1.5. Per il mondo con nuovi illustratori

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  • Il corpo plurale di Pinocchio. Metamorfosi di un burattino →

Tradotto in più di ventotto lingue, tra cui persiano, giapponese, coreano e addirittura due lingue norvegesi, il Pinocchio di Roberto Innocenti, uscito nel 1988, ha segnato un’inversione di tendenza rispetto all’operazione compiuta sin dagli anni Quaranta da Walt Disney, che aveva scalzato Carlo Collodi dal suo ruolo di autore e imposto nel mondo la sua icona del burattino. Le tavole dipinte ad acquarello, con una perizia straordinaria, da Innocenti ripercorrono la storia autentica del burattino ambientandola nella sua terra madre, una Toscana ottocentesca raggelata e segnata dalla miseria e dalla fame. Si riscoprono così la profondità e l’inquietudine del testo originale, insieme alla sofferenza e alla violenza che erano state bandite dalla versione americana. Nel 2005 Innocenti si è di nuovo cimentato col testo collodiano: le tavole più recenti presentano una chiave interpretativa che si discosta da quelle precedenti, rivelando dimensioni meno drammatiche e impiegando colori più limpidi per descrivere, nelle più diverse forme e con straordinaria competenza architettonica, la dimensione urbana e contadina della Toscana.

Anche la tedesca Sabine Friedrichson, pubblicò il suo Pinocchio nel 1988. In origine le sue illustrazioni dovevano accompagnare l’edizione rielaborata Der neue Pinocchio di Christine Nöstlinger. Dopo essersi resa conto dei cambiamenti che l’autrice viennese aveva apportato al testo collodiano, la Friedrichson decise di ritirare il proprio lavoro, che poteva funzionare solo in un’edizione fedele al testo di Collodi. L’illustratrice si concentra infatti su un singolo dettaglio ingrandito al punto da far sparire tutto il resto, oppure forza la prospettiva in modo da cogliere solo uno scorcio in una diagonale estremamente audace. La scena dell’impiccagione, ad esempio, si focalizza sui piedi agilissimi che non toccano più terra, mentre sullo sfondo si vede solo la casetta bianca divenuta una villa tradizionale toscana.

La Nöstlinger, dal canto suo, aveva cancellato le parti più apertamente didascaliche del testo e le aveva sostituite con altre inventandosi anche un nuovo finale: Pinocchio scopre di essere diventato bambino quando si punge il dito con la spina di una rosa blu. Dalla matita del nuovo illustratore, Nikolaus Heidelbach (nato a Köln nel 1955), nello stesso 1988, spuntò un burattino spensierato e birichino che si aggirava perplesso per il mondo e si concedeva qualche pausa stando sdraiato con le gambe accavallate sul grembo di una paffuta madrina. Nel 1995 Der neue Pinocchio della Nöstlinger uscì invece con le illustrazioni dell’artista spagnolo Antonio Saura [fig. 1]. Nato nel 1930 e morto nel 1998, alla fine della vita – un periodo in cui elaborò il lutto per la morte della figlia Ana – Saura si dedicò a Pinocchio con circa 123 lavori eseguiti con tecnica mista e sessantaquattro disegni di china. La sua carriera artistica era iniziata all’età di tredici anni, quando, colpito dalla tubercolosi, per anni era stato immobilizzato dalla malattia e si era immerso nella lettura e nel disegno. Con Pinocchio, Saura decise di utilizzare una tecnica che non aveva mai impiegato prima, dedicandosi allo studio dei fumetti e dei cartoni animati e allontanandosi completamente dall’icona creata da Disney. In anticipo sui tempi creò infatti un burattino che sembra già appartenere alla Street art: con un tratto deciso ne fece una figura geometrica e deforme, ma immediatamente riconoscibile, quasi uno scarabocchio inventato dai bambini, ma dipinto coi colori fondamentali che lo rendono molto luminoso. Così Saura ha scritto sul suo lavoro:

La realizzazione di Pinocchio è stata per me un tentativo lucido e gioioso di restituire all’universo del quasi intellegibile una fissazione infantile e persistente. Il risultato, tuttavia, si è accompagnato alla tragedia, trasformando l’anelata freschezza non in nostalgia infantile di un potere perduto, ma in un amaro e interminabile parallelismo con il dolore, per poi diventare alla fine una speranza, un omaggio a una nuova vita (Rut Martin, 2015, p. 170).

