Manifesto 1985: dal testo critico alla sua traduzione in video. Riflessioni sul recupero del manifesto programmatico nell’ambito della computer art italiana

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Il Manifesto 1985, ideato dal critico Enrico Cocuccioni, è un video di quasi cinque minuti dedicato alla computer art. Nato come testo critico dal linguaggio fortemente allegorico, è stato dapprima tradotto in uno storyboard e poi trasformato in un video, usando le stesse tecnologie a cui esso è dedicato. Realizzato nel centro di produzione video più all’avanguardia nell’Italia degli anni Ottanta, la SBP CGE, il video affronta il problema della rappresentazione artistica nel panorama delle comunicazioni di massa e dei nuovi media. Il saggio analizza il passaggio dal testo scritto al linguaggio dinamico del video, interrogandosi sulla trasformazione del genere letterario del manifesto da parte delle tecnologie digitali. Attraverso altri esempi, riflette inoltre sul recupero del manifesto programmatico, un tipo di testo ampiamente usato dai movimenti d’avanguardia e molto raro negli anni Ottanta. 

Manifesto 1985, conceived by the critic Enrico Cocuccioni, is an almost five minutes video devoted to computer art. Born as a critical text with a deeply allegorical language, it was first translated into a storyboard and then it became a video, made with the same technology that it deals with. Realized in the most innovative Italian video production centre of the Eighties (SBP CGE), the video deals with the problem of the artistic representation in the landscape of mass communication and new media. The paper analyses the passage from written text to the dynamic language of video as well as the transformation of the manifesto as a literary genre by digital technologies. Through other examples, it also reflects on the rehabilitation of the programmatic manifesto, a kind of text extensively used by the avant-garde movements and very rare during the Eighties.

 

1. Tra testo e immagini.

Il 30 marzo 1985 il Lavatoio Contumaciale di Roma ospita il dibattito La critica dell’arte: confronti, a cura di Filiberto Menna e Lamberto Pignotti.[1] In questa occasione Enrico Cocuccioni presenta il Manifesto critico. L’arte tra videostasi e neosofia, un testo con cui annuncia un’arte che non può solo ripiegare sul passato, ma deve aprirsi alle nuove tecnologie.[2] Sebbene non vi sia un esplicito riferimento, dal testo si evince un’allusione alla scena artistica che in quegli anni stava prendendo forma attorno all’uso del computer e di cui Cocuccioni in Italia è tra i primi a occuparsi in qualità di critico.[3] Lo scritto sarà poi tradotto in uno storyboard con una piccola variazione nel titolo (Manifesto 1985. L’arte tra videostasi e neosofia), corredato da puntuali e lunghe didascalie, in previsione di una sua traduzione in video.[4] Qualche mese più tardi è in questa nuova forma visiva e dinamica che sarà presentato al VideoArt Festival di Locarno (3 – 7 agosto 1985), privo del sottotitolo L’arte tra videostasi e neosofia e accompagnato da un nuovo testo intitolato Un manifesto critico in videoclip.[5] Come spiegato da Cocuccioni in quest’intervento, il video è frutto di una rielaborazione del manifesto teorico e intende «evocare, in forma sintetica e metaforica, quasi con un linguaggio da spot pubblicitario, l’attuale condizione storica dell’arte in rapporto alla nuova realtà tecnologica».[6]

Rispetto allo storyboard, il video presenta notevoli differenze. Vi si ritrovano la maggior parte delle sequenze disegnate in fase di progettazione ma esse passano in secondo piano rispetto all’aggiunta di molte altre immagini animate da effetti computerizzati. La forte simbologia dello storyboard viene così attenuata: il ricorso al video implica una ridefinizione del linguaggio, più dinamico e naturalmente visuale.

Il Manifesto 1985 è realizzato nel centro tecnologicamente più all’avanguardia d’Italia in questi anni, la SBP CGE (Computer Graphics Europe) di Roma,[7] da un’équipe coordinata dal direttore artistico Gianni Blumthaler e composta, oltre che dall’autore del manifesto, dal regista Marco Marocchini, dalla musicista Adriana Fischer e da un gruppo di tecnici e ingegneri.[8] Non si tratta dunque di un lavoro creato in autonomia, né tantomeno con l’uso di un comune personal computer, ma di una sorta di saggio - di quasi cinque minuti - delle più aggiornate tecniche di postproduzione. Guardandolo oggi, questo video-manifesto potrà apparire lento e ingenuo, ma più di trent’anni fa l’obiettivo ricercato dall’équipe della SBP CGE era decisamente un altro. L’animazione computerizzata era infatti il mezzo attraverso cui comunicare uno scenario futuristico. Tuttavia, il Manifesto 1985 non sfrutta solo le immagini, ma anche le parole del testo critico da cui nasce, creando un compromesso tra il dinamismo degli effetti speciali e il linguaggio fortemente simbolico e per nulla immediato usato da Cocuccioni.

Il decennio degli anni Ottanta è stato consegnato alla storia come un momento di anacronismo e di ripiegamento sul passato, legato alla nascita di movimenti artistici che recuperano le tecniche tradizionali. In tale contesto è raro trovare quell’intenzionalità condivisa che nelle avanguardie storiche, in ambito tanto artistico quanto letterario, ha prodotto testi programmatici come i manifesti. Il video realizzato alla SBP CGE nasce proprio dalla volontà di sfruttare un mezzo contemporaneo per reinventare il manifesto, ponendosi così in ideale continuità con le avanguardie e con il loro impulso all’innovazione, rappresentato, nell’era dei nuovi media, dal ricorso alle tecnologie informatiche.

