Il titolo della edizione italiana della pièce di Anne Carson, Era una nuvola (Norma Jeane Baker of Troy. A version of Euripide’s Helen, New York, New Directions, 2019), scelto dalla stessa autrice come ricorda il curatore Patrizio Ceccagnoli nel saggio introduttivo,[1] costituisce già una evocativa chiave di lettura dell’operazione di riscrittura dell’Elena di Euripide e di sovrapposizione del mito antico con quello più moderno di Marilyn. Il testo di Carson, scritto su commissione per inaugurare lo spazio newyorkese dello Shed, affidato poi alla regia di Katie Mitchell e interpretato dall’attore Ben Whishaw e dalla cantante lirica Renée Fleming, si pone infatti sulla scia di una costante pratica di disambientazione contemporanea della classicità che la poeta, drammaturga, saggista, traduttrice e docente di greco antico di origine canadese porta avanti da tempo.
La ‘versione dell’Elena’ che Carson propone è concepita come un monologo (un «melologo» nell’accezione dell’autrice, nel senso di una combinazione di melòs e lògos, di canto e discorso) in cui la protagonista, Norma Jeane Baker, rivive le vicende dell’eroina euripidea in un pastiche fondato sulla moltiplicazione dei sensi attribuiti allo sdoppiamento e alla natura fantasmatica dell’immagine di Elena. Come è noto, la ‘versione’ di Euripide demistifica l’epos della narrazione della guerra di Troia, svelando al naufrago Menelao e a tutto il pubblico di ieri e di oggi che la donna che ha rincorso per mare e per terra, conducendo tanti validi eroi a impegnarsi in un conflitto lungo ed estenuante, non è niente più che un simulacro creato dalla dea Era «con un pezzo di cielo»,[2] un’immagine eterea raddoppiata della donna amata, mentre la vera Elena è stata condotta da Ermes in Egitto e tenuta prigioniera nella regia di Proteo. Carson riprende e amplifica il topos del miraggio e della copia, così come il gioco degli equivoci e dei mascheramenti su cui si fonda la drammaturgia della tragedia, e lo eleva a sistema, ne fa cioè il dispositivo cardine della sua riscrittura che agisce nella costruzione dei caratteri, del plot, del luogo in cui si svolge la vicenda, come della stessa struttura.
Norma Jeane Baker si presenta quale nuova incarnazione dell’ideale della bellezza e del ‘luminoso oggetto del desiderio’ rappresentato dalla donna del mito classico, ma è già il doppio reale (o almeno quello vorrebbe evocare) dell’immagine fantasmatica di Marilyn Monroe, la diva più amata dell’era cinematografica. In altri termini, nel palinsesto intermediale che sostanzia l’immagine della star persona della diva è inscritta sin dalla sua genesi una dinamica del doppio sulla quale hanno riflettuto in tanti; da Morin che insiste sulla originalità del profilo della «good bad girl»,[3] quel misto di aggressiva sensualità e indecifrabile fragilità che rappresenta la traccia più originale dell’icona della venere bionda, agli autori e alle autrici che in questi giorni, in prossimità dell’anniversario della morte dell’attrice (trovata senza vita la mattina del 5 agosto del 1962 nel suo letto della casa di Los Angeles), vanno ancora alla ricerca dell’‘altra Marilyn’,[4] quella che si nasconde dietro la maschera dell’icona più celebre, inseguendo il fantasma su cui gioca tutto il senso del testo di Carson. La scrittrice raccoglie, infatti, le potenzialità semantiche della «dissociazione di tipo morale»[5] che sta alla base dell’invenzione euripidea (c’è un’Elena fedele e devota al marito in Egitto, che si contrappone attraverso un processo di redenzione etica al fantasma dell’Elena concubina di Paride, che ha ceduto alle sue lusinghe e ha provocato una guerra lunga e sanguinosa) e ne riconosce le rifrazioni sulla biografia dell’attrice più desiderata del mondo. Nella pièce è lei l’unico personaggio che racconta, è dalla parte di lei che viene decostruito il mito dell’infamia, è