Nel 1990 esce in Francia l’affascinante Pinocchio di Mattotti (nato nel 1954). Un Geppetto dal mento a bazza intento a scolpire il lungo naso di Pinocchio curiosamente rivolto all’insù campeggia in copertina. Sapientemente colorato dagli accesi pastelli dell’illustratore, anche questo Pinocchio rivela il carattere umorale delle figure da cartone animato sempre in cammino verso nuove avventure. Straordinaria la scena in cui Pinocchio viene risucchiato dal Pescecane: il pastello turchese sembra trasformare il liquido mare in una sostanza vischiosa in cui il burattino resta intrappolato. Ed è lo stesso mare che in una tavola successiva mostra straordinari effetti di luce e di colore: Geppetto e Pinocchio, ormai salvi, nuotano sotto il raggio della Luna in una striscia d’acqua color smeraldo, mentre sullo sfondo, simile a una montagna, si profila la sagoma scura del mostro marino. Nel 2012 Enzo D’Alò ne ha tratto un film d’animazione.

Nel 1993 vede la luce il Pinocchio di Kestutis Kasparavicius, nato in Lituania nel 1954, che raffigura Pinocchio come una marionetta da teatrino di strada; anche le altre figure sembrano marionette collocate in una serie di quadri presentati frontalmente oppure di profilo. Si tratta di una versione ridotta e rielaborata del testo, ma che non rinuncia alle scene madri di Pinocchio, in alcuni casi con coraggiose innovazioni, come accade nella scena dell’impiccagione in cui Pinocchio viene issato a testa in giù in una postura che ricorda la figura dell’appeso dei tarocchi. Teatrale è anche il Pinocchio che Emanuele Luzzati pubblicò nel 1996. L’anno precedente aveva messo in scena un’opera teatrale dedicata al burattino presso il Teatro della Tosse di Genova da lui fondato. Nato nel 1921, Luzzati aveva studiato alla Scuola di Belle Arti e Arti Applicate di Losanna, dove da ragazzo si era rifugiato per sfuggire alle leggi razziali del fascismo; al ritorno in Italia cominciò a lavorare come scenografo per il teatro e a creare copertine e illustrazioni. Il suo Pinocchio è sempre sul palcoscenico di un teatro, si muove infatti all’interno di una ‘scatola teatrale’ chiusa ai lati, ma aperta dalla parte del pubblico.

Alla tecnica del collage si rivolge invece, servendosene con raffinata maestria, il cinese Ed Young (e un accurato lavoro di collage con stoffe aveva già intrapreso negli anni Settanta la giapponese Sakura Fujita). Nato in Cina nel 1939 e cresciuto nella Shanghai degli anni Quaranta, in un’incerta atmosfera di guerra, per Pinocchio, uscito nel 1996, Ed Young si è documentato sulla cultura italiana imbattendosi nei personaggi della commedia dell’arte, che a suo parere si rispecchiano nelle figure del romanzo. Alcuni collage hanno un solo colore, altri sono composti con carte dalle varie sfumature e si stagliano su uno sfondo che spesso occupa tutta la pagina. Geppetto all’inseguimento di un Pinocchio piccolissimo, ad esempio, sembra staccarsi dalla pagina per rincorrere il burattino tra le righe del testo, mentre la carta bianca trasparente con cui viene rappresentata la secchiata d’acqua buttata giù dalla finestra del vicino si increspa appena prima di cadere freddissima sulla testa del burattino. Nelle scene finali il rapporto tra il vecchio padre malato e il figlio pronto a sorreggerlo e a guidarlo assume grande rilievo: il libro si chiude infatti sulla grande silhouette del burattino e sulla fotografia di un bambino.

Il bulgaro Iassen Ghiuselev, nato a Sofia, scopre nel testo di Collodi una prospettiva profondamente religiosa, che sottolinea introducendo in ogni tavola dei dettagli che si richiamano apertamente alle storie di Cristo raccontate nei Vangeli. Ghiuselev, ad esempio, fa riferimento all’immagine di Maria e alla Sapienza della tradizione cristiana nell’ultima illustrazione del suo Pinocchio, in cui la fatina è rappresentata nell’atteggiamento protettivo e accogliente della Madonna della Misericordia o del Mantello e di disvelamento della maternità della Madonna del parto. Come in un’antica icona bulgara viene mostrato il bambino nel ventre della madre, così anche nel corpo della fata si compie il mistero della trasformazione di Pinocchio in bambino e viceversa.