La sperimentazione artistica, che sembra essersi esaurita negli anni Ottanta con il ritorno alla pittura, trova un terreno fertile nei mezzi elettronici. Lo scenario italiano non è certamente paragonabile a quello degli Stati Uniti, dove l’università contribuisce alla ricerca tecnologica, né a quello di Paesi europei come la Francia, dove gli artisti sono sostenuti dall’Institut National de l’Audiovisuel.[9] In Italia la ricerca artistica legata al video e al computer nasce spesso da esperienze isolate, di singoli o collettivi, ed è più raramente legata ai centri di ricerca tecnologica che sono gli unici a poter offrire accesso a mezzi professionali. Tra questi rientrano il Settore Ricerca e Sperimentazione Programmi della Rai, chiuso però nel 1987,[10] e naturalmente la SBP CGE che accanto a una produzione con finalità prettamente commerciali, porta avanti anche una ricerca artistica, inserendosi nel panorama della computer art. Il Manifesto 1985 ben esemplifica tale apertura e nasce in un momento in cui il centro romano partecipa attivamente alle attività promosse dall’associazione di computer art Il Pulsante Leggero, fondata nel 1983 da Rinaldo Funari con il supporto critico di Cocuccioni.[11]

Un’analisi del manifesto e del relativo storyboard e un confronto con il video saranno utili a comprendere il passaggio dalla parola scritta alle immagini su schermo, evidenziando il modo in cui le dichiarazioni perentorie tipiche dei manifesti sono tradotte nel linguaggio visivo.

Nel Manifesto critico Cocuccioni annuncia la nascita di una nuova epoca che decreterebbe la fine di un’intera era geologica: «siamo finalmente nell’orizzonte del Quaternario»,[12] scrive con un tono profetico molto comune alla tipologia testuale dei manifesti. Da questa prima versione fino alla sua traduzione in video è mantenuto un ampio ricorso alle immagini allegoriche, altro espediente non del tutto estraneo alla tradizione di tale genere letterario, come già nei marinettiani Fondazione e manifesto del Futurismo e Uccidiamo il chiaro di luna.[13] In un gioco citazionista, come si vedrà ancor più evidente nel video, il critico esordisce ricalcando l’incipit del celeberrimo manifesto di Marx ed Engels, che viene così modificato: «uno spettro si aggira per l’Europa – lo spettro dell’equilibrismo».[14] L’autore introduce così una prima allegoria: l’arte europea si troverebbe in una condizione equilibristica tra salvaguardia di alcuni valori tradizionali e innovazione tecnologica. Secondo Cocuccioni: «l’arte oggi non può certo limitarsi ad assumere atteggiamenti difensivi, di chiusura, di ripiegamento sul passato, ma ‘deve’ semmai aprirsi verso il creativo, verso un eclettismo anche tecnico che tenga conto delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie dell’immagine».[15]

 Enrico Cocuccioni, Manifesto critico. L’arte tra videostasi e neosofia, 1985, dattiloscritto, Archivio Il Pulsante Leggero

Quella dell’equilibrista è una metafora che Cocuccioni ribadisce e descrive nell’intervento al Festival di Locarno, ma di cui si perdono le tracce nel video. L’ambivalenza di un atteggiamento che guarda tanto al passato quanto al presente (e al futuro) è qui resa diversamente: se lo storyboard è incentrato su una successione di figure allegoriche, nel video si aggiungono a esse un gran numero di immagini. Il Manifesto 1985 si presenta come un grande collage elettronico che fonde frammenti della tradizione con richiami al futuro tecnologico: le opere del passato ‒ per lo più dipinti – sono animate da effetti speciali e giustapposte a foto di macchine industriali e scenari spaziali.

 Enrico Cocuccioni e team SBP-CGE, Manifesto 1985, 1985, still da video

Lo storyboard sviluppa, attraverso una serie di simboli e allegorie, i concetti che nel testo critico rimangono più generali. Subito dopo il titolo, compare una mano che impugna una penna di piuma ‒ richiamo a uno strumento di scrittura del passato ‒ inquadrata dalla cornice di un televisore.

 Enrico Cocuccioni, Manifesto 1985. L’arte tra videostasi e neosofia, 1985, storyboard p. 1 di 5, Archivio Il Pulsante Leggero

Nel video, abbandonata la piuma, rimane solo un monitor che fa da sfondo, alla dichiarazione: «siamo nell’epoca del Pulsante Leggero», annunciata già nel testo critico.

Il riferimento è naturalmente all’associazione presieduta da Rinaldo Funari, la cui nascita è sancita da un testo firmato da Cocuccioni e pubblicato, nel dicembre 1983, sul periodico 50 x 70. L’articolo descrive il computer come strumento creativo che, pur costringendo l’artista all’adozione di un linguaggio logico–matematico fatto di formule e cifre, può presiedere anche ai processi artistici più ‘informali’ e imprevedibili, fuori dalla rigidità delle norme prestabilite.[16]

L’espressione ‘pulsante leggero’ è un chiaro riferimento alla tastiera dei calcolatori elettronici e, più precisamente, al personal computer, comparso da pochi anni sul mercato[17] e approdato anche nel contesto artistico. Il concetto della leggerezza condensa inoltre una moltitudine di riferimenti. Vi si ritrovano l’immaterialità dell’immagine elettronica, l’agilità dei tasti del computer, che non sono pesanti e rumorosi come quelli di una macchina da scrivere, ma anche il significato della parola software. È infine un concetto che ben descrive il clima culturale degli anni Ottanta, con il suo individualismo, il culto del loisir e la concezione estetizzante della vita, così distanti dall’impegno politico del decennio precedente.[18] Nel Manifesto 1985, la leggerezza è anche implicita nell’uso, da parte di un critico, di un linguaggio che non è di sua competenza, quello del video.

