo di post-scriptum, che se quest’ipotesi un domani dovesse essere confermata si potrebbe pervenire ad una conclusione supplementare. Conclusione supplementare con la quale tentare di spiegare in qualche modo come gli scatti di Crocenzi all’interno del romanzo non abbiano funzionato nel modo in cui Vittorini avrebbe desiderato: essi potrebbero essere stati respinti, rigettati dal testo, a causa della preesistenza (per ora solo ipotetica) di ‘fotografie testuali’ firmate dello stesso Vittorini. Nell’edizione del ’53, in definitiva, potrebbe essersi creato un doppio canale illustrativo, ridondante e dunque superfluo.

 


1 Di qui in avanti per semplicità indicherò l’edizione di Conversazione in Sicilia del dicembre 1953 illustrata con fotografie come Conversazione illustrata, per distinguerla dalle edizioni precedenti sprovviste di fotografie.

2 Cfr. M. Cometa, ‘Fototesti. Per una tipologia dell’iconotesto in letteratura’, in V. De Marco, I. Pezzini (a cura di), La fotografia. Oggetto teorico e pratica sociale, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2011, pp. 63-101.

3 Cfr. ivi, p. 97.

4 Per approfondire il rapporto tra testo e fotografia in Conversazione illustrata: G. Trevisani, ‘Le fotografie di Elio Vittorini’, Popular Photography Italiana, n. 107, maggio 1966, pp. 32-37; G. Pedrojetta, ‘Implicazioni paratestuali nell’itinerario di Conversazione in Sicilia’, SIT!, n. 3-4, settembre 1995, pp. 35-47; D. Mormorio, ‘Vittorini, Sciascia e la fotografia’, in L. Ballerini, G. Bardin, M. Ciavolella (a cura di), La lotta con Proteo. Metamorfosi del testo e testualità della critica, Atti del 16° Congresso A.I.S.L.L.I., University of California, Los Angeles 6-9 ottobre 1997, Fiesole, Cadmo, 2000, pp. 1431-1439; M. di Fazio, ‘Scrittura e fotografia – Fotografia e scrittura. Due percorsi a confronto’, in B. Donadelli (a cura di), Bianco e Nero. Nero su bianco. Tra fotografia e scrittura, Napoli, Liguori Editore, 2005, pp. 93-102; H. Brohm, ‘Elio Vittorini e l’intermedialità. A proposito di Conversazione in Sicilia del 1953’, Rivista di letteratura italiana, xxv, 2, 2007, pp. 87-104; E. Ajello, ‘Elio Vittorini. La scrittura in cerca delle immagini’, in Id., Il racconto delle immagini. La fotografia nella modernità letteraria italiana, Pisa, ETS, 2009, pp. 163-175; G. Lupo, Vittorini politecnico, Milano, FrancoAngeli, 2011, pp. 79-103; B. Van Den Bossche, J. Baetens, ‘Conversazioni Istoriate. Intorno all’edizione illustrata di Conversazione in Sicilia (1953)’, Testo, xxxiv, 65, gennaio-giugno 2013, pp. 95-104. Recentissimo infine M. Marras, ‘La fotografia in Americana. Suggestioni dagli States: da Archibald MacLeish ai documentary book’, Il Giannone, xix, 22, luglio-dicembre 2013, pp. 63-90. L’articolo rappresenta un fedele compendio del lavoro di tesi specialistica di chi scrive in questa sede: lavoro intitolato La foto strizza l’occhio alla pagina. Censura e testo fotografico in Elio Vittorini da Americana a Conversazione in Sicilia, e discusso all’Università Ca’ Foscari di Venezia nel giugno del 2011. Il lavoro di riduzione di Marras, col proposito perfettamente condivisibile di non appesantire eccessivamente la trattazione, in alcuni passaggi rischia di farsi addirittura troppo sintetico, al punto da alleggerirsi del tutto da citazioni che possano mettere in relazione la tesi e i dati presentati con quelli esposti nel lavoro di chi la precede.