l’affermazione del suo punto di vista che determina la dissoluzione del fantasma ed è sempre lei che rievoca le voci degli altri ‘attori’ della sua tragedia, che a loro volta lasciano trasparire più o meno chiaramente alcuni tratti delle silhouette da cui derivano. Dietro il volto di Arthur di New York e di Sparta si riconosce il profilo deformato di Menelao sovrapposto a quello di Miller; nella rabbia e nell’incredulità del Marinaio greco/Teucro si nasconde il dramma privato di un ipotetico marine, sopravvissuto a chissà quale guerra, ritenuto dal padre «responsabile» del suicidio del fratello morto a Troia; un Manager del Best Western indossa per qualche istante i panni del Nunzio che comunica la sparizione del fantasma di Marilyn/Elena («sua moglie si è sciolta nell’aria – sa di che parlo? Lei si è smaterializzata»).[6] Il gioco di riconoscimenti e camuffamenti va avanti fino alla conclusione, con la minacciosa presenza di Fritz Lang (un po’ Proteo, un po’ Teuclimeno), che insidia e incombe sul destino artistico della star rinchiusa in una suite del Chateau Marmont a Los Angeles sul Nilo. Il meccanismo ludico di sovrapposizioni e dislocamenti pervade anche il set della vicenda sin dalle prime battute («questo è il Nilo e io mento»),[7] mettendo sull’avviso il lettore/spettatore della complessità della trama finzionale imbastita dalla voce narrante, la cui inattendibilità dichiarata si rivela alla fine legata a doppio filo con la denuncia delle dinamiche mistificatorie dello star system e in ultimo di ogni conflitto, individuale o collettivo.
A ordire l’intrigo dello sdoppiamento di Norma Jeane Baker/Elena, della «truffa della nuvola», nella versione di Carson non c’è una dea, ma la Metro-Goldwyn-Mayer che «ha investito molto su questa guerra di Troia», coinvolgendo «grandi investitori» per girare un «reality show»,[8] scritto forse da Orson Welles – come accenna la protagonista nei panni di Mr. Truman Capote.
Nei vari ruoli interpretati/evocati/raccontati dalla protagonista la recitazione della voce di Capote, a cui sono affidate le odi corali, è sicuramente la più interessante. Non soltanto perché implica con evidenza il travestimento («entra Norma Jeane nelle vesti di Mr. Truman Capote»),[9] ma anche perché alla sua figura è affidata una parte della funzione del coro, anch’esso soggetto all’inesorabile processo di sdoppiamento che pervade tutto il testo.[10] A lui/lei («io sono il coro di me stessa») spetta il compito di recitare, con la sua «buffa vocina», il punto di vista più solidale verso l’eroina sofferente, di evocare l’immagine della «ragazza “mal cresciuta”» che appartiene alla biografia di Marilyn ma, al contempo, il suo rifiuto del melodramma lo porta a demistificare anche la mitologia della star:
Non c’è spazio nemmeno per la tormentata verità personale di Norma Jeane.
Le voglio bene teneramente ma – siamo franchi – non c’è niente di mitico qui.
Norma Jeane è soltanto un po’ di grinta presa dal bisogno del mondo per la trascendenza.
È un imbroglio. Continuo a dirle:
abbassa gli occhi,
conta fino a quattro,
alza gli occhi,
di’ la battuta.
È così che si ordisce un imbroglio.
Gli fai credere di guardare Norma Jeane nuda
anche se sei lì in piedi con tutti i vestiti addosso.[11]
È soprattutto a «Norma Jeane nelle vesti di Truman Capote» che, nell’ultima ode, è affidata la dizione del messaggio antimilitarista della tragedia euripidea, riscritto e aggiornato per far risuonare e moltiplicare i sensi impliciti di quella nuvola insensata per cui si combatte ogni guerra. Il Leitmotiv viene ricordato più volte («andammo fino a Troia per prenderci una nuvola»; «abbiamo combattuto dieci anni per una nuvola»; «Non sono mai andata a Troia, quella era una nuvola, non dimenticatelo»)[12] e attraverso il suo discorso conclusivo mostra tutta la sua evanescenza:
Avete sentito? Teschi viventi! Che ci facciamo qui?