Nello storyboard Cocuccioni traccia un percorso che va dalla perfezione dei solidi platonici, «metafora della pura essenza verso cui tende il pensiero teoretico»,[19] fino all’età del ‘pulsante leggero’. La conclusione è una figura già disegnata in filigrana nel dattiloscritto del Manifesto critico e mantenuta come chiusura del video: una ballerina, personificazione della leggerezza e riferimento nietzschiano alla danza come metafora dell’affrancamento dalle verità assolute.[20] Cocuccioni legge la rappresentazione artistica come creazione di simulacri della realtà, tra i quali rientrano tanto le immagini digitali quanto la prospettiva rinascimentale. Quest’ultima è evocata nel Manifesto 1985 da un disegno del Battistero di Firenze, allusione all’esperimento di Brunelleschi descritto dal Manetti.

 Enrico Cocuccioni, Manifesto 1985. L’arte tra videostasi e neosofia, 1985, storyboard p. 2 di 5 - Archivio Il Pulsante Leggero

Su un’illustrazione d’epoca, rappresentante la prospettiva, compare la frase: «dalla caverna di Platone all’Invenzione di Morel e oltre…». Si tratta di una citazione del romanzo di fantascienza L’invenzione di Morel di Adolfo Bioy Casares del 1940, portato sul grande schermo da Emidio Greco nel 1974, in cui il protagonista s’imbatte in un gruppo di persone che in verità sono morte ma che rivivono, come fantasmi tecnologici, grazie a una macchina basata sul funzionamento delle maree.[21]

La sequenza successiva illustra un caleidoscopio di figure che nel video sono risucchiate in un vortice grazie a un effetto computerizzato. Nello storyboard, accanto a essa, l’autore annota: «fare anche riferimento alla storia dell’arte, in particolare all’arte barocca». Questa sequenza è un richiamo al sentimento estetizzante e al culto della spettacolarizzazione tipici di quella che Cocuccioni definisce l’‘età del pulsante leggero’ e che Omar Calabrese, di lì a poco, avrebbe chiamato ‘età neobarocca’. Alcuni dei principi che Calabrese individua nei prodotti culturali di quest’epoca sono non a caso riferibili anche al Manifesto 1985: la predilezione per l’eccesso e per le configurazioni instabili, disordinate e caotiche; l’attenzione al dettaglio e al frammento, tipica del videoclip, e una tendenza alla citazione.[22] Tutti aspetti enfatizzati dall’uso dei nuovi media e per questo molto più evidenti nella versione in video del manifesto.

 Enrico Cocuccioni, Manifesto 1985. L’arte tra videostasi e neosofia, 1985, storyboard p. 3 di 5, Archivio Il Pulsante Leggero

Altra figura allegorica, presente nello storyboard e riproposta nel video, è il bagatto, tratto dalla tradizione dei tarocchi: un prestigiatore raffigurato dietro al tavolo degli attrezzi mentre impugna la bacchetta magica. Il suo significato è chiarito nello storyboard: egli «simboleggia la ‘fiera del creativo’ [e] produce una teoria fantasmagorica di oggetti variopinti e magici».[23] Ulteriore allusione ai simulacri di un’epoca dominata dalle nuove tecnologie, il bagatto è un personaggio negativo, l’illusionista che inganna chi si lascia ammaliare dai suoi ‘effetti speciali’.

Nel recupero del genere letterario del manifesto, Cocuccioni rinuncia all’aspetto programmatico e costruttivo e lascia intendere i pericoli dell’arte nell’era dei computer e dei mass media. Il suo testo mantiene le frasi declamatorie tipiche dei manifesti, presenti anche nel video come slogan che fanno da contrappunto alle immagini, ma esse non offrono una lettura necessariamente positiva. Nell’intervento di Locarno, il critico si chiedeva infatti se fosse possibile preservare la qualità dell’arte in un contesto in cui regnavano l’esteticità diffusa e la comunicazione di massa e in cui i valori estetici erano assimilabili a quelli di una fiera barocca. Pertanto, nella metafora dell’equilibrismo non si deve leggere solo un compromesso tra tradizione e innovazione, ma anche tra gli aspetti qualitativi e quantitativi della creazione artistica. In questo senso, secondo il critico, la videoarte e le cosiddette nouvelles images hanno lo scopo di trovare una conciliazione tra il coinvolgimento di un pubblico ampio e la salvaguardia della qualità artistica.[24]

