La ‘rigenerazione’ e la ‘rinascita’, il ‘ricominciare’, il ‘ricostruirsi’ da capo sono parole chiave che spesso vengono associate al racconto della persona pubblica dell’attrice e presentatrice televisiva Ambra Angiolini. Associazioni che vengono proposte da altri, o direttamente da lei stessa, come è possibile riscontrare in molte interviste rilasciate in tempi recenti.
Così, nella video intervista per il magazine online «Déluge» nell’ottobre 2021, Angiolini commenta ironicamente la frase che accompagnava un suo post di auguri pasquali del 4 aprile 2021 – «Ho ricominciato così tante volte nella vita che Pasqua è diventata il mio secondo compleanno» – dicendo che si è trattato di uno dei «rari deliri di onnipotenza» della sua vita [fig.1]. In una recentissima intervista rilasciata a «Vanity Fair» nell’estate 2022, definisce questo suo sapersi «rifare da capo» (spesso dopo che la sua vita privata è stata resa pubblica senza il suo consenso) con queste parole: «l’ennesimo superpotere che è stato attribuito a questa mia esistenza targata Marvel». In entrambi i casi, Angiolini usa il tono giocoso e scanzonato, autocritico e autoironico allo stesso tempo, che oramai la contraddistingue. E, tuttavia, negli stessi momenti in cui abbraccia la fama di eterna e tenace ‘Araba Fenice’, tenta allo stesso tempo di smarcarsene, rivendicando non solo totale libertà e leggerezza nelle proprie relazioni private, ma anche un’agency nuova sulle sue scelte professionali, da sempre improntate all’ecclettismo tra televisione, radio, teatro e cinema.
Un cardine della celebrity persona di Angiolini è indubbiamente la nota piattaforma di micro-blogging fotografico Instagram, all’interno della quale cura, dal 2014, un profilo da circa 1 milione di follower, citato spesso anche nelle interviste che la riguardano.
La dinamica di artefatta trasparenza che attraversa la dialettica pubblico/privato all’interno dei social media è stata ampiamente analizzata, in particolare per quanto riguarda la commistione che si verifica sulle piattaforme tra stili comunicativi tipici della celebrity culture e quelli più propriamente attribuibili alle cosiddette microcelebrity, come vengono definiti da Abidin (2018) i personaggi nati esclusivamente sui social media. Se la costruzione della celebrity contemporanea si genera a partire da un linguaggio di ‘intimità’ come «parola, concetto, pratica, bene commerciale che brilla dal suo interno» (Redmond, p. 36), ecco che ogni aspetto del privato diventa in questo caso un asset importante nella costruzione di un sé leggibile per il pubblico di riferimento, con il quale la celebrity deve in qualche modo sentirsi in sintonia, in una dinamica di rispecchiamento, riconoscimento e identificazione riassumibile con il termine di relatability (Kanai 2019). Un tipo di dinamica doppia – il rispecchiamento e la messa a valore di elementi legati alla propria persona – che si espande all’interno di performance estremamente ‘genderizzate’, sia per quanto riguarda la star che per quanto riguarda il suo pubblico.
Se altrove ci siamo interessate alle pratiche di costruzione della relatability per quanto riguarda le giovani star emergenti, sempre attraverso i social media (Tralli 2021), riteniamo significativo soffermarci qui su un tipo di percorso artistico e di costruzione della celebrity differente, quello di Ambra Angiolini che – per età anagrafica e maturità della carriera – invoca categorie differenti.
Dopo aver raggiunto la notorietà appena quindicenne nel programma cult degli anni Novanta Non è la Rai – e aver spaziato tra la conduzione televisiva, la musica e la recitazione sia a teatro che per il cinema – Angiolini ha acquisito un pubblico di età variegata ma costituito in larga parte da persone che sono quasi letteralmente cresciute con lei e che la vedono come una figura ricorrente del proprio panorama mediale, con la quale è possibile identificarsi (cosa che viene ribadita nei commenti a quasi tutti i suoi post). Quarantacinque anni, due figli, un divorzio e svariate relazioni sentimentali non fortunate alle spalle, Angiolini offre un tipo di persona pubblica in cui potenzialmente rispecchiarsi a un pubblico non particolarmente rappresentato nel panorama nazionale.
