8.1. Vanitas e cartografie: gli inferni reversibili di Eusapia

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In quella «mappa assurda» di città della morte, in cui ogni descrizione rispetta l’«esattezza dura e vitrea dei colori dello stemma e del disegno dello stemma» (Manganelli 2002, p. 105), Eusapia ha esercitato una fascinazione iconografica piuttosto specifica e orientata. L’immaginario degli artisti si è concentrato soprattutto sulla corrispondenza straniante tra la città dei vivi e la città dei morti, una «copia identica» costruita dagli abitanti di Eusapia per rendere il trapasso «meno brusco» (CI, p. 452). Qui i morti vengono trasportati sottoterra per proseguire le solite occupazioni, domestiche e professionali. Tuttavia, non è raro che i defunti reclamino «un destino diverso» da quello sperimentato in vita, istituendo una società fatta di soli mestieri eccezionali, dalle duchesse ai cacciatori di leoni (ibidem). Sia in termini mimetici che in forme trasformative, tra le due Eusapie si stabilisce subito un rapporto di mutuo contagio: la «confraternita di incappucciati» che si occupa dei cadaveri racconta che i morti «apportano innovazioni alla loro città» rendendola irriconoscibile, mentre «i vivi, per non essere da meno» revisionano drasticamente la città superiore. Nel finale, il narratore è attraversato dal dubbio che sia stata proprio la metropoli dei morti ad aver fondato «l’Eusapia di sopra a somiglianza della loro città», rendendo la capitale diurna un modellino infernale, un panopticon luminoso dell’aldilà. Il risultato, comunque, è un’inquietante reversibilità tra i due mondi, al punto che, secondo alcuni, nelle «città gemelle» non ci sarebbe più modo di «sapere quali sono i vivi e quali i morti» (CI, p. 453).

Di fronte a una narrazione fatta di «spazi bipolari, edificati sulla contraddizione» (Savio 2015, p. 7), a calamitare l’interesse degli artisti è proprio il tema del doppio urbanistico, declinato perlopiù in una divisione della superficie (il foglio o la tela) tra una zona emersa e il suo rovescio spettrale. Partendo dalle immagini ormai istituzionalizzate, nell’Eusapia di Pedro Cano (su cui cfr. soprattutto Kreisberg 2012) la dialettica tra oscurità e luce viene impostata sul crinale materico: la città ‘sbava’, colando sulla superficie bianca e lasciando una scia di macchie e di geometrie vagamente riconducibili a un paesaggio urbano. Il nero avvelena il foglio, trasformando l’ordine etereo del vuoto in un pasticcio di forme scomposte ma, paradossalmente, vitali. [fig. 1] Al contempo, uno squarcio bianco interrompe la figurazione, rendendo impossibile stabilire se, come il gatto di Schrödinger, la città che si intravede a sinistra sia viva o morta e se la luce indichi la sopravvivenza oppure l’abisso abbacinante del dopo. A destra, Cano inserisce il dettaglio di due occhi accompagnati da una sorta di monogramma rosso. Si tratta, forse, di uno degli «incappucciati» citati nella didascalia («L’incombenza di accompagnare giù i morti e sistemarli al posto voluto è affidata a una confraternita di incappucciati», CI, p. 452), con l’espediente di rendere il foglio stesso un involontario cappuccio bianco, quasi da Ku Klux Klan. Allo sguardo voyeuristico e iniziatico del monatto è affidata la prospettiva su Eusapia: del resto, come aveva scritto lo stesso Calvino, «tutto quello che si sa di laggiù si sa» proprio dai racconti degli incappucciati (ibidem). In questo dittico della città e dello sguardo sulla città – un occhio complice e contagiato, sbalzato dallo stesso bianco che squarcia la vita-morte – Cano riesce a sintetizzare tanto la reciprocità sincronica dei due mondi quanto il ruolo essenziale degli incappucciati, che Calvino sceglie come unici narratori attendibili per raccontare, con «autorità», la storia dell’altra Eusapia. Da quando compaiono questi esoterici becchini, infatti, la descrizione viene scandita dall’anafora del «Dicono», che sposta interamente la responsabilità e l’angolatura di visione sulla «confraternita di incappucciati». L’illustrazione proposta da Cano, dunque, è un’interpretazione visionariamente filologica delle pagine di Calvino, nonché una delle poche a creare non soltanto una dicotomia tra le due città ma tra due diversi momenti della diegesi – la presentazione iniziale della città, schematica e assertiva, e la coda dubitativa, sebbene autorevolmente interna, degli incappucciati.