Il Manifesto 1985 viene mostrato assieme ad altre opere di computer art nell’ambito di manifestazioni curate dal Pulsante Leggero, come ad esempio il Festival Arte Elettronica di Camerino.[25] Come si è detto, le opere in questione nascono per lo più da esperienze isolate di singoli o gruppi avvicinatisi all’uso del personal computer come strumento di creazione artistica. Molte di esse si basano sulla volontà di usare il calcolatore in modo consapevole, a partire dalla conoscenza del linguaggio di programmazione e dei limiti tecnici del PC rispetto alle più potenti e costose macchine professionali. Si tratta di un’estetica che si oppone volutamente a quella più spettacolare del cinema e della televisione: la computer grafica delle grandi produzioni, caratterizzata da una resa sempre più realistica delle superfici, dei movimenti e della tridimensionalità. Ed è proprio contro le facili illusioni di questa estetica che il Manifesto 1985 cerca di mettere in guardia e lo fa paradossalmente ricorrendo a quegli effetti speciali che generano meraviglia nello spettatore e a un laboratorio come la SBP CGE che aveva la Rai tra i suoi più importanti clienti.[26]

Gli effetti speciali del video-manifesto sono realizzati al Mirage, una macchina per la postproduzione della Quantel, di cui la CGE di Roma è la prima a dotarsi in Italia, mantenendo l’esclusiva nazionale fino al 1985.[27] Il Mirage era collegato a un computer, che serviva a modificare e memorizzare gli effetti, e a un Paintbox, altra macchina prodotta dalla Quantel che ebbe largo impiego nell’industria televisiva, costituita da una tavoletta grafica dotata di una penna elettronica. Se il Paintbox è una sorta di tavolozza elettronica studiata per replicare la classica operatività dell’artista di fronte al suo foglio da disegno, il Mirage è una delle prime macchine che permettono di trattare un’immagine come un oggetto e di realizzare effetti 3D.[28] Nel Manifesto 1985 le immagini acquisite, dalla Gioconda alle fotografie di macchine industriali, sono ruotate, ribaltate, polverizzate, ripiegate oppure avvolte attorno a forme geometriche. La macchina della Quantel era un sistema computerizzato aperto, il cui software poteva essere sviluppato per modificare gli effetti e progettare nuove figure geometriche da far animare e ‘rivestire’ d’immagini. Sono realizzati in questo modo il solido platonico iniziale, l’anello di Moebius che ruota su La grande onda di Hokusai e la conchiglia, un’altra figura archetipica che termina la successione di immagini simboliche dello storyboard, prima della chiusura affidata alla ballerina.

 Enrico Cocuccioni, Manifesto 1985. L’arte tra videostasi e neosofia, 1985, storyboard p. 4 di 5, Archivio Il Pulsante Leggero Enrico Cocuccioni, Manifesto 1985. L’arte tra videostasi e neosofia, 1985, storyboard p. 5 di 5, Archivio Il Pulsante Leggero

 

2. La computer art e le avanguardie storiche.

Nonostante la figura del bagatto e l’allusione agli eccessi del barocco invitino a riflettere sugli aspetti negativi di questa estetica, il video-manifesto della computer art sembra essere un’esaltazione dell’effetto speciale e dell’animazione 3D, sfruttando appieno le funzioni del Mirage. A tal proposito è necessario citare un altro manifesto della computer art che parte proprio da queste premesse ma che dichiara una netta opposizione all’estetica degli effetti speciali. Si tratta degli Appunti abolizionisti presentati da Michele Böhm nel 1983 in occasione del seminario della RAI Computer grafica e progettazione visiva[29] con l’intento di descrivere l’estetica del gruppo Crudelity Stoffe, da egli fondato con Marco Tecce. Questo testo riprende nel lessico e nella forma i caratteri principali del manifesto programmatico. A partire dal tono declamatorio e dal ricorso all’allocuzione, alla domanda retorica e ad altri espedienti volti al coinvolgimento emotivo dell’interlocutore, esso recupera lo stile del manifesto così come viene codificato da Marinetti. L’estetica dell’Abolizionismo descrive un certo tipo di animazione computerizzata basata sulla continua cancellazione e rigenerazione delle immagini, un effetto ottenuto tramite un software scritto dallo stesso Böhm. Il termine ha però un significato più ampio: «l’Abolizionismo è un atteggiamento di ostilità totale, di distruzione incolore e inodore di quanto non ci convince nella nostra opera»,[30] sostiene Böhm in perfetto stile futurista.

Come si è visto per il Manifesto 1985, il riferimento è ancora una volta alle avanguardie. Del resto, il legame ideale tra computer art e futurismo non sfugge neppure alla critica contemporanea e non è un caso che il primo Electronic Art Festival di Camerino (1983) si apra con una celebrazione del 50° anniversario del manifesto La Radia, discusso da Mario Verdone.[31]

Nel decennio di un’arte anacronista, se è ancora possibile parlare di avanguardia, la strada da perseguire coinvolge necessariamente la scienza e le nuove tecnologie. Lo stesso Cocuccioni a Locarno cita una riflessione di Argan comparsa l’anno precedente nel catalogo della mostra I cento occhi di Argo. ‘Arte e scienza’, in cui veniva dato ampio spazio alle ricerche cinetiche e programmate. È proprio da questo intervento che Cocuccioni riprende l’idea dell’equilibrio tra qualità e quantità, cui dovrebbe aspirare la cultura di massa.[32] Il testo di Argan era una riflessione sull’avanguardia. Lo storico dell’arte si chiedeva se essa fosse finita oppure no e individuava nella scienza una risposta positiva: la sopravvivenza dell’arte sarebbe possibile solo grazie a una scienza costruttiva basata sulla progettualità e sulla ricerca conoscitiva.