Quale guerra di Troia? Importa a qualcuno? O dèi
dell’amore e dell’odio! Non sono lo stesso dio? Tutti noi,
tutte le nostre vite, alla ricerca del nemico perfetto – tu
io, Elena, Paride, Menelao, tutti quei folli greci!
tutti quegli sventurati troiani! […]
I litigi non riguardano altro che l’avere
ragione, non è vero? […]
I litigi non riguardano nulla, i litigi riguardano
soltanto i litigi […].[13]
Al di là della più scoperta corrispondenza fra le due figure mitologiche, è proprio sulla rivelazione della natura eterea della loro immagine che si fonda la trasposizione contemporanea del testo di Euripide. Se a Capote è affidato il compito di raccontare la storia con la voce amica ed empatica, gli accenti di Carson fanno da contrappunto per esprimere l’altra funzione del coro, quella cioè deputata a dare un’interpretazione razionale degli eventi. Il punto di vista scopertamente autoriale emerge infatti attraverso una sorta di lemmario disseminato nel testo, che interrompe l’azione scenica e imprime un ritmo costante in cui si alternano le parti recitate e quelle commentate.
La prima delle parole chiave discusse nelle nove lezioni di «Storia militare», che costituiscono un inserto metadiscorsivo inserito all’interno della trama drammaturgica, è «eidolon» («“immagine, somiglianza, simulacro, replica, vicario, idolo”»),[14] quella che permette il perfetto riconoscimento fra le due creature immaginarie. La mito-biografia transmediale di Marilyn è infatti attraversata da figure aeriformi, che bilanciano e si contrappongono al peso e allo splendore della sensualità perturbante. Il profilo della sua star persona è tutto costruito sulla coesistenza e sulla frizione dei tratti contradditori della perturbante carnalità e della più leggera ingenuità.
Fra questi tratti si nota una persistente insistenza sulle metafore animali volatili, che enfatizzano appunto l’evanescenza del suo simulacro divistico: dall’imprendibilità del volo del colibrì su cui si regge tutto il conversation-portrait di Capote (Music of Chameleons, 1975), alla silhouette della «colombella d’oro», evocata da Pasolini nella Rabbia (1963), fino al volo della farfalla su cui ruota il saggio di Tabucchi, scritto per introdurre il volume dei frammenti autobiografici dell’attrice.[15] L’avantesto visivo di tutta questa costellazione metaforica è forse costituito da una serie di fotografie, scattate da Andrè De Dienes a Norma Jeane Baker (prima che divenisse Marilyn Monroe), che ritraggono la pin-up in varie pose; in alcune di queste, grazie all’applicazione di filtri speciali, il corpo e il volto dell’attrice sembrano emergere e librarsi fra le nuvole.[16]
“Era una nuvola, soltanto una nuvola” si potrebbe dire leggendo il testo di Carson in controluce rispetto alle foto di De Dienes, che sembrano confermare la perfetta coincidenza fra i profili aeriformi delle donne più belle del mondo. L’‘applicazione generale’, che conclude la prima lezione militare della pièce, lo afferma con perentorietà:
Applicazioni (generali): Fidatevi di Euripide. Fidatevi di Elena. Non andò mai a Troia. Marilyn era veramente bionda. E tutti noi andiamo in cielo quando moriamo. Come diceva Marilyn: “Tieni il palloncino e niente paura”.[17]
Raccontando la storia dalla parte di lei (e di tutte le donne accusate di avere scatenato guerre e conflitti),[18] si può immaginare – così come fa Carson – il fantasma evanescente della incarnazione della quintessenza del desiderio uscire di scena, accompagnata dal canto di Miss Pearl Bailey (dietro cui si nasconde forse l’Ella Fitzgerald che era stata amica di Marilyn) in una imprecisata alba, mentre naviga verso una meta ignota, «sotto nessuna stella», ma alla ricerca di una libertà conquistata soltanto «nelle stanze d’Ade» dove la «chiamavano regina».[19]
1 Cfr. P. Ceccagnoli, ‘Marilyn, Elena e la truffa della nuvola’ a A. Carson, Era una nuvola. Una versione dell’Elena di Euripide, Milano, Crocetti, 2021, p. 11.