Proseguendo nella campionatura, bisogna ricordare il numero di «Cenobio» dedicato a Calvino nel 2015, in cui i saggi sono inframmezzati dalle tavole di Sara Vettori e Gabriele Genini, due giovani artisti nati rispettivamente a Firenze e a Osogna (in Ticino). Oltre a un ritratto di Calvino realizzato a quattro mani (Omaggio a I. Calvino), incontriamo qui un’imprevista rappresentazione en intérieur di Eusapia (Montorfani 2015, p. 61). In questa acquaforte di Gabriele Genini, infatti, la focalizzazione si sposta nella saletta di un bar, in cui gli avventori, vivi e in salute nel rettangolo superiore, vengono trasfigurati, in basso, nei rispettivi scheletri. [fig. 2] I personaggi maschili sono impegnati in una partita a carte, in una posa che sembra replicare citazionisticamente quella dei giocatori del ciclo di Cézanne, dai cappelli al dettaglio della pipa. Oltre a una scheletrificazione dei corpi, i personaggi sono sottoposti qui a un processo di invecchiamento storiografico: al posto dei berretti da lavoro, i teschi indossano ora tube e bombette, mentre la figura femminile sfoggia un abito anni Venti, scambiando la sigaretta industriale con un elegante bocchino. La morte attiva, dunque, un varco spazio-temporale che ingloba anche gli oggetti, dai bicchieri ai lampadari. A restare immutate sono soltanto le carte – amuleto dell’universo simbolico-combinatorio di Calvino. Se i corpi si consumano e le mode si avvicendano, dunque, resistono soltanto gli archetipi e il gioco dei segni incrociati.

Prima di passare alla Rete, un altro esempio cartaceo riguarda Le città manifeste di Giovanni Barbato (2012), un «compendio illustrato» al volume di Calvino in cui, come leggiamo nella breve premessa, l’artista ha realizzato un’«interpretazione grafica» «soggettiva» delle cinquantacinque città (Barbato 2012, pp. n.n.). In un campionario stilisticamente difforme, in cui Escher si mescola con Magritte, del racconto di Eusapia viene isolato un singolo dettaglio, quello dell’orologiaio morto che «in mezzo a tutti gli orologi fermi della sua bottega, accosta un’orecchia incartapecorita a una pendola scordata» (CI, p. 452). Nella tavola di Barbato compaiono puntualmente due orologi, con uno dei quadranti che si sovrappone al cranio del personaggio-teschio, di cui viene enfatizzata la dimensione dell’orecchio e lo spazio cavo delle orbite. La scelta del tratto – una nebulosa di puntini che riempiono i contorni degli oggetti – si ripete in quasi tutte le altre città, da Adelma a Leandra, generando un effetto d’indistinzione ‘volatile’ che si oppone ad altre tavole più duramente espressioniste, come quelle di Vettori e Genini. Al lato geometricamente terso della prosa di Calvino, Barbato sembra opporre l’altrettanto proverbiale leggerezza, qui declinata come un’evanescenza mortifera, una dissolvenza ovattata e luttuosa.

Nell’ambito del libro d’artista, l’americana Erin Fletcher ha realizzato nel 2018 un volume rilegato con due diverse pelli di bufalo grigio e inserti ritagliati da pelle di capra, in cui l’oggetto d’arte sostituisce, materialmente, le pagine delle Città invisibili. ‘Sfogliando’ le diverse tavole, il lettore affronta un percorso romanzesco fatto solo di immagini dove, come ha dichiarato l’artista,

Although I took inspiration from the text as a whole, the design is mostly centered around the city Eusapia. Placed in chapter seven under the group "the dead”, Eusapia speaks of an underground city where the dead mimic the living or vice versa. These opposing forces of truth and falsehood are represented on the cover as well as the edge decoration and the leather doublures. The top of the design is filled with color, texture and life, while the bottom half mimics the world above with a vast emptiness.

 

Peraltro, la dicotomia spaziale che ci siamo abituati ad attribuire, come un senhal grafico, a Eusapia è destinata a espandersi anche all’interno del volume, in cui tutte le ‘pagine’ replicheranno la stessa ripartizione tra luce e ombra, tra disegno geometrico e monocromo. Nella copertina effettiva, l’Eusapia superiore – una città di poligoni rivestiti di porpora e grigio scuro – si rispecchia in un’Eusapia inferiore stilizzata e, sorprendentemente, bianca [fig. 3]. La città dei morti è una metropoli lattiginosa, in cui gli edifici sono ridotti a impronte calcaree, come se la morte funzionasse da imprevisto ‘acchiappacolore’ della vita e delle sue cupe sfumature.