Il tema delle relazioni tra arte e scienza attraversa del resto diverse esperienze proprio negli anni Ottanta. Nel 1983 si svolge al Musée d’Art Moderne de la Ville de Paris la mostra Electra, a cura di Frank Popper, dedicata al tema dell’elettricità e dell’elettronica nell’arte del XX secolo, un’esposizione nella quale è presente anche Crudelity Stoffe con un’antologia di video abolizionisti.[33] Guidata dall’obiettivo di indagare le relazioni tra arte, tecnologia e scienza, la mostra parigina è un noto esempio internazionale di un filone di ricerca che si riflette anche nel contesto italiano.

Solo per citare alcuni esempi, nel 1982 Corrado Maltese fonda l’A.S.T., l’Associazione per lo studio delle interazioni tra arte, scienza e tecnologia, che si dedica al tema organizzando seminari e mostre,[34] mentre nel 1986 la Biennale di Venezia è dedicata al tema Arte e Scienza, argomento diventato di grande attualità, secondo il curatore Maurizio Calvesi, anche grazie all’impatto dei nuovi media.[35]

In entrambi i casi non si parla solo ed esclusivamente di arte elettronica, eppure proprio questo tipo di arte, che sfrutta le nuove tecnologie, porta implicitamente con sé la riflessione sulla conciliazione tra cultura umanistica e cultura scientifica.

A tal proposito, va citato anche un altro manifesto della computer art che nasce da simili premesse: il Manifesto eidomatico, a firma di un artista e designer che ha esordito nell’arte cinetica e programmata, Giovanni Anceschi, e di Daniele Marini, fisico e vicepresidente della società di computer grafica EIDOS.[36] Il testo rinuncia a toni profetici, polemici o declamatori, ma mantiene le due polarità su cui si basano anche gli Appunti abolizionisti, nonché molti manifesti futuristi: l’affermazione e la negazione, la costruzione e la distruzione.[37]

Anceschi e Marini riscontrano un problema in quella che chiamano la ‘grafica per il video’: le ridotte competenze progettuali ed estetiche della cultura ingegneristica e informatica da una parte e la frenesia incontrollata dei creativi dall’altra. Il problema è cioè il «gap fra […] la cultura di tipo ‘umanistico’ dei grafici, dei creativi (antirazionale o, quando va bene, basata su un pragmatismo un poco rozzo e miope) [e] quella degli informatici grafici (sistemica, logistica, tecnicista)».[38] Come superamento di questa situazione, i firmatari del manifesto propongono una nuova figura professionale di programmatore e progettista visivo che nasca dall’incontro delle due culture di cui gli stessi Anceschi e Marini sono rappresentanti. La parola ‘eidomatica’ viene scelta proprio perché rappresenta la fusione tra eidos, le immagini, le apparenze - ma anche le idee secondo il significato originario della parola greca - e il suffisso matico che esprime il mondo della tecnica.[39] A tal proposito, è importante sottolineare che gli autori precisano una distinzione tra l’eidomatica e la più generica computer art, basata sul fatto che la prima si pone proprio come una nuova disciplina.[40] Infatti l’anno successivo il solo Anceschi firma il Manifesto eidomatico bis in cui parla più esplicitamente di una specifica figura professionale, il product designer: il designer dei prodotti comunicativi per l’industria massmediale.[41]

Entrambi i manifesti sono lontani da una dichiarazione di estetica o di poetica e considerano piuttosto l’inevitabile incontro dell’informatica grafica con il mondo dell’industria. Infatti, gli esempi citati da Anceschi e Marini sono alcuni dei progetti da loro curati, come il lavoro di grafica televisiva per i campionati mondiali del 1987 e il progetto Redesign del televideo, realizzato per la Rai con l’obiettivo di dare una nuova veste grafica al televideo. Tuttavia, proprio Anceschi ritiene che il design eidomatico possa essere alla base di una grande varietà di prodotti, dagli spot pubblicitari ai videoclip, dalle illustrazioni scientifiche alle animazioni e parla di «campo unificato della presentazione visiva».[42] L’unificazione di varie competenze in un’unica figura viene da egli giustificato con l’idea di un concetto globalizzante di ‘messa in scena’.

Il Manifesto 1985, con un linguaggio diverso, affronta temi molto simili e anch’esso è il frutto di un lavoro che coinvolge competenze differenti, dall’ingegnere al grafico, dal critico all’artista.[43] Il problema dei rapporti tra l’arte e lo spettacolo, l’industria e il design, affrontato da Anceschi e Marini e suggerito dalle immagini del Manifesto 1985, è presente anche nel testo fondativo del Pulsante Leggero dove Cocuccioni riconosce il ritorno di temi cari alle avanguardie artistiche, ma con esiti diversi perché negli anni Ottanta il contesto è cambiato e il progetto di un’arte totale non è più attuale.[44]

La new media art pone il problema della riconsiderazione della figura dell’artista che si confronta con lo scenario delle tecnologie della comunicazione. Vale la pena citare, a ulteriore riprova della diffusione di simili riflessioni, la teoria del ‘sublime tecnologico’ elaborata a metà degli anni Ottanta da Mario Costa il quale recupera la nozione estetica del sublime naturale per applicarla a un’idea di tecnologizzazione del mondo. A tale nozione corrisponde una modificazione dell’idea di arte, desoggettivata e disumanizzata, e anche della personalità dell’artista, trasformatosi in ‘ricercatore estetico-epistemologico’, una figura che avrebbe le sue origini ancora una volta nelle avanguardie e più precisamente nel costruttivismo.[45]