Nel 2001 Nicoletta Ceccoli, nata nella Repubblica di San Marino nel 1973, illustra Pinocchio con un’impronta fortemente onirica che le permette di scrivere intorno alle Avventure non solo una, ma diverse storie fin dalla copertina del libro. Il burattino dorme in un paesaggio-letto fatto di dolci colline dalle svariate sfumature, mentre il suo naso si trasforma nell’albero carico di zecchini che un altro Pinocchio piccolissimo cerca di cogliere, guardato da lontano dal Gatto e dalla Volpe. Nello stesso anno escono Le avventure di Pinocchio con le illustrazioni di Cecco Mariniello, che sceglie di dare spazio ad alcune scene spesso trascurate da altri illustratori, dedicando ad esempio un’intera sequenza ai piedi di Pinocchio bruciati sul caldano, a Pinocchio che mangia le pere, e a Pinocchio trasformato in asino a colloquio con la marmottina.

Nel 2002 Arianna Papini, nata a Firenze nel 1965, facendo ricorso a toni sfumati spesso su sfondo nero, inventa un burattino che a stento si può identificare con quello da tutti conosciuto, sottoponendolo a un forte straniamento e, come se volesse distillare dal testo una sostanza essenziale, regala al burattino un naso che sembra un alambicco. In quell’anno, un Pinocchio dalle tinte fosche dell’horror scaturisce dalla matita inquietante di Gris Grimly, pseudonimo di Stive Soenksen. Nato nel 1975 in una comunità contadina del Nebraska e trasferitosi a Los Angeles, dove ha intrapreso una carriera artistica ispirandosi ai classici dell’orrore, a partire da Edgar Allan Poe, Grimly usa in grande abbondanza il nero. Nella tavola che rappresenta il teatro di Mangiafuoco, Pinocchio si erge magrissimo su zampe da insetto sfoggiando un ghigno spudorato sotto le grinfie di un orribile burattinaio [fig. 2]. Tutto appare sinistro, nel nulla sembra finire la strada acciottolata su cui avviene l’incontro con il Gatto e la Volpe, che sfoggiano il volto più tremendo che un illustratore gli abbia fino ad ora dato.

Nel 2003 Greg Hildebrandt sembra attribuire a Geppetto un ruolo centrale: è un falegname anziano, con gli occhiali da presbite sul naso, come il suo predecessore disneyano, pronto a discutere con un panciuto Maestro Ciliegia che somiglia di più a un maniscalco tedesco che a un falegname toscano. L’interesse dell’autore americano sembra indirizzarsi principalmente sul mondo degli adulti presentato in modo idealizzato, come avviene nel caso dell’aitante personaggio cui Pinocchio vende l’abbecedario dopo averlo incontrato in un elegante calle veneziano, o del seducente domatore del circo dagli splendidi stivali che mette in ombra persino il ciuchino.

Completamente diverso è invece il Pinocchio di Sara Fanelli, nata a Firenze nel 1969 e trasferitasi a Londra, dove ha studiato. Il libro in quanto tale viene messo in primo piano: dal formato quadrato, la copertina arancione di cartone riproduce sullo sfondo i quadretti di un quaderno di scuola e rivela che l’interlocutore cui si rivolge è il bambino in età scolare, un impertinente giovanissimo lettore dotato di inesauribile umorismo che riempie il suo Pinocchio di macchie, ghirigori e scarabocchi. Sul grigio di un paesaggio toscano riprodotto da una fotografia in bianco e nero, si stagliano i principali protagonisti: con una borsettina a tracolla, Pinocchio ha tratti minimalisti, squadrato e sempre di profilo, e sembra disegnato seguendo i contorni dei quadretti, il gatto e la volpe hanno occhi umani. Una ventata di umorismo ci regalano le tre famose pere che hanno anch’esse occhi, nasi e baffi, oppure la vignetta con i quattro conigli neri con occhio umano che trasportano una bara da cui spunta un naso pinocchiesco.

