Dopo Le Conte d’hiver, messo in scena nel 2004 (Studio-Théâtre), Muriel Mayette-Holtz torna a confrontarsi con il ‘Bardo dell’Avon’ firmando la regia del Songe d’une nuit d’été alla Comédie Française (Salle Richelieu, dal 18 febbraio al 25 marzo).

La pièce shakespeariana scritta – con ogni probabilità – tra il 1595 e il 1596, si sa, è un vero e proprio «trionfo di tessitura» (N. Fusini, Introduzione a W. Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, 2006, p. XII), dove i fili più disparati, dalla poesia alla mitologia al folclore, si intrecciano dando vita a una unità multiforme.

Il sipario si apre sulle nozze annunciate di Teseo e Ippolita, che sfumano subito in cornice a causa del conflitto tra Egeo e la figlia Ermia: la ragazza infatti con «cocciuta protervia» (I, 1,) si rifiuta di sposare Demetrio, il pretendente preferito dal padre, perché innamorata di Lisandro. Feroce è l’ultimatum che il duca di Atene le impone: se non cederà al volere paterno, dovrà scegliere tra un chiostro di monache o la morte. Non rimane così che fuggire nel bosco, luogo contrapposto simbolicamente alla città, avvolto nel mistero e perciò votato al nascondimento, ma soprattutto efficace anello di intersezione fra le diverse trame. Oberon e Titania, con il loro corteo di fate e il dispettoso Puck, abitano difatti nella foresta, e lì inverano i sortilegi e le burle che innervano la drammaturgia e coinvolgono perfino il gruppo di ateniesi appartatisi per provare la lamentevolissima commedia e la crudelissima morte di Piramo e Tisbe. Ma a corte inizia e a corte finisce l’azione: si oblia il sogno notturno e l’intreccio si scioglie in un disegno ordinato e simmetrico, perché – come dice Puck – «tutto è bene quel che finisce bene» (III, 2).

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