A colloquio con la memoria, coi ricordi di quando era ancora solo un principiante del dilettantismo, Franco Riva, lo stampatore veronese a cui è dedicata questa galleria annotò nel 1973: «volevo cose singolari, in limitatissime copie, per me e per pochi». Non molte delle private press che hanno resuscitato i torchi a mano al crepuscolo della modernità europea raggiungevano simili vette di privatezza: a confronto con quelle di Franco Riva, estraneo anche alla più selettiva idea di ‘pubblico’ o di ‘mercato’, appaiono industriali persino le edizioni della vicina stamperia Valdonega, o di quelle di Scheiwiller e di Schwarz a Milano. Intitolò l’articolo, poi raccolto nel libro più ricco dedicato alla sua arte, Stampare di domenica, rimarcando la gratuità festiva, domenicale appunto, della sua più che mai singolare vicenda artigiana, che in una ventina d’anni aveva portato nel seminterrato di casa sua – vera officina domestica, coi fogli umidi sospesi sui fili e oltre quattro quintali di ferro tra ingranaggi e caratteri – gli onori del premio Bodoni per la grafica editoriale.
Al modello di Bodoni si era votato a suo tempo Hans Mardersteig, prima ancora di diventare, proprio a Verona, Giovanni, e di fondare la leggendaria Officina intitolata al grande stampatore. Il tedesco cantato da Herman Hesse, allievo di Kurt Wolff e protagonista delle più ardite e raffinate imprese tipografiche del Novecento italiano (dall’opera omnia di D’Annunzio per Mondadori a quella di Nietzsche per la neonata Adelphi, passando per i volumi dei “Cento Amici del Libro”), è stato un maestro prezioso per il giovane Riva, che già a trent’anni comprava il primo torchio e cominciava a sperimentare le noie di una paradossale allergia agli inchiostri. Malgrado tutto, con gli entusiasti contraccolpi che agitano la carriera di ogni energico autodidatta, il filologo e bibliotecario riesce in meno di un decennio e senza alcun tipo di finanziamento o profitto a raggiungere la più importante mostra internazionale di libri d’artista. I curatori americani selezionano ed espongono a Boston, nel 1960, un suo fascicolo di appena tre fogli piegati, dodici specchi di stampa in tutto, in cui a una lirica moderna è accostata un’acquaforte realizzata appositamente da un artista italiano: si tratta di uno dei primissimi numeri della sua collana più ambiziosa, “I Poeti Illustrati”, che proseguirà fino alla sua morte articolandosi in due serie affiancate e, a partire dal 1966, da una selezione di “Quaderni”.
La galleria che proponiamo intende riportare alla luce venti incontri tra immagini e poesie tratti da altrettanti esemplari di queste tre interconnesse collezioni di libri rarissimi, che solo in tempi recenti hanno potuto raggiungere le biblioteche grazie ai doni e ai lasciti dei fortunati, sceltissimi possessori originali, tutti parte di un circolo di lettori e amanti dell’arte incompatibile con la cosiddetta ‘industria culturale’ che andava formandosi negli anni in cui Riva stampava. Le Editiones Dominicae avevano un unico operaio, che lavorava soprattutto per sé: la mente fortemente autoriale che governa ognuna delle opere d’arte qui raccolte ha potuto realizzare solo le idee concesse dalla forza limitata di un braccio minimo, capace di raggiungere gli amici e pochi altri conoscitori. Il desiderio del giovane dilettante è dunque stato soddisfatto dal dilettante esperto – mai professionista – in cui si è trasformato, e gli opuscoli sono in effetti splendidi ma pochi, tutti frutto di un’ininterrotta osservanza nei confronti del privato ac dominico more che non manca mai di comparire nei colophon o sui frontespizi. «In un’età come la nostra di estreme specializzazioni – conclude Riva nell’articolo già citato – io amo ancora frazionare il mio tempo in diversi interessi, certamente negandomi l’optimum (che tra l’altro, potrebbe riuscirmi negato nonostante il sacrificio e la specializzazione). Per me d’altra parte, l’optimum potrebbe essere, anzi lo è indubbiamente, questo rimanere alla sua periferia, godendomi la libertà delle mie inclinazioni, dei miei gusti, a volte dei miei capricci».