Lo spagnolo Ramon Pla, nato a Valencia nel 1974, propone nel 2012 un Pinocchio quasi interamente reso con toni marroni che non ha nulla di accattivante e sembra rivolto, più che a bambini, ad adolescenti che possono essere attratti dalla sua vicinanza con il fumetto. Le scene più crude e crudeli di Pinocchio sono esasperate e rese ancora più tragiche dalla fragilità del burattino, come nell’illustrazione in cui il protagonista mostra gli zecchini al gatto e alla volpe [fig. 3].

Il Pinocchio illustrato da Ferenc Pinter con quarantotto tavole uscì postumo dalla casa editrice Lo Scarabeo nel 2011; qualche anno prima, nel 2003, Segni & Disegni aveva pubblicato in novanta copie otto tavole numerate e firmate della cartella di Pinocchio. Nato a Alassio nel 1931 da madre italiana e padre ungherese, da bambino Pinter si era trasferito con la famiglia a Budapest da cui fuggì per far ritorno in Italia nel 1956 in seguito all’invasione sovietica. Per più di trent’anni collaborò con grande successo con la casa editrice Mondadori, illustrando le copertine dei gialli Omnibus e degli Oscar che diventarono subito famose, come quelle dedicate al commissario Maigret, ai romanzi di Cesare Pavese, di Grazia Deledda e altri scrittori. Dipinse le tavole di Pinocchio negli ultimi anni sino alla morte avvenuta nel 2008, ispirandosi allo sceneggiato televisivo di Mario Comencini, ma aggiungendovi la sua straordinaria capacità di rendere indimenticabile il proprio punto di vista. Significativa la tavola scelta per la copertina in cui si vede un esile Pinocchio preso di spalle che su una barca capovolta scruta in un immenso mare blu.

Nel 2011 anche due artisti inglesi e uno belga si dedicano a Pinocchio. Grahame Baker Smith, nato in un piccolo villaggio inglese, trascorse da bambino tante ore a contatto con la natura, come rivela in un’intervista, giocando nei boschi o nei ruscelli e imparando a osservare ragnatele, felci, erbe e fiori selvatici. Il suo Pinocchio è molto raffinato: l’immagine di copertina ci mostra un ritratto del burattino con un bel colletto di pizzo ricamato come in un ritratto cinquecentesco, ma il viso appare diviso in due parti, la parte umana e la parte lignea, come rivelano le venature del legno. L’attenta osservazione della natura porta Grahame a inserire nell’illustrazione, con una tecnica che ha sperimentato a lungo, foto della sogliola, delle sardine e della triglia che accompagnano Pinocchio nella padella del Pescatore Verde, ritratto in primo piano con un occhione perturbante da pesce mentre tiene in mano il burattino irrigidito [fig. 4].

Il Pinocchio di Richard Johnson si rivolge a bambini molto piccoli. Le tavole sono infatti molto rassicuranti: Geppetto è un vecchietto tutto tondo dai grandi baffoni bianchi, e la sua bottega ha ancora qualche oggetto che richiama Walt Disney, come l’orologio a cucù e gli orsacchiotti conservati sugli scaffali. Il testo viene interpretato liberamente: già nell’immagine di copertina vediamo sullo sfondo una macchina da cucire, con Pinocchio in primo piano che non sembra vestito di carta, ma con dei pantaloncini eleganti in cui si scorge chiaramente il filo delle cuciture. Anche le immagini che potrebbero far più paura, come quella della barchetta in mezzo al mare con il burattino che tenta di remare circondato dalle onde e da una folla di gabbiani [fig. 5], sono accattivanti. Rivedremo Geppetto nell’ultima tavola con un sorriso estasiato nascosto sotto i baffoni bianchi, le lunghe basette e le grosse sopracciglia, abbracciare il figliolo divenuto un bel bambino, il quale, a sua volta, appare deliziato nell’abbracciare il suo babbino. In una versione per bambini ancora più piccoli, le belle illustrazioni saltano fuori dal libro acquistando una meravigliosa tridimensionalità.

