Emma Dante, Feuersnot di Richard Strauss

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La nuova stagione del Teatro Massimo di Palermo è stata inaugurata da un’opera presente di rado nei cartelloni lirici: Feuersnot di Richard Strauss (prima rappresentazione a Dresda nel 1901). Dopo gli allestimenti realizzati alla Scala di Milano nel 1912 e al Carlo Felice di Genova nel 1938 (da segnalare anche l’esecuzione alla RAI di Torino nel 1973) il ‘poema cantato’ in atto unico su libretto di Ernst von Wolzogen torna sulla scena italiana, per la prima volta in lingua originale, accompagnato da una buona dose di curiosità; certamente dovuta – più che all’ascolto di uno Strauss quasi inedito – al debutto sul palcoscenico più prestigioso di Palermo di Emma Dante, artista poliedrica di rilievo ormai internazionale (a luglio approderà al festival di Avignone con Le sorelle Macaluso) ma da sempre in aperto conflitto con la sua città. Le tensioni che non senza ambiguità la legano all’antica capitale normanna, fonte inesausta di ispirazione e tormento, sono state in parte tematizzate nella prima esperienza cinematografica di Dante Via Castellana bandiera (pellicola tratta dal suo omonimo romanzo) che ha riscosso una serie di riconoscimenti tra cui la prestigiosa Coppa Volpi per l’interpretazione di Elena Cotta.

La scelta di occuparsi della regia di Feuersnot non è affatto casuale: come confessa la stessa Dante, è forte per lei il legame col protagonista della pièce, un presunto mago disadattato (per altro già alter ego di Strauss) osteggiato dalla sua città, una Monaco che sulla scena del Massimo assume le inconfondibili sembianze e le calde luci di Palermo. La trama dell’opera si sviluppa attorno ai contrasti amorosi tra Kunrad (che Dante trasforma in musicista emarginato dalla società) e la giovane Diemut che, per vendicarsi di un bacio ‘rubatole’ dallo sfrontato pretendente, lo espone al pubblico ludibrio lasciandolo sospeso in un cesto (nel nostro caso una sedia) davanti la sua finestra. Kunrad, ferito nel suo orgoglio, spegne per ripicca tutti i fuochi della festa di San Giovanni, intimando che la luce potrà tornare solo se nei cuori si riaccenderà il vero amore. Diemut, pentita, non può che accogliere Kunrad nella sua stanza, consentendo il ritorno del fuoco e la continuazione della festa.

Nello spettacolo si possono riscontrare facilmente le cifre peculiari della regista, a cominciare dall’impiego di attori e comparse per lo sviluppo di una gestualità acrobatica e, prima ancora, di una trama narrativa che intreccia come fili i corpi sulla scena. Innesti provocatori a contorno della drammaturgia complessiva e scarnificazione dello spazio scenico (il cui progetto è affidato a Carmine Maringola), sono le linee di continuità nella prassi di Dante che, lo ricordiamo, non è nuova al mondo della lirica: la sua iniziazione – quanto mai prestigiosa – è avvenuta nientemeno che alla Scala di Milano con Daniel Baremboim per la messinscena di Carmen, inaugurazione della stagione 2009-2010. La seconda commissione per Dante è arrivata nel 2012 dall’Opéra Comique di Parigi per la mise en scène de La muette de Portici di Auber, testo assai affascinante per l’audace mutismo della protagonista costretta al solo linguaggio del corpo; l’allestimento è giunto poi al Teatro Petruzzelli di Bari nel marzo 2013. In entrambe le occasioni, Carmen e La piccola muta, Dante ha dato prova del suo talento, informando la scena con sensibilità spiccatamente mediterranea e utilizzando la sensualità erotica come passepartout per la declinazione dei testi. Una riforma rispetto alle incrostazioni interpretative che si sono stratificate divenendo tradizione, ma pur sempre dentro la cornice! Per Feuersnot invece la regista rincara la dose, puntando a sgretolare il telaio del quadro con l’immissione di nuove pratiche che disarticolino le convenzioni del teatro d’opera.