I libelli qui esposti, composti da pochi componimenti – talvolta uno solo – e da acqueforti originali, si presentano nelle diverse forme dettate proprio dalle «inclinazioni» e dai «capricci» di questo peculiare artigiano contento della periferia, geniale alchimista tecnico capace di mescolare i rigori di un’elegante tradizione a novità dirompenti che spesso si distinguono a fatica nel ricercato equilibrio visivo generale. Abbiamo pensato di dividerli in sei sezioni, dedicate ognuna a uno dei giochi con la Storia, con la tradizione letteraria, con la geografia e con l’intreccio delle amicizie che possono suscitare quello che John Ryder considerava l’unico «natural result of the process of printing»: «the pleasure» o – per dirla con il Riva autoscopico di Il mio dimestico torchio – la «delizia, ma col cuore». Nella prima, Una latinità d’elezione, sono raccolti versi di autori classici scelti dall’editore per ragioni sentimentali, per ‘cotte’ filologiche o per privati omaggi, tutti illustrati da artisti contemporanei che giocano, seriamente o meno, con l’auctoritas delle loro più o meno eminenti controparti d’inchiostro. Col titolo della seconda, (Neo) Classico ammodernato, abbiamo indicato quegli esperimenti di accostamento tra i grandi poeti della nostra tarda modernità (Leopardi e Foscolo, con un’intromissione di Carducci) e alcuni pittori novecenteschi finalmente non obbligati a imitare le stampe dell’Ottocento per dar vita, in un’edizione di pregio, all’Ottocento. I Poeti tra i pittori della terza sezione sono invece i protagonisti di quella «ultima scapigliatura» – come l’ha definita Giuliana Zagra – che ha incrociato penne e pennelli intorno alle piccole officine di Roma, Milano e Firenze prima della seconda guerra mondiale e che, attraverso il torchio di Riva, tornano nella seconda metà del secolo a intonare i loro duetti con gli amici artisti, ormai affermati ma certo non dimentichi della loro attardata bohème italiana. La quarta sezione, Montale e Montale, è tutta dedicata al «pittore della domenica» e ai libri in cui illustra le proprie poesie: il dialogo con lo stampatore, anteriore alle due uscite per “I Poeti Illustrati” e convalidato da un’evidente somiglianza spirituale, rivela interessanti novità su entrambi gli interlocutori. Segue una quinta sezione, in cui sono esposti i libri di tre autori contemporanei di Riva, i Poeti del dopo Montale, i cui incontri con gli incisori tra anni Sessanta e Settanta producono i risultati più innovativi e al contempo suggestivamente nostalgici della collana. A chiudere, alcuni incontri invece avvenuti solo sulle pagine di un libro, attraverso la mediazione di un traduttore o dell’aura di una recente leggenda, o ancora nel fuoco di una comune passione intravista dagli estremi opposti d’Europa e, in un caso, del mondo: Colloqui a distanza.
“I Poeti Illustrati” sono, se non sempre il vertice tecnico, certo la realizzazione della massima aspirazione di Riva e del suo divertimento: pittori da attirare sulle lastre dell’officina, testi da scovare in biblioteca o da sottrarre, per un momento, al mercato, pratiche tipografiche centenarie da accordare, senza che nulla si incrini, a immagini modernissime a loro volta spesso sposate a testi classici. D’altronde sono stati i poeti l’amore più vivo del defilato stampatore veronese, i poeti amati da sempre negli studi, nel lavoro, e nel privato piacere di lettore. Alcuni amici più materialmente assennati, come dimostra il suo epistolario, tentarono di allontanarlo dall’infruttuosa poesia e di spingerlo verso i possibili guadagni di un’editoria meno domenicale. In una risposta del ’65, citata in un recente libro di Gatta sugli eredi moderni di Aldo, lo stampatore del gatto – marca tipografica scelta per evidenti consonanze caratteriali coi domestici predatori felini – esprime una volontà di resistenza che è ancora di grande incoraggiamento per il pubblico della poesia:
Voi ancora dite che smetta coi Poeti, ma se è l’unica impresa valida (guardate in giro le imitazioni) che abbia finora fatto! L’ho cominciata anni fa, la sto perfezionando, sto pungolando artisti ritrosi al libro, vivo con la poesia, tocco poesia. E voi dite di lasciare stare un’impresa che trova già tanti imitatori!?! Su questo resisto, su questo il cuore mio non cede! Ecco, appunto, come un’operazione tecnica, diventa soprattutto operazione di cultura.
Nota
Tutte le schede, come di consueto, non hanno note ma sono seguite da un minimo prontuario bibliografico dei testi citati e di quelli utili per la lettura dei singoli oggetti, a cui si premette il riferimento al libro di Riva in oggetto. Ad essi vanno aggiunti alcuni titoli su Riva e sul suo lavoro che costituiscono il comune retroterra da cui sono partiti tutti i contributori. Ne diamo qui di seguito una lista generale:
M. Gatta, Dalle parti di Aldo. Vicende e protagonisti della cultura tipografica italiana del Novecento, a cura di D. Colnaghi, prefazione di E. Barbieri, con uno scritto di M. Chiabrando, Macerata, Biblohaus, 2012.
F. Riva, Il mio dimestico torchio, Trieste, Tipografia Litografia moderna, 1958.
Il torchio di Franco Riva, Trieste, Associazione italiana delle biblioteche-Sezione del Veneto orientale e della Venezia Giulia, 1958.
F. Riva, ‘Stampare di domenica’, Lettere Venete, VIII-IX, 26-30, 1973, p. 162.
F. Riva (a cura di), Editiones Dominicae: i libri privati di Franco Riva stampati al torchio a mano sibi & sodalibus, Catalogo della mostra di Milano 1984, Verona, Stamperia Valdonega, 1985.
L. Tamborini (a cura di), Privato ac dominico more: il torchio e i libri di Franco Riva, Catalogo della mostra di Milano 1997, Milano, Electa, 1997.
Per le immagini, tutte tratte da copie dei libri, si ringraziano la Biblioteca Palatina e il Museo Bodoniano di Parma.