Il Manifesto 1985 nasce nel solco di una simile idea di ‘esteticità diffusa’ nella quale il sistema dell’arte è costretto a confrontarsi e ibridarsi con il sistema della comunicazione di massa. È in questo senso che, secondo Cocuccioni, l’arte non può assumere posizioni autoriflessive e di chiusura ma deve interagire con altre dimensioni operative.[46]

 

3. La riappropriazione del passato.

Nel Manifesto 1985 l’intera storia dell’arte, immaginata da Cocuccioni come un percorso che va da Platone all’età del pulsante leggero, è letta come una storia di oggetti artificiali e di immagini sintetiche. Nel panorama contemporaneo, secondo il critico, «non c’è un paesaggio ‘naturale’, ma l’iconosfera artificiale della metropoli, la polluzione semiotica, il labirinto massmediale. Una natura-simulacro ‘contaminata’ dai materiali ‘sintetici’ della produzione industriale».[47] In tale contesto, l’artista si trova necessariamente ad attingere a materiali preesistenti e così l’atteggiamento costruttivo, che recupera le istanze delle avanguardie storiche, si incontra con una riproposizione di testi del passato. Attraverso le tecniche di animazione computerizzata, il Manifesto 1985 celebra le categorie postmoderne della frammentazione e della discontinuità creando un montaggio di brani eterogenei, da Leonardo a Pollock, da Brunelleschi a Delaunay. Nell’era della televisione il rapporto dell’artista con la storia si modifica: è un atteggiamento di ‘leggerezza’ che si rivela, come ben descritto da David Harvey, in «un attaccamento alle superfici piuttosto che alle radici, al collage piuttosto che al lavoro in profondità, alle immagini citate sovrapposte piuttosto che alle superfici lavorate, a un senso svanito del tempo e dello spazio piuttosto che a un prodotto culturale concretamente realizzato».[48]

 Enrico Cocuccioni e team SBP-CGE, Manifesto 1985, 1985, still da video Enrico Cocuccioni e team SBP-CGE, Manifesto 1985, 1985, still da video

Le vicende della computer art italiana corrono parallele alla diffusione di movimenti come la Transavanguardia, i Nuovi Nuovi e gli Anacronisti, notoriamente contraddistinti da un ampio ricorso alla citazione. Renato Barilli, che è tra i primi in Italia a occuparsi di riappropriazione della storia dell’arte, almeno a partire dalla mostra La ripetizione differente (1974), fa risalire lo stesso citazionismo pittorico alle tecnologie elettroniche che non hanno limiti spazio-temporali: sebbene il ricorso al passato sia sempre esistito, è soprattutto con la tecnologia elettronica che la citazione diventa istantanea e il repertorio a cui attingere vasto e smisurato.[49]

Come si è visto, il manifesto di Cocuccioni, è un gioco citazionista fin dalle prime parole del testo critico e lo è ancor di più nella sua versione in video.

Le tecnologie digitali, più dei media analogici, rendono la citazione immediata grazie alla semplice riproduzione: l’autore decontestualizza e ricolloca testi della storia dell’arte (e non solo) più o meno recenti. Utilizzando gli effetti speciali del Mirage, Cocuccioni e il gruppo della SBP – CGE portano a evidenza la realtà ipermediata che caratterizza l’età del pulsante leggero, un’età segnata dalla pluralità delle forme mediali. Si tratta non solo di riproporre brani del passato ma di assorbire diverse forme mediali all’interno di uno stesso medium: il dipinto, il disegno, la fotografia, l’immagine di sintesi e il testo sono inglobati nel video. Come si è detto, il Manifesto 1985 è infatti un collage elettronico in cui le tecnologie digitali rimediano forme mediali del passato,[50] tra cui non solo la pittura ma anche il genere letterario del manifesto.

I linguaggi del passato vengono rimodellati. Per cui, con il progredire delle tecnologie della rappresentazione e della comunicazione, i nuovi media si confrontano con i loro predecessori. Così il video reinventa la forma testuale del manifesto, trasformando le dichiarazioni in titoli animati al computer e i concetti teorici in immagini in movimento. Non solo: in questa traduzione dal testo al video, il manifesto della computer art diventa esso stesso un’opera di computer art.

 


1 Seconda di tre serate che vedono Menna e Pignotti in conversazione con giovani critici. Cfr. Lavatoio Contumaciale. I Trenta Anni del Centro. 1974-2004, Roma, Il Filo, 2004.

2 E. Cocuccioni, Manifesto critico. L’arte tra videostasi e neosofia, 1985, dattiloscritto, Archivio Il Pulsante Leggero. Desidero ringraziare Cristiana Fantoni per aver messo a disposizione il materiale dell’archivio.