Il personaggio pubblico che Angiolini esprime attraverso il suo profilo Instagram – affettuosamente e ironicamente rinominato Ambragram – abbraccia appieno molte delle caratteristiche attribuibili a una relatable celebrity, insistendo in particolare sulla presunta ‘mancanza di filtri’, espressa in un connubio particolarmente efficace di giocosità e vulnerabilità [fig. 2].
L’Ambragram, infatti, contiene un intreccio equilibrato tra contenuti di pubblicistica ‘ufficiale’ e contenuti personali, che spaziano da riflessioni sulla sua vita privata a foto e video in cui sono presenti i suoi affetti, in particolare la figlia diciottenne Yolanda Renga. È proprio intorno a questa ‘casa digitale’ che si muove la nostra riflessione, a cavallo fra lo spazio domestico virtuale e quello ‘reale’, abitato, utilizzato e messo a frutto da Angiolini per comunicare una personalità pubblica sfaccettata, vulnerabile e scanzonata allo stesso tempo.
1. Lo spazio domestico tra identità, cura e messa a valore del sé
A lungo all’interno degli studi e degli scritti femministi, la casa e lo spazio domestico sono stati descritti e interpretati come luoghi di oppressione patriarcale, di reclusione e abuso, di isolamento, di radicamento di quella divisione sessualizzata della vita che relega le donne a un ruolo marginale e subordinato. Questa lettura della casa come luogo dello sfruttamento e dell’oppressione senza possibilità di uscita non ne ha solo snaturato il ruolo come perno della quotidianità, ma ha soprattutto reso invisibile il ruolo che tante donne avevano avuto nel rendere questi luoghi ospitali e vitali. Sono state riflessioni successive, come quelle celebri di Iris Marion Young nel suo House and Home: Feminist Variations on a Theme (1997) a proporre letture diverse dello spazio domestico, inteso come un luogo di potenzialità, luogo di cura e luogo di immaginazione.
Young si concentra, infatti, sul lavoro di cura della casa (da lei identificato come preserving, ‘preservare, coltivare’) che è ben più creativo, attivo e radicale delle semplici attività di house-keeping, di pulizia e gestione materiale della casa. Young lo definisce un home-making, un ‘fare casa’, ‘creare-casa’ che in realtà si distanzia sostanzialmente da tutto il portato patriarcale e oppressivo del ‘mantenimento della casa’ tradizionalmente inteso. La studiosa sostiene che quest’altro volto dello spazio domestico è visibile solo se iniziamo a intendere la casa come una «materializzazione dell’identità» (p. 139), luogo che ospita gli oggetti personali, scelti o ereditati o capitati che siano, disposti nello spazio sempre in base alle abitudini e necessità dei singoli soggetti (o influenzati dalle norme sociali). Ma anche luogo che materializza il sedimentarsi degli strati della storia personale, man mano che esperienze, relazioni e oggetti vengono in essa accumulati: così come le identità e le storie, anche le case sono un processo in costante divenire.
Quest’idea così complessa della casa e degli spazi della domesticità che, come dice Young, diventano «stratificati di significati e valori personali come indicatori materiali di eventi e relazioni» (p. 140), una casa che è in un certo senso un’appendice dell’io, e che è coinvolta in atti essenziali di cura e costruzione del sé, si interseca a nostro avviso in maniera particolarmente interessante con tutte quelle pratiche che fanno parte della costruzione della soggettività online fondata su un tipo di performance e condivisione del sé che rientra nel grande termine ombrello di affective labor, lavoro affettivo (tra i molti contributi sul tema, segnaliamo Jarrett, Wetherell e Hochschild). Questa condivisione che intreccia la persona allo spazio che abita è strumentale alla creazione di una connessione ‘emotiva’ con il pubblico prodotta «attraverso un lavoro che riflette l’esperienza comune come una nozione desiderabile a un pubblico sconosciuto» (Kanai, p. 4). Nel caso di Angiolini – come in molti altri – lo spazio abitato, curato e ‘reso casa’ è duplice: non solo la casa ‘reale’ ma anche quella virtuale che con pratiche, strategie e scelta dei dettagli vengono entrambe usate per comunicare al pubblico una certa idea del sé.
