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  • «Noi leggiavamo…». Fortuna iconografica e rimediazioni visuali dell’episodio di Paolo e Francesca fra XIX e XXI secolo →

 

Un pittore italiano che, negli avanzati anni Ottanta dell’Ottocento, si proponga di dipingere un quadro su un tema dantesco, e dei più abusati, quale vantaggio ha su un suo collega di venti o trenta anni prima alle prese con lo stesso tema? Credo che questa sia una buona domanda per cominciare a interrogare il Paolo e Francesca di Gaetano Previati [fig. 1].

L’opera, inviata dall’artista alla Esposizione Permanente di Milano nel 1887 (una scelta sotto tono: c’era piuttosto da aspettarsi da lui l’invio di un quadro così importante alla coeva Esposizione Internazionale di Venezia, magari appeso accanto alle scandalose Fumatrici di haschisch), venne subito letta dai contemporanei come un episodio di rottura nella iconografia pittorica della Commedia. Le due recensioni maggiori di cui fu oggetto insistevano proprio su questo punto. Giuseppe Mongeri si diceva stupito e insieme ammirato per il coraggio dimostrato dall’artista nell’innovare un tema «pesto e ripesto, e servito in tutte le sue salse da oltre mezzo secolo» attraverso l’inaudita invenzione «dei due infelici amanti trafitti, l’uno nell’altro, dalla stessa spada, così doppiamente omicida, con un colpo solo» (Mongeri 1887). L’abitualmente cauto Alfredo Melani ammetteva di essere rimasto stregato, quasi suo malgrado, dalla straniante ambientazione contemporanea e da una regia luminosa che sottolineava la sovrapponibilità tra l’estasi della passione amorosa e l’orrore della morte (Melani 1887): un cortocircuito che nessuno, a Milano, chiamava ancora ‘decadente’. Se non veniva in aiuto il titolo non era così immediato associare il contenuto del quadro all’episodio conclusivo del V canto dell’Inferno: non c’è infatti traccia dell’omicida Gianciotto e neanche del libro galeotto la cui lettura condusse al primo bacio tra Paolo Malatesta e Francesca da Rimini; c’è invece, e di grandezza insolita, un letto senza età e senza fronzoli che allude all’amplesso prossimo. Basta sfogliare le pagine di cronaca della Perseveranza o del Corriere della Sera degli stessi anni per trovare trafiletti dove le vicende di amanti uccisi o suicidi sono date in pasto con crudele realismo ai lettori. Le ambientazioni che vengono raccontate in queste cronache sono sempre interni urbani, cupi e sinistramente peccaminosi, non troppo diversi da quelli del quadro di Previati: gli eccessi della bohème contaminano in modo preoccupante le abitudini della borghesia; solo che per amore si uccide, o ci si uccide, nella Milano del 1887, con la rivoltella o con il veleno, non con la spada.

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