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  • Barbablù. Il mito al crocevia delle arti e delle letterature →

 

 

 

Avevo ‘ritrovato’ Barbablù nel 1999 leggendo la monografia Barbablù di Ernesto Ferrero e, sull’onda di quel saggio, il racconto lungo di Max Frisch Barbablu – che in Italia ha avuto una sola edizione, einaudiana, del 1984 – e mi ero fatta un’idea strana: pensavo che l’Italia avesse declinato in molti modi il mito di Barbablù. Mi sbagliavo: perché il nostro non è (a differenza, per esempio, della Germania e dell’Inghilterra) il paese delle restituzioni e dei rifacimenti letterari di quella favola. Quel che il sondaggio dice è che l’Italia è, tutto sommato, abbastanza ‘barbabluistica’ (il libro di Ferrero è un calibro non da poco), ma poco ‘barbabluografa’.

Si consideri che esiste una sola fiaba italiana che si avvicina alla storia del primo Barbablù, il pluri-uxoricida seicentesco di Charles Perrault (le cui pagine sono state mirabilmente tradotte da Collodi): mi riferisco alla piemontese Naso d’argento, che peraltro circola pochissimo e non ha sostanzialmente forme epigoniche nel resto della penisola.

Si consideri che tra quella favola e i tre testi ‘moderni’ che eleggono Barbablù ad argomento di narrazione – La vita scellerata del nobile signore Gilles de Rais che fu chiamato Barbablu (e la vita illuminata del suo re) di Massimo Dursi, del 1967; Io e le spose di Barbablù, di Ada Celico, del 2010; Blu. Un’altra storia di Barbablù, di Beatrice Masini, del 2017 – vi è solo il romanzo primonovecentesco, pressoché sconosciuto, I tre delitti di Barbablù di Virgilio Bondois, pubblicato nel 1920 a Livorno per i tipi della Raffaello Giusti, la casa editrice fondata da Ugo Giusti nel 1881 [fig. 1].

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