2. Lo spazio della celebrity caotica e vulnerabile
Angiolini si muove in maniera fluida e coerente tra i due poli che caratterizzano la sua immagine pubblica: la disposizione a un racconto estremamente vulnerabile del sé e la giocosità e scarsa propensione a prendersi troppo sul serio. Ognuno di questi elementi si riflette nell’uso che fa del suo spazio domestico reale e di quello virtuale di Instagram. Le stanze della sua casa che compaiono nei post sono spazi percepiti come non artefatti: divani pieni di oggetti, letti con le coperte e le lenzuola disfatte, la libreria nera con ben evidenti le foto di famiglia, la cucina con oggetti sparsi sul bancone, ma anche il salotto della casa della madre. Allo stesso modo appaiono ‘normali’ gli scatti personali, ben lontani da quell’uso estetizzante di Instagram fatto di foto curate, sfondi minimalisti, frequente uso del bianco e nero e didascalie brevi. Anche il semplice colpo d’occhio nell’aprire il feed dell’Ambragram ci rimanda una sequenza che risalta nella sua ordinarietà: scatti sgranati o poco illuminati, filtri buffi per i selfie con la figlia Yolanda, fiori regalati per il compleanno fotografati di fronte a un termosifone [fig. 3], post di accompagnamento pieni di giochi di parole, parzialmente in maiuscolo, caratterizzati da uno humor scanzonato, che riesce a scherzare anche e soprattutto sugli aspetti più complessi della sua vita privata resa pubblica. Tra i tanti esempi, possiamo considerare i post e video accumulatisi nel tempo che riguardano i suoi compleanni, particolarmente esemplificativi di questa strategia: nessuna torta o festa elaborata in locali ma sempre in casa, con torte, candeline e regali ordinari, pelouche e doni scherzosi preparati dai figli, riprese tremolanti del momento del soffio delle candeline dal tocco decisamente amatoriale [fig.4]. Film di famiglia che contengono tutte le marche di un quotidiano simile a quello di tante, condivisi tuttavia con un milione di follower.
L’elemento amatoriale e ‘non curato’ – così tipico di una strategia comunicativa che tenta di esprimere una certa caoticità della persona pubblica Angiolini, quella che nel linguaggio del gossip verrebbe chiamata una messy celebrity – trova poi il suo apice in alcuni video registrati durante i mesi dei lockdown, tra il 2020 e il 2021. Un momento in cui la sua casa – esattamente come quelle di migliaia di persone comuni – corrisponde all’unico spazio di vita in cui cercare di fare passare un tempo sospeso e dilatato. Ecco allora che Angiolini registra una serie di balletti ‘in stile TikTok’ che riproduce insieme alla figlia Yolanda. In uno di questi, madre e figlia ballano assieme vestite con dei pigiami coordinati dai disegni colorati, entrambe senza trucco [fig. 5]. In un altro, ballano assieme alla nonna nel salotto dai mobili in legno della casa di quest’ultima, ancora una volta uno spazio assolutamente ordinario.
Sempre in questo periodo di stop forzato dalle scene, abbondano altri video dedicati alle canzoni di Sanremo o scenette con il cagnolino di casa, così come i post ironici sulla possibilità di fare vacanze in casa in zona arancione attraverso i travestimenti [fig. 6] o sulle idiosincrasie e paure generate dal costante bombardamento di notizie sulla pandemia. Tutta questa serie di contenuti, che ha per ovvie ragioni al centro lo spazio domestico, mostra i tentativi di passare il tempo nei lunghi mesi di chiusura, creando una forte connessione con tutto il suo pubblico.
Angiolini mantiene questo tono ironico e scanzonato anche nei momenti in cui condivide aspetti più intimi e complicati della sua vita, uniformandosi alle modalità tipiche del linguaggio di intimità della celebrity negli spazi di relatability virtuale per le quali è possibile parlare di fatti ‘scomodi’ solo attraverso l’autoironia e la risata. Come sostiene Kanai, una delle caratteristiche principali della relatability si situa nella capacità di veicolare l’idea del get by, del mostrare di potercela fare a superare le difficoltà della vita, queste ultime a loro volta messe in campo per poter agganciare il pubblico sulla base della somiglianza.
Come sostenevamo in apertura, l’immagine pubblica di Angiolini è fondata sul tema della perenne ricostruzione del sé, che il suo pubblico ama particolarmente.
