Nel 1967 il regista jugoslavo Aleksandar Petrović presenta il film Skupljaći perja (Ho incontrato anche zingari felici) in cui, attraverso un mix di realismo e fantasticherie, viene raccontata con grande forza visiva l’epopea dei Rom. Qualche tempo prima, nel 1962, anche un giovane fotografo cecoslovacco, Josef Koudelka, si mette sulle tracce dei gitani e, dopo cinque anni di ‘pedinamenti’ tra le umide periferie dell’Est europeo, proprio nel 1967 trova il coraggio di esporre alcune foto nel foyer di un teatro di Praga, vincendo così la miopia del regime. È questo l’inizio di una esaltante histoire de l’œil, capace di durare, con alterne fortune, fino ai giorni nostri, perché – come scrive Franz-Olivier Giesbert – «quand c’est un œil d’artiste qui l’a prise, la photo ne vieillit jamais. Elle parle à toutes les générations, comme un tableau de Titien ou une sculture de Rodin».

L’incontro con gli zingari è un vero turning point nel destino del giovane ingegnere aeronautico con la passione per la fotografia e la musica. Di fronte alla disarmante fotogenia di quei gruppi di famiglie così eterogenei, Koudelka comincia a mettere in posa sguardi, riti, corpi e oggetti, testimoni di una stravagante joie de vivre. Già dai primi scatti emerge una rara capacità di ‘ascolto’ dell’altro; il suo obiettivo, infatti, partecipa con empatia al dialogo silenzioso con personaggi e cose che, pur abitando un tempo instabile, non si ritraggono, anzi precipitano con grazia dentro il grandangolo. Oltre la tecnica, ad entrare in gioco in questo intreccio di occhi e di grigi sono le ragioni stesse dell’esistenza, come riconosce Koudelka: «mi hanno cambiato la vita, debbo a loro se ho lasciato la Cecoslovacchia e se ho conosciuto Cartier-Bresson». Proprio grazie ad una borsa di studio per fotografare gli zingari in Camargue, nel 1970 il reporter trentaduenne lascia il proprio paese, ancora stordito dall’invasione sovietica, per cercare altrove quella profondità di sguardo e di racconto che in patria rischiava di pagare a caro prezzo. Da lì a poco la conoscenza di Cartier-Bresson e l’ingresso nella mitica agenzia Magnum Photos avrebbero impresso una nuova direzione al suo percorso; la prima, luminosa scintilla resta comunque per sempre consegnata ai lampi in bianco e nero ‘catturati’ nei campi nomadi di mezza Europa.

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