3 Si vedano in particolare E. Cocuccioni, ‘Arte e nuove tecnologie’, Figure, III, n. 9, 1985 pp. 54-63; Id., Computer art, in F. Alfano Miglietti (a cura di), Arte in Italia 1960-1985, Milano, Politi, 1988, 227 – 237. A proposito del panorama critico sulla computer art, si rimanda anche al contributo di Corrado Maltese e alla sua definizione di “ultraimmagini”: cfr. Id, Per una storia dell’immagine. Da Leonardo alla computer art, Bagatto libri, Roma 1989; S. Bordini, ‘Ultraimmagini’. Corrado Maltese e le moderne tecnologie nelle arti visive, in S. Marconi, M. Dalai (a cura di) Scritti e immagini in onore di Corrado Maltese, Quasar, Roma 1997, pp. 95 – 100. Si vedano inoltre gli interventi critici sulla computer art di Vittorio Fagone ora in Id. L’immagine video. Arti visuali e nuovi media elettronici, Feltrinelli, Milano [1990] 2007.

4 E. Cocuccioni, Manifesto 1985. L’arte tra videostasi e neosofia, 1985, storyboard, Archivio Il Pulsante Leggero.

5 E. Cocuccioni, Un manifesto critico in videoclip, 1985, dattiloscritto, Archivio Il Pulsante Leggero, ora in S. Brancato, F. Iannucci (a cura di) Videoculture. Strategie dei linguaggi elettronici, Napoli, Università degli studi di Napoli 1988, pp. 218-221.

6 Ivi, p. 200.

7 Il significato dell’acronimo SBP non è mai rivelato. Gianni Blumthaler, in una conversazione privata in data 2 aprile 2019, ha dichiarato che la sigla nasce dalle iniziali delle mogli dei primi fondatori. Sulla SBP-CGE cfr. P. Cannizzaro, ‘Il Pulsante Leggero’, Video Magazine, 49, novembre 1985, pp. 78-83.

8 Soggetto: Enrico Cocuccioni; regia: Marco Marocchini; art director: Gianni Blumthaler; musiche originali: Adriana Fischer; videografica elettronica: Virginia Arati; consulenza artistica: Gloria Vatteroni; progettazione software: Claudio Mattei; consulenza scientifica: Paolo Uliana; effetti speciali Mirage: Maurizio Millefiorini, Massimiliano Feresin, Massimo Betti.

9 Cfr. A. Amaducci, Banda anomala. Un profilo della videoarte monocanale in Italia, Lindau, Torino 2003.

10 Nato come Servizio Programmi Sperimentali nel 1968, il Settore Ricerca e Sperimentazione Programmi assume questa denominazione a seguito della riforma Rai del 1976. Tra i più noti esempi di collaborazione con gli artisti, vanno menzionati i primi video di Gianni Toti all’inizio degli anni Ottanta: cfr. S. Lischi, Il linguaggio del video, Carocci, Roma 2005; A. Berenghi, Un (di)sperimentale alla Rai, in S. Lischi, S. Moretti (a cura di), Gianni Toti o della poetronica, ETS, Pisa 2012, pp. 144-155.

11 La CGE espone proprie elaborazioni grafiche insieme ad altri artisti nella prima rassegna di computer art organizzata da Rinaldo Funari presso la Galleria 5 x 5 e intitolata con il nome dell’associazione romana. Cfr. S. Bordini, Il Festival di Camerino: arte e nuove tecnologie, in Id., F. Gallo (a cura di), All’alba dell’arte digitale. Il Festival Arte Elettronica di Camerino, Milano-Udine, Mimesis 2018, pp. 15-21.

12 E. Cocuccioni, Manifesto critico. L’arte tra videostasi e neosofia.

13 Sul manifesto come genere letterario cfr. S. Stefanelli, Il genere “manifesto”, in Id. (a cura di), I manifesti futuristi, Livorno, Sillabe, 2001, pp. 21-50.

14 E. Cocuccioni, Manifesto critico. L’arte tra videostasi e neosofia.

15 Ibidem.

16 Cfr. E. Cocuccioni, ‘Il Pulsante Leggero’, 50x70, dicembre 1983, ora in S. Bordini, F. Gallo (a cura di), All’alba dell’arte digitale. Il Festival Arte Elettronica di Camerino, Milano-Udine, Mimesis 2018, pp. 141 – 143.

17 I primi personal computer sono commercializzati già negli anni Settanta, ma la vera diffusione di queste macchine si avrà solo nel decennio successivo. Per la storia del personal computer in Italia cfr. M. Zane, Storia e memoria del personal computer. Il caso italiano, Jaca Book, Milano 2008

18 Per approfondire il clima culturale degli anni Ottanta cfr. M. Gervasoni, Storia d’Italia degli anni ottanta. Quando eravamo moderni, Venezia, Marsilio, 2010.

19 E. Cocuccioni, Manifesto 1985. L’arte tra videostasi e neosofia. L’icosaedro dello storyboard diventa nel video un semplice poliedro a causa della complessità tecnica nella realizzazione e animazione al computer di questa figura. Da una conversazione privata con Cocuccioni, 15 marzo 2018.

20 Tutte le considerazioni sul significato dell’espressione ‘pulsante leggero’ derivano da una conversazione privata con Cocuccioni, in data 15 marzo 2018.

21 A. Bioy Casares, L’invenzione di Morel [1940], trad. it. di L. Bacchi Wilcock, Milano, Bompiani, 1966.

22 Cfr., O. Calabrese, L’età neobarocca, Roma – Bari, Laterza, 1987.

23 E. Cocuccioni, Manifesto 1985. L’arte tra videostasi e neosofia.

24 Cfr. E. Cocuccioni, Un manifesto critico in videoclip, p.220.

25 Per una storia del Festival Arte Elettronica di Camerino cfr. S. Bordini, F. Gallo (a cura di), All’alba dell’arte digitale. Il Festival Arte Elettronica di Camerino.

