Fin dall’azzurro carta da zucchero della copertina Adelphi, elegantemente ruvida, la raccolta degli inediti (o sparpagliati) scritti di cinema di Leonardo Sciascia, appena pubblicata per le cure di Paolo Squillacioti, promette riflessioni profonde, segnate dal tempo e venate di nostalgia. Non per la facile ricorrenza del centenario della nascita dello scrittore, ma per il suono cristallino di queste pagine che, seppure nella frammentarietà delle carte ritrovate, investono chi legge con la forza intatta di un pensiero tenace e tenacemente eretico, lontano da ogni ritualità e conformismo, compresi quelli innescati dal profluvio degli anniversari. Negli ultimi tempi, infatti, si sono moltiplicate le occasioni celebrative, in una sorta di perdurante conversare nel quale l’immagine – o meglio l’ombra – dello scrittore sembra aleggiare come un imbronciato convitato di pietra. Perlomeno questa è la mia impressione di lettrice di Sciascia: avverto con precisione la distanza e finanche l’estraneità dell’incedere sinuoso e implacabile del suo ragionare rispetto a qualsiasi tentativo di ‘canonizzazione’, pur condotto in affettuosa buonafede.
In questo scenario, la smilza silloge di testi sul cinema, meticolosamente ordinati da Squillacioti, con mano leggera ma rigorosa, ha il non piccolo merito di restituire per intero la figura di Sciascia, il suo sguardo lucido, originale, e insieme i suoi puntigli, le arricciature, si potrebbe dire, di una visione del cinema e del mondo pertinacemente orientata. Così ritroviamo, nel frusciare delle pagine, la forma mobile del rapporto che ha legato lo scrittore allo schermo: dall’amore, precocissimo, per le storie di celluloide, al disamore, sopraggiunto verso gli anni ’60 a intiepidire e addirittura a raggelare un sentimento profondo ma divenuto inservibile, irrimediabilmente freddo; dal sogno giovanile di misurarsi con la regia e con la sceneggiatura, all’infiltrarsi, quasi uno sgocciolare, delle immagini filmiche nel tessuto visuale e narrativo della sua scrittura romanzesca; dall’agone cinematografico frequentato come campo di azione politica, agli interventi dell’intellettuale che non manca di partecipare al dibattito suscitato da certe pellicole, e segnatamente da quelle tratte dai suoi racconti, con lampeggiante vis polemica.