Servendomi, oltre ai canali ufficiali dell’Opac, anche della ricerca per tag sui social network, ho scelto di includere in questa rassegna anche le tavole realizzate da giovani artisti, estranei ai circuiti editorial-accademici convenzionali. Le pagine Instagram e Facebook – vere e proprie bacheche promozionali per gli aritsti emergenti – permettono anche di censire diversi progetti internazionali attivati dalla lettura delle Città invisibili e legati a istituzioni universitarie o a piccole gallerie, da Hong Kong all’America Latina.

Pur replicando, di fatto, lo schema bipartito egemone nelle illustrazioni di Eusapia, il texano Matthew Cosby (@catt_mosby) ha raddoppiato i segmenti della visione, distribuendo in quattro tappe la discesa progressiva dalla luce alle tenebre. [fig. 4] Il parallelo con l’itinerario per eccellenza della Commedia viene sottolineato dalla presenza di una figura rossa, una sorta di fantasmino dantesco che scende negli inferi di Calvino. Se è vero che le nove sezioni delle Città invisibili «evocano i nove gironi dell’Inferno e le varie città dei morti ricordano, per lontane analogie, la dantesca città di Dite» (Della Coletta 1997, p. 412n), Cosby ha trasformato Eusapia in una porta dantesco-calviniana per accedere al sottosuolo del presente. Nei diversi riquadri, gli alberi prima perdono le foglie, poi scompaiono lasciando il posto a delle macchie amorfe mentre, nel pannello inferiore, c’è spazio soltanto per le tombe. Anche gli edifici cambiano la propria morfologia: i grattacieli sembrano ‘svecchiarsi’ in casermoni ottocenteschi, perdendosi poi nel buio indistinto di finestre sempre più simili a cellette urbane. Si modificano anche le proporzioni tra edifici e tombe, che, dalle dimensioni di un sasso, arrivano a misurare quasi quanto le case. Come ha dichiarato l’artista,

 

Eusapia is one of my favorite passages in the book, and to depict it I had the idea for the architecture of the cities of the living and the dead to bleed into each other successively; the tops of each city's towers act as the gravestones for another, newer city. In the same way, the gravestones – a symbol of death – also represent hidden life beneath the surface (comunicazione privata dell’artista, 11 settembre 2023).

 

Lo sdoppiamento viene mantenuto anche nel minimalismo astratto di John Stack (@johnstackworks). Le cinquantacinque tele sulle Città invisibili si presentano come superfici di alfabeti e linee spesso divise a metà da una diagonale che sancisce una metamorfosi (cromatica o stilistica) tra le parti. Nel caso di Eusapia, le due metà, composte da rette nere, geometrie interrotte e lettere maiuscole, si rispecchiano soltanto per una maldestra illusione ottica. Tra la sezione ‘viva’ (illuminata da inserti blu elettrico) e la sezione ‘morta’, in cui il nero sbiadisce nel grigio e il fondale bianco si sporca e sembra quasi arrugginirsi, il motivo non corrisponde mai biunivocamente. Le parole e le forme, disallineate e ‘fuor di sesto’, non vengono a comporre agglomerati di senso compiuto ma stringhe di consonanti e linee orfane di linguaggio. La dicotomia impossibile tra le due città viene spostata dal dominio geografico a quello concettuale, lasciando che i colori e i segni ripetano, sul piano ideale, la divisione inconciliata tra i due mondi. Curioso, peraltro, che una soluzione estetica simile sia stata scelta per il design di un piatto intitolato, per l’appunto, Hybrid piatto piano Eusapia. Sulla superficie di porcellana, come si può constatare dalle fotografie riprodotte sul sito dell’editore (https://www.seletti.it/hybrid-dinner-plate-eusapia.html), si intravedono due diverse scene di caccia, una più cupa e una più colorata. La collezione dovrebbe «riflettere sull’antica produzione orientale e occidentale», attraverso «decorazioni ibride provenienti da un passato complesso che si trasforma in forme contemporanee».