26 Cfr. P. Cannizzaro, ‘Il Pulsante Leggero’. Per una panoramica sulle diverse applicazioni della computer grafica a metà degli anni Ottanta e sul suo uso in ambito televisivo e cinematografico a livello internazionale, cfr. A. Jankel, R. Morton, Computergrafica creativa, Milano, Garzanti, 1986.

27 All’inizio di quest’anno è segnalato il suo arrivo anche alla Video Zoom di Milano. Cfr. M. Lombezzi, ‘La fabbrica dei miraggi’, Video Magazine, 39, gennaio 1985, pp. 38 – 41.

28 Sul funzionamento di queste macchine cfr. M. Bernardo, G. Blumthaler, I trucchi e gli effetti speciali fotografici ed elettronici. Manuale di pratica cinematografica, Roma, NIS, 1990, pp. 40-43; 91-99.

29 Il seminario è a cura di Alessandro Polistina. M. Böhm, Appunti abolizionisti (1983), in L. Cassanelli (a cura di), Tracce Immagini Numeri. Atti dei seminari e conferenze dell’A.S.T., Roma 1986, pp. 100 – 105, ora in S. Bordini, F. Gallo, All’alba dell’arte digitale. Il Festival Arte Elettronica di Camerino, pp. 135-140.

30 Ivi, p. 139.

31 Cfr. F. Gallo, Le “nuove immagini” nella prospettiva postmoderna 1983-1985, in S. Bordini, F. Gallo (a cura di), All’alba dell’arte digitale. Il Festival Arte Elettronica di Camerino, pp. 31-38.

32 G. Di Genova (a cura di), I cento occhi di Argo “Arte e Scienza”, Trapani, Cartograf, 1984.

33 F. Popper (a cura di), Electra. L’électricité et l’éctronique dans l’art au XXe siècle, catalogo della mostra, Musée d'art moderne de la ville de Paris, Paris 1983.

34 Cfr. L. Cassanelli (a cura di), Tracce Immagini Numeri. Atti dei seminari e conferenze dell’A.S.T.

35 M. Calvesi, La XLII Esposizione Internazionale d’arte, in XLII Esposizione internazionale d’arte. Arte e scienza, catalogo della mostra, Venezia, Electa, 1986, pp. 13 – 14.

36 G. Anceschi, D. Marini, ‘Manifesto eidomatico (e qualche esempio)’, WWN, 7, giugno 1987, pp. 7 – 9.

37 Cfr. G. Davico Bonino (a cura di), Manifesti futuristi, Milano, Rizzoli, 2009.

38 G. Anceschi, D. Marini, ‘Manifesto eidomatico (e qualche esempio)’, p. 7.

39 Sull’eidomatica si veda anche P. Morasso, V. Tagliasco, Eidologia informatica: immagini e computer, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1984.

40 Cfr. G. Anceschi, D. Marini, Conversazione sull’eidomatica, in F. Masotti, C. Ricci (a cura di), Computer Image. Rassegna internazionale di immagini digitali, catalogo della mostra, Galli, Rimini 1987, pp. 35-41.

41 Cfr. G. Anceschi, Manifesto eidomatico bis, in S. Brancato, F. Iannucci (a cura di) Videoculture. Strategie dei linguaggi elettronici, pp. 38 – 43.

42 Ivi, p. 42.

43 Nell’équipe c’è anche Paolo Uliana, tra gli artisti del Pulsante Leggero, mentre proprio Cocuccioni lavora nello stesso periodo come grafico per la Rai.

44 Cfr. E. Cocuccioni. Il Pulsante Leggero. Sul tema dell’applicazione della computer art nell’ambito della comunicazione mediatica, il critico ritornerà più di recente: Id.,’Videodesign, il nuovo progetto dell’arte’, Flash Art, XXV, 166, febbraio-marzo 1992, pp. 182-184.

45 Cfr. M. Costa, Il sublime tecnologico, Salerno, Edisud, 1990. Proprio Mario Costa è firmatario, insieme a Fred Forest, del manifesto dell’Estetica della Comunicazione che promuove la sperimentazione artistica legata alle tecnologie comunicazionali. Il testo è redatto il 29 ottobre 1983 e presentato il 14 dicembre dello stesso anno al Musèe d’Art Moderne de la Ville de Paris in occasione della mostra Electra. Cfr. M. Costa (a cura di), Artmedia: rassegna internazionale di estetica del video e della comunicazione, Opera Universitaria di Salerno, Salerno 1985

46 Questi concetti sono ribaditi in occasione del Festival Arte Elettronica di Camerino del 1985 in cui il Manifesto 1985 viene mostrato. Cfr. E. Cocuccioni in A. Polzonetti, P. Verdarelli (a cura di), Atti del Festival dell’Arte Elettronica 1985, Camerino, Università degli studi di Camerino, 1986, pp. 44-51.

47 Ivi, p. 48.

48 D. Harvey, La crisi della modernità [1990], trad. it. di M. Viezzi, Milano, Net, 2002, p.83.

49 Cfr. R. Barilli (a cura di), La citazione: arte in Italia negli anni ’70 e ‘80, Milano, Mazzotta, 1998, pp. 10-11.

50 Cfr. J.D. Bolter, R. Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi [1999], trad. it. di B. Gennaro, Milano, Guerini Studio, 2002.