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24 Frames è l’ultimo film di Abbas Kiarostami, realizzato nell’ultimo periodo della sua vita (2015-2016) e distribuito alcuni mesi dopo la sua morte (2017-2018). Si tratta di ventiquattro episodi di pochi minuti l’uno, nei quali un’immagine statica (un quadro o una fotografia) viene progressivamente animata dalla computer graphica. Prevalentemente dedicati ad ambienti naturali e a piccole scene di vita animale, i frames conservano un portato teorico che il saggio cerca di esplicitare, poiché richiamano direttamente o indirettamente alcuni contributi ‘classici’ dei film studies, da quelli di Gunning e Gaudreault sul cinema dei primi tempi a quelli di Bazin e Pasolini sui rapporti tra cinema e vita, dal Barthes de La camera chiara fino agli studi più recenti su rimediazione, convergenza e intermedialità. È proprio quest’ultimo concetto di inter-medialità a subire i contraccolpi più interessanti perché il film problematizza l’idea che esista una ‘naturale’ porosità tra i sistemi espressivi o una reale integrazione tra i media. Nella superficie non così limitata di una immagine (in movimento) è possibile infatti che fotografia e cinema, così come analogico e digitale, o ancora narrativo e mostrativo, convivano, sì, ma come una coppia in crisi, senza grande dialogo o erodendo talvolta l’uno lo spazio di significazione dell’altro.

24 Frames is Abbas Kiarostami’s last film, made during the last period of his life (2015-2016) and distributed a few months after his death (2017-2018). It consists of twenty-four episodes of only few minutes each, where a static image (a painting or a photo) is progressively animated through computer graphics. The frames, mainly dedicated to natural environments and small scenes of animal life, retain a theoretic content that this essay aims at making explicit because they refer directly or indirectly to  certain ‘classical’ theories of film studies, from Gunning and Gaudreault on the Early Cinema to Bazin and Pasolini on cinema and life, from Barthes’ Camera lucida to the most recent studies on remediation, convergence and intermediality. It is precisely this last concept of inter-mediality that undergoes the most interesting impacts as the film problematizes the idea that there exists a ‘natural’ permeability between different expression systems and a real integration between different media. Upon the not too limited surface of an image (in motion), it is actually possible that photography and cinema, or the analogical and the digital or also the monstrative and the narrative dimensions coexist. They coexist however as a struggling couple, without too much dialogue, where one of the two sometimes tends to erode the space of signification of the other.

 

Presentato in anteprima mondiale al Festival di Cannes nel 2017, circa un anno dopo la sua morte, 24 Frames può essere considerato il ‘film-testamento’ di Abbas Kiarostami,[1] sia perché giunge alla fine di un lungo percorso artistico ricco di riconoscimenti internazionali, sia perché include – direttamente o indirettamente – la maggior parte delle forme espressive che egli ha sperimentato nel corso della sua carriera: dal film di finzione al documentario, dalla fotografia all’animazione, dalla video-arte all’installazione museale, dalla pittura all’allestimento scenico-teatrale.[2] È composto da ventiquattro piani sequenza di circa quattro minuti e mezzo l’uno, nei quali un’immagine fissa (un celebre dipinto in un caso, fotografie di varia provenienza nei restanti) viene animata dalla computer graphica. L’idea – secondo quanto affermato dallo stesso artista nei paratesti diffusi in quella circostanza – è di mostrare quel che succede poco prima e/o poco dopo un’istantanea fotografica o pittorica. Le ambientazioni dei corti sono prevalentemente di stampo naturalistico: montagne e alberi innevati, spiagge deserte, verdi praterie, placidi stagni, ma anche interni di abitazioni, strade cittadine, una veduta della Tour Eiffel. Ogni scenario, indipendente dagli altri ventitré, è poi abitato da animali ricreati al PC: mucche, cavalli, corvi, alci, cerbiatti, pecore, anatre, gabbiani, cani e così via, mentre gli esseri umani sono presenti in sole tre occasioni di cui parleremo fra poco. Le azioni che vediamo svolgersi in quei pochi minuti sono del tutto prive di dinamismo, sebbene esistano flebili tracciati evenemenziali a sorreggerli: un cane pastore che cerca di difendere un gregge impaurito dall’arrivo dei lupi; due cavalli che si corteggiano in un paesaggio innevato; un gatto che punta a mangiarsi un uccellino; alcune mucche che attraversano una spiaggia; un cerbiatto che viene ucciso da un cacciatore e così via.

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