2 Euripide, Elena, a cura di M. Fusillo, introduzione, traduzione e note di M. Fusillo, Milano, Rizzoli, 2018, p. 49.
3 E. Morin, ‘Arthur e Marilyn’ (1956), in Id., Sul cinema. Un’arte della complessità, a cura di M. Peyrière e C. Simonigh, trad. it. di A. Battaglia, Milano, Raffaello Cortina, 2021, pp.189-190.
4 A titolo esemplificativo si rimanda ad alcuni articoli in cui sembra si fa riferimento a un’altra Marilyn, alla sua duplicità, alla possibilità di ribaltare la sua immagine più nota e scoprirne addirittura una opposta: I. Rossini, ‘Non sono la stupida bionda di nessuno’, Dinamo press, 4 agosto 2022, < https://www.dinamopress.it/news/non-sono-la-stupida-bionda-di-nessuno/> [accessed, 5 agosto 2022]; A. Lupini, ‘L’altra Monroe: a 60 anni della morte di Marilyn viene riscoperta come simbolo di empowerment’, la Repubblica, 4 agosto 2022; A. Crespi, ‘Marilyn Monroe, la morte 60 anni fa. Le immagini che costruirono il mito’, la Repubblica, 4 agosto 2022.
5 Come nota Fusillo nell’introduzione alla edizione del testo classico da lui curata, i meccanismi dissociativi di tipo «morale e comportamentale» appartengono alle dinamiche tipiche della letteratura sul doppio (cfr. M. Fusillo, ‘Introduzione’ a Euripide, Elena, p. 10).
6 A. Carson, Era una nuvola, p. 53.
7 Ivi, p. 23.
8 Ivi, pp. 45 e 51.
9 Ivi, p. 37.
10 «Il coro è sempre un mistero nelle tragedie greche. Ma in genere rappresenta persone reali che sono in qualche modo amiche o alleate del protagonista sofferente e, allo stesso tempo, rappresenta una voce metaforica o profetica sovra-realistica che riflette sull’azione scenica e dice al pubblico cosa pensare. È chiaro che Truman Capote è stato un amico fidato e un alleato di M.M. in momenti difficili della sua vita, quindi. Gli ho assegnato quelle funzioni tipiche del coro. Le parti più apertamente riflessive, invece, non si adattavano al suo ruolo, quindi ho aggiunto le sezioni di storia militare» (A. Carson, ‘Intervista con l’autrice’, a cura di P. Ceccagnoli, in Ead., Era una nuvola. Una versione dell’Elena di Euripide, Milano, Crocetti, 2021, p. 104).
11 A. Carson, Era una nuvola, p. 70.
12 Ivi, pp. 27, 51, 83.
13 Ivi, 87-88.
14 Ivi, p. 29.
15 M. Monroe, Fragments. Poesie, appunti, lettere, a cura di Stanley Buchthal e Bernard Comment, trad. it. di G. Gatti, Milano, Feltrinelli, 2010. Per un approfondimento di questo aspetto, mi permetto di rimandare a M. Rizzarelli, ‘«Era rimasta solo la bellezza». Il mito di Marilyn da Sciascia a Tabucchi’, La Modernità Letteraria, 15, 2022, pp. 101-112.
16 Cfr. A. De Dienes, Marilyn Monroe, Cologne, Taschen, 2004.
17 A. Carson, Era una nuvola, p. 29.
18 Si veda a tal proposito la sesta lezione militare dedicata alla parola «apáte», cioè «”inganno illusione imbroglio duplicità doppiezza frode abbindolamento espediente beffa artificio raggiro sotterfugio trovata truffa trucco stratagemma bidone furberia astuzia astuzie Le astuzie delle donne». Il titolo della lezione è «In guerra le cose vanno storte. Colpa delle donne (ivi, p. 73)
19 A. Carson, Era una nuvola, p. 101.