In altri casi, la focalizzazione si restringe su singole frasi o personaggi del racconto, rendendo Eusapia un raccoglitore di spunti diegetici irrelati e, soprattutto, separati dal contesto abitativo e metaforico della città. Ad esempio, Alicia Reyes (@aliciareyesartwork) ha realizzato un «Embalmed bussiness man from the necropolis of Eusapia» – anche se, in realtà, l’uomo d’affari non viene menzionato da Calvino tra i gironi professionali dell’oltretomba (CI, p. 452). [fig. 5] Allo stesso modo, Reyes inventerà i profili di un’impiegata, una donna in carriera, un musicista e un’aviatrice (ispirata ad Amelia Earhart), scegliendo «common professions but also random personalities based on the past. I wanted something that had a vintage look» (comunicazione privata dell’artista, 26 settembre 2023). I brevi identikit di Eusapia agiscono, dunque, come matrice per creare nuove corporazioni di scheletri, estendendo lo schema calviniano ad altri mestieri praticabili nel sottosuolo. Trattandosi della sezione più referenziale del racconto, le poche righe dedicate alle occupazioni saranno d’ispirazione per numerosi grafici e illustratori contemporanei, come il fumettista colombiano Julián Lemus (@LemusKunst) che ha raffigurato in primo piano il barbiere che «insapona con il pennello secco l’osso degli zigomi d’un attore» (CI, p. 452) e, sullo sfondo, le due Eusapie collegate da un serpentone autostradale. [fig. 6] Nella grafica di Lemus, il barbiere è ancora vivo mentre l’attore, vestito sgargiantemente di rosso, ha un parrucchino biondo poggiato sul teschio e lo specchio che dovrebbe rifletterlo, sulla sinistra, inquadra soltanto la texture scarlatta del vestito, a costruire una modernissima vanitas. Come ha commentato l’artista, «as we don’t know who is dead or alive, Eusapia’s essence flourishes in the streets and buildings that evokes a neat elegance in a peaceful lethargy where Death balances life equally. Life takes care of Death until the point of beautifying it, Eusapia vanishes like water and comes back as a life-cycle. Mirrors that divide the dead and the alive into a cohabited place» (dichiarazione dell’artista, 17 settembre 2023).

Sebbene goda di un maggiore spazio narrativo, la «confraternita degli incappucciati» non ha quasi una rappresentanza illustrativa in Rete, a eccezione della tavola di Stefano Porro (@stefanoporro_), raccolta nell’«albo illustrato presentato come progetto di tesi nel settembre 2022, presso l’Accademia d’arte Novalia di Alba». Partendo dal racconto di Calvino, Porro ricrea un’Eusapia fantasy in cui, come recita la didascalia, gli «Zveiz-Keit sono bestie di trasporto, incaricati di trasportare gli incappucciati dalla città dei vivi a quella dei morti». L’artista agisce integrando, di fatto, il canovaccio di partenza e inventando degli autobus-animali su cui viaggiano gli incappucciati, appoggiandosi «sopra delle grosse selle bucate». La fantasia di Porro è dettagliata e gioiosamente prescrittiva: «ogni bestia può trasportare un massimo di quattro incappucciati, e di conseguenza quattro cadaveri» e, delle due bestie, quella con la testa femminile può guardare soltanto il mondo dei vivi, mentre quella maschile solo il regno dei morti, in una crasi tra Calvino e il mito di Orfeo ed Euridice. Come ha notato lo stesso Porro, la «sfida è stata quella di cercare di uscire dalla rappresentazione delle città, andando invece ad analizzare gli abitanti che le vivono» e mescolando traduzione romanzesca e mitologie, letterarie e personali.

L’illustrazione di Eusapia non è esente da impreviste risemantizzazioni politiche; tra i grattacieli neri di una periferia indistinta, ad esempio, la giovane Stelzl Melanie Alexandra ha ritratto il profilo di una donna musulmana. Dal burqa, nero come i rettangoli ciechi degli edifici-alveari, parte la nuvoletta fumettistica di una città bianca, un pensiero utopico sbalzato rispetto al paesaggio circostante. Eusapia diventa, quindi, espressione di un irrisolto dualismo culturale – non soltanto tra Oriente e Occidente ma, piuttosto, tra una società nera e repressiva e la speranza di un riscatto bianco, un modo opposto di abitare lo spazio e il corpo. L’opera fa parte di un progetto (Invisibles cities Hong Kong) promosso dalla Facoltà di Architettura di Hong Kong, durante la quarta conferenza internazionale «S.ARCH 2017» (7-9 giugno 2017). In questa occasione, i lavori degli studenti, a cui era stato chiesto di ricostruire graficamente le città di Calvino, sono stati esposti in una piccola mostra collettiva, oggi consultabile su Instagram (@invisiblecitieshk).

Un discorso a parte meriterebbero i lavori fotografici in cui, per ragioni costitutive del medium, gli artisti devono rendere l’idea dello sdoppiamento in modo più sottilmente metaforico, a meno che non vengano utilizzate tecniche di ritocco in postproduzione, come avviene nell’Eusapia di Philip Angelo, graphic designer del New Jersey (@philipangel.design). Per rendere la compresenza tra vita e morte, Angelo lavora su una fotografia ‘neutra’ – un giovane uomo che attraversa la strada con un cane, su uno sfondo urbano sfocato – sovrascrivendovi poi, in bianco, gli scheletri dell’uomo e dell’animale. Sebbene venga conservata l’ambientazione metropolitana, il tema del doppio agisce soltanto sulle anatomie dei personaggi e non sui contorni dell’effettiva città, fuori fuoco e sbiadita come se fosse uno sfondo secondario.

