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  • Un istinto da rabdomante. Elio Vittorini e le arti visive →

 

Composta dopo una lunga e travagliata redazione durata circa tre anni, durante i quali Vittorini si occupa con estrema cura di presiedere a tutte le fasi (dal reportage realizzato ad hoc in Sicilia nell’inverno del 1950 al disegno del layout di ciascuna pagina), l’edizione di Conversazione in Sicilia con le fotografie di Luigi Crocenzi rappresenta un caso originalissimo di fototestualità e una testimonianza fondamentale dell’interesse mostrato dallo scrittore verso i linguaggi della visualità.

Il volume, pubblicato da Bompiani nell’inverno del 1953 come libro strenna, riceve una pessima accoglienza dalla critica. I lettori degli anni Cinquanta, per i quali Conversazione in Sicilia rappresentava uno dei testi canonici della letteratura resistenziale, si trovano di fronte ad un’opera di sconvolgente modernità, che propone una tessitura fototestuale volta a dare risonanza alla trama simbolico-allegorica del romanzo e non riescono a comprenderne il significato e il valore. Persino un lettore d’eccezione come Eugenio Montale, per di più grande amico di Vittorini sin dal periodo fiorentino, storce il naso di fronte alla trasformazione del «libro documento» in «libro cosa», e avverte il lettore che si troverà dinnanzi all’inattesa richiesta di «compromesso» fra la Sicilia immaginaria, disegnata tra le pagine di Conversazione, e «l’isola reale» resa visibile dall’apparato fotografico (Montale 1966).

Enrico Falqui mette addirittura in dubbio l’utilità dell’accostamento di immagini ai testi:

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Una lettura del rapporto tra Vittorini e la fotografia non può prescindere dalla congenita ibridazione dei linguaggi rintracciabile sia nelle riflessioni teoriche, sia nell’effettivo utilizzo delle immagini fotografiche proposto dallo scrittore. Luoghi privilegiati di ‘esercizio visivo’ – dopo l’antologia Americana (1941) e prima del ritorno nella terra d’origine per l’edizione illustrata di Conversazione in Sicilia (1953) – i trentanove fascicoli del Politecnico, settimanale e poi mensile di cultura contemporanea, convogliano nell’immediato dopoguerra una serie di istanze di rigenerazione che agiscono tra i fogli della rivista attivando livelli molteplici di lettura e coinvolgendo tanto il paino contenutistico, quanto l’aspetto grafico, le componenti paratestuali e, non ultimo, il cospicuo apparato iconografico.

Uno sguardo alle pagine del Politecnico tradisce in maniera quasi immediata la frequenza, e incidenza, di fotografie organizzate in gruppi; è in essi che risiede spesso la chiave di volta dell’interpretazione relativa all’impiego delle illustrazioni nel periodico. Oltre che nel dialogo con le didascalie e con i testi, infatti, è nell’interazione delle immagini tra di loro che bisogna ricercare il nucleo semantico delle fotografie, tanto più se il piano metodologico incontra gli intenti espressi, appunto, da precise dichiarazioni di poetica di Vittorini:

 

Partendo da questo scritto, di capitale importanza ai fini di un’indagine sulle relazioni tra Vittorini e la fotografia, Giovanni Falaschi ha evidenziato la matrice cinematografica, nonché irrimediabilmente letteraria, della concezione vittoriniana della fotografia (cfr. Falaschi 1987, pp. 34-37); Maria Rizzarelli, curatrice della settima edizione di Conversazione in Sicilia, corredata dalle fotografie di Luigi Crocenzi, si è soffermata sulle «finalità narrative e non puramente didascaliche» delle fotografie nelle esperienze vittoriniane antecedenti al romanzo e ha posto l’accento sulle «potenzialità semantiche e diegetiche» offerte dall’utilizzo dei materiali iconografici da parte dello scrittore (Rizzarelli 2007, pp. V-VI); Giuseppe Lupo, recuperando gli spunti interpretativi rintracciabili nelle recensioni cinematografiche pubblicate da Vittorini sul Bargello negli anni Trenta, ha chiarito la scaturigine del rapporto di analogia che lo scrittore istituisce tra la narrativa e il cinema in quanto dinamica sequenza di fotogrammi, tra il racconto e il movimento generato dalle fotografie disposte in successione (cfr. Lupo 2011, p. 68-73). È un dato acquisito dalla critica, insomma, anche nei contributi più recenti, il nesso tra la concatenazione delle immagini e una componente narrativa che sovrasta l’identità della singola fotografia e che induce a ricercare il senso delle illustrazioni nel loro susseguirsi. Dalle parole dello stesso Vittorini scaturisce una considerazione del medium fotografico che paradossalmente prescinde dallo specifico della fotografia e si lega a doppio filo sia con la sintassi filmica che con il linguaggio verbale, e sovrappone e fonde insieme, oltretutto, le strutture di questi ultimi due codici in ragione di una esorbitante creatività di segno letterario. «Nessuna immagine era mai abbandonata a se stessa», ricorda Giuseppe Trevisani, «ma ognuna era costretta, tagliata, interpretata, scelta, forzata, reinventata sulla pagina: […] la fotografia era diventata per noi, in quegli anni, veramente lessico, cioè comunicazione e linguaggio» (Trevisani 1966, p. 36).