Quentin Gréban, nato a Bruxelles nel 1977, appare costantemente interessato a riprodurre le emozioni di un piccolo Pinocchio alle prese con le diverse situazioni nelle quali si trova coinvolto. Una serie di teste o facce del burattino mostrano lo studio accurato dei sentimenti: gioia, perplessità, tristezza, rabbia, divertimento, spensieratezza, diffidenza, attesa, noia, sgomento. Quentin sembra interessarsi a tutte le esperienze che il suo burattino deve affrontare e alle reazioni del suo viso: eccolo che corre contento dopo essere scappato di casa tra le abitazioni del paese, i cui muri hanno sfumature celesti che diventano più intense per rendere le ombre proiettate dalla biancheria stesa. Molto riuscita la tavola di Pinocchio nella padella del Pescatore verde in mezzo a grossi pesci dalle sfumature azzurro-grigie: da quella padella in primo piano che occupa tutto lo spazio Pinocchio solleva uno sguardo implorante [fig. 6]. La metamorfosi in asino pare avvenire in presa diretta: il burattino è a terra colpito dal mal di pancia, si rialza piegato in due e fissa le orecchie d’asino, si volta perplesso e spaventato e scopre d’avere la coda, poi guarda le braccia già trasformate in zampe, si tocca sgomento il muso d’asino e già sulle quattro zampe raglia disperato. Significativa la tavola finale con Pinocchio che si abbandona tra le braccia del babbo, volgendo le spalle al burattino che, ormai privo di espressione, è accasciato contro una sedia.

Uno studio sul corpo ligneo del burattino compie l’illustratore australiano Robert Ingpen (nato nel 1938), molto attento alle posture, al modo in cui Pinocchio di volta in volta si piega, sta dritto, si gira di lato. Una tavola mostra separati i vari pezzi di cui si compone, gli attacchi, le parti snodabili, la testa, i piedi, le mani: dal loro montaggio verrà fuori il burattino scattante che a gran corsa attraversa un campo di grano tenendo il libro sotto il braccio. La tavola della bottega del falegname rivela la cura e la meticolosità dell’artigiano: sulle pareti sono appesi ordinatamente tutti gli attrezzi possibili in varie dimensioni, sullo scaffale si vede un tricolore e, ancora avvolta, persino la carta rossa a stelle e quella verde di cui Geppetto si servirà per fare il vestito e i pantaloncini di Pinocchio [fig. 7].

Efficaci anche i risultati raggiunti da due giovani illustratrici italiane, Manuela Adreani [fig. 8] e Giulia Tomai, che pubblicano le rispettive edizioni di Pinocchio rispettivamente nel 2013 e nel 2014. Sempre nel 2014 esce uno degli ultimi fumetti dedicati a Pinocchio, con la sceneggiatura di David Chauvel e i disegni di Tim McBurnie, mentre ultimamente anche il coreano Chun Eunsil, con le sue gentili figure, e l’inglese Dylan Giles hanno dedicato dei progetti interessanti al burattino di Collodi.


 

Bibliografia

Questo intervento riprende alcune mie riflessioni pubblicate nel volume R. Dedola, Pinocchio e Collodi, Milano, Bruno Mondadori, 2002 e nel saggio R. Dedola, 'Il giro del mondo con gli illustratori di Pinocchio e una sosta tra gli artisti', in R. Dedola, M. Casari (a cura di), Pinocchio in volo tra immagini e letterature, Milano, Bruno Mondadori, 2008, con illustrazioni di Roberto Innocenti, Iassen Ghiuselev, Nicoletta Ceccoli, Sara Fanelli, Mimmo Paladino e Cecco Mariniello. Nel mio sito internet, <www.rossanadedola.com> si possono vedere alcune illustrazioni di cui parlo in questo intervento. Su Italianistica, 3, 2009, pp. 235-243, ho pubblicato l'articolo Pinocchio tra sculture e illustrazioni.

Ringrazio Pierfranco Lucrì per avermi segnalato il Pinocchio illustrato da Antonio Saura, su cui si veda in particolare H. Rut Martin, 'Érase una vez… el cuento infantil desde la perspectiva del artista', in H. Barbosa, J. Quental (a cura di), Proceeding of the 2nd International Conference Art, Illustration and Visual Culture, in Infant and Primary Education. Creative processes and childhood-oriented cultural discourses, Aveiro, Universidade de Aveiro, 2012, vol. 1, pp. 168-172.