Senza l’ausilio del fotoritocco, gli espedienti per impostare una dicotomia tra vita-luce e morte-buio sono piuttosto eterogenei. Patrizio Usai (@patrizio.usai.photo), ad esempio, sceglie di puntare sullo stacco chiaroscurale tra il cemento della strada e le nuvole involontariamente piastrellate del cielo, convertendo la contrapposizione tra le due città nell’inesausta dialettica tra cielo e terra, tra natura e cultura. [fig. 7] Altre soluzioni paiono più prevedibilmente amatoriali, dall’espediente di giocare sullo sdoppiamento tra la città reale e il riflesso sbiadito del fiume (@_l4lla._) alla scelta di usare le tinte fiammeggianti del tramonto sulla città come allusione vagamente ‘infernale’ (@zaidelgado8).

Un caso in cui la dialettica tra le due città viene scomposta in un dualismo inaspettato (e forse accessorio) tra la città e il suo fuori è l’Eusapia di Giuseppe Satrian (@photosatriani_aimagine). Il fotografo ha dedicato un intero portfolio alle Città invisibili, accostando i corpi glamour delle modelle, in primo piano, a sfondi urbanistici fuori fuoco. Nel caso di Eusapia, però, la giustapposizione tra un’indossatrice vestita di bianco e i portici di Matera non ha conservato alcuna implicazione mortifera. Come si legge nella didascalia, infatti, «this is Eusapia: the city inclined to enjoy life and avoid worries». Satrian recupera soltanto l’incipit letterale del racconto («Non c’è città più di Eusapia propensa a godere la vita e a sfuggire gli affanni», CI, p. 452), eliminandone con un taglio cesareo il cuore.

Per parafrasare l’incipit, insomma, non c’è città più di Eusapia propensa a godere la vita, globalizzata e rinnovatrice, dell’illustrazione. Con diversi gradi di referenzialità, fraintendimento e volontaria misinterpretazione della fonte originaria, il tema del doppio esorbita dalla piatta opposizione tra due città e diventa una chiave per spalancare nuove dicotomie. L’Eusapia degli illustratori si trasforma, così, in una terza città in cui la morte e la vita diventano dei puri segnaposti linguistici da riempire con i contenuti del sottosuolo moderno, tra cadaveri di ideologie e nuove utopie resistenti.

* Per il supporto, l’invio delle immagini e il generoso confronto, desidero ringraziare la disponibilità di Matthew Cosby, Erin Fletcher, Gabriele Genini, Julián Lemus, Stefano Porro, Alicia Reyes e Patrizio Usai. Rimando, inoltre, ai loro siti personali per approfondire il loro lavoro creativo:

Erin Fletcher: https://www.herringbonebindery.com/portfolio/invisible-cities.html

Gabriele Genini: http://quarantasetterosso.blogspot.com

Julián Lemus: https://www.artstation.com/julianleonellemussoto

Stefano Porro: https://linktr.ee/stefanoporro

Alicia Reyes: https://www.aliciareyes.net/works

Patrizio Usai: www.patriziousaiphoto.it

 

 

Bibliografia

G. Barbato, Le città manifeste: compendio illustrato alle Città invisibili di Italo Calvino, Tricase, Youcanprint, 2012.

C. Della Coletta, ‘L’Oriente tra ripetizione e differenza nelle «Città invisibili» di Italo Calvino’, Studi Novecenteschi, XXIV, 54, 1997, pp. 411-431.

D. Savio, «Il colore della mente». Calvino, Zobeide e la mappa del tesoro, in Montorfani 2015, pp. 6-16.

A. Kreisberg, ‘«Le città invisibili» nell’immaginario di Italo Calvino e nelle immagini di Pedro Cano’, Italies, 16, 2012, pp. 439-458.

G. Manganelli, ‘Recensione inedita a Le città invisibili’, in M. Barenghi, G. Canova, B. Falcetto (a cura di) La visione dell’invisibile. Saggi e materiali su Le città invisibili di Italo Calvino, Milano, Electa, 2002, pp. 105-107.

P. Montorfani (a cura di), Vedere le città invisibili: omaggio a Italo Calvino (1923-1985), Cenobio, LXIV, 4, 2015.