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Abstract: ITA | ENG

Nel dicembre del 1953 esce in Italia la settima edizione di Conversazione in Sicilia pubblicata da Elio Vittorini per Bompiani: frutto di un vero e proprio viaggio di reportage nella Sicilia dei primi anni Cinquanta, essa presenta un corredo fotografico di 188 scatti, la maggior parte dei quali a firma del fotografo marchigiano Luigi Crocenzi. Nel processo di riscoperta che ha interessato il fototesto vittoriniano negli ultimi anni, un aspetto su cui non ci si è ancora soffermati a sufficienza riguarda il ‘prequel’, la preistoria testuale da cui Conversazione illustrata scaturisce. Quest’articolo si propone di ricostruire brevemente quali testi possano aver influenzato Vittorini durante la composizione di Conversazione illustrata e come tra questi testi possano aver giocato un ruolo fondamentale quelli appartenenti al genere fototestuale americano del documentary book.

In December 1953, it has been released in Italy the seventh edition of In Sicily by Elio Vittorini, published by Valentino Bompiani: as a result of a real travel reportage in Sicily in the early Fifties, it shows a photographic complement made up of 188 shots, took for the most part by the photographer Luigi Crocenzi. In the process of revaluation that recently has involved the photo-text by Elio Vittorini, the ‘prequel’, the prehistory in which the text takes its origin, is an issue on which critics maybe has not yet focused enough. This article aims to reconstruct briefly which texts may have influenced Vittorini during the composition of the seventh edition of In Siciliy and how, between these texts, those belonging to the photo-textual genre of the American Documentary book may have played a key role.

 

Nel dicembre del 1953 esce in Italia la settima edizione di Conversazione in Sicilia pubblicata da Elio Vittorini per Bompiani: frutto di un vero e proprio viaggio di reportage nella Sicilia dei primi anni Cinquanta, essa presenta un corredo fotografico di 188 scatti, la maggior parte dei quali a firma del fotografo marchigiano Luigi Crocenzi.

A quest’edizione ormai celebre, in particolar modo negli ultimi anni, è stata dedicata particolare attenzione da parte della critica: attenzione che nel 2007 è culminata nella ripubblicazione dell’edizione anastatica, uscita presso Rizzoli per la cura di Maria Rizzarelli. La recente fortuna critica da una parte si può spiegare col fatto che Conversazione illustrata[1] rappresenta il primo vero esempio di photo-text che coinvolge un testo letterario a comparire in Italia nei primissimi anni Cinquanta: Un paese, di Zavattini e Strand, sarebbe comparso soltanto nell’aprile del ’54; Le feste religiose in Sicilia, di Sciascia e Scianna, risale al 1965 (per citare due esempi altrettanto celebri). Dall’altro lato ad attirare le riflessioni degli studiosi molto probabilmente è il carattere ambiguo del volume in cui è rappresentata in pieno quella lotta – che nel caso di Conversazione illustrata evolve addirittura in contesa legale –, quello struggle for territory tra testo e immagine teorizzato da Mitchell, e indicato da Cometa come una delle caratteristiche del genere fototestuale.[2]

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