Categorie



Questa pagina fa parte di:

Sergio Toppi, Verrà Orlando, in C. Bertieri (a cura di), Immagini di Sicilia, Palermo, Regione siciliana, 1986

 

Pubblicate nel volume collettaneo Immagini di Sicilia e ripresentate nel 2013 nel catalogo della mostra catanese L’incanto del segno, le tavole di Verrà Orlando costituiscono e rappresentano pienamente la cifra stilistica e narrativa di Sergio Toppi (fig. 1). Nel Dopoguerra gli esordi di Toppi nell’illustrazione, nella grafica pubblicitaria e nei cartoni animati (Studio Pagot) improntano il carattere icastico del suo segno; la violazione del limite della singola vignetta conserva in ogni fase della produzione dell’artista l’attenzione al dettaglio e contemporaneamente all’efficacia emotiva dell’immagine, e, nel complesso, del progetto grafico chiuso e preferibilmente non ‘spalmato’ a episodi o a puntate. Nel 1966, per il «Corriere dei Piccoli», Toppi realizza alcune serie di soldatini di carta e si avvicina alla materia cavalleresca con le illustrazioni degli inserti Guerin il Meschino e Orlando paladino di Francia (nn. 29 e 32, 1968), nel quadro di un interesse per il genere epico (El Cid e Sigfrido) che, quantunque imperniato sulla centralità dell’eroe, prevede un tipo di partecipazione diversificata delle masse, parte integrante di quella dimensione storica in cui si conciliano, nella lettura di Toppi, informazione e passione. La collaborazione come illustratore di classici della letteratura lo vede affiancare Dino Battaglia, prediligendo il romanzo storico da Scott a Tommaso Grossi, a Sienkiewicz, secondo l’estro documentato nel volume I grandi narratori, in riduzione per i lettori più giovani. Nutrita di suggestioni letterarie forti, questa tendenza specializza Toppi nel duplice versante illustrativo e creativo, dando prova della sua erudizione in progetti di ampio respiro e quasi enciclopedici, quali Storia dei popoli a fumetti di Enzo Biagi (Mondadori), o alcuni volumi della Histoire de France en bandes dessinées e di La Découverte du Monde (Larousse) da una parte e la trilogia, nella collana Un uomo un avventura (Cepim) dall’altra. Esotismo, orientalismo decadente, debordante nella citazione etnografica o nell’erotismo allusivo (Klimt è accanto a Schiele uno dei dichiarati modelli di Toppi, come osserva Omero Pesenti); decorativismo e pittoricità (come in alcune memorabili copertine o illustrazioni per l’editore francese Mosquito), infine inclinazione al mito e al contrassegno simbolico (testimoniato per esempio dai Tarocchi del 1991) determinano un percorso autoriale troppo ampio per essere riassunto in un’opera sola. Nondimeno la genesi e la sorgente di ispirazione di Verrà Orlando restituiscono la continuità di metodo dell’artista (fig. 2). Invitato a collaborare a un volume di promozione della Sicilia in chiave turistico-culturale, Toppi si inoltra nel territorio dell’immaginario popolare e, come i pupari, recita a soggetto prendendo spunto dall’evocatività dell’onomastica dei cavalieri, dei loro antagonisti e dei luoghi. Solo alla fine si rivela, con un coup de théâtre, il senso del titolo ricorrente in conclusione dei singoli sintagmi narrativi, «Verrà Orlando». Orlando è il pupo che in procinto di essere aggiustato non entra in scena, comparendo solo, nell’ultima tavola, nella fissità quasi induista del suo sguardo ligneo (fig. 3). In assenza di un vero intreccio Toppi sembra essersi misurato con le fantasie scaturite da un duplice orizzonte di quell’attesa suggerita dal ‘paratesto’: quello del pubblico del teatro dei pupi, che è rappresentazione prima visiva nei cartelloni, poi fragorosamente scenica; e quello del disegnatore-sceneggiatore alle prese con un tema e non con una storia. La disponibilità di Toppi all’istanza del ‘committente’ è ricordata nella sua biografia come un tratto di apertura all’esterno, per cui anche negli ultimi anni onorò gli inviti non come un peso da evitare bensì come occasioni stimolanti. Il primo paladino Brandimarte, con un alto pennacchio sull’elmo, ha infatti la rigidità e la meccanicità del pupo e finisce, dopo una metamorfosi, letteralmente schiacciato; dovrebbe intervenire Orlando, ma dalla quinta tavola la narrazione vira in direzione di un livello ulteriore, in cui il disegno sembra voler esplorare le potenzialità e le combinazioni del tema cavalleresco. Qui il racconto grafico si libra rapidamente in alto, come Astolfo, ma per ricadere nella situazione sospesa che, nella rinuncia alla libertà da parte della regina imprigionata nel castello e in attesa di Orlando, esplicita una omologia formale che, in funzione metanarrativa, tende a celebrare, nelle dodici tavole di questo fumetto, il teatro dei pupi. La continua sospensione della narrazione, in cui da un lato vengono rappresentati gli accidenti e non le cause, rimanda continuamente un finale a ben vedere ‘aperto’. Per cui, a differenza dei pupi-uomo di Che cosa sono le nuvole? (1967) di Pasolini, l’Orlando di Toppi non viene rottamato, ma risorge dietro le quinte:

* Continua a Leggere, vai alla versione integrale →