5 Fondamentali per ricostruire la vicenda di Conversazione illustrata: G. Falaschi, ‘Introduzione’, in E. Vittorini, Conversazione in Sicilia, Milano, Rizzoli, 1986; M. Rizzarelli, ‘Nostos fotografico nei luoghi del mondo offeso: Conversazione in Sicilia 1953’, in Id. (a cura di), Elio Vittorini. Conversazione illustrata, Catania, Bonanno Editore, 2007, pp. 13-37; A. Giusa, ‘Elio Vittorini e Luigi Crocenzi’, in M. Rizzarelli (a cura di), Elio Vittorini. Conversazione, pp. 75-86; le note di Raffella Rodondi a Sull’edizione illustrata di «Conversazione in Sicilia» e a La foto strizza l’occhio alla pagina, in E. Vittorini, Letteratura arte società. Articoli e interventi 1938-1965, Torino, Einaudi, 2008, rispettivamente alle pagine 698-699 e 706-707.

6 E. Vittorini, Gli anni del «Politecnico». Lettere 1945-1951, a cura di C. Minoia, Torino, Einaudi, 1977, p. 297.

7 Ivi, p. 301.

8 Vittorini aveva conosciuto il fotografo marchigiano grazie a Giansiro Ferrata a Milano nel 1942, quando Crocenzi era ancora un giovane studente della facoltà di ingegneria. Nel primissimo dopoguerra Crocenzi aveva cominciato a collaborare con Vittorini per Il Politecnico su cui aveva pubblicato quattro racconti per immagini: Italia senza tempo (6 aprile 1946), Occhio su Milano (1 maggio 1946), Andiamo in processione (gennaio-marzo 1947) e Kafka City (ottobre 1947).

9 Università di Milano, Centro Apice, Fondo Vittorini, carteggio Crocenzi-Vittorini. Lettera manoscritta con timbro dell’Archivio Urbinate.

10 E. Vittorini, Gli anni del «Politecnico», p. 304.

11 Ivi, p. 309.

12 V. Camerano, R. Crovi, G. Grasso, G. Lupo (a cura di), La storia dei Gettoni di Elio Vittorini, Torino, Aragno, 2007, pp. 148-149.

13 Ivi, p. 311.

14 Ivi, p. 312.

15 Ivi, p. 315.

16 Cfr.: E. Montale, ‘L’arte e la vita’, Corriere della sera, 31 dicembre 1953-1 gennaio 1954 (ora anche in: Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, vol. i, a cura di G. Zampa, Milano, Mondadori, 1996, pp. 1615-1620); E. Falqui, ‘Il fotografo e il poeta’, Tempo, 26 gennaio 1954 (con il titolo ‘«Conversazione in Sicilia»’, anche in: Id., Novecento letterario, vol. iv, Firenze, Vallecchi, 1972, p. 752); S. Antonielli, ‘Il primo Vittorini’, Belfagor, anno x, n. 1, 31 gennaio 1955, pp. 89-93.

17 G. Cintioli, ‘Conversazione in Sicilia in edizione illustrata. Testo e immagini’, Comunità, viii, 24, aprile 1954, pp. 68-70.

18 E. Vittorini, Conversazione in Sicilia, ristampa anastatica dell’edizione Bompiani del 1953, a cura di M. Rizzarelli, Milano, Rizzoli, 2007, p. 225.

19 E. Vittorini, Lettere 1952-1955, a cura di E. Esposito e C. Minoia, Torino, Einaudi, 2006, p. 147.

20 Per chi volesse cimentarsi in un’indagine particolareggiata rimando alle note di Raffaella Rodondi (E. Vittorini, Letteratura arte… , pp. 698-700 e 706-708) e a quelle di Edoardo Esposito e Carlo Minoia (E. Vittorini, Lettere 1952-1955…, p. 147). Non si conosce ancor oggi l’esito della vertenza legale sollevata da Crocenzi. Essa tuttavia ebbe strascichi pesanti sul rapporto d’amicizia con Vittorini. Lo scrittore, il 3 luglio 1955, un anno e mezzo dopo la pubblicazione di Conversazione illustrata, rispondendo ad una lettera di Raul Lunardi che gli porgeva i saluti di Crocenzi scriveva: «Ricambia pure i saluti a Crocenzi – Ma io vorrei vederlo e dargli una risciacquata dopo la grana che mi ha fatto avere l’anno scorso con Bompiani. Rancore non gliene porto, però mi piacerebbe avere uno sfogo a voce con lui. Se vogliamo tornare amici bisogna bene che ci si incontri e ci si spieghi. Non si può mica fare finta di nulla così» (E. Vittorini, Lettere 1952-1955…, p. 289).

21 E. Vittorini, Lettere 1952-1955…, pp. 152-153.

22 M. Corti, ‘Prefazione’, in E. Vittorini, Le opere narrative, vol. i, a cura di M. Corti, Milano, Mondadori, 1974, p. xxxv.

