«Più stelle che in cielo» recitava un motto pubblicitario della Metro Goldwyn Mayer. Il nuovo divismo a stelle e strisce si aggiorna nella seconda metà degli anni Venti e lungo gli anni Trenta con Garbo, Dietrich, Pickford, Crawford, Davis, Harlow, Colbert, Lombard, Hepburn, Rogers, Shearer: donne spigliate, anticonvenzionali, fatali, incredibilmente affascinanti ed eleganti pronte per essere vendute, come merci, nel mercato dei sogni.
Sono loro ad occupare con voracità non solo gli schermi italiani, ma anche le copertine delle riviste di cinema e dei rotocalchi femminili raccontando come sono divenute dive, come trascorrono la giornata lavorativa e il tempo libero. Dispensano consigli di ogni genere al pubblico che intasa la loro casella postale: dalla moda, alla salute, alla cosmesi. Le majors controllano con contratti capestro le loro ‘creature’ in modo che anche nella vita privata recitino, come afferma Edgar Morin, «una vita da cinema». In Italia, la reazione della politica culturale di regime allo strapotere cinematografico americano, che in media si aggiudica il 70-80% degli incassi, è quella di adattare al modello d’oltreoceano le poche attrici del firmamento nostrano: dai capelli permanentati al trucco, all’abbigliamento, alla postura, ma il risultato è quasi sempre inferiore alle attese. Per un cinema, come quello italiano, alla ricerca di un rilancio e quindi di un suo spazio sul mercato nazionale diviene un must la selezione di volti nuovi soprattutto attraverso la preparazione al Centro Sperimentale. La scelta di candidate passa però anche per altri canali: concorsi, incontri casuali, raccomandazioni e così via. Luisella Beghi, Clara Calamai, Elli Pardo, Alida Valli, Andrea Checchi sono solo alcuni degli allievi del Centro destinati ad entrare nel firmamento divistico. Nei primi anni Trenta è il teatro il principale vivaio degli attori cinematografici, come testimoniano Elsa Merlini, Sergio Tofano, Isa Pola, Vittorio De Sica. La campagna di reclutamento per la formazione di uno stardom di regime si intensifica negli anni della battaglia per l’autarchia in cui diventa elemento fondante la ricerca di attrici (ed attori) che esprimano l’italianità sia nei tratti somatici sia nelle caratterizzazioni morali, psicologiche e razziali. Inoltre, aspetto molto significativo, si sente l’esigenza che le attrici perseguano uno stile di recitazione italiano, invece di imitare movenze e pose delle dive d’oltreoceano.