Le intenzioni di Dante si colgono non appena si mette piede in sala: sipario aperto, palcoscenico completamente vuoto e con l’intero perimetro a vista; solo qualche decina di comuni sedie di legno sospese in prossimità del proscenio, a mo’ di installazione da Biennale d’arte. Il detournement subìto dalle sedie è però temporaneo: alcune di esse ‘scenderanno’ infatti al momento opportuno per consentire il prosieguo del dramma e la costruzione di nuove geometrie prossemiche. Con la buca ancora vuota Kunrad sopraggiunge da dietro le quinte verso la ribalta; è intento a scrivere la sua musica ed è seguito da una processione di bizzarri giocolieri, saltimbanchi e artisti di strada impersonati dai trenta attori della Compagnia degli Illuminati. Sebbene sia ormai usuale far iniziare la performance scenica ancor prima del preludio orchestrale, ciò di solito avviene sotto lo sguardo vigile del direttore d’orchestra, pronto ad agitare la sua bacchetta. In questo caso invece bisogna attendere la discesa del fondale (una parete stile patchwork con finestre di differenti fattezze) e l’inizio di una sorta di flash mob degli attori in scena prima che i musicisti e il direttore prendano posizione nel golfo mistico; ma non è finita: comincia infatti una finta accordatura degli strumenti, tappeto sonoro per gli attori adesso disposti su file parallele e intenti a realizzare una sequenza di tableaux. Questo stravolgimento del protocollo, a mio avviso incapace di apportare reale pregnanza semantica alla drammaturgia complessiva, si protrae per una lunga serie di minuti prima che inizi effettivamente la rappresentazione. Lo sguardo dello spettatore, già un po’ disorientato, viene adesso avvolto da una dirompente tensione cinetica: l’intero palcoscenico, colmo per la presenza dei cantanti e di due cori (c’è anche quello di voci bianche), è percorso in lungo e in largo dalle trenta comparse intente in una gestualità stilizzata, astratta, parodistica, che molto ricorda la messinscena del Barbiere di Siviglia di Dario Fo, in cui una pletora di maschere della commedia dell’arte invadeva la scena generando più che altro confusione (in semiotica si direbbe ‘rumore’).

Piuttosto problematica, dal punto di vista della scrittura scenica, è la sequenza in cui – a seguito del sortilegio – il palcoscenico (didascalicamente) perde luce e colore appiattendosi in un’ombra che a lungo andare annoia lo sguardo dello spettatore. Di tutt’altra tinta, invece, il finale dell’opera: gli onnipresenti attori, prima apparsi addirittura in mutande e usciti di scena solo in una sezione del duetto tra Kunrad e Diemut, si abbandonano a una iniziatica e conturbante danza del fuoco, agitando con le mani ampie stole color rosso e arancio. La scena è un tripudio festoso che molto ricorda la densità cromatica della vucciria palermitana.

Il risultato complessivo è uno spettacolo contaminato in cui i vari ‘testi’ che concorrono alla drammaturgia complessiva tendono perlopiù a scontrarsi, sprigionando momenti di robusta spettacolarità. La regia di Dante impone un sistema di segni che alla lunga mette in secondo piano la partitura musicale, non sempre valorizzata dalla controllata direzione di Gabriele Ferro; il consenso di pubblica e critica, in ogni caso, vale come risarcimento dell’impresa.

Feuersnot

Poema cantato in un atto

Musica di Richard Strauss

Libretto di Ernst von Wolzogen

Nuovo allestimento del Teatro Massimo

Direttore: Gabriele Ferro

Regia: Emma Dante

Scene: Carmine Maringola

Costumi: Vanessa Sannino

Luci: Cristian Zucaro

Movimenti: Sandro Maria Campagna

Assistente alla direzione musicale: Fabio Maestri

Assistente alla regia: Giuseppe Cutino

Assistente alle scene e costumi: Mara Ratti

Assistente ai movimenti: Elena Borgogni

Interpreti

Alex Wawiloff (Schweiker von Gundelfingen), Rubén Amoretti (Ortolf Sentlinger), Nicola Beller Carbone (Diemut), Christine Knorren (Elsbeth), Chiara Fracasso (Wigelis), Anna Maria Sarra (Margret), Dietrich Henschel (Kunrad), Michail Ryssov (Jörg Pöschel), Nicolò Ceriani (Hämmerlein), Paolo Battaglia (Kofel), Paolo Orecchia (Kunz Gilgenstock), Cristiano Olivieri (Ortlieb Tulbeck), Irina Pererva (Ursula), Francesco Parrino (Ruger Asbeck), Valentina Vitti (Walpurg), Francesca Martorana (Ein grosses Mädchen)

Attori

Federica Aloisio, Stefano Vona Bianchini, Remi Boissy, Chiara Breci, Mirko Bruno, Viola Carinci, Lorenzo Covello, Federica Cuccia, Gabriella D’Anci, Dimitri D’Urbano, Clara De Rose, Roberto Galbo, Giulia Sarah A. Gibbon, Silvia Giuffrè, Danilo Giuva, Francesca Laviosa, Federica Marullo, Emilio Marchese, Elisa Parrinello, Mauro Pasqualini, Vittoria Pirrone, Giuseppe Sangiorgi, Daniele Savarino, Giuliano Scarpinato, Valerio Tambone, Giovanni Tuzza, Emilia Verginelli, Alexandre Vella, Giuseppina Vicari, Paola Santa Virgilio

Orchestra, Coro e Coro di voci bianche del Teatro Massimo

Maestro del coro: Piero Monti

Maestro del coro di voci bianche: Salvatore Punturo