23 Vd. nota 8.

24 Per una trattazione esaustiva delle vicende editoriali e censorie di Americana in relazione alla fotografia rimando ad un volume, auspicabilmente in uscita nel 2014, per la casa editrice Scalpendi di Milano: R. Paterlini, Americana. Censura e testo fotografico in Elio Vittorini. Nel volume oltre alle vicende editoriali di Americana sarà presente tutto l’apparato illustrativo dell’antologia al quale, dopo un lungo lavoro di ricerca, sono state restituite la maggior parte delle didascalie che erano state deliberatamente omesse da Vittorini.

25 Nome e lagrime è lo stesso titolo che Vittorini aveva dato ad un poemetto lirico pubblicato su Corrente il 31 ottobre del 1939 (a. ii, n. 19, p. 3).

26 E. Vittorini, Conversazione in Sicilia, Rizzoli, 1986, p. 341.

27 Nell’autunno del 1942, in seguito ad una campagna diffamatoria promossa dall’Osservatore Romano, Conversazione venne denunciata alla polizia fascista e sequestrata. Sino al 1945 essa sarebbe stata ristampata clandestinamente in Svizzera.

28 E. Vittorini, ‘La foto strizza l’occhio alla pagina’, Cinema Nuovo, iii, 33, 15 aprile 1954, p. 200. Ora anche in: Id., Letteratura arte…, pp. 701-708; Id., Lettere 1952-1955…, pp. 365-370.

29 G. Falaschi, ‘Introduzione’, p. 10.

30 Il documentary book nasce dalla cooperazione tra testo letterario e testo fotografico tra i quali si sviluppa uno stretto rapporto dialettico. Scritto e fotografia, in sostanziale equilibrio espressivo tra loro, collaborano nella formazione di questa forma artistica nuova, alla quale solitamente è sotteso un intento sociale, a volte di pura descrizione, più spesso di accorata denuncia. Il documentary book, infatti, si rivolge ad un vasto pubblico non specializzato e ha il precipuo scopo di coinvolgerlo emotivamente, persuaderlo e muoverlo verso il cambiamento: in molti casi il suo fine, nascostamente, è politico. In Italia ad oggi non esistono studi su questo genere fototestuale ed anche negli Stati Uniti la bibliografia non è particolarmente ampia. Un volume che risulta fondamentale per ricostruire la storia del documentary book e il dibattito che intorno ad esso si sviluppò tra la fine degli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta risulta essere: W. Stott, Documentary Expressions and Thirties America, New York, Oxford University Press, 1973. Un accenno alla documentary literature troviamo inoltre in D. Minter, A Cultural History of the American Novel¸ New York, Cambridge University Press, 1994.

31 Il caso di Morris è un caso particolare all’interno del genere documentary book, poiché la dialettica tra testo letterario e testo fotografico è sviluppata da una ‘sola voce’: l’autore è sia narratore che fotografo. Siamo di fronte al fenomeno della Doppelbegabung, del doppio talento (cfr. M. Cometa, La scrittura delle immagini. Letteratura e cultura visuale, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2012, p. 21).

32 Scriveva Vittorini: «Land of the free si chiama il nuovo libro di Archibald MacLeish (editore Harcourt Brace & Co.) ed è anzitutto libro curioso composto di fotografie con a fronte il testo in versi, è libro di polemica sociale che denuncia l’inganno di esser liberi in quanto si possiede, a nome d’una urgente necessità di esser liberi in quanto si esiste. Qualcosa di simile, anch’esso con fotografie a fronte, fu l’anno scorso il libro di Erskine Caldwell, You have seen their faces, ma quello era un saggio di esplicita eloquenza polemica determinata da una persuasione intellettuale, mentre questo è un prodotto di sentimento. Dolore e speranza non per sé, dolore e speranza per il mondo la poesia di Archibald MacLeish, sebbene poesia minore, risulta oggi la più attiva in quel senso di poesia pubblica (o «civile» per dirla con una parola in Italia ridotta da secoli ad un falso significato di funzionalismo patriottico) che MacLeish stesso ha illustrato in un suo articolo Public speech and private speech in poetry apparso sul penultimo numero della Yale Review (primavera 1938)» ( E. Vittorini, ‘Rassegne straniere per l’anno 1938’, Almanacco letterario Bompiani, 1939, pp. 189-192; ora anche in: Id., Letteratura arte…, pp. 41-49).