Nel caso di Angiolini, l’attrice non fa mistero delle proprie vicende sentimentali, come il divorzio dal padre dei suoi figli, il cantante Francesco Renga, o dalla separazione dal suo ultimo compagno, avvenuta a mezzo stampa in maniera abbastanza brutale. Sono vari i post in cui Angiolini mostra la sua famiglia ‘diversa’, o in cui ammette le difficoltà delle sue separazioni. Tuttavia, la presenza costante dei suoi figli e della loro casa radica la sua persona pubblica nell’immagine di una madre ‘atipica’ ma estremamente amorevole, legata a filo doppio alla sua famiglia. Le dichiarazioni d’amore dedicate ai suoi figli, spesso con foto del presente e del passato che li ritraggono assieme, scatti estemporanei, non artefatti, in cui raramente sono in posa, sono un tipo di contenuto particolarmente ricorrente nel suo feed, che ancora una volta trasforma la sua casa virtuale in un gigantesco album di famiglia più che in un profilo prefessionale come quello di molte sue colleghe.
Ma indubbiamente la vulnerabilità maggiore che Angiolini ha condiviso con il pubblico negli ultimi anni è stata la discussione aperta del suo passato di disturbi alimentari, raccontati anche nella sua recente autobiografia InFame (2020). Anche in questo caso, Angiolini non ha mai lesinato aperture pubbliche ed endorsement ad associazioni e ospedali. Il suo corpo tonico e allenato viene mostrato spesso, così come il suo volto, struccato o truccato, in innumerevoli selfie. C’è tuttavia una delicatezza di fondo in questa mostrazione di un corpo la cui presenza riconduce sempre – per sé e per il pubblico – all’elemento patologizzante dei disturbi alimentari: i selfie sono accompagnati da didascalie ironiche sul tempo che passa [fig. 7], o sul fatto che assumere pose sexy per confezionare un autoritratto sia «da matte»; il corpo integrale è quasi sempre in movimento, spesso mentre balla, in casa o nella sala della sua palestra [fig.8]. Piccole strategie, queste, che però segnalano un’attenzione nel mettere al centro il gioco e il piacere dell’attività fisica, a discapito del controllo sulla conformazione del corpo stesso. Il corpo risulta così ‘autentico’ anche perché mostrato nello spazio della quotidianità domestica.
Tra balletti, scatti sfocati, scenette in salotto e il caos di ambienti reali e virtuali vissuti ‘normalmente’, ecco che è possibile leggere l’Ambragram proprio come la «materializzazione dell’identità» intesa da Young, uno spazio in cui la persona pubblica, ‘giocosa e vulnerabile’ di Angiolini trova un suo spazio di rispecchiamento e il pubblico un canale di identificazione.
Bibliografia
A. Angiolini, InFame, Milano, Rizzoli, 2020.
C. Abidin, Internet celebrity. Understanding Fame Online, Bingley, Emerald Publishing Limited, 2018.
C. Del Zanno, ’You Belong to Us. Starring Ambra Angiolini’, Déluge #1, ottobre 2021, <https://delugemagazine.com/interview/ambra-angiolini/> [accessed 20 september 2022).
A.R. Hochschild, The Managed Heart: Commercialization of Human Feeling, Berkeley, University of California Press, 2003.
K. Jarrett, Feminism, Labour and Digital Media: The Digital Housewife, Londra-New York, Routledge, 2015.
A. Kanai, Gender and Relatability in Digital Culture. Managing Affect, Intimacy and Value, Cham, Palgrave MacMillan, 2019.
S. Nucini, ‘Ambra Angiolini: «Ce l'ho fatta di nuovo»’, Vanity Fair, 16 agosto 2022, <https://www.vanityfair.it/article/ce-lho-fatta-di-nuovo-copertina-ambra-angiolini> [accessed 20 september 2022).
S. Redmond, ‘Intimate Fame Everywhere’ in S. Holmes, S. Redmond (a cura di), Framing Celebrity. New Directions in Celebrity Culture, Londra-New York, Routledge, 2006, pp. 27-44.
L. Tralli, ‘«Sono una ragazza fortunata». La costruzione della celebrity delle giovani attrici italiane su Instagram’, in L. Cardone, F. Polato, G. Simi e C. Tognolotti (a cura di), [Smarginature] Sentieri selvaggi. Cinema e Women’s Studies in Italia, Arabeschi, n. 18, luglio-dicembre 2021, <http://www.arabeschi.it/34-sono-una-ragazza-fortunata--la-costruzione-della-celebrity-delle-giovani-attrici-italiane-su-instagram/> [accessed 20 september 2022].
I.M. Young, ‘House and Home. Feminist Variations on a Theme’ in Id., On Female Body Experience: “Throwing like a Girl” and Other Essays, Oxford, Oxford University Press, 2005, pp. 123–54.
M. Wetherell, Affect and Emotion: A New Social Science Understanding, Los Angeles, SAGE, 2012.