33 Vittorini conosceva molto bene l’opera di Richard Wright. Nel settembre del 1939 in una recensione intitolata ‘Wright’, comparsa nella rubrica Lettere americane della rivista Oggi, aveva ripercorso la storia dell’autore e aveva parlato con toni cautamente elogiativi del suo romanzo Uncle Tom’s Children (in Oggi, i, 18, 30 settembre 1939, p. 9, ora anche in E. Vittorini, Letteratura arte…, pp. 59-60). Nel 1940 aveva letto per Mondadori il romanzo di Wright dal titolo Native Son e aveva scritto un parere riguardo l’eventualità di una pubblicazione (in P. Albonetti (a cura di) Non c’è tutto nei romanzi. Leggere romanzi stranieri in una casa editrice negli anni ’30, Milano, Fondazione Arnoldo Mondadori, 1994, pp. 519-520; ora anche in E. Vittorini, Letteratura arte…, p. 60). Nel gennaio del 1946 infine sulla rivista Il Politecnico nella rubrica Libri nelle immagini era comparso un articolo molto elogiativo del medesimo Native Son, dal titolo Ragazzo negro. Autobiografia di uno scrittore americano presumibilmente scritto dallo stesso Vittorini: questo era accompagnato da fotografie raccolte da recensioni americane del romanzo e in chiusura recava l’augurio che qualche editore italiano pubblicasse l’opera al più presto (in Il Politecnico, i, 17, 19 gennaio 1946, p. 3). La conoscenza approfondita dell’opera di Wright da parte di Vittorini può farci supporre che egli avesse letto, o perlomeno consultato, anche il documentary book, 12 Million Black Voices.

34 Un’anteprima di The Inhabitants di Morris fu pubblicata da James Laughlin sul terzo numero della rivista New Directions del 1940. L’editore newyorkese a partire dal dicembre 1946 diverrà l’editore americano delle opere di Vittorini: tra i due si instaurerà un fitto carteggio dal quale possiamo desumere una conoscenza approfondita da parte di Vittorini delle pubblicazioni della casa editrice diretta da Laughlin ed in particolare dei numeri della rivista New Direction. Di seguito alcune lettere significative di Vittorini a Laughlin. Vittorini l’11 novembre 1946 scrive: «Caro amico James Laughlin, ho avuto da Lei la lettera e il bellissimo volume di New Directions. […] Mi piace moltissimo New Directions appunto per la sua capacità di dare tanti aspetti insieme e di tenere aperte tante strade insieme. È una splendida antologia vivente, e vorrei poterne vedere qualche altro numero, degli scorsi anni» (E. Vittorini, Gli anni del «Politecnico», p. 84). Il 27 gennaio del 1947 di nuovo: «New Directions mi piace moltissimo. Ho avuto un pacco di Vostri Libri che sono tutti bellissimi dal punto di vista tipografico» (E. Vittorini, Gli anni del «Politecnico», p. 103). Possiamo supporre che il pacco di libri ricevuti da Laughlin comprendesse i numeri arretrati di New Directions compreso quello del 1940 contenente l’anteprima di The Inhabitants di Morris (la rivista usciva annualmente in forma di volume antologico). Probabilmente non a caso Vittorini nel febbraio del 1950 proporrà a Laughlin la pubblicazione di una versione di In Sicily illustrata con fotografie.

35 E. Vittorini, ‘Cotone e tabacco’, Omnibus, ii, 12, 19 marzo 1938, p. 7. Ora anche in: Id., Letteratura arte… , pp. 13-16.

36 M. Rizzarelli, ‘Nostos fotografico, p. 17.

37 E. Vittorini, ‘La foto strizza, p. 200

38 Per un’analisi efficace di Vittorini come attento operatore editoriale e mediatore culturale, messa in campo seguendo le strategie inaugurate da Pierre Bourdieu, cfr. A. Boschetti, ‘Il passatore di frontiere’, in L. Gasparotto. (a cura di), Elio Vittorini. Il sogno di una nuova letteratura, Firenze, Le Lettere, 2010, pp. 177-198.

39 S. Antonielli, ‘Il primo…, p. 90.

40 M. Vangi, Letteratura e fotografia. Roland Barthes – Rolf Dieter Brinkmann – Julio Cortázar – W.G. Sebald, Pasian di Prato, Campanotto, 2005, p. 33.

41 E. Vittorini, ‘La foto strizza, p. 200.

42 G. Falaschi, ‘Introduzione’, p. 18-19.